martedì 31 maggio 2022

 Quando le spese del procedimento ex art. 445 bis cpc possono essere poste a carico del ricoerrente?


Cass. 25/05/2022, n. 16903

In materia di accertamento tecnico preventivo, ai sensi dell'art. 445 bis c.p.c., le spese di consulenza tecnica di ufficio non possono gravare sul ricorrente che si trovi nelle condizioni reddituali di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c., salvo che la sua pretesa sia manifestamente infondata e temeraria.

In forza dell'art. 152 disp att. cpc

"Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell'articolo 79 e dell'articolo 88 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della repubblica n. 115 del 2002. Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio. A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo."

lunedì 30 maggio 2022

 Quando la condotta del lavoratore esclude la responsabilità del datore di lavoro nella causazione dell'infortunio?


Cass. pen., Sez. IV, 17/05/2022, n. 20035

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

sabato 28 maggio 2022



Quando si applica il sistema inde nitario ex art. 18 comma 5 legge 300 del 1970?




Cass. 25/05/2022, n. 16973

Nel regime dettato dall'art. 18, commi 4 e 5, della Legge n. 300 del 1970 è stata introdotta una graduazione in base alla quale la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro è consentita per le ipotesi in cui l'illegittimità del recesso è maggiormente evidente e, dunque, in via generale, laddove il fatto addebitato non sussista ovvero nel caso in cui quel fatto sia punito dalla disciplina collettiva applicabile con una sanzione conservativa. Laddove invece, in esito alla valutazione in concreto della fattispecie accertata, il giudice ravvisi una sproporzione tra la condotta non tipizzata e la sanzione irrogata, risolto il rapporto di lavoro, dovrà applicarsi la tutela indennitaria dettata dal comma 5 dell'art. 18 citato rientrandosi in quegli "altri casi" che ai sensi della citata disposizione sono ristorabili con la c.d. tutela indennitaria forte.

giovedì 26 maggio 2022

 Quando si ha straining?



Cass. 23/05/2022, n. 16580

È configurabile il mobbing lavorativo solo ove ricorrano l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro, e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima, mentre può ricorrere una ipotesi straining solo quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie. Di contro, si resta al di fuori della responsabilità datoriale ove i pregiudizi lamentati dal lavoratore derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante della ordinaria prestazione lavorativa o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili. Ne consegue che non ricorrono le ipotesi di mobbing o di straining ove le condotte datoriali siano caratterizzate dall'essere munite di ragionevoli motivazioni e giustificazione dell'operato ed anche se il lavoratore ha sviluppato, in ragione dell'attività lavorativa, una sindrome depressiva quale conseguenza di una particolare risposta soggettiva rispetto alle decisioni organizzative assunte dal datore.

mercoledì 25 maggio 2022

 La violazione degli obblighi contributivi ha natura contrattuale?

Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 23/05/2022, n. 16581

L'inadempimento delle obbligazioni previdenziali a carico del datore di lavoro determina la sua responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod civ., soggetta a termine di prescrizione ordinario, poiché la natura contrattuale della responsabilità dipende dall'inadempimento di una obbligazione, trovi essa causa nel contratto, nella legge o in qualsiasi altro atto o fatto idoneo a produrla. Va di conseguenza affermata la natura decennale del termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno derivante dall'inadempimento dell'amministrazione statale all'obbligo, ex art. 24 del D.P.R. n. 1032 del 1973, di ricevere dal dipendente la domanda di riscatto di servizi computabili ai fini previdenziali, curarne l'istruttoria e trasmetterla all'amministrazione del Fondo di previdenza entro sei mesi dalla data di presentazione.

martedì 24 maggio 2022

In caso d'insussistenza non manifesta delle ragioni poste alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo il lavoratore può essere reintegrato in forza dell'art. 18 comma 7 della legge 300 del 1970?



Corte cost., 19/05/2022, n. 125

In materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo connesso a ragioni economiche, produttive e organizzative, va dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione di cui all'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della "manifesta" insussistenza del fatto stesso, posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ciò in quanto al fatto che è all'origine di tale ipotesi di licenziamento si devono ricondurre l'effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale, sulle quali il giudice è chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimità, che non può sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità, così che la previsione del carattere manifesto di una insussistenza del fatto presenta profili di irragionevolezza intrinseca, poiché il requisito della manifesta insussistenza è indeterminato e demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico, nell'alveo di controversie nelle quali il quadro probatorio è spesso articolato, tanto da non essere compatibile con una verifica prima facie dell'evidente insussistenza del fatto, che la legge richiede ai fini della reintegrazione.

lunedì 23 maggio 2022

 In caso di cessazione del rapporto per il diritto comunitario spetta l'indennita' sostitutiva delle ferie?


Corte giustizia Unione Europea, Sez. VI, 12/05/2022, n. 426/20


Nell'ipotesi di un lavoratore che, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, non sia stato in condizione di esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro, l'indennità alla quale ha diritto deve essere calcolata in modo da porlo in una situazione analoga a quella in cui si sarebbe trovato se avesse esercitato tale diritto nel corso del rapporto di lavoro.

Quando è cessato il rapporto di lavoro e allorché, di conseguenza, la fruizione effettiva delle ferie annuali retribuite non è più possibile, l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, prevede che il lavoratore abbia diritto a un'indennità per evitare che, a causa di tale impossibilità, il lavoratore non riesca in alcun modo a beneficiare di tale diritto, neppure in forma pecuniaria.

venerdì 20 maggio 2022

In caso di licenziamento collettivo i lavoratori da licenziare possono essere individuati in un unica unità produttiva o reparto o settore?


Cass. civ., Sez. lavoro, 18/05/2022, n. 16010

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia, poiché ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda, previsto dall'art. 5, L. n. 223 del 1991, per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei, per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda, ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

giovedì 19 maggio 2022

 Che natura ha l'assegno alimentare ex art.82 DPR 3 del 1957?



Cass. 17/05/2022, n. 15799

L'assegno previsto dall'art. 82 D.P.R. n. 3 del 1957 non è il corrispettivo di una prestazione di lavoro, dunque non ha natura retributiva ma assistenziale ed ha fondamento nell'assicurazione delle esigenze di vita di chi risulta medio tempore ancora dipendente, sicché esso, esaurendo e definendo in ciò la propria funzione, non è ripetibile, neanche qualora intervenga risoluzione retroattiva del rapporto di impiego.

mercoledì 18 maggio 2022

 In caso di revoca di una prestazione previdenziale occorre preventivamente effettuare un ricorso amministrativo prima di adire l'autorità giudiziaria?

Cass. civ., Sez. Unite, 09/05/2022, n. 14561


Ai fini della proponibilità dell'azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa.

Le motivazioni:


9. Tanto premesso va rilevato che la giurisprudenza della Cassazione degli ultimi anni si è uniformemente espressa nel senso che la domanda giudiziaria di ripristino di una prestazione già in godimento, revocata all'esito di un controllo in sede amministrativa, non dà luogo ad una impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca ma investe il diritto del cittadino ad ottenere la prestazione che, nel ricorso dei suoi presupposti, la legge gli accorda (cfr. tra le altre Cass. nn. 27355 del 2020, 28445 del 2019, 6590 del 2014, 11075 del 2010, 4254 del 2009 e 3404 del 2006).

9.1. Secondo questa giurisprudenza i requisiti socioeconomici e sanitari devono essere verificati, alla stregua dei requisiti richiesti per legge, con riguardo alla disciplina vigente al momento della nuova domanda, comunque necessaria, trattandosi di diritto nuovo, ancorchè identico a quello estinto per effetto della revoca (cfr. da ultimo Cass. n. 27355 del 2020 e n. 28445 del 2019). La presentazione di una nuova domanda amministrativa è vista come funzionale alla necessità di un accertamento dell'esistenza dei presupposti per il riconoscimento di un nuovo beneficio.

9.2. Tra gli argomenti richiamati a sostegno della correttezza di tale ricostruzione vi è quello che il diritto alla prestazione oggetto della revoca non rimane sospeso per effetto del venir meno di uno dei suoi requisiti costitutivi. Si sottolinea infatti che la sospensione del beneficio è possibile solo in casi tassativamente indicati (tra questi, ad esempio, per la prestazione previdenziale della pensione di invalidità prima della L. n. 222 del 1984, ai sensi del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, convertito nella L. 6 luglio 1939, n. 1272, nel testo modificato dalla L. 11 novembre 1983, n. 638 di conversione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, nel caso in cui venga meno il requisito reddituale già posseduto al momento in cui la pensione era stata attribuita all'invalido).

9.3. Laddove, invece, una sospensione non sia prevista si è ritenuto che, una volta venuto meno uno dei requisiti costitutivi, il diritto alla prestazione si estingue definitivamente da quel momento in avanti (cfr. Cass. n. 28445 del 2019 e già n. 6590 del 2014 e n. 8943 del 2004).

9.4. Conseguente a tale premessa è l'affermazione che la mancanza di una domanda amministrativa rende l'azione improponibile. Si verifica infatti quella temporanea carenza di giurisdizione, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, che non consente la prosecuzione della controversia prima che si sia esaurita la fase amministrativa (cfr. Cass. n. 5149 del 2004, n. 11756 del 2004, n. 26146 del 2010 e recentemente Cass. n. 27355 del 2020 e n. 28445 del 2019).

9.5. Tale opzione ermeneutica è stata ritenuta, dalla giurisprudenza, rispettosa della ratio sottesa alle prestazioni assistenziali sul rilievo che, alla stregua dell'art. 38 Cost., devono essere preferite soluzioni "volte a riconoscere le prestazioni assistenziali solo in presenza di effettivi bisogni e a rifuggire da soluzioni suscettibili di creare ingiustificate disparità di trattamento nell'area di quanti dette prestazioni rivendicano".

9.6. Si è evidenziato che, diversamente opinando, tale disparità finirebbe per crearsi, con riferimento alla necessità di accertamento dei requisiti per usufruire delle stesse, tra coloro che chiedano per la prima volta dette prestazioni e quanti, invece, ne abbiano già goduto e ne pretendano, pur in presenza di mutate e più favorevoli condizioni di salute, un perdurante godimento (in questo senso cfr. punto 17 dell'ordinanza interlocutoria di rimessione n. 12945 del 2021).

9.7. E' stato sottolineato che è la legge ad imporre all'amministrazione, senza alcuna discrezionalità nella scelta, di operare verifiche periodiche sulla persistenza dei requisiti sanitari e reddituali necessari per beneficiare della prestazione assistenziale in godimento. Pertanto, ove si accerti il venir meno dei requisiti costitutivi, la revoca e l'estinzione del rapporto obbligatorio esistente sono conseguenti.

9.8. Ai fini della definitività del provvedimento, poi, non rileva il fatto che il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito nella L. n. 326 del 2003, abbia previsto un termine di sei mesi per la proposizione dell'azione giudiziale. Si è osservato infatti che tale termine sarebbe finalizzato a definire il tempo entro il quale è possibile la proposizione dell'azione giudiziaria ma non anche quello per potere ritenere definitiva la revoca.

9.9. La circostanza poi che in via cautelare la prestazione resti, per legge, sospesa in pendenza del procedimento amministrativo e che di tale sospensione debba essere data comunicazione all'interessato nel termine di trenta giorni (tanto ai sensi del D.L. n. 78 del 2009, art. 20, comma 2, convertito dalla L. 3 Agosto 2009, n. 102, che richiama il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5) consentirebbe alla parte di proporre anticipatamente la domanda giudiziaria per il ripristino.

9.10. Una volta intervenuta la revoca ed estinto il diritto, per il suo ripristino è necessaria la nuova istanza in via amministrativa da presentarsi anche nel giorno successivo alla comunicazione della revoca.

10. E' di tale costante orientamento che l'ordinanza interlocutoria sollecita un ripensamento evidenziando che la tesi secondo cui oggetto della controversia è la verifica della permanenza di tutti i requisiti ex lege richiesti, e non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia stata posta a fondamento della revoca (come affermato da Cass. 20/02/2009 n. 4254), non implica quale suo necessario sviluppo l'affermazione che la presentazione di una nuova domanda amministrativa sia prodromica e necessaria.

10.1. Si osserva infatti che il diritto alla prestazione promana dalla norma, nel concorso dei requisiti legali, mentre la revoca, atto dell'ente gestore, rimette in discussione la debenza del trattamento ma non sarebbe idonea a procurare una cesura ove, successivamente, il giudice del rapporto previdenziale/assistenziale accolga la domanda di ripristino sin dalla data della revoca stessa.

10.2. Inoltre, la funzione della domanda amministrativa sarebbe anche quella di ridurre gli interventi della giurisdizione mediante un vaglio preventivo in via amministrativa sulla pretesa dell'assistibile e tuttavia nel caso di revoca si accerta proprio in via amministrativa l'insussistenza dei presupposti per beneficiare della prestazione.

10.3. Per effetto dell'abolizione del contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile (a decorrere dal 10 gennaio 2005 ai sensi del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, comma 2, convertito in L. 27 febbraio 2004, n. 47) e con l'introduzione di un termine decadenziale di sei mesi per l'esercizio dell'azione "dalla data di comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa" (ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326) la sequenza revoca della prestazione/domanda giudiziale di ripristino, nell'interpretazione datane, presenterebbe l'anomalia di configurare l'obbligatorietà dell'istanza amministrativa, cui fa seguito un non breve spatium deliberandi entro il quale l'ente gestore può provvedere (ai sensi del D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698, art. 1, comma 3, e art. 4 comma 1; D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 20, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102; della circolare Inps 28 dicembre 2009 n. 131) pendente un termine di decadenza decorrente dalla comunicazione del "provvedimento emanato" sulla nuova istanza dell'invalido. Si sottolinea la macchinosità del procedimento in contrasto con l'esigenza di semplificazione perseguita con la novella del 2003/2005.

11. Tanto premesso ritiene il Collegio che le perplessità avanzate dalla sezione lavoro con l'ordinanza interlocutoria siano condivisibili. 11.1. Ai fini di un ordinato svolgimento del ragionamento occorre in primo luogo rammentare che per il conseguimento delle prestazioni che la legge prevede in favore degli invalidi civili (l'assegno mensile di invalidità per invalidità dal 74% al 99%; la pensione di inabilità civile per invalidità pari al 100%; l'indennità di accompagnamento che può essere abbinata, ricorrendone le condizioni, alla prestazione di inabilità civile; l'indennità di frequenza per i minori invalidi ed ulteriori specifiche prestazioni in favore dei ciechi civili assoluti o parziali e dei sordomuti) è sempre necessaria la presentazione di una domanda. Si tratta di atto con efficacia sostanziale, poichè è dalla data della sua presentazione che decorre la prestazione; che dà impulso al procedimento amministrativo e racchiude la volontà del soggetto di ottenerne il riconoscimento.

11.2. Il procedimento si articola in due fasi. Una prima fase nella quale si procede all'accertamento dell'esistenza dei requisiti sanitari necessari al conseguimento della prestazione chiesta. Una seconda fase nel corso della quale vengono accertati i requisiti socioeconomici se richiesti (per l'indennità di accompagnamento, ad esempio è necessario solo il requisito sanitario).

11.3. Oggi entrambe le fasi sono di competenza di un unico ente, l'INPS. 11.4. In precedenza, per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 30 maggio 1988, n. 173, art. 3, convertito dalla L. 26 luglio 1988, n. 291, alla L. 30 marzo 1971, n. 118 (di conversione del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), si stabilì che la richiesta di accertamento delle condizioni sanitarie andasse presentata alle Commissioni mediche per le pensioni di guerra, di cui al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 105, gestite dal Ministero del Tesoro (poi Ministero dell'economia e delle finanze - MEF), rinominate "Commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile". Successivamente, con la L. 15 ottobre 1990, n. 295, lo svolgimento degli accertamenti sanitari venne demandato alle Unità sanitarie locali mentre alla Prefettura fu assegnata la cura degli " ulteriori adempimenti necessari per la concessione delle provvidenze previste dalla legge" e venne previsto che contro gli accertamenti sanitari definitivi si potesse proporre ricorso al Ministro del Tesoro. Con il D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698, artt. 1, 3, 4 e 6, la competenza a concedere le prestazioni venne trasferita dalle Prefetture alle Regioni ed agli enti locali, mentre a norma del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 130, 131 e 132, all'INPS fu demandato il pagamento delle prestazioni.

11.5. Tale sistema, estremamente farraginoso della fase prodromica che ha dato luogo ad un importante contenzioso che ha richiesto anche numerosi interventi delle sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 03/08/2000 n. 529, 12/07/2000 n. 483, 17/12/1999 n. 912), è stato modificato con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, e, a partire dal 1 gennaio 2005 (vedi D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 23, comma 2, convertito dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47) si è disposta la definitiva abolizione del contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile e si è previsto un termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda giudiziale che decorre "dalla data di comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa". Con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 10, comma 1 e 2, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e con il D.P.C.M. 30 marzo 2007, infine l'INPS è subentrato, a decorrere dall'aprile 2007, nelle residue funzioni esercitate dallo Stato per il tramite del MEF e svolge sia la funzione di ente erogatore delle prestazioni economiche in materia di invalidità civile, già assunta ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130, esercitando anche quella di controllo.

11.6. Da un punto di vista processuale va poi ricordato che ai sensi della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 37, al Ministero dell'Economia e delle Finanze era stata attribuita la legittimazione passiva nei giudizi relativi ai verbali di visita emessi dalle Commissioni mediche per l'accertamento degli stati di invalidità civile nonchè nei giudizi relativi ai provvedimenti di revoca emessi dallo stesso Ministero. Tale legittimazione che, per ragioni di contenimento del contenzioso e di repressione degli abusi, era stata estesa (L. 24 novembre 2003, n. 326, ex art. 42) a tutte le controversie giurisdizionali in materia, è stata poi eliminata dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 80, comma 6, di conversione con modificazioni del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, e dalla L. n. 102 del 2009, art. 20, comma 5, sicchè oggi l'INPS è unico legittimato passivo. Ai sensi del D.L. n. 78 del 2009, art. 20, convertito dalla L. n. 102 del 2009, inoltre, "l'INPS accerta altresì la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità".

12. E' questo il quadro normativo in cui deve muoversi l'indagine per verificare se, come fino ad oggi ritenuto, in caso di sopravvenute modifiche del trattamento assistenziale in godimento che siano culminate nella revoca della prestazione sia necessario, ai fini del suo ripristino la previa proposizione di una nuova domanda amministrativa pregiudicante, in sua mancanza, la proponibilità della domanda giudiziaria.

13. A tal proposito è utile ricordare che le prestazioni di invalidità civile si configurano come obbligazioni c.d. di durata, la cui esecuzione si protrae nel tempo ed è suscettibile di subire modificazioni per effetto di fatti sopravvenuti che modifichino i requisiti costitutivi del diritto.

13.1. Corollario di tale natura è la possibilità per l'Amministrazione di verificare in via ordinaria la persistenza delle condizioni di esistenza del diritto. Già ai sensi del D.L. n. 5 del 1971, art. 21, convertito in L. n. 118 del 1971, erano previsti "accertamenti sulla permanenza dei requisiti".

13.2. Con il D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698 (Regolamento recante norme sul riordinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economici) all'art. 5, comma 4, è stato poi previsto che ".....gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore dei ciechi civili, invalidi civili e sordomuti hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti" e lo status relativo alla minorazione civile e all'handicap viene meno alla data di scadenza indicata nel verbale di accertamento anche se l'interessato è in attesa di visita di revisione con la conseguenza che sono sospese le provvidenze economiche (pensioni, assegni, indennità) e, fino ad un nuovo verbale di accertamento, viene meno il diritto a tutte le agevolazioni.

13.3. Con la L. n. 114 del 2014, di conversione del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, invece, è stato previsto che la Commissione medica all'atto dell'accertamento dei requisiti sanitari, se ritiene che le minorazioni riconosciute siano suscettibili di modificazioni nel corso del tempo, indica nello stesso verbale la data entro cui l'invalido è tenuto ad effettuare una visita di revisione. A norma dell'art. 25, della legge citata, poi, gli invalidi civili e le persone con handicap conservano tutti i diritti acquisiti in materia di prestazioni e agevolazioni di qualsiasi natura fino alla visita di revisione ed al completamento del relativo iter di verifica e spetta all'Inps ricordare all'interessato la convocazione. In caso di ritardi nella visita la prestazione viene erogata salva la ripetizione delle somme in caso di revoca.

13.4. Infine, con il D.M. 2 agosto 2007, del Ministro dell'Economia e delle Finanze adottato di concerto con il Ministro della salute sono state individuate patologie non rivedibili (cfr. art. 25, comma 8).

Diversamente da quanto avveniva prima dell'entrata in vigore della L. n. 114 del 2014, poi, il minore titolare di indennità di accompagnamento non è più tenuto al compimento della maggiore età a verificare la sua invalidità ma, ai sensi dell'art. 25, comma 6, citato gli "sono attribuite al compimento della maggiore età le prestazioni economiche erogabili agli invalidi maggiorenni, senza ulteriori accertamenti sanitari" senza che sia necessaria una specifica istanza dimostrando, in caso di pensione di inabilità la sussistenza dei requisiti reddituali ma persistendo in continuità l'erogazione della prestazione. Altrettanto è a dirsi per i minori titolari di indennità di frequenza i quali, presentando una domanda in via amministrativa entro i sei mesi antecedenti il compimento della maggiore età, ottengono in via provvisoria, già al compimento del diciottesimo anno di età, le prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni salvo l'accertamento delle condizioni sanitarie e degli altri requisiti previsti dalla normativa di settore.

14. Accanto alle verifiche c.d. ordinarie sopra descritte vi sono, poi, le verifiche demandate all'INPS nell'ambito dei "piani di verifica" straordinari promossi annualmente dal legislatore per reprimere abusi e contenere la spesa.

14.1. Nella vigenza del procedimento amministrativo previsto dal D.P.R. n. 698 del 1994, artt. 1, 3, 4 e 6, il D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 4, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1996, n. 425, poi modificato dall'art. 52 della L. 27 dicembre 1997 n. 449, aveva affidato al Ministero del Tesoro - Direzione generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra - una verifica straordinaria dello stato di invalidità civile sia in riferimento ai requisiti sanitari che a quelli reddituali.

14.2. Con riferimento alla verifica dei requisiti sanitari, il comma 3 bis, prevedeva che "La permanenza nei beneficiari del possesso dei requisiti sanitari prescritti per usufruire dei trattamenti economici di invalidità civile viene accertata con verbale emesso dai medici appartenenti alla commissione medica superiore di invalidità civile o alle commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile". Il comma 3 ter, prevede poi che "In caso di accertata insussistenza dei requisiti sanitari, la Direzione generale di cui al comma 1 provvede, entro novanta giorni dalla data della visita di verifica o degli ulteriori accertamenti che si rendessero necessari, alla revoca delle provvidenze in godimento a decorrere dalla data della visita di verifica". Con il comma 3 quater, lo si è ricordato (v. sopra punto 10.2 in fine), si dispone che "Avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario." 14.3. La L. n. 448 del 1998, art. 37, che aveva confermato la competenza del Ministero del tesoro in tema di verifica, al comma 5, aveva previsto per la prima volta la legittimazione passiva del Ministero del tesoro nei procedimenti aventi per oggetto la revoca dei benefici di invalidità civile dallo stesso disposta, laddove nel periodo precedente l'entrata in vigore della L. n. 448 del 1998, la legittimazione continuava a spettare, nei procedimenti del medesimo genere, al Ministero dell'Interno, competente ad attribuire i benefici, ai sensi delle L. n. 118 del 1971, e L. n. 18 del 1980 (cfr. Cass.05/06/2004 n. 10715).

14.4. Una volta accentrate sull'INPS tutte le competenze in materia, poi, la L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 80, che ha convertito con modificazioni il D.L. n. 112 del 2008, ha previsto l'attuazione, dal 1 gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, di un piano straordinario di 200.000 accertamenti di verifica (sanitaria e reddituale) nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile (così anche poi per il triennio 2010-2012 con il D.L. n. 78 del 2009, art. 20, comma 2, convertito dalla L. n. 102 del 2009m e con le successive leggi di stabilità).

15. Questo l'articolato quadro normativo nell'ambito del quale l'invalido, nel tempo, e per effetto delle revisioni, siano esse ordinarie o straordinarie, poteva e può vedere confermato o modificato in positivo o negativo il beneficio fino ad una sua revoca.

15.1. La revoca, poi, può essere preceduta dalla sospensione dell'erogazione per il periodo intercorrente tra l'esito della verifica e l'adozione del provvedimento formale. Il D.P.R. n. 698 del 1994, art. 5, comma 5, con una disposizione di portata generale, prevede che "Nel caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per il godimento dei benefici si dà luogo alla immediata sospensione cautelativa del pagamento degli stessi, da notificarsi entro trenta giorni dalla data del provvedimento di sospensione. Il successivo formale provvedimento di revoca produce effetti dalla data dell'accertata insussistenza dei requisiti prescritti. In caso di revoca per insussistenza dei requisiti (...)".

15.2. Si tratta di disposizione ancora vigente ed espressamente richiamata dal D.L. n. 78 del 2009, art. 20, comma 2, convertito dalla L. n. 102 del 2009, in tema di verifiche straordinarie.

16.Vi sono poi altri casi in cui può essere disposta la sospensione. 16.1. Di questi, tuttavia, quella prevista dal R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, convertito dalla L. 6 luglio 1939, n. 1272, nel testo modificato dalla L. 11 novembre 1983 n. 638, di conversione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, e più volte richiamata nelle sentenze che hanno affermato la necessità di una nuova domanda in caso di revoca dell'originaria prestazione non attiene all'ambito di operatività dell'invalidità civile ed è relativa piuttosto alle prestazioni previdenziali di invalidità nel regime antecedente la L. 12 giugno 1984, n. 222.

16.2. Il D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 4, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1996, n. 425, e poi modificato dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 52, aveva invece previsto una ipotesi peculiare di sospensione qualora l'assistito non avesse presentato l'autocertificazione delle condizioni sanitarie di cui al comma 1 dello stesso articolo.

16.3. La L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 37, poi, nel mantenere i compiti di verifica in capo al Ministero del Tesoro, aveva espressamente disciplinato l'ipotesi della sospensione dell'erogazione seguita dalla successiva revoca della prestazione, sia in caso di mancata presentazione a verifica senza giustificato motivo, sia nel caso in cui l'assistito si sottragga agli ulteriori accertamenti specialistici disposti in quella sede, sia in caso di verifica con esito negativo dei requisiti sanitari.

16.4. Il meccanismo è stato mantenuto anche per le verifiche di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, convertito dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, che, al comma 4, ha previsto che "Nel caso in cui il giudizio sullo stato di invalidità non comporti la conferma del beneficio in godimento è disposta la sospensione dei pagamenti ed il conseguente provvedimento di revoca opera con decorrenza dalla data della verifica".

16.5. La sospensione del pagamento è stata prevista anche in caso di esito negativo della verifica dei requisiti reddituali prevista dal successivo comma 5.

16.6. Lo stesso INPS ha ribadito che alla luce dell'impianto normativo di riferimento in materia di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari la sospensione della prestazione avverrà dalla data della convocazione a visita, nel caso in cui il convocato non si presenti a visita nel giorno indicato nell'invito (messaggio n. 1835 del 6 maggio 2021). Per effetto dell'assenza a visita di revisione, l'interessato riceverà la comunicazione dell'avvenuta sospensione della prestazione con l'invito a presentare, entro 90 giorni, alla struttura INPS territorialmente competente idonea giustificazione dell'assenza. Nel caso in cui l'interessato presenti una giustificazione sanitaria o amministrativa ritenuta fondata, è previsto che il processo di revisione sia riavviato. Qualora l'interessato risulti assente anche alla seconda convocazione, allora, l'Istituto procede alla revoca del beneficio economico dalla data di sospensione. In mancanza di una giustificazione dell'assenza alla visita (da inoltrarsi nel termine di 90 giorni) ovvero nel caso in cui la giustificazione non sia ritenuta idonea, allora l'Istituto procede automaticamente alla revoca definitiva della prestazione a decorrere dalla data della sospensione. In ogni caso è previsto che il provvedimento di revoca sia formalizzato con una seconda comunicazione al cittadino.

17. Da tutto quanto sopra esposto, in sintesi, emerge che la natura delle prestazioni di invalidità civile - obbligazioni di durata condizionate al permanere di requisiti costitutivi suscettibili di modificazioni nel tempo e fatta eccezione per il caso in cui il requisito sanitario sia stato valutato non rivedibile - rende le vicende estintive sopravvenute eventi fisiologici e non eccezionali del rapporto assistenziale.

17.1. Rilevano a tali fini le revisioni ordinarie del requisito sanitario programmate in base alle patologie dalle stesse Commissioni che lo riconoscono, le verifiche annuali della documentazione attestante i requisiti socioeconomici che l'assistito è tenuto ad inoltrare ogni anno, le verifiche straordinarie disposte periodicamente a campione, sulla base di previsioni legislative, in funzione di controllo di pratiche abusive e di contenimento dell'impiego di risorse pubbliche. In caso di esito negativo, totale o parziale, della verifica, l'Istituto provvede ordinariamente, ma non obbligatoriamente, alla immediata sospensione cautelativa della erogazione, anche al fine di contenere i successivi oneri di recupero dell'indebito, per poi addivenire alla definitiva revoca del beneficio con provvedimento formale.

17.2. La revoca può essere determinata da motivi attinenti al requisito sanitario: per effetto della mancata presentazione a visita di revisione senza giustificato motivo; del rifiuto di sottoporsi ad accertamenti sanitari ritenuti indispensabili; della modifica in termini migliorativi dello stato invalidante.

17.3. Questa può conseguire anche alla perdita dei requisiti amministrativi: al superamento dei limiti reddituali; alla percezione di prestazioni incompatibili; al venir meno dello stato di incollocabilità al lavoro o del mancato ricovero in strutture a carico dello Stato.

17.4. Nelle ipotesi di revoca per motivi attinenti alla mancata conferma del requisito sanitario all'assistito sarà comunicato come primo atto il verbale della Commissione medica che questi - ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003 - è tenuto ad impugnare in sede giudiziaria nel termine di sei mesi dalla data di comunicazione all'interessato del verbale della Commissione a pena di decadenza. Al riguardo si è ritenuto che il successivo provvedimento di revoca è a tal fine irrilevante poichè ha carattere meramente ricognitivo degli effetti che si sono già prodotti (cfr. Cass. 11/04/2018 n. 8970).

17.5. Anche l'impugnativa dei provvedimenti di revoca ancorati a motivi diversi da quello sanitario sono soggetti al termine di decadenza che decorre dalla comunicazione dell'avvenuto accertamento della loro insussistenza (Cass. 09/12/2016 n. 25268 e 25/11/2020 n. 26845). 17.6. La previsione di un onere di impugnazione anticipato è, verosimilmente, alla base della prassi diffusa che porta l'Istituto a non far seguire alla comunicazione dell'accertamento un ulteriore provvedimento formale che avrebbe un mero valore ricognitivo.

18. Ritiene il Collegio che il complesso sistema di verifica della persistenza dei requisiti per beneficiare della prestazione assistenziale già in godimento, da un canto, e la previsione di rigorosi termini di decadenza per la proposizione dell'azione giudiziaria, dall'altro, mal si coordini con la necessità di anteporre alla proposizione del ricorso al giudice una nuova domanda amministrativa.

18.1. Imponendo all'invalido, che si sia visto revocare la prestazione in godimento, l'obbligo di presentare una nuova domanda amministrativa si finisce per precludere, in contrasto con i principi dettati dagli artt. 24 e 113 Cost., la possibilità di ottenere una piena tutela giurisdizionale del diritto inciso dal provvedimento adottato dall'amministrazione.

18.2. La domanda amministrativa trova la sua ragione d'essere nell'esigenza di provocare una verifica anticipata, in sede amministrativa, dell'esistenza dei requisiti per ottenere la prestazione. Questo è particolarmente vero nel caso in cui la domanda viene presentata per ottenere il riconoscimento di una prestazione di cui non si sia in precedenza beneficiato ovvero nel caso in cui, a prescindere dalla legittimità della revoca intervenuta, si ritenga che siano insorti nuovamente e da data successiva, i presupposti per il riconoscimento di una prestazione di invalidità. Ove, invece, si contesti il venir meno dei requisiti sanitari e socioeconomici della prestazione già in godimento e se ne affermi la persistenza senza soluzione di continuità, allora, un nuovo accertamento in sede amministrativa risulta essere un duplicato di un'azione amministrativa appena conclusasi. Diversamente opinando si finisce per ancorare la proponibilità della domanda giudiziaria all'esito di una domanda amministrativa finalizzata all'accertamento dell'esistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale sebbene tale verifica sia stata già effettuata nella fase amministrativa conclusasi con la revoca.

18.3. Peraltro, la previsione di una domanda amministrativa quale condizione di proponibilità della domanda giudiziaria refluisce sulla decorrenza della prestazione che non potrà essere "ripristinata" ma decorrerà, a norma della L. n. 118 del 1971, art. 12, e della L. n. 18 del 1980, art. 3, comma 4, dal primo giorno del mese successivo alla data della sua presentazione.

18.4. In tal modo si determina una intangibilità della revoca anche da parte del giudice, il quale non potrà riconoscere il diritto in continuità dal pur accertato ingiusto annullamento con conseguente pregiudizio per l'invalido sul quale graveranno, ingiustificatamente, le conseguenze di un'attività amministrativa che, in esito alla verifica giudiziaria, sia risultata non corretta. Si pone a suo carico non solo l'onere di agire in giudizio nel termine semestrale di decadenza dalla data di comunicazione del provvedimento emanato in sede amministrativa, restandone diversamente definitivamente preclusa l'azione D.L. n. 269 del 2003, ex art. 42, comma 3, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, ma anche quello di attivare un nuovo procedimento amministrativo che altro non è se non una replica di quel controllo già svolto in sede di revisione al quale si collega l'insorgenza di un nuovo diritto che è, sì identico nel contenuto rispetto a quello revocato, ma non assicura la continuità della prestazione. Viene differita la possibilità di reagire in sede giudiziaria all'azione amministrativa di cui è contestata la legittimità senza che ve ne sia una ragionevole giustificazione. Si assimila la posizione del titolare della prestazione che è istituzionalmente assoggettato ai periodici controlli amministrativi per la verifica della persistenza dei requisiti costitutivi del diritto in godimento alla ben diversa posizione indifferenziata di chi ne reclami per la prima volta il riconoscimento. Peraltro, come rilevato nell'ordinanza di rimessione, resta non chiara la ragione per la quale la revoca non rientrerebbe fra gli atti di gestione concernenti il "riconoscimento dei benefici" idonei a consentire ed insieme ad imporre all'assistibile di rivolgersi senz'altro al giudice come previsto peraltro dal D.L. 20 giugno 1996, n. 323, art. 4, comma 3 quater, convertito dalla L. 8 agosto 1996 n. 425 del 1996, che dispone espressamente che "avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario".

18.4. La necessità di una nuova domanda amministrativa, condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria, poi, mal si coordina con l'affermazione che, il termine di decadenza semestrale per la proposizione della domanda giudiziale (di cui al D.L. n. 269 del 2003, citato art. 42, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003) decorra dalla data di comunicazione all'interessato del verbale della Commissione medica anche nell'ipotesi in cui detto verbale accerti il venir meno dei requisiti sanitari per il beneficio in godimento, irrilevante la data del successivo provvedimento di revoca da parte dell'ente previdenziale, che ha carattere meramente ricognitivo di effetti già prodotti (cfr. Cass. 11/04/2018 n. 8970 ed ivi le richiamate Cass. n. 26096 del 2010, Cass. n. 392 del 2009, Cass. n. 16260 del 2003, Cass. n. 12759 del 2003, Cass. n. 14590 del 2002 che hanno affermato che la revoca dei benefici assistenziali agli invalidi civili produce i suoi effetti, tra cui il diritto della pubblica amministrazione alla ripetizione delle prestazioni indebite, dalla data della visita sanitaria di verifica).

18.5. In sintesi, la presentazione di una domanda amministrativa quale antecedente necessario per la proposizione della domanda giudiziaria - con la quale si chieda il ripristino della prestazione di invalidità che si assuma essere stata erroneamente revocata all'esito del procedimento di verifica della persistenza dei suoi requisiti costitutivi - si risolve in un adempimento che comporta da un canto rilevanti conseguenze in danno dell'invalido al quale, come si è ricordato, non potrà essere riconosciuto in sede giudiziaria un integrale ripristino del diritto pur illegittimamente revocato. Dall'altro non assolve ad un concreto interesse per l'amministrazione la quale in sede di revisione della prestazione ha già svolto gli accertamenti amministrativi necessari alla verifica dell'esistenza o meno in capo all'invalido dei requisiti costitutivi del diritto già in godimento. Si tratta di adempimento che nel descritto contesto non è funzionale ad agevolare la risoluzione amministrativa della potenziale controversia agendo deflattivamente sul contenzioso giudiziario. Potenzialmente, anzi, si potrebbe produrre un effetto paradosso di moltiplicare le impugnazioni: sia della sospensione in via amministrativa della prestazione sia, poi, della revoca, per la quale sarebbe necessaria, comunque, la presentazione di una nuova domanda amministrativa. Una ricostruzione che complessivamente considerata non risponde ad un criterio di ragionevolezza che ne giustifichi la condivisione.

19. Ulteriori argomenti in favore di una soluzione che superi la necessità di una domanda amministrativa prodromica all'esercizio dell'azione giudiziaria tesa a verificare la persistenza dei requisiti socio sanitari per il godimento della prestazione di invalidità revocata, possono essere tratti dalla giurisprudenza di questa Corte che nel confrontarsi appunto con la revoca di una prestazione previdenziale di invalidità, ha affermato che può darsi luogo al ripristino dell'originaria prestazione laddove si accolga la domanda, senza soluzione di continuità, e confermandone i requisiti fin dall'epoca della soppressione (Cass. sez. u. 21/03/2001 n. 118 in particolare pag. 30 2 capoverso) tanto che si continua ad applicare la disciplina vigente all'atto dell'originaria domanda (cfr. anche Cass. 25/02/2019 n. 5477, 28/04/2017 n. 10596 e 08/06/2015 n. 11748), così mostrando che la prestazione rimane unica e prosegue ininterrotta seppur per effetto di una pronuncia del giudice. In un contesto di tal fatta non si giustifica la necessità di presentare una nuova domanda amministrativa per ottenere il ripristino della prestazione già in godimento.

19.1. In altre sentenze di questa Corte è stata poi ribadita la differenza tra le due situazioni che si possono verificare attorno alla revoca della prestazione. Si è chiarito che l'accertamento dei requisiti costitutivi del diritto è diverso nel caso in cui la revoca sia ritenuta legittima ed il diritto sia accertato con decorrenza diversa da quella originaria (con necessità di verificarne tutti i requisiti: cfr. Cass. 19/12/2005 n. 27921 del e Cass. 06/03/2004 n. 4634 in motivazione) rispetto al caso in cui invece il provvedimento di revoca disposto per mancanza del requisito sanitario risulti difforme rispetto alla situazione di fatto accertata in giudizio (cfr. Cass. 26/01/2009 n. 1839). In tale caso infatti non si verificherebbe l'estinzione del diritto con l'insorgenza di uno nuovo anche se uguale nel contenuto ma piuttosto "il diritto alla prestazione sussiste inalterato per effetto dell'originario riconoscimento" con la conseguenza, sul piano processuale, che il rifiuto dell'ulteriore esecuzione dell'obbligazione sull'assunto che sia venuto meno il requisito sanitario impone al giudice di verificare l'esistenza degli ulteriori requisiti solo nel caso in cui la loro insussistenza sia espressamente denunciata dalla convenuta (cfr. Cass. ult. cit. p.5). Per tale aspetto la distinzione tra revoca legittima ed illegittima diviene rilevante per selezionare l'ampiezza dell'indagine demandata al giudice che potrà ripristinare ex tunc la prestazione (v. anche Cass. 19/07/2006 n. 16542 e 17/06/2003 n. 9679). Più di recente si è ricordato poi che la presentazione di una nuova domanda amministrativa e l'instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo, che costituisce regola generale, incontra il limite della previsione per legge di una sospensione della prestazione ed anche quello derivante dal fatto che "non si verifichi alcuna soluzione di continuità con riguardo alla sussistenza dei requisiti di legge (...) per l'accertamento della condizione di invalidità iniziale (....) sicchè, controvertendosi sulla legittimità della revoca, è necessario procedere al raffronto tra la situazione esistente all'epoca del precedente accertamento giudiziale (n.d.r. si trattava di un caso in cui era intervenuto un precedente giudicato) e quella ricorrente al momento della revoca (...)" (cfr. Cass. 24/11/2016 n. 24094 e già Cass. 20/08/2003 n. 12256). Argomenti questi che confortano un ripensamento del diverso orientamento che si è andato consolidando negli ultimi anni.

19.2. Peraltro, ove pure si ritenga che l'oggetto della controversia sia la verifica della "permanenza di tutti i requisiti ex lege richiesti, non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia posta a fondamento della revoca" (Cass. 20 febbraio 2009, n. 4254), la previsione a pena di improponibilità dell'azione della presentazione di una domanda amministrativa non ne costituisce uno sviluppo necessario. Il diritto alla prestazione promana dalla norma, nel concorso dei requisiti legali. La revoca è atto dell'ente gestore che ne accerta la sopravvenuta insussistenza. L'intervento del giudice verifica la persistenza o meno dei presupposti di legge per beneficiarne. Con la revoca si può mettere in discussione la debenza del trattamento, ma non è ragionevole ritenere che si possa determinare una irrimediabile cesura laddove il giudice accerti l'esistenza ab initio e senza soluzione di continuità dei requisiti di legge per beneficiarne. L'impronta solidaristica della sicurezza sociale non legittima, da parte dell'interprete, scostamenti da un assetto sistematico costituzionalmente teso ad arginare l'eventuale (progressivo) svuotamento della funzione di sostegno delle categorie più fragili affidata allo Stato ed anche per tale ragione non si giustifica la necessità di anteporre una domanda amministrativa alla proposizione dell'azione giudiziaria a tutela del diritto dell'invalido che sia stato inciso dalla determinazione unilaterale dell'ente.

19.3. A tale soluzione non è di ostacolo l'eventualità che nel corso del giudizio si accerti che i requisiti per beneficiare della prestazione fossero effettivamente venuti meno al momento della revoca e che se ne fossero realizzate nuovamente le condizioni successivamente posto che a norma dell'art. 149 disp. att. c.p.c., resta comunque nella facoltà del giudice di tener conto degli aggravamenti intervenuti nel corso del procedimento.

20. In conclusione, per le ragioni esposte, va enunciato il seguente principio di diritto: "Ai fini della proponibilità dell'azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa".

20.1. La sentenza impugnata, che ha dichiarato improponibile l'azione proposta dal P. - il quale a seguito della revoca dell'indennità di accompagnamento aveva adito direttamente il giudice per sentir accertare la persistenza dei requisiti sanitari per beneficiare della prestazione già in godimento - deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione che si atterrà all'enunciato principio di diritto. Alla Corte del rinvio è demandata altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

martedì 17 maggio 2022

 Qual è il limite dell'azione di regresso dell'Inail verso il datore di lavoro? 



Cass. 09/05/2022, n. 14655

In tema di azione di regresso, il datore di lavoro è obbligato nei confronti dell'Inail nei limiti dei principi che informano la responsabilità per il danno civilistico subito dal lavoratore; ne consegue che il giudice del merito, senza considerare l'ammontare dell'indennizzo previdenziale, deve calcolare il danno civilistico (ex artt. 1221 e 2056 c.c.), quale limite massimo del diritto di regresso dell'Inail, stabilendo, quindi, se l'importo richiesto dall'istituto rientri o meno nel predetto limite.

lunedì 16 maggio 2022

 Il danno da perdita di chance è assoggettato a tassazione?



Cass. Cass. civ., Sez. V, 10/05/2022, n. 14842

In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, T.U.I.R., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette ad imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa. Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale, ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al C.C.N.L. di un certo comparto.

sabato 14 maggio 2022

 Che effetti ha la disdetta del ccnl?



Cass. 11/05/2022, n. 14961

Qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di qenerale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare, nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione.

mercoledì 11 maggio 2022

 

Quanto deve durare il procedimento amministrativo di emersione del lavoro irregolare di stranieri?

Cons. Stato, Sez. III, 09/05/2022, n. 3578

In materia di emersione del rapporto di lavoro irregolare nell'interesse di una persona di cittadinanza straniera, l'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, riguardante i soli procedimenti in materia di cittadinanza ed immigrazione, nel non subordinare la sua applicazione a condizioni procedurali espresse e specifiche, rivela una immediata e incondizionata portata applicativa, nel senso che non occorre l'emanazione di disposizioni regolamentari affinché si ritenga senz'altro applicabile il termine di centottanta giorni per la durata del procedimento in luogo di quello di trenta giorni, previsto in via generale.

martedì 10 maggio 2022

 Quando deve essere attivata la procedura prevista dall'art. 4 della legge 300 del 1970 per l'installazione di apparecchiature dirette al controllo del patrimonio aziendale? 



Tribunale Roma, Sez. lavoro, 21/04/2022, n. 3604

Non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori. Tale interpretazione del dettato normativo è, infatti, ispirata ad un equo e ragionevole bilanciamento fra le disposizioni costituzionali che garantiscono il diritto alla dignità e libertà del lavoratore nell'esercizio delle sue prestazioni oltre al diritto del cittadino al rispetto della propria persona (artt. 1, 3, 35 e 38 Cost.), ed il libero esercizio dell'attività imprenditoriale (art. 41 Cost.), con l'ulteriore considerazione che non risponderebbe ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore – in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con la sanzione espulsiva – una tutela alla sua "persona" maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all'impresa (Nel caso di specie, il giudice adito ha respinto l'impugnazione del licenziamento per giusta causa irrogato al lavoratore ricorrente, responsabile di aver sottratto merce dal magazzino aziendale, ritenendo pienamente ammissibile ed utilizzabile, quale prova giudiziale, il filmato registrato da una normale telecamera di videosorveglianza e poi prodotto in giudizio dal datore di lavoro, trattandosi di attività di controllo di parte datoriale avente ad oggetto non già l'attività lavorativa in sé ed il suo corretto adempimento, bensì la legittima tutela del patrimonio aziendale).

lunedì 9 maggio 2022

 Quando non e' dovuta l'Irap dalle associazioni di professionisti?



Cass. 27/04/2022, n. 13129

L'eventuale esclusione da IRAP delle società semplici, esercenti attività di lavoro autonomo, delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, deve essere provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito.

L'eccezione d'interruzione della prescrizione in tema di impugnazione esattoriale quando può essere rilevata d'ufficio?


Cass. 22/04/2022, n. 12900

In materia di impugnazione di atti esattoriali afferenti a contributi previdenziali, l'eccezione di interruzione della prescrizione, diversamente da quella di prescrizione, si configura come eccezione in senso lato sicché può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, purché sulla base delle allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e quindi, nelle controversie soggette al rito del lavoro, anche all'esito dell'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio di cui all'art. 421, comma 2, c.p.c., legittimamente esercitabili dal giudice.

giovedì 5 maggio 2022

 Come deve essere condotto il giudizio di valutazione in ordine alla legittimità del rifiuto al trasferimento da parte del lavoratore?




Cass. 03/05/2022, n. 13895

L'inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede. La relativa verifica, in coerenza con le caratteristiche del rapporto di lavoro riconducibile all'alveo dei contratti a prestazioni corrispettive, deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell'ambito delle quali si potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell'ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost.

mercoledì 4 maggio 2022

 Entro quali limiti possono limitarsi gli esuberi le corso di un licenziamento collettivo ad un solo reparto?



Cass. 28/04/2022, n. 13352

La platea dei lavoratori interessati dalla procedura di licenziamento può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia, poichè ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative.

martedì 3 maggio 2022



Quando si può realizzare un'ipotesi di mobbing?



Cass. 27/04/2022, n. 13183

Ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di una, dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione (ex plurimis, Cass. n. 10992 del 2020)

lunedì 2 maggio 2022

 Il raggiungimento dell'età pensionabile determina l'estinzione automatica del rapporto di lavoro?



Cass. 27/04/2022, n. 13203

Deve essere esclusa l'automatica estinzione del rapporto di lavoro per il compimento dell'età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l'attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, per cui il rapporto è destinato a proseguire, con diritto alla retribuzione, sempre fatto salvo, però, che non intervenga un valido atto risolutivo del datore di lavoro, che ha un’autonoma e successiva efficacia estintiva, così come l'atto risolutivo riconducibile ad una volontà concludente del lavoratore. Ciò posto, la domanda di pensionamento di vecchiaia, unitamente al suo conseguimento, costituiscono fatti ulteriori idonei a risolvere il rapporto di lavoro per una volontà riconducibile al lavoratore e, dunque, elementi ostativi alla reintegra giudiziale ed al risarcimento del danno da illegittimo licenziamento, successivo al maturarsi di detti eventi.