giovedì 31 dicembre 2020

 Quando si può computare il lavoro straordinario negli istituti indiretti?



Cass. 23/10/2020, n. 23366

In tema di retribuzione nel lavoro subordinato, ai fini della determinazione della base di calcolo degli istituti indiretti (tredicesima mensilità, ferie, festività, ex festività soppresse e permessi retribuiti) non vige nell'ordinamento un principio di omnicomprensività, sicché il compenso per lavoro straordinario va computato, a tali fini, solo ove previsto da norme specifiche o dalla disciplina collettiva"; pertanto, la retribuzione corrisposta per prestazioni continuative e sistematiche di lavoro straordinario, non facendo parte della retribuzione normale anche se corrisposta in maniera fissa e stabile, non rileva ai fini del trattamento retributivo per le festività infrasettimanali, poiché la L. n. 260 del 1949, art. 5, fa riferimento alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio.

martedì 29 dicembre 2020

 Quale valore hanno le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento della condizione di disabilità?



Cass. civ. Sez. lavoro, 22/12/2020, n. 29311

Le controversie che per il loro contenuto intrinseco non sono suscettibili di valutazione economica, come quelle relative allo stato ed alla capacità delle persone, debbono ritenersi di valore indeterminabile, ai fini della liquidazione delle spese giudiziali. Così, la condizione di portatore di handicap è stata più volte accostata ad un vero e proprio status, trattandosi propriamente di una qualità giuridica che l'art. 3, comma 1, della legge n. 104/1992, attribuisce ad un soggetto nei confronti di altri soggetti nell'ambito dell'ordinamento giuridico, la quale a sua volta è matrice di una pluralità indeterminata di situazioni soggettive attive e passive, di cui al medesimo art. 3, commi 2 ss., e agli artt. 17-19, 33 ss. della legge n. 104/1992.

lunedì 28 dicembre 2020

 Come va qualificato il rapporto con il rider?




Tribunale Bologna Sez. lavoro, Decr., 14-04-2020

osservato infatti che l'art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, come novellato dal D.L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella L. 2 novembre 2019, n. 128, dispone che "A far data dal 1 gennaio 2016. si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni dì cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali";

osservato altresì che la Suprema Corte, nel recente arresto n. 1663/2020, ha chiarito che, con la norma sopra citata - nel testo previgente, applicabile ratione temporis alla fattispecie portate all'attenzione della Corte - il legislatore ha inteso, in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale", selezionare "taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori" e "in ogni caso ha, poi. stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una proiezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato";

che la Cassazione ha inoltre precisato che si tratta "di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea" aggiungendo che l'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla novella del 2019, "la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza - per l'applicabilità della norma - di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero- organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", cosi mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione";

che pertanto, alla luce della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalle parti nel contratto di lavoro, l'intera disciplina della subordinazione e, in particolare, per quanto qui interessa, la disciplina in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro fra cui rientrano tutte le norme che prevedono l'obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.);

osservato da ultimo, con specifico riferimento alla normativa emergenziale dettata in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, che il D.P.C.M. 11 marzo 2020, che ha disposto sull'intero territorio nazionale la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub. ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ha consentito la prosecuzione della sola ristorazione con consegna a domicilio "nel rispetto delle norme igienico -sanitarie sia per l'attività di confezionamento che di trasporto", con ciò implicitamente onerando l'imprenditore di provvedere a garantire il richiesto rispetto delle prescrizione igienico-sanitarie previste per l'attività di trasporto e consegna a domicilio del cibo, e ciò a tutela della salute non solo degli operatori, ma anche dell'utenza del servizio e, con essa, della collettività intera;

che nel novero delle prescrizioni igienico sanitarie appare ragionevolmente ricompreso l'uso dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti, mascherine e prodotti igienizzanti, di cui peraltro il citato DPCM raccomanda l'adozione nell'ambito di tutte le attività produttive e che appaiono vieppiù necessarie nello svolgimento di quelle attività che comportano il contatto con il pubblico: osservato che tale conclusione trova conforto anche nella condotta ante cansam della società resistente la quale, a fronte delle reiterate richieste del ricorrente di essere rifornito dei dispositivi di protezione individuale (doc. 6 rie.), non solo non ha opposto alcun rifiuto ma, al contrario, ha espressamente ribadito la propria disponibilità a fornire detti dispositivi, giustificando il ritardo nell'evadere la richiesta con motivazioni di carattere pratico e organizzativo (l'alto numero delle richiesta ricevute e le difficoltà a reperire sul mercato i dispositivi di protezione) che, seppure astrattamente plausibili, non appaiono costituire insormontabile ostacolo all'adempimento dell'obbligo imposto dalla legge al datore di lavoro; che pertanto si ravvisa il fumus boni iuris del diritto del ricorrente alla consegna dei D.P.I. meglio descritti in ricorso;

giovedì 24 dicembre 2020

 L'assoluzione in sede penale del dipendente pubblico determina il venir meno del procedimento disciplinare?



Cons. Stato Sez. IV, 22/06/2020, n. 3956

In materia di procedimento disciplinare del pubblico impiegato, la P.A. può procedere con le sanzioni anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell'imputato, a fortiori se determinato dall'estinzione del reato per prescrizione, atteso che uno stesso comportamento del dipendente mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall'Amministrazione competente come illecito disciplinare.

mercoledì 23 dicembre 2020

 Quali sono gli elementi che contraddistinguono il mobbing?






T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, 03/12/2020, n. 12920

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro in termini di mobbing sono rilevanti: la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie. (Rigetta il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti.)

martedì 22 dicembre 2020

Come si determina il danno da demansionamento?


Cass. 18-12-2020, n. 29114

Per quanto più specificamente attiene al pregiudizio alla professionalità derivato al lavoratore a seguito del demansionamento subito, i giudici di seconda istanza sono pervenuti alla decisione, uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali, in tema di demansionamento e di dequalificazione professionale, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale e biologico non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio lamentato (cfr., ex plurimis, Cass. n. 5237/2011). Pacificamente, infatti, va distinto il momento della violazione degli obblighi contrattuali da quello relativo alla produzione del danno da inadempimento, essendo quest'ultimo eventuale, in quanto il danno non è sempre diretta conseguenza della violazione di un dovere. In base ai principi generali dettati dagli artt. 2697 e 1223 c.c., è necessario individuare, quindi, un effetto della violazione incidente su di un determinato bene perchè possa configurarsi un danno e possa poi procedersi alla liquidazione (eventualmente anche in via equitativa) del danno stesso. Al riguardo, il Giudice delle leggi ha chiarito, già da epoca non recente (v. sent. n. 372/1994), che neppure il danno biologico è presunto, perchè se la prova della lesione costituisce anche la prova dell'esistenza del danno, occorre tuttavia la prova ulteriore dell'esistenza dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato. Nello stesso senso, questa Corte ha sottolineato che le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione di una condotta datoriale colpevole, produttiva di danni nella sfera giuridica del lavoratore, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo il ricorrente mettere la controparte in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo (v., ex multis, Cass. nn. 5590/2016; 691/2012). Grava, quindi, sul lavoratore l'onere di provare l'esistenza del danno lamentato, la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito, nonchè il relativo nesso causale con l'inadempimento del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. nn. 2886/2014; 11527/2013; 14158/2011; 29832/2008);

lunedì 21 dicembre 2020

 Quali sono i limiti dell'intervento del giudice nella valutazione del licenziamento collettivo?



Cass. 16/12/2020, n. 28816

La legge n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, dovuto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza procedurale dell'operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l'autorità giudiziaria di un'indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva.

giovedì 17 dicembre 2020

 Quando si ha illegittima modifica della contestazione disciplinare?



Tribunale Pavia Sez. lavoro, 07/12/2020

In tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito. (Nel caso di specie, relativo ad un licenziamento intimato ad un lavoratore responsabile dell'investimento di un collega mentre era intento, presso il piazzale interno dello stabilimento aziendale, a condurre un carrello elevatore, il giudice lombardo ha ritenuto che una descrizione più accurata del fatto, quale quella contenuta nella lettera di recesso rispetto a quella indicata nella contestazione, non fosse tale da integrare una violazione del principio d'immutabilità della contestazione, posto che i fatti considerati erano ontologicamente gli stessi e senza che il licenziamento avesse trovato fondamento in circostanze nuove e non espresse in precedenza.)

mercoledì 16 dicembre 2020

In forza dell'accordo sindacale che stabilisce l'obbligo di assumere i lavoratori in forza presso altra azienda è possibile richiedere l'esecuzione in forma specifica? 



Cass. 14/12/2020, n. 28415

Qualora le parti abbiano concordato, in sede di accordo sindacale, l'obbligo per il datore di lavoro di assumere personale in forza presso un'altra azienda, prevedendo il contratto collettivo applicabile ai nuovi dipendenti, la relativa categoria di inquadramento, nonché il riconoscimento dell'anzianità pregressa e del superminimo individuale, l'oggetto del contratto di lavoro deve ritenersi sufficientemente determinato. Ne consegue che il lavoratore, in caso di inadempimento, può richiedere, ai sensi dell'art. 2932 c.c., l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto, senza che rilevi la mancata predeterminazione della concreta assegnazione della sede lavorativa e delle mansioni, che attiene alla fase di esecuzione del contratto.

martedì 15 dicembre 2020

 Quale procedimento deve seguire il tribunale per determinare a quale ipotesi dell'art. 18 l. 300 del 1970 ricondurre l'illegittimità del licenziamento?



Corte d'Appello Firenze Sez. lavoro, 07/12/2020

In tema di licenziamento disciplinare, nella nuova disciplina prevista dall'art. 18 st. lav. riformulato, il giudice deve preliminarmente accertare se ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, quali presupposti condizionanti la legittimità del recesso secondo previsioni legali non modificate dalla riforma e, solo ove ravvisi la mancanza della causa giustificativa, deve provvedere a selezionare la tutela applicabile ed in particolare se si tratti di quella generale ex comma 5 ovvero quella ex comma 4, operante nei soli casi ivi previsti. In particolare, il giudizio di impugnazione del licenziamento deve svolgersi in due passaggi logici distinti e successivi: (i) il primo che riguarda la ricostruzione dei profili oggettivi e soggettivi della condotta, per verificarne la qualificazione in termini di giusta causa o giustificato motivo soggettivo; (ii) il secondo, qualora entrambe le ipotesi anzidette siano state escluse, riguarda la tutela applicabile, secondo la regola generale del solo risarcimento del danno del comma 5, a meno che non ricorrano le eccezioni espressamente previste nel comma 4, fra cui la puntuale corrispondenza della condotta alle ipotesi tipizzate dalla contrattazione collettiva ai fini dell'applicazione di sanzioni conservative, senza che le stesse norme collettive possano nell'occasione essere interpretate in modo estensivo o analogico. (Nel caso di specie, relativo ad un licenziamento per giusta causa intimato ad un portiere di notte di un albergo sorpreso dalla direzione addormentato su una poltrona nel back office della reception, il giudice d'appello, quanto al primo passaggio, ha escluso che la condotta contestata fosse tale da integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, e, quanto al secondo passaggio, ha ritenuto applicabile la reintegra ed il risarcimento del comma 4, piuttosto che il solo risarcimento del comma 5).

lunedì 14 dicembre 2020

 Nel giudizio avente ad oggetto la legittimità della sanzione disciplinare quando può essere modificata la sanzione?


Cass. civ. Sez. lavoro, 04/12/2020, n. 27911

In tema di sanzioni disciplinari, non è consentito al giudice di sostituirsi al datore di lavoro nella graduazione della sanzione da irrogare in concreto, se non quando l'imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, oppure sia lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l'annullamento della sanzione, a chiedere, nel suo atto di costituzione, la riduzione della sanzione per l'ipotesi in cui il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta, poiché, in tali ipotesi, l'applicazione all'esito del giudizio di una sanzione minore è da ritenersi legittima, in quanto non implica la sottrazione della sua autonomia all'imprenditore e realizza l'economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima.

mercoledì 9 dicembre 2020

 Quando il rapporto con i rider può essere considerato subordinato?


Tribunale Palermo, 24/11/2020

Tenuto conto delle sue concrete modalità di svolgimento, il rapporto di lavoro intercorrente tra rider e società di gestione della piattaforma, deve essere qualificato come subordinato ai sensi dell'art. 2094 c.c. La prestazione dei rider risulta, infatti, completamente organizzata dall'esterno e la libertà del rider di scegliere se e quando lavorare, su cui si fonda la natura autonoma della prestazione non è reale, ma solo apparente e fittizia. Conseguentemente la disconnessione e la mancata riattivazione dell'account del lavoratore configura un licenziamento per fatti concludenti qualificabile come licenziamento orale quindi nullo. Da tale premessa deriva la condanna della società di gestione della piattaforma, da qualificarsi imprenditore del settore trasporti, logistica e distribuzione, alla reintegrazione del rider illegittimamente licenziato.

lunedì 7 dicembre 2020

Come si  determina il trattamento economico di maternità? 

Cass. 02/12/2020, n. 27552


La disciplina del calcolo del trattamento economico di maternità e, dunque, delle modalità di determinazione del quantum, si rinviene esclusivamente nell'art. 23, D.Lgs. n. 151 del 2001 che richiama solo gli elementi che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità. Ciò perché la norma stabilisce una specifica disciplina di calcolo, prevedendo espressamente che la retribuzione parametro, da prendere a riferimento per determinare, nella misura dell'80 per cento di essa (come stabilito dal precedente art. 22), l'indennità medesima (recte di malattia), sia costituita dalla "retribuzione media globale giornaliera" che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.

venerdì 4 dicembre 2020

 Ai contratti di somministrazione a tempo determinato si applica il diritto di precedenza previsto per il rapporti a termine?

 

In forza dell’art. 34 Dlgs 81 del 2015 comma 2:  In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore. 

 

L’art. 24 espressamente escluso dalla norma è quello che regolamenta il diritto di precedenza dei lavoratori a termine:

 

Art. 24.  Diritti di precedenza

1.  Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.

2.  Per le lavoratrici, il congedo di maternità di cui al Capo III del decreto legislativo n. 151 del 2001, e successive modificazioni, usufruito nell'esecuzione di un contratto a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza di cui al comma 1. Alle medesime lavoratrici è altresì riconosciuto, alle stesse condizioni di cui al comma 1, il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.

3.  Il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

4.  Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell'atto scritto di cui all'articolo 19, comma 4, e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro nei casi di cui ai commi 1 e 2, ed entro tre mesi nel caso di cui al comma 3. Il diritto di precedenza si estingue una volta trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto.

 

giovedì 3 dicembre 2020

 Come è disciplinato il deposito del ricorso in appello dall'art. 434 cpc?


c.p.c. art. 434. Deposito del ricorso in appello 

Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall'articolo 414. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 

1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 

2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. 

Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all'estero.

martedì 1 dicembre 2020

 I trattamenti d'integrazione salariale di cui al DL 104 del 2020 a quali lavoratori si applicano?

In base all'art. 13 del DL 157 del 2020

1. I trattamenti di integrazione salariale di cui all'articolo 1, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, sono riconosciuti anche in favore dei lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, nel limite di 35,1 milioni di euro ripartito in 24,9 milioni di euro per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria e assegno ordinario e in 10,2 milioni di euro per i trattamenti di cassa integrazione in deroga.

2. Agli oneri derivanti dal presente articolo valutati in 35,1 milioni di euro per l'anno 2021 e 0,6 milioni di euro per l'anno 2022 si provvede ai sensi dell'articolo 26.

lunedì 30 novembre 2020

 Con il rito Fornero può essere richiesta in via subordinata la tutela obbligatoria? 



Tribunale Roma Sez. lavoro, 27/10/2020

Il Rito Fornero è applicabile quando alla domanda svolta in via principale di impugnativa del licenziamento ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 si accompagni, in via subordinata, domanda di tutela obbligatoria, unica in fatto applicabile per difetto del requisito dimensionale, fondandosi l'una e l'altra su identici fatti costituitivi e costituendo la seconda tutela, seppur meramente risarcitoria, di tipo omogeneo seppur di ampiezza minore. La scelta di ampliamento dell'applicabilità delle tutele apprestate dalla legge n. 92 del 2012 trova ragione in un'interpretazione estensiva della disciplina in esame, la quale consenta di evitare la parcellizzazione dei giudizi in modo che da un'unica vicenda estintiva del rapporto di lavoro possa scaturire un solo processo.

sabato 28 novembre 2020

 E' possibile annullare un concorso già terminato per la modifica dell'assetto organizzativo che ne aveva determinato il bando?



Cass. 25/11/2020, n. 26838

Il diritto soggettivo alla assunzione del vincitore di pubblico concorso per il reclutamento di personale in regime contrattualizzato è subordinato alla permanenza, all'atto del provvedimento di nomina, dell'assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando è stato emesso, sicché, nel caso in cui detto assetto sia mutato a causa dello "jus superveniens", l'Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provvedimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive necessità di incremento del personale, quali valutate prima della modifica del quadro normativo, in base all'art. 97 Cost.

giovedì 26 novembre 2020

 I trattamenti d'integrazione salariale Covid  riconosciuti in forza del DL 137 del 2020 a quali lavoratori si applicano?


In forza del DL 149 del 2020 del 9 novembre 2020 art. 12 comma 2:

2. I trattamenti di integrazione salariale di cui all'articolo 12 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 sono riconosciuti anche in favore dei lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.


mercoledì 25 novembre 2020

 Quando gli avvocati devono iscriversi alla gestione separata?



Cass. 17/11/2020, n. 26021

Sussiste l'obbligo di iscrizione alla Gestione Separata presso l'Inps per gli avvocati non iscritti obbligatoriamente alla Cassa di previdenza forense alla quale hanno versato esclusivamente un contributo integrativo in quanto iscritti agli albi, cui non consegue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio.

martedì 24 novembre 2020

Quali obblighi discendono dall'art. 2087 cc sul datore di lavoro? 

Cass. 20/11/2020, n. 26512

La responsabilità datoriale per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell'ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c., costituente norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all'imprenditore l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori. In particolare, nel caso in cui si versi in ipotesi di attività lavorativa "peculiare", a causa del rischio di contagio che può derivare dalla "manipolazione del sangue ed altro materiale di natura biologica" e dal "contatto continuo con i pazienti", la responsabilità del datore di lavoro-imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva e, tuttavia, non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio.

lunedì 23 novembre 2020

Quando è  dovuta l'Irap?


Cass. 18/11/2020, n. 26197 


In tema di IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse ed impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

sabato 21 novembre 2020

 Su chi grava l'onere di provare i fatti posti a fondamento del verbale ispettivo?



Cass. 18/11/2020, n. 26274

L'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell'INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall'Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria

giovedì 19 novembre 2020

 Come si determina la retribuzione ex art. 36 Cost.?



Cass. 10014 del 2016: “Va disatteso altresì, il secondo profilo di doglianza, con il quale si critica la sentenza impugnata per il mancato computo nella determinazione delle differenze retributive liquidate, degli scatti di anzianità e della quattordicesima mensilità oltre  che del calcolo dei relativi importi nel t.f.r. La pronuncia è infatti conforme a diritto, collocandosi nel solco dei principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua "In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, e con esclusione dei compensi aggiuntivi, degli scatti  di  anzianità  e delle  mensilità  ulteriori rispetto alla  tredicesima ". (vedi ex aliis, Cass. 4/12/2013 n. 27138, Cass. 4/6/2008 n. 14791). Il contratto collettivo di settore, rappresenta, infatti, il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione quindi, dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità aggiuntive oltre  la tredicesima (Cass. 18/3/2004 n.5519). Si tratta di principi con i quali questa Corte ha definito con continuità la disciplina delle fattispecie in cui non rinvenga applicazione diretta del c.c.n.l. di settore e sia d'uopo il ricorso ai parametri della retribuzione adeguata secondo i canoni di rango costituzionale, e dai quali non vi sono motivi per discostarsi.

 

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 04/12/2013, n. 27138 In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art36 Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva e con esclusione, pertanto, dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità ulteriori rispetto alla tredicesima. Ne consegue che per la determinazione del corrispettivo dell'attività lavorativa in regime di subordinazione di un medico di casa di cura privata va escluso il compenso di pronta reperibilità, in quanto voce retributiva tipicamente contrattuale. (Cassa con rinvio, App. Roma, 03/08/2010)

 

 

Ed ancora: “ il giudice, per valutare la sufficienza della retribuzione  del lavoratore ai sensi dell'art. 36 Cost., può utilizzare la disciplina collettiva del diverso settore come parametro di raffronto e quale criterio orientativo, limitatamente alla retribuzione base senza riguardo per gli altri istituti contrattuali ed esclusa ogni automatica applicazione. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 21 Maggio 2004) …  la Corte d'appello, accogliendo questa tesi e tenendo conto di tutte le voci retributive previste nel contratto collettivo delle imprese commerciali e non soltanto dei minimi, ha disatteso la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la disciplina collettiva adoperata dal giudice come termine di riferimento per valutare la sufficienza della retribuzione ex art. 36 cit., può trovare applicazione non automatica ma soltanto quale criterio orientativo, ossia limitatamente alla retribuzione base e senza riguardo ad altri istituti contrattuali (Cass. 21 gennaio 1985, n. 237, 13 marzo 1990, n. 2021, 2 maggio 1190, n. 3617);

 

Dello stesso avviso la giurisprudenza di merito:

 

Tribunale Ascoli Piceno Sez. lavoro, 19/02/2016

 

In tema di adeguamento della retribuzione ex art 36 Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, e con esclusione dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità ulteriori rispetto alla tredicesima.

 

Tribunale Milano Sez. lavoro, 08/04/2015

 

In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, e con esclusione dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità ulteriori rispetto alla tredicesima.


martedì 17 novembre 2020

 A chi appartiene la giurisdizione sugli atti di nomina dei direttori generali del SSN?

Cass. civ. Sez. Unite, 11/11/2020, n. 25369


Ai sensi dell'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001, per regola generale le controversie concernenti il rapporto di lavoro dei direttori generali con il SSN, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, fatta eccezione soltanto per quelle che hanno ad oggetto diretto e principale l'impugnazione dell'atto di nomina ovvero di altre delibere regionali di conferma o mancata conferma nell'incarico di direttore generale di un Ente del SSN rispetto alle quali l'interessato è titolare solo di una posizione di interesse legittimo, tutelabile avanti al giudice amministrativo. Ove però l'interessato, senza impugnare gli atti regionali predetti faccia ad essi riferimento quali fonti di pretese civilistiche di risarcimento del danno, deducendo la violazione, da parte della Regione, delle regole di correttezza comportamentale nell'adozione della misura operativa e gestoria, posta in essere con le capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, la relativa controversia rientra nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, in quanto se sono controversi beni della vita non investiti dal potere amministrativo, la tutela è affidata al giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi.

lunedì 16 novembre 2020

Il termine di decadenza ex art. 32 comma 4 lettere c e d della l. 183 del 2010 si applica nell'ipotesi in cui lavoratore intenda far valere la cessione? 

 Cass. 11-11-2020, n. 25384 

Invero, nella fattispecie in esame, la decadenza L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 4, lett. c) a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, non è applicabile alla stregua del consolidato principio statuito da questa Corte (Cass. n. 9469 del 2019; Cass. n. 19920 del 2019; Cass. n. 14790 del 2019; Cass. n. 10044 del 2019) secondo il quale solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. debba fare valere tale impugnazione nel termine di cui all'art. 32, comma 4, lett. c) citato e non negli altri casi, come quello per cui si discute, in cui la persegui. Inoltre, va evidenziato che, in virtù di quanto affermato sempre in sede di legittimità, con orientamento cui si intende dare seguito (Cass. n. 28750 del 2019) per le condivisibili argomentazioni ivi espresse, nell'ipotesi in cui il lavoratore rivendichi il suo diritto alla cessione non è applicabile neanche il termine decadenziale di cui al citato art. 32, comma 4, lett. d.

venerdì 13 novembre 2020

 Il licenziamento collettivo può essere limitato ad un solo reparto o unità produttiva?




Cass. 11/11/2020, n. 25389

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive. Tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni di cui alla comunicazione ex art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata. Ben può, quindi, il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali.

giovedì 12 novembre 2020

 Quali misure sul reddito di emergenza sono state introdotte dal DL 137 del 2020?






ART. 14. Nuove misure in materia di Reddito di emergenza

1. Ai nuclei familiari già beneficiari della quota del Reddito di emergenza (di seguito “Rem”) di cui all'articolo 23, comma 1, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, è riconosciuta la medesima quota anche per il mese di novembre 2020, nonché per il mese di dicembre 2020.


2. Il Rem è altresì riconosciuto, per una singola quota pari all'ammontare di cui all'articolo 82, comma 5, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, relative alle mensilità di novembre e dicembre 2020, ai nuclei familiari in possesso cumulativamente dei seguenti requisiti:

a) un valore del reddito familiare, nel mese di settembre 2020, inferiore ad una soglia pari all'ammontare di cui all'articolo 82, comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2020;
b) assenza nel nucleo familiare di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle indennità di cui all'articolo 15 del presente decreto-legge;
c) possesso dei requisiti di cui ai commi 2, lettere a), c) e d), 2-bis e 3, dell'articolo 82 del decreto-legge n. 34 del 2020.



3. La domanda per le quote di Rem di cui al comma 2 è presentata all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) entro il 30 novembre 2020 tramite modello di domanda predisposto dal medesimo Istituto e presentato secondo le modalità stabilite dallo stesso.


4. Il riconoscimento delle quote del Rem di cui ai commi 1 e 2 è effettuato nel limite di spesa di 452 milioni di euro per l'anno 2020 nell'ambito dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo per il reddito di emergenza di cui all'articolo 82, comma 10, del decreto-legge n. 34 del 2020, in relazione alla quale resta in ogni caso ferma l'applicazione di quanto previsto dall'articolo 265, comma 9, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.


5. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applica la disciplina di cui all'articolo 82 del decreto-legge n. 34 del 2020, ove compatibile.

mercoledì 11 novembre 2020

Quale dilazione sui versamenti contributivi ha previsto il DL 137 del 2020? 


ART. 13. Sospensione dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione per i dipendenti delle aziende dei settori economici interessati dalle nuove misure restrittive 


1. Per i datori di lavoro privati di cui al comma 2, che hanno la sede operativa nel territorio dello Stato, sono sospesi i termini relativi ai versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria dovuti per la competenza del mese di novembre 2020


2. La sospensione dei termini di cui al comma 1 si applica ai datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2020, che svolgono come attività prevalente una di quelle riferite ai codici ATECO riportati nell'Allegato 1 al presente decreto i cui dati identificativi verranno comunicati, a cura dall'Agenzia delle Entrate, a INPS e a INAIL, al fine di consentire il riconoscimento ai beneficiari delle misure concernenti la sospensione.


3. I pagamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, sospesi ai sensi del comma 1, sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un'unica soluzione entro il 16 marzo 2021 o mediante rateizzazione fino a un massimo di quattro rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 16 marzo 2021. Il mancato pagamento di due rate, anche non consecutive, determina la decadenza dal beneficio della rateazione.


4. I benefici del presente articolo sono attribuiti in coerenza con la normativa vigente dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato.


5. Agli oneri di cui al presente articolo, valutati in 504 milioni di euro per l'anno 2020, si provvede ai sensi dell'articolo 34.


martedì 10 novembre 2020

 Come è stata regolamentata la proroga degli ammortizzatori sociali dal DL 137 del 2020?


Art. 12. (Nuovi trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga. Disposizioni in materia di licenziamento. Esonero dal versamento dei contributi previdenziali per aziende che non richiedono trattamenti di cassa integrazione) 

 1. I datori di lavoro che sospendono o riducono l'attivita' lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga di cui agli articoli da 19 a 22 quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per una durata massima di sei settimane, secondo le modalita' previste al comma 2. Le sei settimane devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021. Con riferimento a tale periodo, le predette sei settimane costituiscono la durata massima che puo' essere richiesta con causale COVID-19. I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 15 novembre 2020 sono imputati, ove autorizzati, alle sei settimane del presente comma. 

 2. Le sei settimane di trattamenti di cui al comma 1 sono riconosciute ai datori di lavoro ai quali sia stato gia' interamente autorizzato l'ulteriore periodo di nove settimane di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, decorso il periodo autorizzato, nonche' ai datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020 che dispone la chiusura o limitazione delle attivita' economiche e produttive al fine di fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. I datori di lavoro che presentano domanda per periodi di integrazione relativi alle sei settimane di cui al comma 1 versano un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre del 2019, pari:
 a) al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell'attivita' lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento; 
 b) al 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell'attivita' lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato. 
 3. Il contributo addizionale non e' dovuto dai datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al venti per cento, dai datori di lavoro che hanno avviato l'attivita' di impresa successivamente al primo gennaio 2019, e dai datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020 che dispone la chiusura o limitazione delle attivita' economiche e produttive di cui al comma 2. 

 4. Ai fini dell'accesso alle sei settimane di cui al comma 1, il datore di lavoro deve presentare all'Inps domanda di concessione, nella quale autocertifica, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445, la sussistenza dell'eventuale riduzione del fatturato di cui al comma 2. L'Inps autorizza i trattamenti di cui al presente articolo e, sulla base della autocertificazione allegata alla domanda, individua l'aliquota del contributo addizionale che il datore di lavoro e' tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell'integrazione salariale. In mancanza di autocertificazione, si applica l'aliquota del 18% di cui al comma 2, lettera b). Sono comunque disposte le necessarie verifiche relative alla sussistenza dei requisiti richiesti e autocertificati per l'accesso ai trattamenti di integrazione salariale di cui al presente articolo, ai fini delle quali l'Inps e l'Agenzia delle Entrate sono autorizzati a scambiarsi i dati. 

 5. Le domande di accesso ai trattamenti di cui al presente articolo devono essere inoltrate all'Inps, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attivita' lavorativa. In fase di prima applicazione, il termine di decadenza di cui al presente comma e' fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto-legge. 

 6. In caso di pagamento diretto delle prestazioni di cui al presente articolo da parte dell'Inps, il datore di lavoro e' tenuto ad inviare all'Istituto tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell'integrazione salariale entro la fine del mese successivo a quello in cui e' collocato il periodo di integrazione salariale, ovvero, se posteriore, entro il termine di trenta giorni dall'adozione del provvedimento di concessione. In sede di prima applicazione, i termini di cui al presente comma sono spostati al trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto, se tale ultima data e' posteriore a quella di cui al primo periodo. Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente. 

 7. La scadenza dei termini di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all'emergenza COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi che, in applicazione della disciplina ordinaria, si collocano tra il 1° e il 10 settembre 2020, e' fissata al 31 ottobre 2020. 

 8. I Fondi di cui all'articolo 27 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, garantiscono l'erogazione dell'assegno ordinario di cui al comma 1 con le medesime modalita' di cui al presente articolo. Il concorso del bilancio dello Stato agli oneri finanziari relativi alla predetta prestazione e' stabilito complessivamente nel limite massimo di 450 milioni di euro per l'anno 2021 ed e' assegnato ai rispettivi Fondi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Le risorse di cui al presente comma sono trasferite ai rispettivi Fondi con uno o piu' decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, previo monitoraggio da parte dei Fondi stessi dell'andamento del costo della prestazione, relativamente alle istanze degli aventi diritto, nel rispetto del limite di spesa e secondo le indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 

 9. Fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e restano altresi' sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, gia' impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. 

 10. Fino alla stessa data di cui al comma 9, resta, altresi', preclusa al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facolta' di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresi' sospese le procedure in corso di cui all'articolo 7 della medesima legge. 

 11. Le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 9 e 10 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attivita' dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della societa' senza continuazione, anche parziale, dell'attivita', nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attivita' che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, a detti lavoratori e' comunque riconosciuto il trattamento di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresi' esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso. 

 12. Il trattamento di cui al comma 1 e' concesso nel limite massimo di spesa pari a 1.634,6 milioni di euro, ripartito in 1.161,3 milioni di euro per i trattamenti di Cassa integrazione ordinaria e Assegno ordinario e in 473,3 milioni di euro per i trattamenti di Cassa integrazione in deroga L'INPS provvede al monitoraggio del limite di spesa di cui al presente comma. Qualora dal predetto monitoraggio emerga che e' stato raggiunto anche in via prospettica il limite di spesa, l'INPS non prende in considerazione ulteriori domande. 

 13. All'onere derivante dai commi 8 e 12, pari a 582,7 milioni di euro per l'anno 2020 e a 1.501,9 milioni di euro per l'anno 2021 in termini di saldo netto da finanziare e a 1.288,3 milioni di euro per l'anno 2021 in termini di indebitamento netto e fabbisogno delle amministrazioni pubbliche si provvede a valere sull'importo di cui all'articolo 11, comma 1. 

 14. In via eccezionale, al fine di fronteggiare l'emergenza da Covid-19, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di cui al comma 1, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, e' riconosciuto l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico di cui all'articolo 3, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, per un ulteriore periodo massimo di quattro settimane, fruibili entro il 31 gennaio 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale gia' fruite nel mese di giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. 

 15. I datori di lavoro privati che abbiano richiesto l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali ai sensi dell'articolo 3, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, possono rinunciare per la frazione di esonero richiesto e non goduto e contestualmente presentare domanda per accedere ai trattamenti di integrazione salariale di cui al presente articolo. 

 16. Il beneficio previsto dai commi 14 e 15 e' concesso ai sensi della sezione 3.1 della Comunicazione della Commissione europea recante un "Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19" e nei limiti ed alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione. L'efficacia delle disposizioni del presente articolo e' subordinata, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'autorizzazione della Commissione europea. 

 17. Alle minori entrate derivanti dai commi 14 e 15, valutate in 61,4 milioni di euro per l'anno 2021 si provvede con le maggiori entrate contributive derivanti dai commi da 2 a 4 del presente articolo. Alle minori entrate derivanti dal presente articolo valutate in 3 milioni di per l'anno 2022, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, 


lunedì 9 novembre 2020

 La violazione della reiterazione del termine nei rapporti con il pubblico impiego che risarcimento origina?



Cass. 03-03-2020, n. 5740

Con l'unico motivo del ricorso principale la Croce Rossa Italiana ha impugnato il capo della sentenza d'appello in cui si è ritenuto applicabile al credito risarcitorio da illegittima reiterazione di contratti a termine la prescrizione ordinaria decennale ed ha dedotto, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1337, 1338, 2087 c.c., e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

6. ha premesso di avere col ricorso in appello (terzo motivo) denunciato l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto l'eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata anche rispetto alla domanda di risarcimento danno da abusiva reiterazione dei contratti a termine;

7. ha sostenuto che il diritto al risarcimento del danno previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, abbia natura precontrattuale; tale danno infatti deriverebbe non dalla mancata esecuzione della prestazione lavorativa a causa dell'inadempimento datoriale, bensì dall'impiego di risorse e tempo per un rapporto di lavoro precario in vista di una stabilizzazione mai verificatasi; in altri termini, verrebbe in gioco la lesione dell'interesse negativo a non essere coinvolti in rapporti di lavoro a tempo determinato illegittimi;

8. ha escluso che il danno di cui all'art. 36 cit., potesse considerarsi come derivante dalla mancata conversione in rapporto a tempo indeterminato in quanto lo stesso risulterebbe correlato alla lesione di un interesse non meritevole di tutela in base al disposto dell'art. 97 Cost.;

9. ha affermato che la responsabilità di cui all'art. 36 cit., in quanto di natura precontrattuale è soggetta alla prescrizione quinquennale, ai sensi dell'art. 2947 c.c.;

10. il ricorso principale è infondato, alla luce dei principi affermati da questa Corte sul danno di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

11. come si legge in Cass., S.U. n. 5072 del 2016, il danno di cui all'art. 36 cit., non deriva dalla mancata conversione in rapporto a tempo indeterminato e quindi dalla perdita del posto di lavoro, a cui il dipendente non avrebbe mai avuto diritto non avendo superato un concorso pubblico per un posto stabile. Il danno per il dipendente pubblico conseguente alla reiterazione di plurimi contratti a termine è altro: il lavoratore a termine nel pubblico impiego, se il termine è illegittimamente apposto, perde la chance della occupazione alternativa migliore; è il cit. art. 36, comma 5, che definisce il danno risarcibile come derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative e non già come derivante dalla perdita di un posto di lavoro;

12. in quanto derivante dalla esecuzione del contratto concluso in violazione di norme imperative, il danno risarcibile in base al cit. art. 36, comma 5, è un danno da responsabilità contrattuale, così definito nella citata pronuncia delle Sezioni Unite, il cui risarcimento deve comprendere, ai sensi dell'art. 1223 c.c., sia la perdita subita, nella specie dal lavoratore, sia il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta;

13. ai fini della misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, le Sezioni Unite cit., adottando una interpretazione conforme al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), hanno fatto riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto;

14. da quanto detto discende che il danno risarcibile ai sensi del citato art. 36, ha origine contrattuale e il relativo diritto è pertanto assoggettato alla prescrizione ordinaria decennale (cfr. Cass. n. 9402 del 2017 in motivazione; n. 14996 del 2012; n. 12697 del 2001);

15. la sentenza d'appello si è attenuta ai principi appena richiamati e si sottrae pertanto alle censure di violazione di legge proposte col motivo di ricorso in esame;

16. da quanto detto discende il rigetto del ricorso principale, risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato;

17. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo;


venerdì 6 novembre 2020

 Come deve essere determinata la subordinazione?



Cass. 03/11/2020, n. 24391

Non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione, inteso quale vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, neanche  il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo.

giovedì 5 novembre 2020

 Entro quali limiti è risarcibile la mancata fornitura di vestiario ai dipendenti?





Cass. , 30/10/2020, n. 24146

La mancata fornitura della massa vestiaria ai dipendenti rappresenta un inadempimento contrattuale che legittima l'azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l'usura di abiti propri, o di avere dovuto sopportare un costo per l'acquisto dei beni non forniti dal datore.




il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dagli stessi ricorrenti, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l'azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l'usura di abiti propri (Cass. n. 4100/1995), o di avere dovuto sopportare un costo per l'acquisto dei beni non forniti dal datore (Cass. n. 23897/2008);

13. alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perchè l'esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè resta fermo l'onere della parte di dimostrare l'an debeatur del risarcimento (Cass. n. 20889/2016) onere che la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha ritenuto non assolto nella fattispecie;

14. il danno all'immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perchè al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l'inadempimento ma è una conseguenza dello stesso (Cass. n. 31537/2018);

mercoledì 4 novembre 2020

 Quando può essere risarcito il danno differenziale?



Cass. 02/11/2020, n. 24202

Ai fini dell'accertamento del danno differenziale, è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, rilevando che anche la violazione delle regole di cui all'art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale.

martedì 3 novembre 2020

 In caso di cessione d'azienda ex art. 2112 cc è necessario il consenso del lavoratore al trasferimento?




Cass. civ. Sez. lavoro, 19/01/2018, n. 1382

Nelle ipotesi di cessione d'azienda si realizza, con riferimento alla posizione del lavoratore, una successione legale nel contratto che non richiede il consenso del contraente ceduto, il quale potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal comma quarto dell'art. 2112 cod. civ.

lunedì 2 novembre 2020

 Come si determina il danno da demansionamento?



Cass. 22/10/2020, n. 23144

In tema di demansionamento e dequalificazione professionale, il pregiudizio - danno non patrimoniale - non si identifica con l'inadempimento datoriale e non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.

sabato 31 ottobre 2020

Per quali  finalità possono essere fruiti i permessi ex lege 104 del 1992

Cass. 26/10/2020, n. 23434


In tema di lavoro subordinato, in base alla "ratio" dell'art. 33, comma 3 della L. 5 febbraio 1992 n. 104, che attribuisce al lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, è necessario che l'assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile; questa può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell'interesse del familiare assistito.

giovedì 29 ottobre 2020

 A partire da quando può essere richiesta l'indennità sostitutiva della reintegrazione?



 Cass. 25-01-2011, n. 1690

 Dalla norma di evince che si tratta di una "facoltà" conferita al prestatore di lavoro, che deve essere esercitata entro un determinato termine e cioè entro trenta giorni dal deposito della sentenza. Non è invece precisato a partire da quale momento possa essere esercitata. Il collegamento con il deposito della sentenza risulta formulato solo per far decorrere il termine di trenta giorni oltre il quale la facoltà non può più essere esercitata. Ciò non esclude che la richiesta possa essere fatta anche prima del deposito della sentenza. La giurisprudenza ha, infatti, ritenuto, costantemente, che la richiesta di indennità sostitutiva della reintegrazione può essere fatta ben prima della decisione: in corso di causa (Cass., 28 luglio 2005, n. 15898) o con il ricorso introduttivo del giudizio (Cass., 28 novembre 2006, n. 25210). Nel medesimo ordine logico deve affermarsi che l'indennità può essere richiesta con il ricorso per ottenere in via d'urgenza un provvedimento contro il licenziamento ritenuto illegittimo.

Cass. civ. Sez. lavoro, 28/11/2006, n. 25210

Il testo del comma 5 dell'art. 18legge n. 300/1970 - nella parte in cui stabilisce che, qualora il lavoratore non abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità in sostituzione della reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare del suddetto termine - si limita a fissare un termine di decadenza per l'esercizio della ripetuta facoltà (nell'ovvia esigenza di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento), ma non stabilisce affatto un "dies a quo" in relazione all'attivazione di quel potere. In applicazione di tale principio deve ritenersi pienamente valida ed efficace l'opzione per l'indennità sostitutiva esercitata prima del deposito della sentenza che ha accertato l'illegittimità del licenziamento ed ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro.

Cass. 28-07-2005, n. 15898   Passando all'esame della prima questione posta dal terzo motivo, relativa agli effetti della manifestazione da parte del lavoratore nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento della opzione per l'attribuzione dell'indennità pari a quindici mensilità della retribuzione in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro (art. 18, quinto comma, l. n. 300, nel testo di cui all'art. 1 l. n. 108/1990), deve ritenersi corretto l'operato del Tribunale di Pistoia, che ha cumulato tale indennità con il risarcimento del danno maturato a favore dei lavoratori, per la perdita delle retribuzioni, fino al momento dell'esercizio dell'opzione. Questa Corte ha precisato che il diritto del lavoratore ad optare per l'indennità integrativa deriva dalla stessa illegittimità del licenziamento e contemporaneamente al diritto al reintegrazione (Cass. 16 ottobre 1998 n. 10283, 8 aprile 2000 n. 4472 e 12 giugno 2000 n. 8015) e che quindi il lavoratore può limitarsi inizialmente a chiedere in giudizio tale indennità in sostituzione della domanda di reintegrazione (sentenze n. 10283/1998 e 8015/2000), così come può esercitare la stessa scelta nel corso del giudizio, fermo restando il diritto al risarcimento del danno ex art. 18, quarto comma (sentenza n. 4472/2000).

Cass. civ. Sez. lavoro, 12-06-2000, n. 8015

 É, infatti, evidente che la norma si limita a fissare il termine finale per l'esercizio della facoltà di opzione (nell'ovvia, esigenza di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento) ma non stabilisce affatto un termine giudiziale per l'attivazione di quel potere di scelta

 


lunedì 26 ottobre 2020

 Posso utilizzare in giudizio una registrazione cui ho partecipato?




Cass., Sezione lavoro, n. 27424/2014:

“La registrazione fonografica di un colloquio tra presenti, rientrando nel "genus" delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 cod. civ., ha natura di prova ammissibile nel processo civile, sicchè la sua effettuazione, operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro, non integra illecito disciplinare. Nè tale condotta, comunque scriminata ex art. 51 cod. pen., in quanto esercizio del diritto di difesa, la cui esplicazione non è limitata alla sede processuale, può ritenersi lesiva del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, che concerne esclusivamente l'affidamento di quest'ultimo sulle capacità del dipendente di adempimento dell'obbligazione lavorativa. (Rigetta, App. Torino, 27/09/2010)

sabato 24 ottobre 2020

 Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto devo indicare i giorni di assenza?



Cass. 21/10/2020, n. 22998

In tema di licenziamento per superamento del comporto, anche nel regime successivo all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 37, della L. n. 92 del 2012, il datore di lavoro non deve specificare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, quali il numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.

martedì 20 ottobre 2020

In cosa consiste la perdita di chance? 


Cass. 14/10/2020, n. 22226

La perdita di "chance" costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza.

lunedì 19 ottobre 2020

 Le malattie cagionate da mobbing possono rientrare nelle malattie professionali indennizzabili dall'INAIL?


Cass. 20774 del 2018



2. Col secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, commi 1 e 4, art. 3, art. 4, comma 1, e artt. 66 e 74, e del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, anche in relazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione con riferimento all'elenco (lista 2, gruppo 7, voce 01) delle malattie professionali aggiornato; approvato con D.M. Lavoro 11 dicembre 2009, emanato in attuazione del D.P.R. n. 1124, art. 139, e D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 10, comma 1. Violazione dell'art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) avendo la Corte errato nel disconoscere la indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti dalla costrittività organizzativa sul presupposto che essa non attenga mai ad un rischio specifico tutelabile dal D.P.R. n. 1124 del 1965; tanto più che il D.M. Lavoro 11 dicembre 2009, ha approvato una nuova tabella in cui ha inserito espressamente le disfunzioni della organizzazione del lavoro vale a dire la cosiddetta costrittiva organizzativa nella lista due.

2.1. Il secondo motivo è fondato, ritenendo questa Corte di dover confermare e consolidare l'orientamento espresso di recente con l'ordinanza n. 5066/2018, nella quale, giudicando un'analoga fattispecie, ha rilevato come la tesi su cui riposa la sentenza della Corte d'Appello di Perugia non risulti in linea con l'ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimità, cui soltanto l'ordinamento riserva la funzione di nomofilachia, al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3.

2.2. Invero secondo il risalente e costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte in materia di assicurazione sociale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ai sensi dell'art. 1, TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002" Cass. 5354/2002). Lo stesso orientamento è stato riaffermato da questa Corte, a proposito dell'art. 3, TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela ancorchè, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sè e per sè considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente.

2.3. L'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell'ambito dell'infortunio in itinere, ai sensi dell'art.12 del d.lgs. 38/2000, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all'entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass. 7313/2016).

2.4. Ulteriore estensione dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall'assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina). Tanto in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 4.7.74 n. 206; 9.7.1977 n. 114). In tal senso questa Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa "al lavoro in sè e per sè considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine", essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro.

2.5. Ed ancora, nella stessa direzione muove, soprattutto, la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata", talchè, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purchè si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.

Pertanto non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata secondo cui sarebbe da escludere che l'assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l'origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU. 2.6. Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dalla L. n. 38 del 2000, art. 10, comma 4, dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale".

L'approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta dunque ad affermare che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008). Pertanto, ed in conclusione, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.

2.7. A tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sè; ed è questo e non la prima l'evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l'"oggetto della tutela dell'art.38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (sentenza n. 100 del 2.3.1991).

2.8. In tale ottica, pertanto, non può neppure sostenersi che il premio assicurativo INAIL abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle; assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: "il distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un'interpretazione dell'art. 38, comma 2, coordinata con l'art. 32 Cost., allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori" (ancora Corte Cost. n. 100/1991).

3.- Col terzo motivo viene dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in quanto la Corte d'Appello aveva del tutto omesso di esaminare il fatto per cui il signor P.P. sin dal 1997, nell'esercizio delle sue mansioni di bibliotecario e delle attività complementari assegnategli presso l'Università di Perugia, aveva subito un notevole stress lavorativo derivante da una serie di fatti che si erano succeduti in maniera sistematica e che avevano comportato il progressivo insorgere e consolidarsi della malattia depressiva, sindrome dell'adattamento di cui aveva chiesto l'indennizzabilità all'Inail.

Il motivo, riguardante questioni di fatto logicamente subordinate rispetto alla questione concernente l'indennizzabilità della malattia in discorso, deve ritenersi assorbito.

4. Sulla scorta delle precedenti considerazioni il secondo motivo di ricorso va quindi accolto; mentre va rigettato il primo motivo e dichiarato assorbito il terzo. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa per un nuovo esame al giudice designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopra formulati in materia di tutela della malattia professionale discendente dall'organizzazione del lavoro; e provvederà alla statuizione sulle spese anche di questa fase del giudizio.



5. In considerazione dell'esito del ricorso non sussistono i presupposti stabiliti dalla legge per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.