venerdì 10 agosto 2018

Quando lo sciopero è illegittimo?

Trib. Melfi Sez. lavoro, 15/07/2011

Non costituisce condotta antisindacale il licenziamento di tre attivisti e militanti sindacali per fatti accaduti durante uno sciopero poiché i comportamenti tenuti dai lavoratori non sono riconducibili al diritto di sciopero, in cui non rientra la condotta di chi non si limiti ad un'attività di persuasione degli altri dipendenti per indurli a scioperare, ma ponga in essere concreti atti nei confronti del personale non aderente all'agitazione o interventi materiali sugli impianti per impedire il funzionamento dell'organizzazione aziendale. Conseguenza del comportamento illegittimo dei tre lavoratori licenziati è stato il grave danno economico subito dall'azienda opponente consistito nella mancata produzione di autovetture, gravità da rapportare alla particolare situazione di crisi economica e di difficoltà vissuta dal mercato automobilistico.


giovedì 9 agosto 2018

L’amministratore di una società può essere un lavoratore subordinato?



Cass. civ. Sez. I Sent., 30/09/2016, n. 19596 

Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società. (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE SALUZZO, 28/09/2010) 

Cass. civ. Sez. V, 25/09/2015, n. 19050 

L'incompatibilità con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società è ravvisabile nella sola qualifica di amministratore unico, non potendo ricorrere in tal caso l'effettivo assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, che si configura come requisito tipico della subordinazione. 


Cass. civ. Sez. I Sent., 06/11/2013, n. 24972 

Per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero dell'amministratore delegato, e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo della subordinazione, e cioè l'assoggettamento, nonostante la suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso. (Rigetta, Trib. Ancona, 27/05/2011 

Cass. civ. Sez. lavoro, 01/02/2012, n. 1424 

La qualifica di amministratore di una società per azioni non è di per sé incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, ma per la configurabilità è necessario che il ricorrente non sia amministratore unico della società e che provi in modo certo il requisito della subordinazione, elemento tipico e qualificante del rapporto, che deve consistere nell'effettivo assoggettamento, nonostante la carica di amministratore rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso. 


Tribunale Milano Sez. lavoro, 10/02/2017 

In tema di società, la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio-dirigente alle direttive ed al controllo dell'organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci. 


Tribunale Milano Sez. lavoro, 13/02/2016 

In tema di rapporto di lavoro, per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra colui che ha rivestito cariche sociali di una società di capitali e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè l'assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante le suddette cariche sociali. In tale ottica, la qualità di amministratore non unico di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima, laddove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita. 

Tribunale Milano Sez. lavoro, 20/10/2011 

La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della medesima società deve essere verificata, accertando in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica ed, in particolare, l'espletamento contro retribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ricoperta.

mercoledì 8 agosto 2018

E' legittimo lo sciopero delle mansioni?




Cass.08/09/2015, n. 17770


Non esiste una definizione legislativa dello sciopero. I lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali. Lo sciopero nei fatti si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. Questa mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo: una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita "minima unità tecnico temporale", al di sotto della quale l'attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo. In tale logica, la giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, ha riportato entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario, in cui l'astensione ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore. Al contrario, ci si colloca al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo.

martedì 7 agosto 2018

L'indennità sostitutiva delle ferie è assoggettata a contribuzione?


Cass. 29/05/2018, n. 13473

L'indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell'art. 12 della l. n. 153 del 1969, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall'art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio - oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 213, del 2004, in attuazione della direttiva n. 93/104/CE - non escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 11/10/2010)

lunedì 6 agosto 2018

Che natura ha il bando di concorso?


Cass. Sent., 06/06/2007, n. 13273


Il bando di concorso per l'assunzione di lavoratori non e riconducibile alla previsione dell'art.1989 cod. civ., che configura la promessa al pubblico come negozio unilaterale dotato di efficacia in deroga alla regola generale stabilita dall'art.1987 stesso codice e perciò vincolante per il promittente, a prescindere da manifestazione di consenso da parte dei beneficiari, ma, essendo preordinato alla stipulazione di contratti di lavoro, che esigono il consenso delle controparti, costituisce, ove contenga gli elementi del contratto alla cui conclusione è diretto, un'offerta al pubblico, ai sensi dell'art.1336 cod. civ., la quale è revocabile solo finchè non sia intervenuta l'accettazione da parte degli interessati. Tale offerta può essere di un contratto di lavoro definitivo, il quale si perfeziona con l'accettazione del lavoratore che risulti utilmente inserito nella graduatoria dei candidati idonei, oppure preliminare, il quale si perfeziona con la semplice accettazione del candidato che chiede di partecipare al concorso ed a per oggetto l'obbligo per entrambe le parti o per il suo offerente, nel caso di preliminare unilaterale, della stipulazione del contratto definitivo con chi risulti vincitore (nella specie, la corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di cui in massima, facendo derivare dal costituito rapporto di formazione e lavoro, tutte le conseguenze derivanti dalla condotta della s.p.a. Ferrovie dello Stato in termini risarcitori anche per il lamentato danno per mancata formazione). (Rigetta, App. Roma, 5 Aprile 2005)

sabato 4 agosto 2018

Quali sono gli elementi della subordinazione?

Cass. 11-07-2018, n. 18253

E' noto, difatti, che, secondo il richiamato e consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

In particolare, mentre la subordinazione implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l'oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell'attività (opus): ex multis, Cass. nn. 12926/1999; 5464/1997; 2690/1994; e, più di recente, Cass. n. 4770/2003; 5645/2009, secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere accertato o escluso mediante il ricorso agli elementi che il giudice deve concretamente individuare dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dalle modalità di svolgimento del rapporto (cfr. pure, tra le molte, Cass. nn. 1717/2009, 1153/2013).

In subordine, l'elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa; mentre, è stato pure precisato, altri elementi - come l'assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione - possono avere solo valore indicativo e non determinante (v. Cass. n. 7171/2003), costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l'una che con l'altra qualificazione del rapporto stesso (fra le altre - e già da epoca risalente - Cass. nn. 7796/1993; 4131/1984).

Ciò precisato, è da aggiungere che, anche in ordine alla questione relativa alla qualificazione del rapporto contrattualmente operata, sovviene l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità. Alla cui stregua, onde pervenire alla identificazione della natura del rapporto come autonomo o subordinato, non si può prescindere dalla ricerca della volontà delle parti, dovendosi tra l'altro tener conto del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell'esercizio della loro autonomia contrattuale.

Pertanto, quando i contraenti abbiano dichiarato di volere escludere l'elemento della subordinazione, specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili sia con l'uno che con l'altro tipo di prestazione d'opera, è possibile addivenire ad una diversa qualificazione so/o ove si dimostri che, in concreto, l'elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo (v., fra le molte, e già da epoca meno recente, Cass. nn. 4220/1991; 12926/1999).

Il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non è quindi vincolante per il giudice ed è comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione (Cass. n. 812/1993).

Al proposito, la Corte di legittimità ha avuto, altresì, modo di ribadire che, ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall'effettivo svolgimento del rapporto, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (ai sensi dell'art. 1362 c.c., comma 2), ma anche ai fini dell'accertamento di una nuova e diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, da autonoma a subordinata; con la conseguenza che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli di fatto emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente nell'ambito di una richiesta di tutela formulata tra le parti del contratto (Cass. nn. 4770/2003; 5960/1999). Del resto, come è stato osservato, il ricorso al dato della concretezza e della effettività appare condivisibile anche sotto altro angolo visuale, ossia in considerazione della posizione debole di uno dei contraenti, che potrebbe essere indotto ad accettare una qualifica del rapporto diversa da quella reale pur di garantirsi un posto di lavoro.

Più di recente, con la sentenza n. 7024/2015, questa Corte ha ribadito che gli indici di subordinazione sono dati dalla retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; l'orario di lavoro fisso e continuativo; la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali; il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia; l'inserimento nell'organizzazione aziendale.

E sul lavoratore che intenda rivendicare in giudizio l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato grava l'onere di fornire gli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta invocata (cfr., tra le molte, Cass. n. 11937/2009).

giovedì 2 agosto 2018

La violazione del termine per irrogare la sanzione del licenziamento disciplinare stabilita dal ccnl che tipo di tutela prevede in base all'art. 18 della legge 300 del 1970 come modificato dalla legge 92 del 2012?


Cass. 30/07/2018, n. 20162

L'intimazione del licenziamento disciplinare deve essere connotata dal carattere di tempestività, non diversamente dalla contestazione dell'addebito; l'anzidetto carattere, peraltro, può tradursi, più puntualmente, in una specifica garanzia procedimentale prevista dalla contrattazione collettiva che è abilitata anche ad introdurre un termine perentorio per l'esercizio del potere disciplinare. Di talché la violazione del termine per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, stabilito dalla contrattazione collettiva (nella specie, dall'art. 8, comma 4, del C.C.N.L. Metalmeccanici), è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all'art. 7, della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), tale da rendere operativa la tutela prevista dall'art. 18, comma 6, dello stesso Statuto, come modificato dalla legge n. 92 del 2012.

mercoledì 1 agosto 2018

L'amministratore che svolga anche attività lavorativa quale socio deve essere iscritto sia alla gestione commercianti sia alla gestione separata?

Cass. 31-03-2017, n. 8458

1. Con l'unico complesso motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 203, 207 e 208. Assume in sintesi che la Corte ha ritenuto incompatibile la contemporanea iscrizione presso la gestione commercianti, di cui alla L. n. 1397 del 1960, art. 29, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203 e presso la gestione separata, di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, di un socio amministratore di s.r.l. che nel contempo svolge attività lavorativa all'interno della stessa società. Con lo stesso motivo, denuncia l'erronea motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando come il coordinamento dell'attività lavorativa della società, la gestione dell'attività didattica dei docenti, la frequentazione quotidiana dei locali della stessa azienda, il contatto costante con le aziende partner e con gli sponsor, la predisposizione e cura della documentazione contabile della società, costituivano circostanze sintomatiche dell'espletamento di vere e proprie prestazioni d'opera sia pure di carattere direttivo.

2. Il ricorso è infondato. La questione interpretativa posta con il primo motivo trova il principale riferimento normativo nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

3. Su tale disposizione sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza resa in data 8 agosto 2011, n. 17076, che hanno affermato quanto segue: "In tema di iscrizione assicurativa per lo svolgimento di attività autonome, il D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122 del 2010 - che prevede che la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome per le quali opera il principio di assoggettamento all'assicurazione prevista per l'attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell'INPS, mentre restano esclusi dall'applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 - costituisce norma dichiaratamente ed effettivamente di interpretazione autentica, diretta a chiarire la portata della disposizione interpretata e, pertanto, non è, in quanto tale, lesiva del principio del giusto processo di cui all'art. 6 CEDU - quanto al mutamento delle "regole del gioco" nel corso del processo - trattandosi di legittimo esercizio della funzione legislativa garantita dall'art. 70 Cost.".

4. Secondo le Sezioni Unite, la regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208,) e dalla disposizione di interpretazione autentica (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11) è nel senso che l'esercizio di attività di lavoro autonomo, soggetto a contribuzione nella Gestione separata, che si accompagni all'esercizio di un'attività di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per sè comporti l'obbligo dell'iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l'INPS, non fa scattare il criterio delrattività prevalente".

5. Per queste attività, dunque, non opera il criterio "semplificante" (dell'art. 1, comma 208, cit.) e derogatorio - dell'unificazione della posizione previdenziale in un'unica gestione con una sorta di fictio juris per cui chi è ad un tempo commerciante ed artigiano (o coltivatore diretto), con caratteristiche tali da comportare l'iscrizione alle relative gestioni assicurative, è come se svolgesse un'unica attività d'impresa - quella "prevalente" con la conseguenza che unica è la posizione previdenziale.

6. Al contrario, la regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata e dalla disposizione di interpretazione autentica è quella per la quale il concorso di attività di lavoro autonomo (come amministratore della società), soggetta ex se alla contribuzione nella Gestione separata sui compensi a tale titolo percepiti, e quella di socio lavoratore della società stessa, comporta l'obbligo della duplice iscrizione.

7. Sono stati così superati i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240/2010, così come sono stati superati i dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità con l'art. 6 della CEDU sollevati con riferimento alla norma di interpretazione autentica (Corte Cost. n. 15/2012).

8. La sentenza della Sezioni Unite di questa Corte è stata poi seguita da altre pronunce (Cass. 1 luglio 2015, n. 13446; Cass., 5 marzo 2013 n. 5444; v. pure Cass., ord. 27 aprile 2016, n. 8303; Cass., 26 febbraio 2016, n. 3835), le quali - partendo dall'esatta premessa secondo cui sussiste l'obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata stante l'autonomia delle posizioni - hanno affermato la necessità che per ciascuna di esse ricorrano i presupposti previsti dalla legge, e cioè che si realizzi una "coesistenza" di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all'amministrazione societaria.

9. La L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, prevede che l'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli".

10. La iscrizione alla gestione commercianti è quindi obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioè: la titolarità o gestione di imprese organizzate e/o dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l'esercizio dell'attività propria, di licenze e qualifiche professionali (in tal senso, Cass., n. 5444/2013, cit.).

11. Ai fini di tale ulteriore (rispetto a quello della gestione separata) obbligo contributivo è richiesta la verifica della sussistenza degli elementi della abitualità e della professionalità della prestazione lavorativa, nonchè degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore (Cass., 19 gennaio 2016, n. 873).

12. Non basta, quindi, Io svolgimento di un'attività lavorativa (di natura individuale o societaria) qualsiasi per essere iscritti ad un fondo di previdenza relativo ai lavoratori autonomi: occorre che esistano, congiuntamente, i due requisiti di abitualità e prevalenza.

13. Sotto questo profilo vale ancora il rilievo effettuato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 3240 del 12.2.2010 secondo la quale tale assicurazione "è posta a protezione, fin dalla sua iniziale introduzione, non già dell'elemento imprenditoriale del lavoratore autonomo, sia esso commerciante, coltivatore diretto o artigiano, ma per il fatto che tutti costoro sono accomunati ai lavoratori dipendenti dall'espletamento di attività lavorativa abituale, nel suo momento esecutivo, connotandosi detto impegno personale come elemento prevalente (rispetto agli altri fattori produttivi) all'interno dell'impresa".

14. In relazione al concetto di prevalenza, è tuttavia opportuno chiarire che, ad avviso del collegio, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza necessari l'iscrizione alla gestione ed il cui onere della prova è a carico dell'Inps, tenuto a provare i fatti costitutivi dell'obbligo contributivo (cfr. ex multis Cass., 20 aprile 2002, n. 5763; Cass., 6 novembre 2009, n. 23600 - devono riferirsi ad un criterio non predeterminato di tempo e di reddito da accertarsi in senso relativo e soggettivo, ossia facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l'oggetto sociale della srl (ovviamente al netto dell'attività esercitata in quanto amministratore); e non già comparativamente con riferimento a tutti gli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell'impresa.

15. Questa interpretazione risponde maggiormente alla logica della norma, volta a valorizzare l'elemento del lavoro personale, e, al contempo, ad evitare di restringere l'area di applicazione dell'assicurazione commercianti, lasciando fuori i casi in cui l'attività del socio di srl, ancorchè rilevante ed abituale, non venga ritenuta preponderante rispetto agli altri fattori produttivi.

16. In base ai lavori preparatori (v. pure parere n. 926/1998 del Consiglio di Stato su interpello del Ministero del Lavoro), la norma dettata dal comma 203 era finalizzata infatti ad eliminare, tra l'altro, i dubbi che erano stati sollevati a proposito dell'iscrizione nella gestione dei soci di srl (in considerazione dell'assenza di rischio nella conduzione dell'impresa; mentre non c'era dubbio che l'obbligo di iscrizione sussistesse nel caso di socio unico e di soci di società di persone). Essa voleva perciò evitare che grazie allo schermo della struttura societaria la prestazione di lavoro resa dal socio nell'impresa sociale fosse sottratta alla contribuzione previdenziale; e, nel contempo, superare la preesistente disparità di trattamento dei titolari di imprese individuali e dei soci di società di persone, rispetto ai soci di società a responsabilità limitata.

17. Ciò posto, passando ad esaminare il caso di specie, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto assume l'Inps nel suo ricorso, in nessuna parte della sentenza è dato rintracciare affermazioni della Corte territoriale in contrasto con il principio della doppia iscrizione, così come enucleato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte e su richiamato. Non sussiste pertanto il denunciato vizio di violazione di legge.

18. Non sussiste neppure il denunciato vizio motivazionale, dal momento che la Corte sulla scorta del materiale probatorio esaminato ha ritenuto insussistente la prova di una attività commerciale svolta con carattere di abitualità e prevalenza da parte del R.. In particolare, dopo aver dato atto della incontroversa qualità di socio del R. e della sua iscrizione alla gestione separata per l'attività inerente alla sua qualità di procuratore speciale della società, ha escluso che dal verbale di accertamento emergessero dati significativi di un'attività commerciale, diversa da quella del socio procuratore, attesa la genericità dell'espressione contenuta nel verbale, in cui si dà atto che l'attività del R. consisteva "nell'occuparsi direttamente dell'andamento della scuola". La Corte ha ritenuto inoltre generica e contraddittoria la prova testimoniale richiesta, che, in quanto mirante ad ottenere la conferma delle dichiarazioni rese agli ispettori dalla socia di minoranza, avrebbe confermato che era quest'ultima - e non anche il R. - a disporre l'organizzazione dei corsi e a formare l'orario di servizio sulla base delle disponibilità dei docenti, ed in mancanza di altri elementi idonei a comprovare lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale da parte di quest'ultimo.

6. Quanto alla dichiarazione resa dal controricorrente ai fini di ottenere la iscrizione alla gestione commercianti, la Corte ha escluso che essa possa avere valore confessorio, in quanto mero adempimento di un obbligo di legge e non contenente un fatto da far valere contro il dichiarante. In tal senso, peraltro, si è già espressa questa Corte con la sentenza 17 gennaio 2008, n. 854, richiamata pure nella sentenza. In definitiva, la Corte con accertamento di fatto congruo ed esaustivo ha escluso la prova di un'attività di partecipazione al lavoro aziendale del R. con carattere di continuità e abitualità, nonchè di prevalenza rispetto all'attività di socio munito di procura per il compimento di alcune attività, e segnatamente per la tenuta di contatti con le aziende partner e gli sponsor.

19. La motivazione è dunque certamente esistente (sicchè non sussiste l'omessa motivazione), oltre che sufficiente, dovendosi peraltro ricordare che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione" (Cass., Sez. U, del 25 ottobre 2013, n. 24148).

20. Le censure mosse alla sentenza impugnata mirano in realtà ad ottenere un nuovo apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimità, risolvendosi il motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in un' inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.


21. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In ragione dell'oggettiva complessità della questione, come attestata anche dai diversi interventi delle Sezioni Unite, si ravvisano i motivi per compensare le spese del presente giudizio.