E’ reato minacciare di licenziamento un lavoratore se non accetta
condizioni di lavoro vietate dalla legge?
Per Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2016) 05-05-2016,
n. 18727 un simile comportamento può determinare il reato di estorsione:
“In punto di diritto, va premesso che l'oggetto della tutela giuridica
nel reato di estorsione è duplice, nel senso che la norma persegue l'interesse
pubblico all'inviolabilità del patrimonio e, nel contempo, alla libertà di
autodeterminazione.
L'evento finale della disposizione patrimoniale lesiva del patrimonio
proviene, infatti, dalla stessa vittima ed è il risultato di una situazione di
costrizione determinata dalla violenza o dalla minaccia del soggetto agente.
In particolare, il potere di autodeterminazione della vittima non è
completamente annullato, ma è, tuttavia, limitato in maniera considerevole: in
altri termini, il soggetto passivo dell'estorsione è posto nell'alternativa di
far conseguire all'agente il vantaggio economico voluto ovvero di subire un
pregiudizio diretto e immediato (tamen coactus, voluit).
3.1.2. In questa prospettiva, anche lo strumentale uso di mezzi leciti
e di azioni astrattamente consentite può assumere un significato ricattatorio e
genericamente estorsivo, quando lo scopo mediato sia quello di coartare
l'altrui volontà; in tal caso, l'ingiustizia del proposito rende
necessariamente ingiusta la minaccia di danno rivolta alla vittima e il male
minacciato, giusto obiettivamente, diventa ingiusto per il fine cui è diretto
(cfr., Sez. 2, sent. n. 877 del 17/10/1973).
Allo stesso modo, la prospettazione di un male ingiusto può integrare
il delitto di estorsione, pur quando si persegua un giusto profitto e il
negozio concluso a seguito di essa si riveli addirittura vantaggioso per il
soggetto destinatario della minaccia (cfr., Sez. 2, sent. n. 1071 del
05/03/1992): ciò, in quanto, la nota pregnante del delitto di estorsione
consiste nel mettere la persona violentata o minacciata in condizioni di tale
soggezione e dipendenza da non consentirle, senza un apprezzabile sacrificio
della sua autonomia decisionale, alternative meno drastiche di quelle alle
quali la stessa si considera costretta (cfr., Sez. 2, sent. n. 13043 del
07/11/2000, dep. 14/12/2000, Sala, Rv. 217508).
3.1.3. Si spiega così perchè la "minaccia", da cui consegue
la coazione della persona offesa, possa presentarsi in molteplici forme ed
essere esplicita o larvata, scritta o orale, determinata o indeterminata, e
finanche assumere la forma di semplice esortazione e di consiglio.
Ciò che rileva, al di là delle forme esteriori della condotta, è,
infatti, il proposito voluto dal soggetto agente, inteso a perseguire un
ingiusto profitto con altrui danno, nonchè l'idoneità del mezzo adoperato alla
coartazione della capacità di autodeterminazione del soggetto agente. Orbene,
ritiene il Collegio che le osservazioni del ricorrente non scalfiscano in alcun
modo la valenza motivazionale della decisione impugnata, la quale si fonda sul
principale rilievo dell'irrilevanza del formale ricorso al contratto, allorchè
questo risulta strumentalizzato al perseguimento di un ingiusto profitto.
Invero, nella sentenza impugnata (la cui lettura va integrata con
quella della sentenza di primo grado in presenza di una c.d. "doppia
conforme" in punto affermazione della penale responsabilità con
riferimento ai reati di estorsione) viene tracciato, in maniera logica ed
esaustiva, un quadro globale di timore dei dipendenti, in ragione della
particolare situazione del mercato del lavoro (in cui l'offerta superava di
gran lunga la domanda) e in presenza di comportamenti certamente prevaricatori
del datore di lavoro, sì da rendere evidente che, anche nel caso in cui sin dal
momento di instaurazione del rapporto il lavoratore avesse "accettato"
di non rivendicare i propri diritti, siffatta accettazione non era libera, ma
condizionata dall'assenza di possibilità alternative di lavoro.
Valga considerare che questa Suprema Corte è costante nel ritenere che
un accordo contrattuale tra datore di lavoro e dipendente, nel senso
dell'accettazione da parte di quest'ultimo di percepire una paga inferiore ai
minimi retributivi o non parametrata alle effettive ore lavorative, non
esclude, di per sè, la sussistenza dei presupposti dell'estorsione mediante
minaccia, in quanto anche uno strumento teoricamente legittimo, può essere
usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di
là della mera apparenza, una minaccia, ingiusta, perchè è ingiusto il fine a
cui tende, e idonea a condizionare la volontà del soggetto passivo, interessato
ad assicurarsi comunque una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le
generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un
particolare settore di impiego della manodopera (cfr., ex plurimis, Sez. 2,
sent. n. 3779 del 24/01/2003;
Sez. 1, sent. n. 5426 del 11/02/2002).
3.1.4. E' questione, poi, riservata al giudice del merito valutare se
la condotta dell'imputato sia stata posta in essere nella sola prospettiva di
conseguire un ingiusto profitto con altrui danno, attraverso un comportamento
che, al di là dell'aspetto formale dell'accordo contrattuale, ponga
concretamente la vittima in uno stato di soggezione, ravvisabile nella
alternativa di accedere all'ingiusta richiesta dell'agente o di subire un più
grave pregiudizio, anche se non esplicitamente prospettato, quale l'assenza di
altre possibilità occupazionali (cfr., Sez. 2, sent. n. 50074 del 27/11/2013,
dep. 12/12/2013, Bleve e altro, Rv. 257984).
3.2. Orbene, nelle vicende in esame, i giudici di merito hanno
ampiamente elencato e descritto i comportamenti prevaricatori del datore di
lavoro in spregio dei diritti dei lavoratori, da rendere evidente, con la
stessa eloquenza dei fatti, da un lato, che l'imputato si è costantemente
avvalso della situazione del mercato del lavoro ad esso particolarmente
favorevole e, dall'altro che il potere di autodeterminazione dei lavoratori è
stato compromesso dalla minaccia larvata, ma non per questo meno grave e
immanente, di avvalersi di siffatta situazione.
Invero, si legge in sentenza: "(ndr., il C.) non ha contestato la
veridicità di quanto riferito dalle persone offese circa la qualità delle
prestazioni pretese dal C., ben più onerose di quelle previste nel contratto,
ma ha sostenuto che l'accordo intervenuto prima dell'assunzione tra i tre
dipendenti e il datore di lavoro esclude la sussistenza del necessario
requisito della minaccia di un male ingiusto, che solo può integrare la
fattispecie estorsiva...".
Al rilievo difensivo secondo cui i tre dipendenti erano liberi di
scegliere se prestare attività lavorativa alle condizioni onerose offerte
dall'imputato o cercare altre e migliori opportunità lavorative, la Corte territoriale
"replica" osservando che "... dagli atti emerge con tutta
evidenza che il termine "accordo" è un mero eufemismo per indicare le
condizioni unilateralmente decise dal datore di lavoro e nel caso di specie
palesemente inique ed estorsive. Le tre persone offese hanno infatti ribadito
non solo di essere state assunte a condizione di firmare una lettera in bianco
di dimissioni, ma soprattutto di essere state, nel corso del rapporto di
lavoro, minacciate di licenziamento dall'imputato, qualora non avessero firmato
le buste paga quali quietanze dell'importo ricevuto o non avessero svolto il
prolungato orario di lavoro preteso. Sia Ca. che P. che Cu. hanno precisato di
aver subito tali onerose condizioni per la paura di perdere il posto, stante
l'evidente atteggiamento assunto al riguardo dall'imputato. La circostanza che
dopo essere stati licenziati, i dipendenti non abbiano avuto difficoltà a
trovare un nuovo lavoro, non esclude la condizione di soggezione che gli stessi
vivevano nel momento in cui prestavano attività lavorativa per l'imputato, che
agitava lo spettro del licenziamento per costringerli ad accettare condizioni
lavorative inique".
Sul punto, appare opportuno rimarcare che la situazione di debolezza in
cui si trovavano le persone offese non era quella tipica dei lavoratori nei
confronti del datore di lavoro, ma derivava dalla grave situazione
occupazionale esistente in Sicilia, e nella città di Trapani in particolare,
unitamente alle condizioni particolari di ciascuna di loro, sulle quali i
giudici di merito si sono soffermati.
3.3. La motivazione della Corte territoriale appare del tutto congrua
ed esente da vizi logico-giuridici.
Invero, del tutto infondate si rivelano le deduzioni del ricorrente -
ai limiti del merito - in ordine all'esistenza di un accordo contrattuale:
infatti, ciò che rileva agli effetti dell’art. 629 cp è che
l'"accordo" non fu raggiunto liberamente, ma (nella descritta
situazione) estorto.
Nel complesso, pertanto, la decisione impugnata trova sostegno in un
solido apparato argomentativo, giuridicamente corretto e immune da palesi vizi
logici e giuridici. Si è, infatti, in presenza di elementi di fatto di sicuro
valore sintomatico, non elisi o efficacemente contrastati da elementi di segno
opposto, coerentemente e congruamente valorizzati dai giudici del merito in
ossequio alla norma generale espressa dall’art. 192 cpp, comma 1, che è quella
del libero convincimento, inteso come libertà di valutare gli elementi
probatori, con il limite, qui rispettato, di dare conto dei criteri adottati.
3.3.1. E' possibile quindi, ancora una volta, riconoscere ed affermare
che integra il reato di estorsione anche la condotta del datore di lavoro che,
anteriormente alla conclusione del contratto, impone al lavoratore ovvero
induce il lavoratore ad accettare condizioni contrarie a legge ponendolo
nell'alternativa di accettare quanto richiesto ovvero di subire il male
minacciato (cfr., Sez. 2, sent. n. 53649 del 05/12/2014, dep. 23/12/2014,
Schittone ed altri, non mass.; v., altresì, Sez. 2, sent. n. 677 del
10/10/2014, dep. 12/01/2015, Di Vincenzo, Rv. 261553).
3.3.2. Di contro, le censure del ricorrente si rivelano in parte
generiche e, comunque, sostanzialmente afferenti a valutazioni riservate al
giudice del merito per quanto attiene alla ricostruzione dei fatti storici e
all'interpretazione del materiale probatorio. Al contrario di quanto si è
cercato di sostenere nel ricorso, il riscontro dell'assunta libertà della
pattuizione tra l'imputato e le parti offese non può - quasi per definizione -
ricavarsi dagli aspetti meramente formali del rapporto di lavoro, per di più se
necessariamente comportanti l'adozione di artifici contabili alquanto
sintomatici, in sè, di una ben precisa intenzione di tenere nascosta la realtà
del rapporto di lavoro.
3.3.3. Anche a volere convenire che l'accettazione, da parte dei
lavoratori, di una retribuzione inferiore a quella risultante in busta paga non
basti, di per sè sola, a dare prova di una subita coercizione, non è infatti
stata la forma della "libera" pattuizione ad avere trasformato, nel
caso di specie, un semplice illecito civile nel reato di estorsione, bensì la
modalità, resa chiara fin dall'assunzione e ribadita in costanza di rapporto,
di concreta attuazione, mese dopo mese, della pretesa "libera"
pattuizione.
In ogni caso, appare difficilmente contestabile l'assoluta assertività
degli argomenti difensivi, siccome tutti costantemente incentrati sulla mera e
semplice negazione della minaccia esplicita o larvata del licenziamento e,
comunque, sulla non ingiustizia del profitto con altrui danno. Al contrario,
appuntando l'attenzione soltanto sulla concretezza del caso oggetto di vaglio
processuale, occorre decisamente convenire con quanto ritenuto dai primi
giudici, i quali, lungi dall'avere travisato o trascurato nulla, hanno
analiticamente preso in considerazione tutti gli elementi dichiarativi e
documentali emersi in sede istruttoria, reputandoli nel complesso conducenti,
con lineare e logico argomentare, a dare prova della coazione integrante la contestata
fattispecie estorsiva.
3.3.4. Con tali argomentazioni, il ricorrente, in concreto, non si
confronta adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa
"lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate
congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti che
abbiano potuto decisivamente condizionare la conclusiva affermazione di
responsabilità”.
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