Quali sono le discriminazioni dirette ed indirette stabilite dal D.lgs
198 del 2006?
In base all’art. 25 del Dlgs 198 del 2006:
Comma 1 discriminazioni dirette
Costituisce discriminazione diretta,
ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione,
criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché
l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che
produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del
loro sesso e, comunque, il
trattamento meno favorevole
rispetto a quello
di un'altra lavoratrice o di un
altro lavoratore in situazione analoga.
Comma 2 discriminazioni indirette
Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del
presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di
un determinato sesso in una
posizione di particolare svantaggio
rispetto a lavoratori
dell'altro sesso, salvo
che riguardino requisiti essenziali
allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo
sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e
necessari.
Comma 2 bis
Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento
meno favorevole in
ragione dello stato
di gravidanza, nonché di
maternità o paternità,
anche adottive, ovvero in ragione
della titolarità e dell'esercizio
dei relativi diritti.
Ecco alcuni casi visti dalla
giurisprudenza:
“Configura discriminazione indiretta nell'accesso al lavoro la
previsione, in un bando di concorso, di identici punteggi per le prove
riguardanti l'idoneità fisica per i candidati dei due sessi, sia in termini
assoluti, che con riguardo all'individuazione della "soglia" minima
che gli aspiranti debbono superare (in ciascuna delle quattro prove e nel
punteggio complessivo) per non essere giudicati inidonei”. Cons. Stato,
Sez. IV, 27/04/2012, n. 2472
“La clausola del contratto collettivo che subordini la concessione di
un premio aziendale alla presenza effettiva in servizio per un numero minimo di
giorni deve ritenersi illegittima e discriminatoria, determinando una posizione
di ingiustificato svantaggio in capo alle lavoratrici madri, sia rispetto ai
colleghi maschi sia rispetto alle colleghe non in stato di gravidanza”. Trib.
Firenze, Sez. lavoro, 15/02/2011, Consigliera regionale di parità della
Toscana C. Comune di Firenze
“E' costituzionalmente illegittima, perché discriminatoria e lesiva del
principio di parità tra l'uomo e la donna, la norma (art. 30 dlgs 198 del 2006)
che impone alla lavoratrice l'obbligo di comunicare al proprio datore
l'intenzione di proseguire l'attività oltre il sessantesimo anno di età”.Corte
cost., 29/10/2009, n. 275
“L'espressione anzianità di servizio di cui agli artt. 6 e 7 l . 1971 n. 1204 (ora artt. 22
e 32 d.lg. 26 marzo 2001 n. 151, t.u. in materia di tutela e sostegno della
maternità e paternità) è indicativa di una nozione unitaria e conseguentemente
vieta al datore di lavoro di interpretare una clausola collettiva, che esclude
dal computo dell'anzianità di servizio utile per progressioni automatiche di
carriera le assenze volontarie (nella specie l'art. 18 c.c.n.l. casse di
risparmio), come riferita anche alle assenze dal lavoro per fruizione dell'ex
astensione facoltativa; questa equiparazione infatti viola l'art. 15 st . lav., in quanto costituisce patto volto a
discriminare nell'assegnazione delle qualifiche a recare altrimenti pregiudizio
a un lavoratore in ragione del suo sesso e costituisce discriminazione
indiretta ai sensi dell'art. 4 comma 2 l . 1991 n. 125 (ora art. 25 comma 2 d.lg.
11 aprile 2006 n. 198, codice della pari opportunità tra uomo e donna).” Trib.
Prato, 21/11/2007
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