mercoledì 11 settembre 2024



Una volta sottoscritto l'accordo ai sensi dell'art. 4 della legge 300 del 1970 entro quali limiti possono essere utilizzate le immagini acquisite?


Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 06/09/2024, n. 23985


2.1.1. la fattispecie concreta si colloca, ratione temporis, nell'ambito di applicazione del comma 1 dell'art. 4 St. lav. modificato dall'art. 23 del D.Lgs. n. 151 del 2015 e successive integrazioni, trattandosi di impianto visivo, dal quale "derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori", installato "previo accordo collettivo" sottoscritto con le organizzazioni sindacali, dichiaratamente "per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale";

siamo pertanto al di fuori della tematica dei cd. "controlli difensivi in senso stretto" (pur richiamata in modo ultroneo dalla Corte territoriale) i quali, come noto, si situano, ancora oggi, "all'esterno del perimetro applicativo dell'art. 4" (così Cass. n. 25732 del 2021, punti 31 e 32; più di recente v. Cass. n. 18168 del 2023);

secondo la classificazione operata proprio da Cass. n. 25732/2021 cit., la fattispecie all'attenzione del Collegio si colloca "tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell'art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti";

risultando nella specie autorizzata l'installazione dell'impianto, si pone la questione della utilizzabilità delle informazioni - le riprese visive - così raccolte "a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro" (art. 4, u.c., St. lav.) e, quindi, anche ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare (cfr. Cass. n. 32683 del 2021);

2.1.2. non sono state oggetto di efficace contestazione le due condizioni stabilite da tale ultimo comma dell'art. 4 per rendere "utilizzabili" le informazioni raccolte ai sensi dei primi due commi del medesimo articolo, e cioè l'adeguata informazione al lavoratore delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nonché il "rispetto di quanto disposto nel decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196";

piuttosto parte ricorrente si duole della violazione di talune previsioni contenute nell'accordo sindacale, in particolare di quelle secondo cui "la visione delle immagini videoregistrate, per finalità diverse da quelle espresse in premessa (tutela del patrimonio aziendale e dei beni demaniali... e per esigenze di sicurezza), avverrà esclusivamente in presenza di reclami, o richieste dettagliate, adeguatamente motivate e non anonime da parte dei clienti, ovvero dell'autorità giudiziaria", aggiungendosi che "per quanto attiene alle telecamere istallate all'interno delle biglietterie posizionate sull'area di scambio tra denaro e titoli di viaggio, l'identificazione degli addetti... avverrà solo in caso di dettagliato reclamo della clientela"; reclamo del cliente nella specie pacificamente assente;

2.1.3. osserva, però, il Collegio che dallo stesso testo dell'accordo sindacale risulta che il reclamo del cliente non era richiesto laddove la finalità della visione delle immagini non fosse diversa da quella di "tutela del patrimonio aziendale";

la nozione di "patrimonio aziendale" tutelabile in sede di esercizio del potere di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori è stata intesa, dalla giurisprudenza di questa Corte, in una accezione estesa;

si è così riconosciuto "il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio,... costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico" (Cass. n. 2722 del 2012; sulla tutela dell'immagine aziendale v. pure Cass. n. 13266 del 2018); è stato anche considerato come patrimonio aziendale "il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti" (Cass. n. 10955 del 2015);

costantemente, poi, è stata ritenuta lesiva del patrimonio aziendale la condotta di dipendenti potenzialmente integrante un illecito penale, sia ammettendo l'accertamento di fatti disciplinarmente rilevanti mediante filmati di telecamere installate in locali dove si erano verificati furti (Cass. n. 10636 del 2017) o a presidio della cassaforte aziendale (Cass. n. 22662 del 2016), sia in ipotesi di mancata registrazione della vendita da parte dell'addetto alla cassa ed appropriazione delle somme incassate (per tutte v. Cass. n. 18821 del 2008; sul controllo mediante agenzie investigative v., da ultimo, Cass. n. 17004 del 2024);

anche nel vigore della nuova normativa è stata ritenuta rilevante "la contestazione, al lavoratore, di un fatto reato incidente sul patrimonio del datore di lavoro, mediante esame di informazioni raccolte da un impianto in precedenza autorizzato" (Cass. n. 32683/2021 cit., in un caso di "sottrazione furtiva di merce aziendale" ripresa da "telecamere di sicurezza");

in definitiva, la tutela del patrimonio aziendale può riguardare la difesa datoriale sia da condotte di appropriazione di denaro o di danneggiamento o sottrazione di beni, le quali possono provenire anche da dipendenti dell'azienda e che giustificano la medesima protezione rispetto a quella dovuta a fronte di aggressioni esterne, sia dalla lesione all'immagine e al patrimonio reputazionale dell'azienda, non meno rilevanti dell'elemento materiale che compone la medesima (e non può dubitarsi che condotte fraudolente di dipendenti in danno di clienti siano anche idonee a pregiudicare l'immagine di una impresa);

in continuità con tale giurisprudenza e in conformità con il novellato dettato legislativo dell'art. 4 St. lav. - il quale consente l'impiego di impianti audiovisivi dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori "esclusivamente" per le finalità indicate dal suo primo comma, tra cui appunto "la tutela del patrimonio aziendale" - il Collegio giudica che, nella specie, lo strumento tecnologico di ripresa della biglietteria fosse installato, in modalità non occulte perché autorizzato dall'accordo sindacale, per tutelare il patrimonio aziendale, inteso in senso ampio, da possibili lesioni, interne o esterne, e sia stato impiegato per accertare comportamenti illeciti del dipendente, non concretanti un mero inadempimento nell'esecuzione della prestazione lavorativa, per cui la visione del filmato, con la conseguente identificazione degli addetti, non richiedeva il "dettagliato reclamo della clientela", così come invece previsto dall'accordo del luglio 2015;

per completezza pare anche opportuno ricordare che, secondo questa Corte, l'autorizzazione amministrativa dell'INL territoriale all'installazione dell'impianto tecnologico, necessaria in caso di mancanza di accordo sindacale, non può "rendere inutilizzabili le informazioni raccolte ai fini disciplinari" perché la clausola che impone un tale limite deve ritenersi "successivamente caducata e, quindi, tamquam non esset, in quanto in contrasto con la disposizione di cui all'art. 4 legge n. 300 del 1970 come modificata con le novelle del 2015 e del 2016" (Cass. n. 32683/2021 cit.);

2.1.4. ogni altro doglianza contenuta nei motivi in scrutinio è inammissibile;

sia nella parte in cui si sostiene un mero dissenso esegetico rispetto all'interpretazione dell'accordo aziendale offerta dalla Corte territoriale, atteso che l'accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013Cass. n. 12360 del 2014), riservato all'esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007Cass. n. 11756 del 2006; di recente, conf. Cass. n. 22318 del 2023), sia laddove si prospettano violazioni di legge ma criticando nella sostanza, nonostante la veste formale delle censure, l'accertamento di fatti compiuto dalla medesima Corte, invocando così un sindacato estraneo al controllo demandato a questo giudice di legittimità;

2.2. anche il secondo motivo di gravame non merita accoglimento;

esso è inammissibile nella parte in cui deduce genericamente, senza il rispetto del canone della necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione, la violazione della legge n. 48 del 2008 nel suo complesso; legge che riguarda i crimini informatici e contiene previsioni operanti nell'ambito dei procedimenti penali e la parte ricorrente neanche individua la norma che sancirebbe, nell'ambito del giudizio civile, l'inutilizzabilità del DVD laddove prodotto in violazione della procedura ivi prevista per l'estrazione di copia dei filmati del servizio di videosorveglianza;

il motivo è poi infondato quanto alla dedotta violazione dell'art. 2712 c.c. perché l'operato della Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza secondo cui: "L'efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. è subordinata - in ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso - all'esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte in giudizio, concretantesi nella non contestazione che i fatti, che tali riproduzioni tendono a provare siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse. Il relativo "disconoscimento" - che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova e che va distinto dal "mancato riconoscimento", diretto o indiretto, il quale, invece, non esclude che il giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite - pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito (dovendo concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta) e deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla rituale acquisizione delle suddette riproduzioni, venendosi in caso di disconoscimento tardivo ad alterare l'iter procedimentale in base al quale il legislatore ha inteso cadenzare il processo in riferimento al contraddittorio. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso che potesse avere valore di disconoscimento di una cassetta video registrata la condotta della parte, dopo aver assistito alla relativa visione e non aver mosso alcuna contestazione sui fatti e sui soggetti in essa rappresentati, ne aveva genericamente disconosciuto il contenuto solo tardivamente in corso di causa, dopo l'esaurimento del termine a tal fine concesso dal giudice)" (così Cass. n. 8998 del 2001; conf. Cass. n. 2117 del 2011; v. pure Cass. n. 3122 del 2015, per la quale, anche in caso di rituale disconoscimento, il giudice può comunque accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni; conf. Cass. n. 17526 del 2016Cass. n. 5141 del 2019);

nella specie, i giudici d'appello hanno argomentato che, "conformemente a come motivato dal giudice di primo grado, la censura di autenticità del dato informatico estratto dalla società datoriale risulta formulato in modo del tutto generico, ossia in assenza di qualsivoglia specifico riferimento a circostanze concrete idonee ad attestare la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta", aggiungendo infine che "nel caso di specie vi è assoluta carenza allegatoria da parte del reclamato";

non è sufficiente a determinare la cassazione della sentenza impugnata il diverso opinamento di chi ricorre che, col motivo in esame, ritiene invece che detto disconoscimento vi sia stato, atteso che come spetta al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680 del 2019Cass. n. 3126 del 2019), allo stesso modo compete al giudice di merito valutare se la condotta processuale della parte sia idonea ad addure elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta in modo chiaro, circostanziato ed esplicito ai fini e per gli effetti di cui all'art. 2712 c.c.;


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