Quando l'appalto è genuino?
il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro "(...) per l'assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa", secondo quanto disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, ultimo periodo;
tale disposizione si discosta dalla corrispondente normativa contenuta nella disciplina codicistica in ragione del fatto che nel testo del D.Lgs. n. 276 del 2003 si presuppone la qualifica di imprenditore per il soggetto appaltatore, diversamente da quanto previsto dall'art. 1655 c.c.;
il rischio d'impresa quale elemento costituivo del contratto di appalto, assorbito nella causa del medesimo, si identifica concretamente nella possibilità di non riuscire a coprire tutti i costi (macchinari, materiali, manodopera impiegata) nell'esecuzione del contratto in relazione al corrispettivo pattuito, in considerazione del sopraggiungere di eventi in grado di far aumentare le spese da sostenere;
come da questa Corte già da tempo affermato (v. Cass. 3 luglio 1979, n. 3754), il rischio o pericolo che l'appaltatore assume nel compimento dell'opera o del servizio non è quello inteso in senso tecnico-giuridico, relativo, cioè, ai casi fortuiti, ma quello cosiddetto economico, che deriva dall'impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi, per cui l'appaltatore, che non ha il potere di interrompere i lavori per l'aumentata onerosità degli stessi, potrà anche perdere nell'affare se i costi si riveleranno superiori al corrispettivo pattuito, salve le modificazioni consentite in presenza di determinate circostanze e realizzabili col rimedio della revisione dei prezzi;
nella specie la Corte territoriale ha correttamente esaminato il rilievo dell'appellante relativo alla predeterminazione del corrispettivo che, a dire dell'impugnante, denotava l'assenza del rischio d'impresa;
al riguardo ha ritenuto infondato il rilievo, atteso che i costi del servizio dipendevano dalle modalità di utilizzazione delle risorse (con ciò significando una variabilità dei costi medesimi in sè indicativa di un rischio di impresa);
ha, inoltre, evidenziato che il contratto prevedeva una polizza fideiussoria e sanzioni per ritardi che potevano ricadere sui costi d'impresa sulla base della maggiore o peggiore capacità organizzativa e di distribuzione e gestione del personale;
la motivazione, ancorchè sintetica, supera certamente la soglia del minimo costituzionale di cui al nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5 nella rigorosa interpretazione datane da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053;
9.1. con il nono motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla falsa applicazione dell'art. 1655 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;
lamenta che la Corte territoriale abbia individuato la gestione dei mezzi di cui parla la norma nella mera gestione amministrativa del personale;
9.2. in motivo è infondato;
il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1 pone l'accento su una specificazione del requisito dell'organizzazione dei mezzi necessari la quale, in presenza di particolari "esigenze dell'opera o del servizio", può essere individuata anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto di appalto;
nella specie la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che in una ipotesi come quella in esame (ove l'appalto, come si evince dalla sentenza impugnata, aveva ad oggetto la gestione e l'assistenza tecnica dei complessi archivi informatici) e, dunque, a bassa intensità organizzativa o anche dematerializzata, gli strumenti e le macchine forniti dall'appaltante non costituiscono i mezzi attraverso i quali il servizio appaltato viene reso, ma piuttosto l'oggetto sul quale l'attività oggetto di appalto si esercita, così che è predominante la mera organizzazione dei propri dipendenti e non risulta invertito il rischio di impresa, che rimane sull'appaltatore ed è ricollegato appunto all'organizzazione, dipendendo la rimuneratività del servizio anche dalla razionalità ed efficienza dell'organizzazione delle prestazioni di lavoro altrui;
la Corte territoriale ha poi specificamente evidenziato che erano i referenti della Rotoclass a decidere l'allocazione delle risorse, il che dimostrava che non si trattava di una mera gestione amministrativa, ma di una effettiva organizzazione e gestione del personale addetto all'appalto;
10.1. con il decimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, per falsa applicazione dell'art. 1655 c.c. anche in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;
rileva che la Corte territoriale avrebbe ritenuto genuino l'appalto in questione pur se questo aveva ad oggetto la mera fornitura di lavoro, sia esso pure organizzato e gestito - e non sarebbe stato questo il caso - dall'appaltatore;
10.2. il motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al nono motivo;