mercoledì 27 febbraio 2019

Quando l'appalto è genuino?

Cass. 27 novembre  2018 n. 30694


il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro "(...) per l'assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa", secondo quanto disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, ultimo periodo;

tale disposizione si discosta dalla corrispondente normativa contenuta nella disciplina codicistica in ragione del fatto che nel testo del D.Lgs. n. 276 del 2003 si presuppone la qualifica di imprenditore per il soggetto appaltatore, diversamente da quanto previsto dall'art. 1655 c.c.;

il rischio d'impresa quale elemento costituivo del contratto di appalto, assorbito nella causa del medesimo, si identifica concretamente nella possibilità di non riuscire a coprire tutti i costi (macchinari, materiali, manodopera impiegata) nell'esecuzione del contratto in relazione al corrispettivo pattuito, in considerazione del sopraggiungere di eventi in grado di far aumentare le spese da sostenere;

come da questa Corte già da tempo affermato (v. Cass. 3 luglio 1979, n. 3754), il rischio o pericolo che l'appaltatore assume nel compimento dell'opera o del servizio non è quello inteso in senso tecnico-giuridico, relativo, cioè, ai casi fortuiti, ma quello cosiddetto economico, che deriva dall'impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi, per cui l'appaltatore, che non ha il potere di interrompere i lavori per l'aumentata onerosità degli stessi, potrà anche perdere nell'affare se i costi si riveleranno superiori al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni consentite in presenza di determinate circostanze e realizzabili col rimedio della revisione dei prezzi;

nella specie la Corte territoriale ha correttamente esaminato il rilievo dell'appellante relativo alla predeterminazione del corrispettivo che, a dire dell'impugnante, denotava l'assenza del rischio d'impresa;

al riguardo ha ritenuto infondato il rilievo, atteso che i costi del servizio dipendevano dalle modalità di utilizzazione delle risorse (con ciò significando una variabilità dei costi medesimi in sè indicativa di un rischio di impresa);

ha, inoltre, evidenziato che il contratto prevedeva una polizza fideiussoria e sanzioni per ritardi che potevano ricadere sui costi d'impresa sulla base della maggiore o peggiore capacità organizzativa e di distribuzione e gestione del personale;

la motivazione, ancorchè sintetica, supera certamente la soglia del minimo costituzionale di cui al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5 nella rigorosa interpretazione datane da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053;

9.1. con il nono motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla falsa applicazione dell'art. 1655 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;

lamenta che la Corte territoriale abbia individuato la gestione dei mezzi di cui parla la norma nella mera gestione amministrativa del personale;

9.2. in motivo è infondato;

il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1 pone l'accento su una specificazione del requisito dell'organizzazione dei mezzi necessari la quale, in presenza di particolari "esigenze dell'opera o del servizio", può essere individuata anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto di appalto;

nella specie la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che in una ipotesi come quella in esame (ove l'appalto, come si evince dalla sentenza impugnata, aveva ad oggetto la gestione e l'assistenza tecnica dei complessi archivi informatici) e, dunque, a bassa intensità organizzativa o anche dematerializzata, gli strumenti e le macchine forniti dall'appaltante non costituiscono i mezzi attraverso i quali il servizio appaltato viene reso, ma piuttosto l'oggetto sul quale l'attività oggetto di appalto si esercita, così che è predominante la mera organizzazione dei propri dipendenti e non risulta invertito il rischio di impresa, che rimane sull'appaltatore ed è ricollegato appunto all'organizzazione, dipendendo la rimuneratività del servizio anche dalla razionalità ed efficienza dell'organizzazione delle prestazioni di lavoro altrui;

la Corte territoriale ha poi specificamente evidenziato che erano i referenti della Rotoclass a decidere l'allocazione delle risorse, il che dimostrava che non si trattava di una mera gestione amministrativa, ma di una effettiva organizzazione e gestione del personale addetto all'appalto;

10.1. con il decimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per falsa applicazione dell'art. 1655 c.c. anche in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;

rileva che la Corte territoriale avrebbe ritenuto genuino l'appalto in questione pur se questo aveva ad oggetto la mera fornitura di lavoro, sia esso pure organizzato e gestito - e non sarebbe stato questo il caso - dall'appaltatore;

10.2. il motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al nono motivo;

martedì 26 febbraio 2019

Nel pubblico impiego impiego lo straordinario deve essere sempre preventivamente autorizzato?

T.A.R. Puglia Bari Sez. I, 02/08/2018, n. 1161

Nell'ambito di un rapporto di pubblico impiego la retribuibilità del lavoro straordinario è condizionata all'esistenza di una formale preventiva autorizzazione anche se, in via eccezionale, anche a posteriori, al suo svolgimento, in attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Costituzione.

lunedì 25 febbraio 2019

A chi competono le controversie concernenti la stabilizzazione dei rapporti di lavoro?

T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 01/02/2019, n. 169

Le controversie relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro c.d. precari alle dipendenze di una P.A., allorquando il "petitum sostanziale" riguardi non la correttezza formale della medesima procedura, ma la sussistenza del diritto soggettivo alla partecipazione alle procedure di stabilizzazione e, attraverso di queste, all'assunzione a tempo indeterminato, sono attratte alla competenza del g.o. ai sensi dell'art. 63, D.Lgs. n. 165/2001

sabato 23 febbraio 2019

Come è regolamentata la contribuzione minima in edilizia?



In forza dell'art. 29 DL 23/06/1995 n. 244 Retribuzione minima imponibile nel settore edile.

1. I datori di lavoro esercenti attività edile anche se in economia operanti sul territorio nazionale, individuati dai codici ISTAT 1991, dal 45.1 al 45.45.2, sono tenuti ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all'orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell'attività lavorativa, con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili. Altri eventi potranno essere individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali predette. Restano ferme le disposizioni in materia di retribuzione imponibile dettate dall'articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 , e successive modificazioni, in materia di minimali di retribuzione ai fini contributivi e quelle di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 , convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389. Nella retribuzione imponibile di cui a quest'ultima norma rientrano, secondo le misure previste dall'articolo 9 del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103 , convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1991, n. 166, anche gli accantonamenti e le contribuzioni alle casse edili.

2. Sull'ammontare delle contribuzioni previdenziali ed assistenziali diverse da quelle di pertinenza del fondo pensioni lavoratori dipendenti, dovute all'Istituto nazionale della previdenza sociale, per gli operai occupati con un orario di lavoro di 40 ore settimanali, a carico dei datori di lavoro di cui al comma 1, si applica sino al 31 dicembre 1996 una riduzione pari al 9,50 per cento (54). Tale agevolazione si cumula con gli sgravi degli oneri sociali per il Mezzogiorno e con l'esonero previsto dall'articolo 2, comma 4, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 , convertito dalla legge 20 maggio 1993, n. 151, sino a concorrenza di quanto dovuto ai singoli fondi e gestioni. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 6, commi 9, 10, 11, 12 e 13, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 , convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, e successive modificazioni ed integrazioni, comprese quelle di cui al comma 1 .

3. Ai datori di lavoro di cui al comma 1, gli sgravi contributivi per il Mezzogiorno e le riduzioni contributive per fiscalizzazione degli oneri sociali, comprese quelle di cui al comma 2, non possono essere riconosciuti per i lavoratori non denunciati alle casse edili. Per i casi di omessa denuncia o di omesso versamento a dette casse, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 10, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 , convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, come modificato dall'articolo 4 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 , convertito dalla legge 20 maggio 1993, n. 151. Agli effetti dell'applicazione di quest'ultima norma gli accantonamenti e le contribuzioni alle casse edili si considerano parte della retribuzione.

4. Le disposizioni del presente articolo: a) trovano applicazione alle società cooperative di produzione e lavoro esercenti attività edile anche per i soci lavoratori delle stesse; b) non operano per le imprese di cui all'articolo 2-bisdel decreto-legge 19 gennaio 1991, n. 18 , convertito, con modificazioni, dalla legge 20 marzo 1991, n. 89.

5. Entro il 31 maggio di ciascun anno il Governo procede a verificare gli effetti determinati dalle disposizioni di cui al comma 1, al fine di valutare la possibilità che, con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 31 luglio dello stesso anno, sia confermata o rideterminata per l’anno di riferimento la riduzione contributiva di cui al comma 2. Decorsi trenta giorni dalla predetta data del 31 luglio e sino all’adozione del menzionato decreto, si applica la riduzione determinata per l’anno precedente, salvo conguaglio da parte degli istituti previdenziali in relazione all’effettiva riduzione accordata ovvero nel caso di mancata adozione del decreto stesso entro e non oltre il 15 dicembre dell’anno di riferimento .

6. Le norme del presente articolo entrano in vigore dal 1° luglio 1995

giovedì 21 febbraio 2019

Quale termine di prescrizione si applica agli sgravi contributivi sui CFL?

Cass. 14/02/2019, n. 4432

Agli effetti del recupero degli sgravi contributivi concessi alle imprese su contratti di formazione e lavoro, integrati aiuti di stato incompatibili con il mercato comune, opera il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italia della decisione comunitaria di recupero.

mercoledì 20 febbraio 2019

Come è ripartito l'onere della prova nel procedimento speciale antidiscriminatorio nella parità uomo donna?

Cass. 04/02/2019, n. 3196

In tema di comportamenti datoriali discriminatori, l'art. 40 del d.lgs. n. 198 del 2006 - nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità - non stabilisce un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall'art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l'onere di fornire la prova dell'inesistenza della discriminazione, ma a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso. (Nel caso di specie, rigettando il ricorso di parte datoriale, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la corte distrettuale aveva confermato in sede di gravame la pronuncia di condanna all'assunzione della resistente lavoratrice sul presupposto che il limite staturale di 160 cm. prescritto nella procedura di assunzione di personale con qualifica di Capo Servizio Treno bandita dal datore di lavoro, costituisse una discriminazione indiretta in violazione dell'art. 4 della legge n. 125 del 1991, come modificato dall'art. 2 del d.lgs. n. 145 del 2005 di attuazione della Direttiva 2002/73/CE – in materia di accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale e di condizioni di lavoro – poi confluito nell'art. 25 del d.lgs. n. 198 del 2006, in quanto non oggettivamente giustificato, né comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni comportate dalla suddetta qualifica.)

martedì 19 febbraio 2019

Come valutare la prova per  presunzioni?



Cass. 07/02/2019, n. 3643

In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento.

lunedì 18 febbraio 2019

Il licenziamento intimato durante il comporto di malattia è nullo?





Cass. 07-12-2018, n. 31763




13. La non utilità della prestazione per il tempo della malattia è evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dall'art. 2110 c.c. e dalla contrattazione collettiva.

14. In tal senso, mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da inadempimento, pur se inconsapevole, del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia e la tutela della salute è valore preminente che ne giustifica la specialità (cfr. Cass. n. 15523/2018).

15. Solo il superamento del periodo di comporto, in un'ottica di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione), è condizione sufficiente a legittimare il recesso e, pertanto, non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo, nè della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, nè quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr. Cass. 31.1.2012 n. 1404; Cass. 28.1.2010 n. 1861).

16. La contraria opinione (che sembra condivisa in un passaggio della motivazione della pronuncia di questa Corte n. 18678/2014), secondo cui sarebbe legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all'elevato numero di assenze ma non tali da esaurire il periodo di comporto, si pone in contrasto con la consolidata e costante giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità, che a partire da Cass. Sez. Un. n. 2072/1980, ha sempre statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità (tra le altre Cass. n. 16582/2015; Cass. 31.1.2012 n. 1404).

17. Tale orientamento ha ricevuto un altro autorevole avallo dalla recente sentenza di Cass. Sez. Un. 22.5.2018 n. 12568 che ha statuito che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110 c.c., comma 2, individuando anche la tutela applicabile.

18. L'argomentazione dei giudici di seconde cure per i quali "l'obiettivo disservizio che le ripetute e continue assenze del dipendente creano sull'organizzazione aziendale e sulla corretta erogazione da parte di ATAC spa del servizio pubblico di trasporto urbano (il quale richiede la previa predisposizione di turnazioni del personale addetto alla conduzione di mezzi) ben può costituire giustificato motivo di licenziamento", si pone, pertanto, in contrasto sia con la corretta applicazione dell'art. 2110 c.c. che della L. n. 604 del 1966, art. 3 rispetto ai quali non assumono rilievo le contestazioni fondate su una presunta eccessiva onerosità delle condizioni del rapporto contrattuale in relazione alla esistenza di un numero elevato di assenze discontinue per malattia.

sabato 16 febbraio 2019

Quando l'imprenditore è esonerato da responsabilità in caso d'infortunio del lavoratore?





Cass. 13-02-2019, n. 4225

la giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che "la condotta del lavoratore può comportare esonero totale dell'imprenditore da ogni responsabilità, quando presenti i caratteri di abnormità" inopinabilità ed esorbitanza, così da porsi come causa esclusiva dell'evento" (cfr., tra le molte, Cass. nn. 19494/2009; 9698/2009). E nella fattispecie, il lavoratore ha posto in essere una condotta esorbitante dai limiti del proprio lavoro, calandosi in una buca nella quale un gruista stava convogliando materiale di risulta, per recuperare una biro (come testualmente affermato nei motivi di ricorso); pertanto, come condivisibilmente concluso dai giudici di Appello, si configura, nella specie, una ipotesi di c.d. rischio elettivo da parte del lavoratore, idoneo ad interrompere la eventuale condotta colposa dell'imprenditore, poichè l'attività posta in essere dal lavoratore stesso esorbita dai limiti dello svolgimento del proprio lavoro (cfr. Cass. n. 21694/2011).

giovedì 14 febbraio 2019

Come sono regolamentati i giudizi diretti a rimuovere i comportamenti discriminatori?

In base all'art. 4 del Dlgs 216 del 2003:

2. I giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 2 sono regolati dall'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. In caso di accertamento di atti o comportamenti discriminatori, come definiti dall'articolo 2 del presente decreto, si applica, altresì, l'articolo 44, comma 11, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

mercoledì 13 febbraio 2019

Qual'è l'ambito di applicazione del Dlgs 216 del 2003 contro le discriminazioni?


Ambito di applicazione.

1. Il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall'articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:

a) accesso all'occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;

b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;

c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

d) affiliazione e attività nell'àmbito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni.

2. La disciplina di cui al presente decreto fa salve tutte le disposizioni vigenti in materia di:

a) condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato;

b) sicurezza e protezione sociale;

c) sicurezza pubblica, tutela dell'ordine pubblico, prevenzione dei reati e tutela della salute;

d) stato civile e prestazioni che ne derivano;

e) forze armate, limitatamente ai fattori di età e di handicap.

3. Nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell'àmbito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima.

3-bis. Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. I datori di lavoro pubblici devono provvedere all'attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

4. Sono fatte salve le disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro nel rispetto di quanto stabilito dai commi 2 e 3.

4-bis. Sono fatte salve le disposizioni che prevedono trattamenti differenziati in ragione dell'età dei lavoratori e in particolare quelle che disciplinano:

a) la definizione di condizioni speciali di accesso all'occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, allo scopo di favorire l'inserimento professionale o di assicurare la protezione degli stessi;

b) la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l'accesso all'occupazione o a taluni vantaggi connessi all'occupazione;

c) la fissazione di un'età massima per l'assunzione, basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione o sulla necessità di un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento .

4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis sono fatte salve purché siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate da finalità legittime, quali giustificati obiettivi della politica del lavoro, del mercato del lavoro e della formazione professionale, qualora i mezzi per il conseguimento di tali finalità siano appropriati e necessari .

5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'àmbito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività.

6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. In particolare, resta ferma la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile.

martedì 12 febbraio 2019

Come definisce le discriminazione il dlgs 216 del 2003?




art. 2. Nozione di discriminazione.


1. Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:

a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;



b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

2. È fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

3. Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.

4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale è considerata una discriminazione ai sensi del comma 1.

lunedì 11 febbraio 2019

Quando la statura può essere un requisito dell'assunzione?

Cass. 04/02/2019, n. 3196

In tema di requisiti per l'assunzione, qualora in una norma secondaria sia prevista una statura minima identica per uomini e donne, in contrasto con il principio di uguaglianza, perché presupponga erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne e comporti una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime, il giudice ordinario ne apprezza, incidentalmente, la legittimità ai fini della disapplicazione, valutando in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni.

venerdì 8 febbraio 2019

Come è disciplinato il riposo settimanale nel ccnl Logistica cgil cisl e uil?


Art. 10 – Riposo settimanale
1. Il riposo settimanale cadrà, di norma, di domenica salvo le eccezioni di legge.
2. Per i lavoratori per i quali è ammesso il lavoro nei giorni di domenica con riposo compensativo in un altro giorno della settimana, la domenica sarà considerata giorno lavorativo, salva l'applicazione delle maggiorazioni per lavoro notturno o straordinario, mentre sarà considerato festivo, a tutti gli effetti, il giorno fissato per il riposo compensativo.
3. In caso di modificazioni dei turni di riposo, il lavoratore sarà preavvisato entro il terzo giorno precedente a quello fissato per il riposo stesso, con diritto, in difetto - per il giorno in cui avrebbe dovuto avere il riposo - ad una maggiorazione del 40%.
4. Per il personale viaggiante che guida veicoli autorizzati a circolare la domenica e/o i giorni festi-vi come previsto dalla vigente legislazione, rientranti nell’ambito di applicazione del Regolamento CE n. 561/2006, il riposo settimanale verrà fruito a norma dell’art. 8 del predetto Regolamento.
L’azienda, nell’ambito della propria organizzazione, farà fruire i riposi settimanali di cui sopra, al di fuori della sede di lavoro o del domicilio/residenza del lavoratore, di norma in maniera non consecutiva. Nella fruizione dei riposi vanno garantite le condizioni di permanenza con requisiti igienico sanitari adeguati.

giovedì 7 febbraio 2019

Possono essere revocati dal fallimento i pagamenti effettuati al lavoratore?

L'art. 67 comma terzo lettera f) della legge fallimentare esclude dalla revocabilità "i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito"

mercoledì 6 febbraio 2019

A quanto ammonta l'assegno sociale nel 2019?



L’importo dell’assegno è pari a 458,00 euro per 13 mensilità. Per il 2019 il limite di reddito è pari a 5.954,00 euro annui e 11.908,00 euro, se il soggetto è coniugato.

Hanno diritto all'assegno in misura intera i soggetti non coniugati che non possiedono alcun reddito e i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare inferiore al totale annuo dell'assegno.

Hanno diritto all'assegno in misura ridotta i soggetti non coniugati che hanno un reddito inferiore all'importo annuo dell'assegno e i soggetti coniugati che hanno un reddito familiare compreso tra l'ammontare annuo dell'assegno e il doppio dell'importo annuo dell'assegno.

L'assegno non è soggetto alle trattenute Irpef


L'assegno viene sospeso se il titolare soggiorna all'estero per più di 30 giorni. Dopo un anno dalla sospensione, la prestazione è revocata. L'assegno sociale è provvisorio e il possesso dei requisiti di reddito e di effettiva residenza sono verificati ogni anno.

Non è reversibile ai familiari superstiti ed è inesportabile, quindi non può essere erogato all'estero. Se il soggiorno all'estero del titolare dura più di 30 giorni, l'assegno verrà sospeso. Dopo un anno dalla sospensione, la prestazione viene revocata


Requisiti 

L'assegno sociale è rivolto ai cittadini italiani, agli stranieri comunitari iscritti all'anagrafe del comune di residenza e ai cittadini extracomunitari/rifugiati/titolari di protezione sussidiaria con permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.


età

67 anni al primo gennaio 2019
residenza

avere soggiornato in via continuativa e legalmente in Italia per 10 anni

martedì 5 febbraio 2019

Il trasferimento del pacchetto azionario costituisce trasferimento d'azienda?


Cass. 31/01/2019, n. 2927

Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., in quanto non determina la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi, ma solo modifica gli assetti azionari interni sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eterodiretta.

lunedì 4 febbraio 2019

Entro che limiti la Cassazione può sindacare la sussistenza della giusta causa di licenziamento operata dal giudice di merito?



Cass. 30-01-2019, n. 2679

Quanto ai rilievi di dedotta violazione, tra gli altri, dell'art. 2119 c.c., l'attività di integrazione del suddetto precetto normativo, (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli "standards", conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. in tali termini, da ultimo, Cass. 26.4.2012 n. 6498, conf. a Cass. 5095/2011, Cass. n. 9266 del 2005, nonchè Cass. 9299/2004): una denunzia di tal genere non è contenuta nel motivo di ricorso, vertendo, piuttosto, la doglianza sulla prospettazione di una diversa ricostruzione e valutazione delle circostanze di fatto emerse in istruttoria, senza che si evidenzino vizi logici o elementi di contraddittorietà aventi carattere di decisività ai fini di una diversa soluzione della controversia, sicchè il motivo di ricorso va disatteso per la sua inidoneità a determinare la necessità di un nuovo esame dei fatti alla luce di criteri logico giuridici, che nella specie risultano già correttamente applicati e posti in maniera coerente a sostegno della decisione oggetto di impugnazione;

sabato 2 febbraio 2019

Come sono disciplinati gli scatti d'anzianità nel ccnl elicotteristi?


Art. 20 – Aumenti periodici di anzianità 
1. Il Pilota ha diritto per tutto il corso della carriera a n. 10 (dieci) aumenti biennali del 5% sulla retribuzione sul livello di appartenenza riferite alle tabelle relative a: - minimo; - contingenza; - indennità di volo; - indennità integrativa di volo. Gli aumenti decorrono dal 1° del mese successivo al compimento del biennio.
 2. In caso di promozione da una qualifica all’altra o da un grado all’altro, il Pilota conserva in cifra gli aumenti di anzianità maturati ed il nuovo scatto sarà commisurato a quello della qualifica o del grado posseduti al momento della maturazione. 
3. Gli attuali scatti maturati saranno congelati come superminimo ad personam non assorbibile. 
4. Il periodo maturato dall’ultimo scatto sarà utile per le erogazioni del nuovo primo scatto