martedì 7 aprile 2015

Quali sono le discriminazioni dirette ed indirette stabilite dal D.lgs 198 del 2006?

In base all’art. 25 del Dlgs 198 del 2006:
Comma 1 discriminazioni dirette
Costituisce  discriminazione  diretta,  ai  sensi  del presente titolo, qualsiasi  disposizione,  criterio,  prassi, atto, patto o comportamento,  nonché  l'ordine  di  porre in essere un atto o un comportamento,  che  produca un effetto pregiudizievole discriminando le  lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il   trattamento  meno  favorevole  rispetto  a  quello  di  un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

Comma 2 discriminazioni indirette


Si  ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un  comportamento  apparentemente  neutri mettono o possono mettere i lavoratori  di  un  determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio   rispetto   a  lavoratori  dell'altro  sesso,  salvo  che riguardino   requisiti  essenziali  allo  svolgimento  dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Comma 2 bis

Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni   trattamento   meno   favorevole  in  ragione  dello  stato  di gravidanza,  nonché  di  maternità  o  paternità,  anche adottive, ovvero  in  ragione  della  titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.


Ecco alcuni casi visti dalla giurisprudenza:

“Configura discriminazione indiretta nell'accesso al lavoro la previsione, in un bando di concorso, di identici punteggi per le prove riguardanti l'idoneità fisica per i candidati dei due sessi, sia in termini assoluti, che con riguardo all'individuazione della "soglia" minima che gli aspiranti debbono superare (in ciascuna delle quattro prove e nel punteggio complessivo) per non essere giudicati inidonei”. Cons. Stato, Sez. IV, 27/04/2012, n. 2472



“La clausola del contratto collettivo che subordini la concessione di un premio aziendale alla presenza effettiva in servizio per un numero minimo di giorni deve ritenersi illegittima e discriminatoria, determinando una posizione di ingiustificato svantaggio in capo alle lavoratrici madri, sia rispetto ai colleghi maschi sia rispetto alle colleghe non in stato di gravidanza”. Trib. Firenze, Sez. lavoro, 15/02/2011, Consigliera regionale di parità della Toscana C. Comune di Firenze

“E' costituzionalmente illegittima, perché discriminatoria e lesiva del principio di parità tra l'uomo e la donna, la norma (art. 30 dlgs 198 del 2006) che impone alla lavoratrice l'obbligo di comunicare al proprio datore l'intenzione di proseguire l'attività oltre il sessantesimo anno di età”.Corte cost., 29/10/2009, n. 275



“L'espressione anzianità di servizio di cui agli artt. 6 e 7 l. 1971 n. 1204 (ora artt. 22 e 32 d.lg. 26 marzo 2001 n. 151, t.u. in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità) è indicativa di una nozione unitaria e conseguentemente vieta al datore di lavoro di interpretare una clausola collettiva, che esclude dal computo dell'anzianità di servizio utile per progressioni automatiche di carriera le assenze volontarie (nella specie l'art. 18 c.c.n.l. casse di risparmio), come riferita anche alle assenze dal lavoro per fruizione dell'ex astensione facoltativa; questa equiparazione infatti viola l'art. 15 st. lav., in quanto costituisce patto volto a discriminare nell'assegnazione delle qualifiche a recare altrimenti pregiudizio a un lavoratore in ragione del suo sesso e costituisce discriminazione indiretta ai sensi dell'art. 4 comma 2 l. 1991 n. 125 (ora art. 25 comma 2 d.lg. 11 aprile 2006 n. 198, codice della pari opportunità tra uomo e donna).Trib. Prato, 21/11/2007




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