venerdì 31 gennaio 2020

Come è disciplinata la professione giornalistica?


Cass. sez. unite 28-01-2020, n. 1867

1.1.- Osserva che la L. 5 agosto 1981, n. 416, art. 28 come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 76, comma 1, prevede espressamente la possibilità che un giornalista pubblicista svolga attività giornalistica in regime di subordinazione, con il conseguente diritto all'iscrizione all'Istituto previdenziale dei giornalisti; tali disposizioni normative contrastavano con la tesi della nullità dell'attività giornalistica svolta da un giornalista pubblicista.

1.2.- Richiama l'art. 5 del C.N.L.G., il quale elenca espressamente le attività e i ruoli per i quali è imprescindibile la qualifica di giornalista professionista, e quindi l'iscrizione nel relativo albo, argomentando, a contrario, che per quelli non menzionati, come il collaboratore fisso, è sufficiente l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti.

1.3.- Definisce i caratteri tipici dell'attività del collaboratore fisso, desunti dal citato art. 2 del C.N.L.G. del 1959, reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 153 del 1961, i quali sono dati dallo svolgimento di opera giornalistica non quotidiana, ma connotata comunque dalla continuità della prestazione, dal vincolo di dipendenza e dalla responsabilità di un servizio, rimarcando come la previsione contrattuale sia del tutto sovrapponibile a quella prevista dalla L. n. 69 del 1963, art. 1 secondo cui "sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita, anche se esercitano altre professioni o impieghi" e cogliendo la differenza rispetto al giornalista professionista nella "esclusività della prestazione".

1.4.- Sottolinea come lo stesso L. n. 69 del 1963, art. 45 nel precludere l'esercizio della professione giornalistica a chi "non è iscritto all'albo professionale", non distingue i due elenchi da cui lo stesso è composto.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1423, 1424 e 2126 c.c.; della L. n. 69 del 1963, artt. 1 e 33 del D.P.R. 4 febbraio 1965, art. 46, comma 2; degli artt. 112 e 115 c.p.c. 2.1.- La ricorrente rileva l'errore in cui è incorso il giudice d'appello nel fissare al "31/3/2008" (così nel dispositivo della sentenza, mentre nella parte motiva si indica il 31/10/2008, quale data di scadenza dell'ultimo contratto di cessione di diritti di autore) la data di cessazione del rapporto, osservando, in contrario, che al momento del deposito del ricorso (17/4/2008) esso era ancora in corso e nessuna delle parti aveva mai dedotto la sua cessazione. In questo errore era da riscontrarsi la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in mancanza di prove della fine del rapporto, non potendosi a tale scopo valorizzare l'istanza di anticipazione di udienza datata 7/5/2010, che, in quanto volta ad ottenere una sollecita definizione del giudizio, non aveva valore confessorio o di altra prova.

2.2.- Censura quindi la sentenza nella parte in cui non ha attribuito efficacia retroattiva alla sua iscrizione nel registro dei praticanti (1/1/2008, data di decorrenza dell'iscrizione o dall'11/9/2009, data della deliberazione del Consiglio dell'ordine dei giornalisti di Sicilia), o, quanto meno, alla sua iscrizione nell'elenco dei professionisti (13/1/2010), e tanto al fine di escludere la nullità del rapporto.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1.- In linea di fatto, deve permettersi che non sono in discussione in questa sede il carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti e la qualifica di collaboratrice fissa, riconosciuta alla O. dal Tribunale e confermata dalla Corte di appello.

E' stato altresì accertato dal giudice del merito, senza che si apprezzino idonee censure, che la odierna ricorrente ha prestato attività di collaboratrice fissa in via esclusiva: questo dato emerge con chiarezza dalla sentenza impugnata, sia nella parte in cui la Corte riporta i termini della domanda giudiziale della lavoratrice - che ha sostenuto di aver svolto attività di "giornalista professionista subordinata", deducendone l'esclusività (pag. 11) -, sia nella parte in cui la stessa Corte definisce le caratteristiche del rapporto di lavoro inter partes, accertando come sussistenti i requisiti della dipendenza, della continuità e dell'impegno in via esclusiva (pag. 7), nonchè della disponibilità a coprire le esigenze editoriali per un settore specifico, quale quello delle politiche internazionali del lavoro e della formazione.

3.2. - Infine, è pacifico che la O. è stata iscritta nell'albo dei pubblicisti nel 1993, nell'albo dei praticanti giornalisti il giorno 11/9/2009 (con effetto retroattivo dal giorno 1/1/2008) e nell'albo dei giornalisti professionisti con decorrenza dal 13/1/2010.

3.3.- E' pure opportuno chiarire che la questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite concerne esclusivamente la validità del rapporto di lavoro giornalistico tra un editore di giornale e un collaboratore fisso che, pur svolgendo l'attività in via esclusiva, non sia iscritto nell'elenco dei giornalisti professionisti ma in quello dei pubblicisti. Nella controversia in esame, non viene dunque in rilievo la diversa questione dell'opera prestata dal collaboratore fisso in difetto di esclusività professionale, in cui non sembra dubbia la validità del rapporto di lavoro qualora sussista l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti (così anche nella sentenza n. 3177/2019, in motivazione), nè quella, per certi aspetti affine ma esulante dall'oggetto del presente giudizio, dell'attività svolta dal redattore non iscritto nell'elenco dei giornalisti professionisti, e nemmeno quella, più radicale, dell'esercizio di fatto dell'attività di giornalista, professionista o pubblicista, da parte di soggetto non iscritto all'albo (rectius, in alcuno degli elenchi da cui l'albo è formato).

3.4.- Con riguardo a quest'ultima ipotesi, va ricordato che la dottrina e la giurisprudenza dominanti ritengono che il contratto individuale di lavoro sia nullo per violazione di norme imperative (L. n. 69 del 1963, art. 45 che richiama l'art. 348 c.p. sull'esercizio abusivo della professione e l'art. 498 c.p. sull'usurpazione di titoli), ma non è illecito nell'oggetto o nella causa e perciò non è inefficace per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, trovando applicazione l'art. 2126 c.c., comma 1, (v. Cass. 12/11/2007, n. 23472; Cass. 16/02/2006, n. 3399; Cass. 06/02/2006, n. 2476; Cass. 3/1/2005, n. 28; Cass. 23/02/2004, n. 3576; Cass. 21/09/2000, n. 12520; Cass. 27/5/2000 n. 7020; Cass. 1/6/1998 n. 5370; Cass. 4/2/1998 n. 1157; Cass. 20/05/1997, n. 4502; Cass. 6/4/1990 n. 2890; Cass. Sez. Un. 10/04/1979, n. 2029; Cass. 14/1/1976 n. 127; Cass. 5/4/1971, n. 995; principi ripresi di recente da Cass. 8/3/2019, n. 6874).

3.5.- Non può, invece, mai essere dichiarata, in ragione della ritenuta invalidità del rapporto, la prosecuzione del rapporto o la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, non potendosi costringere il datore di lavoro ad attuare un contratto nullo. Sempre quale effetto della nullità, deve escludersi un'efficacia retroattiva dell'iscrizione nell'albo ai fini di rendere valido il rapporto, non conoscendo il nostro ordinamento l'istituto della convalida del negozio nullo (art. 1423 c.c.) (su questo specifico aspetto, Cass. 25/01/2016 n. 1256; Cass. 11/02/2011, n. 3385; Cass. 25/06/2009, n. 14944). L'iscrizione all'Albo disposta dall'ordine professionale con efficacia retroattiva vale nei rapporti tra professionista e Ordine, ma non nei rapporti tra giornalista e terzi, come il datore di lavoro, rispetto ai quali l'ordinamento professionale è res inter alios acta (così Cass. 06/02/2006, n. 2476).

4.- La controversia in esame è sovrapponibile a quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 3177/2019: in questo arresto si è affermato che "l'attività di giornalista svolta da un collaboratore fisso in modo continuativo ed esclusivo a scopo di guadagno... rientra pur sempre nel concetto di professione di giornalista e, in quanto tale, è bisognosa di previa iscrizione nell'elenco dei giornalisti professionisti a pena di nullità del contratto (secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità: v. la già citata Cass. 29 dicembre 2006, n. 27608, nonchè la già citata Cass. n. 23472/2007)".

4.1.- Il presupposto logico-giuridico da cui muove la sentenza è dato dalla L. n. 69 del 1963, art. 45 sia prima sia dopo la modifica introdotta dalla L. n. 198 del 2016.

La norma, nel testo precedente alla riforma, e applicabile ratione temporis anche alla presente controversia, così recita "Nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli artt. 348 e 498 c.p., ove il fatto non costituisca un reato più grave".

4.2.- Nell'esegesi di tale disposizione, la Corte ha valorizzato la locuzione "professione di giornalista" ritenendo che essa identifichi solo l'attività del "giornalista professionista" e ha interpretato l'espressione "albo professionale" come elenco dei giornalisti professionisti, sul presupposto che i pubblicisti "svolgono attività giornalistica non come professione, cioè senza essere caratterizzati nel mercato del lavoro da un determinato status": ne ha tratto la conseguenza che ogni qual volta un collaboratore fisso o un pubblicista svolga l'attività di giornalista in modo esclusivo ("in modo professionale", così la sentenza) è necessaria la sua iscrizione nell'elenco dei giornalisti professionisti, pena la invalidità del contratto di lavoro.

5.- Tale interpretazione non appare convincente, siccome non supportata dalla cornice normativa.

5.1.- La legge non definisce il giornalista, nè la professione di giornalista. Tuttavia, elementi definitori possono trarsi dalle norme della contrattazione collettiva e dalla legge professionale.

L'art. 1 del C.N.L.G. 2009-2013 (rimasto sostanzialmente invariato a partire dal primo contratto nazionale di lavoro giornalistico del 10/1/1959, reso efficace erga omnes con D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153, e avente pertanto valore di legge, seguito dai contratti collettivi del 1/10/1995, 30/9/1999, 1/3/2001, 28/2/2005, 1/4/2009, 31/2/2013) definisce il rapporto di lavoro giornalistico attraverso l'individuazione dei soggetti che ne fanno parte, ossia, da un lato, "gli editori di quotidiani, di periodici, le agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, anche elettronici, l'emittenza radiotelevisiva privata di ambito nazionale e gli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali" e, dall'altro, "i giornalisti che prestano attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza anche se svolgono all'estero la loro attività".

5.2.- La dichiarazione a verbale riportata sotto l'art. 1 del CNLG precisa che le norme del contratto nazionale di lavoro giornalistico costituiscono, nel loro complesso, il trattamento economico e normativo minimo inderogabile per ogni prestazione di lavoro giornalistico subordinato; esse, pertanto, si applicano "ai giornalisti che prestino attività subordinata nei quotidiani, nei periodici, nelle agenzie di stampa, nelle emittenti radiotelevisive e negli uffici stampa di qualsiasi azienda".

5.3.- Sotto il profilo soggettivo, il contratto disciplina l'attività del giornalista, senz'altra aggettivazione o distinzione, purchè la sua attività sia caratterizzata da continuità e subordinazione.

Manca ogni riferimento all'esclusività della prestazione.

Altrettanto genericamente, ossia senza specificare una particolare categoria di giornalista, usa l'espressione "prestazioni professionali dei giornalisti" per disciplinare la relativa attività su piattaforme multimediali.

5.4.- A maggiore precisazione, l'art. 2 del C.N.L.G., che riproduce pressochè letteralmente quanto già disponeva l'art. 2 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico del 1959, dispone che il contratto si applica ai "collaboratori fissi", cioè ai giornalisti addetti ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali, "che non diano opera giornalistica quotidiana purchè sussistano continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio".

5.5.- Da un punto di vista letterale, entrambe le norme parlano di giornalisti e di editori - questi ultimi da intendersi nel senso di soggetti che esercitano un'attività imprenditoriale per la diffusione delle notizie ed il cui fine primario è caratterizzato da un lucro economico (Cass. 8/5/1992, n. 5447) -, sicchè non vi è dubbio che tanto i giornalisti cosiddetti professionisti, ovvero che prestano "attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza", quanto i "collaboratori fissi" - i quali si differenziano dai primi solo perchè ad essi non si richiede la quotidianità della prestazione, - nè, secondo quanto più avanti si chiarirà, la esclusività dell'attività, in difetto di un'espressa previsione in tal senso - rientrano nella stessa categoria dei giornalisti.

L'estensione della "materia del contratto" (art. 1) ad "ogni rapporto di lavoro subordinato di tipo giornalistico" offre ulteriore conferma dell'ammissibilità di un rapporto di lavoro subordinato tra un editore e un giornalista non caratterizzato dalla quotidianità della prestazione.

5.6.- In tali sensi, e con specifico riguardo ai collaboratori fissi, si è più volte espressa la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico non quotidiano del collaboratore fisso, a condizione che sussistano i requisiti di cui all'art. 2 del c.c.n.l. di categoria del 1959, consistenti "nella continuità della prestazione, intesa come svolgimento di un'attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze formative e informative di uno specifico settore, nella responsabilità di un servizio, che implica la sistematica redazione di articoli su specifici argomenti o rubriche; nel vincolo di dipendenza, per effetto del quale l'impegno del collaboratore di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro permane anche negli intervalli fra una prestazione e l'altra" (Cass. 17/06/1997, n. 5432; Cass.27/6/1990, n. 6512; più di recente, Cass. 13/11/2018, n. 29182; Cass. 20/05/2014, n. 11065).

6.- Nella medesima direzione si muove la L. 3 febbraio 1963, n. 69, intitolata "Ordinamento della professione di giornalista".

6.1.- Anche la legge non dà una definizione di giornalista o di attività giornalistica.

L'art. 1, rubricato "Ordine dei giornalisti", dopo aver istituto l'Ordine dei giornalisti ("E' istituito l'Ordine dei giornalisti": comma 1), prevede che "ad esso appartengono i giornalisti professionisti e i pubblicisti, iscritti nei rispettivi elenchi dell'albo" (comma 2).

La norma qualifica i giornalisti "professionisti" come "coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista" (comma 3) e i "pubblicistici" come "coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi" (comma 4).

6.2.- Nell'elencare i diritti e i doveri dei giornalisti (art. 2), si rivolge genericamente ai "giornalisti"; nel regolare l'elezione dei consigli dell'ordine prevede che la convocazione dell'assemblea sia effettuata a tutti gli iscritti, esclusi i sospesi "dall'esercizio della professione" (art. 4); tra i poteri attribuiti al Consiglio vi è quello di curare l'osservanza della "legge professionale", vigilare per la tutela del titolo di "giornalista" e per reprimere l'esercizio abusivo della "professione" (art. 11); tra i compiti del Consiglio nazionale, di cui fanno parte giornalisti professionisti e pubblicisti, c'è quello di dare parere, quando ne sia richiesto dal Ministro per la giustizia, sui progetti di legge e di regolamento che riguardano la "professione di giornalista" e promuovere le attività intese al "perfezionamento professionale" (art. 20); l'albo professionale è unico, ripartito in due elenchi (quello dei professionisti e quello dei pubblicisti: art. 26) e l'anzianità è data "dalla data di iscrizione nell'albo", senza distinzione tra i due elenchi (art. 27); a ciascun "iscritto nell'albo" è rilasciata la tessera (art. 27).

6.3.- L'esame di queste disposizioni rivela un uso generico del termine "giornalista" (spesso, semplicemente, "iscritti"), indubbiamente comprensivo tanto del giornalista professionista quanto del pubblicista, ed un uso polisemico della parola "professione" o "professionale", che viene adoperato a volte per indicare solo il "giornalista professionista" (art. 26, comma 2) a volte, in senso lato, per indicare l'attività del giornalista, sia esso giornalista professionista o pubblicista, caratterizzata da continuatività e scopo di guadagno.

La distinzione tra giornalista professionista e pubblicista torna a riemergere solo quando, per particolari ragioni (come la composizione dei consigli dell'ordine o del consiglio nazionale: art. 3, o l'attribuzione di particolari cariche: art. 19), viene in rilievo il diverso profilo professionale.

6.4.- Ciò consente di affermare, alla luce di un'interpretazione letterale e sistematica, che la L. n. 63 del 1969, nella parte in cui include il giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e doveri disciplinari, mostra di considerare unitariamente la "professione di giornalista", da intendersi come quell'attività "di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione (per tutte, Cass. 1/2/2016, n. 1853, e Cass. 29/08/2011, n. 17723; Cass. 21/2/1992, n. 2166).

6.5.- In tal senso depone anche la L. 5 agosto 1981, n. 416 (Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria, come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388), che attribuisce all'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani "Giovanni Amendola" (INPGI) la gestione, in regime di sostitutività, delle forme di previdenza obbligatoria nei confronti dei giornalisti professionisti e praticanti e provvede, altresì, ad analoga gestione "anche in favore dei giornalisti pubblicisti di cui alla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 1, commi 2 e 4, titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica" (art. 38).

Il richiamo, da parte della ricorrente, di questa norma solo nel giudizio di cassazione deve ritenersi consentito - e non è pertanto affetto da inammissibilità, come invece sostiene la difesa della controricorrente - in quanto mero argomento difensivo posto a sostegno di una tesi giuridica che non postula alcun accertamento di merito (cfr. Cass. 12/06/2018, n. 15196; Cass. 16/11/2000, n. 14848).

7.- Può dunque pervenirsi ad una ulteriore conclusione.

I pubblicisti, al pari dei giornalisti professionisti, sono anch'essi professionisti, nel senso su indicato, e si distinguono primariamente per il fatto che il pubblicista può esercitare "altre professioni o impieghi" (significativo è l'uso parte del legislatore dell'aggettivo altre), a differenza del giornalista professionista la cui attività professione si caratterizza per l'esclusività del suo esercizio.

7.1.- Nè vale in contrario l'argomento, pure speso nella sentenza di questa Corte n. 23472/2007 e ripreso da Cass. n. 3177/2019, secondo cui è il regime giuridico stesso dei pubblicisti (e in particolare le modalità di iscrizione nel relativo elenco, come indicate nella L. n. 69 del 1963, art. 35), siccome diverso da quello dei professionisti, ad escludere la natura professionale della loro attività, in quanto non sarebbe possibile alcun controllo sul livello qualitativo degli scritti e la loro iscrizione nel relativo elenco non avrebbe funzione di garanzia del buon livello della stampa.

7.2.- Come si è su evidenziato, non vi sono elementi da cui desumere che il legislatore o le parti stipulanti del contratto collettivo abbiano voluto attribuire lo status di giornalista solo al cosiddetto giornalista professionista e negarlo al pubblicista.

Per il legislatore non vi è una differenza ontologica tra le due attività, come dimostra che il fatto che entrambi sono sottoposti ai medesimi diritti e doveri (L. n. 63 del 1969, art. 2 ): si è piuttosto al cospetto di un diverso grado di professionalità, al pari di quello che può riscontrarsi tra le varie qualifiche contrattuali previste dalla contrattazione collettiva in un certo settore, segnato dall'entità dell'impegno profuso a beneficio dell'attività giornalistica e che giustifica la formazione dei due diversi elenchi nonchè, a monte, il diverso iter da seguire per la iscrizione nell'albo (L. n. 63 del 1969, art. 32 per il giornalista professionista e art. 35 per il pubblicista).

7.3.- La conferma che si tratta di due diverse species di una stessa categoria (rectius: professione) può trarsi dalla L. n. 63 del 1969, art. 40 nella parte in cui prevede la cancellazione del giornalista dall'elenco dei professionisti quando venga a mancare il requisito dell'esclusività professionale e, contestualmente, la possibilità, per lo stesso giornalista, di trasferirsi nell'elenco dei pubblicisti, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 35 e ne faccia domanda.

E ancora, lo stesso contratto nazionale di lavoro giornalistico (art. 36 C.N. L.G.) prevede la possibilità che i pubblicisti esercitino attività giornalistica in via esclusiva, trovando in tal caso applicazione il trattamento economico e normativo previsto per i giornalisti professionisti, con ciò confermandosi che non si è in presenza di attività eterogenee e inconciliabili e, simmetricamente, dovendosi escludere che l'attività del pubblicista sia fuori dal concetto di professione.

7.4.- La diversa e restrittiva interpretazione offerta dalle sentenze su richiamate non trova giustificazione neppure nel linguaggio giuridico, ove si consideri che il concetto di professionalità, adoperato per esempio nell'art. 2082 c.c. per definire l'imprenditore, è pacificamente inteso nel senso di attività commerciale svolta in modo sistematico e abituale, mentre non si richiede che l'attività medesima sia esclusiva, e neppure che sia preminente rispetto alle altre (Cass. 17/03/1997, n. 2321; Cass. 3/12/1981, n. 6395; Cass. 06/04/2017, n. 8982). Principi che valgono anche per le professioni intellettuali, per la legittimità del cui esercizio non è richiesto il carattere dell'esclusività, salvo che ciò non sia espressamente richiesto dal singolo ordinamento professionale.

7.5.- In definitiva, tanto per la contrattazione collettiva quanto per la legge ordinamentale, la professione del giornalista è caratterizzata dalla continuatività, da intendersi come sistematicità e abitualità della prestazione, in antitesi alla sporadicità e saltuarietà, nonchè dalla onerosità, senza che rilevi l'esclusività o la prevalenza della stessa rispetto ad altre professioni o impieghi.

8.- Questi approdi interpretativi si pongono in linea di continuità con la giurisprudenza della Corte costituzionale.

Con la sentenza 10 luglio 1968, n. 98 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 63 del 1969, art. 46 nella parte in cui prevedeva che la carica di direttore e di vice direttore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa di cui all'art. 34, comma 1 ("agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno quattro giornalisti redattori ordinari, o presso un periodico diffusione nazionale e con almeno sei giornalisti professionisti redattori ordinari") dovesse essere svolta solo da un giornalista iscritto nell'elenco dei giornalisti professionisti.

8.1.- Il Giudice delle leggi (richiamando il suo precedente n. 11 del 23 marzo 1968) ha affermato che la funzione dell'Ordine dei giornalisti è quella di garantire il rispetto della personalità e della libertà dei giornalisti e di assicurare "la vigilanza sulla rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che possano comprometterla".

Ha quindi ritenuto che l'obbligo imposto dall'art. 46 della legge - nella parte in cui prescrive che direttore e vicedirettore responsabili siano iscritti all'albo - risulta legittimo perchè rafforza quella libertà di manifestazione del pensiero che è principio dell'ordinamento democratico e come tale viene tutelata dall'art. 21 Cost.: "Ed infatti la funzione dell'Ordine... risulterebbe frustrata ove proprio i poteri direttivi di un quotidiano, di un periodico o di un'agenzia potessero essere assunti da un soggetto... che per il fatto di non essere iscritto nell'albo non possa essere chiamato a rispondere di fronte all'Ordine per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui dipendono".

8.2.- Queste ragioni - ha aggiunto la Corte - "appaiono soddisfatte dall'iscrizione del direttore e del vicedirettore nell'albo, indipendentemente dal fatto che si tratti di professionisti o di pubblicisti: nell'uno e nell'altro caso, infatti, si rende possibile la vigilanza dell'Ordine, nella quale, secondo quanto si è detto, si deve ravvisare il solo fondamento di legittimità di quell'obbligo. Aggiungere - come fa l'art. 46, comma 1 per i quotidiani, per i periodici e le agenzie di stampa di cui all'art. 34 - l'ulteriore vincolo di scelta del direttore e del vicedirettore responsabile fra gli iscritti nell'elenco dei professionisti significa aggravare il limite posto alla libertà garantita dall'art. 21 Cost., e ciò senza un'adeguata giustificazione costituzionale. Ed invero, escluso che l'attività direzionale sia in qualche modo obiettivamente incompatibile con la circostanza che il pubblicista non esercita il giornalismo in modo esclusivo (tanto è vero che, secondo quanto dispone il capoverso dello stesso art. 46, egli può assumere la direzione o la vicedirezione responsabile dei periodici e delle agenzie diversi da quelli considerati nel comma 1), si può anche convenire sulla opportunità che, ove si tratti di quotidiani o di periodici ed agenzie di particolare importanza, le funzioni direttive vengano affidate a chi sia dedito esclusivamente al giornalismo e possegga i particolari requisiti che si esigono per l'iscrizione nell'elenco dei professionisti: ma è certo che non ci si trova qui in presenza di un pubblico interesse nè, a maggior ragione, di un interesse generale di grado tale da giustificare l'intervento della legge, la quale, quando si tratti di disciplinare l'esercizio di una libertà fondamentale, non può porre limitazioni che, come quella in esame, non siano in funzione della tutela di interessi direttamente rilevanti sul piano costituzionale (cfr. sentenza n. 11 del 1968). Per questa parte, dunque, l'art. 46, comma 1 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo".

8.3.- Nella sentenza sono fondamentali due passaggi: l'iscrizione all'albo è di per sè garanzia di qualità dell'informazione e di tutela degli interessi preminenti legati alla libertà di manifestazione del pensiero, perchè consente all'ordine professionale di esercitare il suo controllo preventivo e sanzionatorio; il pubblicista, proprio perchè iscritto all'albo, offre le stesse garanzie di professionalità ed efficienza del giornalista professionista, differenziandosi da questo unicamente in ragione della non esclusività della sua prestazione.

Ogni ulteriore limite posto dalla legge con riguardo all'attribuzione della carica di direttore o vicedirettore responsabile di quotidiani, periodici e agenzie di stampa introdurrebbe un vulnus alla libertà di stampa non altrimenti giustificabile.

8.4.- L'orientamento giurisprudenziale segnato da Cass. n. 23472/2007, cit., nella parte in cui attribuisce lo status di giornalista solo al giornalista professionista e svaluta la funzione dell'iscrizione del pubblicista nel relativo elenco (v. supra p. 7.1), non appare in linea con i principi affermati dalla Corte costituzionale.

9.- Si innesta in questo quadro la diversa problematica riguardante i requisiti richiesti dalla contrattazione collettiva per l'attribuzione di particolari qualifiche e mansioni: si tratta di scelte autonome e discrezionali delle parti stipulanti volte a valorizzare specifiche esperienze o un particolare percorso formativo ritenuti necessari per lo svolgimento di particolari mansioni.

9.1. - Vengono in rilievo le figure del redattore e del collaboratore fisso.

L'art. 5 del CNLG prevede l'attribuzione della qualifica di redattore ai giornalisti professionisti impegnati a) nelle direzioni e nelle redazioni; b) come corrispondenti negli uffici di corrispondenza da Roma, dalle capitali estere e da New York; c) come inviati; d) come titolari degli uffici di corrispondenza di testate che dedichino normalmente un'intera pagina alla locale cronaca cittadina, nonchè ad ogni giornalista professionista che faccia parte di una redazione decentrata e così pure al giornalista professionista corrispondente da capoluoghi di provincia al quale sia richiesto di fornire in modo continuativo, oltre a notizie di cronaca locale, notizie italiane o estere di carattere generale da lui elaborate.

9.2.- La figura del collaboratore fisso è invece delineata dall'art. 2 del C.N. L.G.: è anch'egli un giornalista, ma non è richiesta la qualifica di giornalista professionista; la sua prestazione si caratterizza per l'assenza della quotidianità, dell'obbligo di presenza giornaliera nonchè dell'osservanza di un orario di lavoro. Non di meno, anche il collaboratore è un lavoratore subordinato quando siano riscontrabili nello svolgimento del rapporto di lavoro i requisiti del vincolo di dipendenza, della responsabilità di un servizio e della continuità della prestazione, da intendersi come disponibilità continuativa a rendere la prestazione o le prestazioni richieste.

9.3.- Le differenze già tracciate dalla contrattazione collettiva sono state poi ulteriormente delineate dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 21/10/2015, n. 21424, richiamata da Cass. n. 3177/2019; cui adde Cass. 13/11/2018, n. 29182).

Al redattore è richiesta una quotidianità dell'impegno e un inserimento concreto ed effettivo nell'organizzazione necessaria per la compilazione del giornale, vale a dire in quella apposita struttura costituita dalla redazione (Cass. 6/5/2015 n. 9119; Cass. 7/10/2013, n. 22785; Cass. 8/2/2011, n. 3037; Cass. 5/6/2009, n. 14913; Cass. 28/8/2003, n. 12252; Cass. 21/10/2000, n. 13945).

Egli è direttamente coinvolto nella cosiddetta "cucina redazionale", partecipa alle riunioni di redazione, al "disegno" e all'impaginazione, alla scelta dei titoli, attraverso una stretta coordinazione con quella degli altri redattori (Cass. 13/11/2018, n. 29182, ed ivi ulteriori richiami).

9.4.- Diversamente, il collaboratore fisso assicura una semplice continuità dell'apporto, limitato di regola ad offrire servizi inerenti ad un settore informativo specifico di competenza (ancora Cass. n. 29182/2018 cit.); non è richiesta la quotidianità, nel senso che non è tenuto a garantire la sua presenza giornaliera in redazione, nè a partecipare alla "cucina" redazionale, nè a rispettare un rigido orario di lavoro, sia pur nell'imprescindibile rispetto dei tempi di lavorazione del giornale e rimanendo a disposizione dell'azienda anche negli intervalli tra più prestazioni.

9.5.- L'idea di fondo che tra le due figure vi sia una differenza non meramente quantitativa - segnata solo dalla quotidianità della prestazione - ma anche qualitativa, in ragione del maggior apporto professionale richiesto al redattore rispetto al collaboratore fisso, è alla base di alcune pronunce di questa Corte che, pur muovendo dalla constatazione dell'esistenza di elementi comuni caratterizzanti le due figure professionali, ha comunque ravvisato un rapporto di sovraordinazione dell'una rispetto all'altra, con la conseguenza che "ben può il giudice di merito, al quale sia stato richiesto in giudizio il riconoscimento della qualifica di redattore, prendere in esame le concrete modalità di esercizio dell'attività lavorativa, così come dedotte dallo stesso lavoratore e risultanti acquisite al giudizio in esito a regolare contraddittorio, al fine del riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso, senza che sia perciò configurabile una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, giacchè, in tal caso, il giudice, sulla base degli stessi fatti oggettivi dedotti dal lavoratore, si limita, nell'ambito del principio jura novit curia, ad individuare l'esatta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro in contestazione (Cass. 09/06/2000, n. 7931; Cass. 17/04/1990, n. 3168).

9.6.- In questa differenziazione di ruoli all'interno dell'azienda editoriale, in cui il redattore fornisce un contributo di maggiore esperienza e professionalità, si giustifica la scelta della contrattazione collettiva di attribuire la relativa qualifica solo al giornalista professionista (art. 5) e di richiederne l'utilizzazione nell'ambito di determinate posizioni.

Sempre in ragione del diverso e maggior apporto professionale del giornalista redattore, si giustifica pure la scelta del legislatore di richiedere lo svolgimento di un periodo di praticantato e il superamento di una prova di idoneità professionale, non prevista invece per il pubblicista.

E anche l'esclusività della prestazione, tipica del giornalista professionista - al quale soltanto, come si è detto, può essere attribuita la qualifica di redattore secondo la contrattazione collettiva - trova la sua ratio nell'esigenza di imporre al giornalista con maggiore professionalità di impiegare le sue energie lavorative nell'ambito della sola attività giornalistica.

9.7.- Queste ragioni non sono invece ravvisabili nell'attività del collaboratore fisso, al quale non solo non è richiesta la quotidianità della prestazione ma nemmeno la esclusività del lavoro giornalistico rispetto ad altre professioni o impieghi, in difetto di un'espressa previsione normativa in tal senso.

Le caratteristiche del collaboratore fisso sono solo quelle delineate dall'art. 2 C.N. L.G. (continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio) ed esse appaiono del tutto compatibili con quelle descritte dalla L. n. 69 del 1963, art. 1 (attività giornalistica non occasionale e retribuita, e non necessariamente esclusiva, potendo il pubblicista esercitare anche altre professioni o impieghi). E come il pubblicista "può, ma, evidentemente, non deve svolgere altra attività professionale" (secondo quanto affermato da autorevole dottrina), altrettanto il collaboratore fisso può ma non deve essere occupato in altri impieghi o professioni, non essendo la mancanza di esclusività (l'unico) elemento qualificante della sua prestazione.

9.8.- Appare così frutto di un salto logico l'opzione interpretativa secondo cui, ove il collaboratore fisso svolga, per ragioni meramente accidentali ed esterne alla tipologia del rapporto di lavoro, attività giornalistica in via esclusiva, egli diventi per così dire "di fatto" giornalista professionista, con la conseguente necessità della sua iscrizione nel relativo elenco.

10.- Queste considerazioni consentono di pervenire alla soluzione della controversia.

La L. n. 63 del 1969, art. 45 nel testo originario, sotto la rubrica "Esercizio della professione", così dispone: "Nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale. La violazione di tale disposizione è punita a norma degli artt. 348 e 498 c.p., ove il fatto non costituisca un reato più grave".

L'art. 26 cit. legge, con la rubrica "Albo: istituzione" prevede l'istituzione, presso ogni consiglio dell'ordine regionale o interregionale, dell'"albo dei giornalisti" che hanno la residenza nel territorio compreso nella circoscrizione del consiglio. Il comma 2 dispone: "L'albo è ripartito in due elenchi, l'uno dei professionisti l'altro dei pubblicisti".

L'albo è evidentemente unico (cfr. artt. 27 e ss.) e l'art. 45, nella parte in cui impone l'iscrizione all'albo, non distingue tra i due diversi elenchi; anche la locuzione "professione di giornalista", per le ragioni suesposte, non autorizza una sua interpretazione limitata all'attività svolta dal giornalista professionista.

Come è stato osservato anche in dottrina, l'iscrizione nell'elenco dei giornalisti professionisti o quelli dei giornalisti pubblicisti non è costitutiva di uno status in senso proprio, bensì di una posizione all'interno dell'ordine che implica per il giornalista professionista di operare in regime di esclusiva, ossia di non svolgere contemporaneamente altra attività professionale o altri impieghi, e per il giornalista pubblicista di operare in modo non occasionale e retribuito, anche se in concomitanza con lo svolgimento di altre professioni o impieghi.

10.1.- A fronte di questa finalità, lo svolgimento di altre attività può esserci o può non esserci senza che per ciò stesso il pubblicista mantenga o perda la sua fisionomia.

Conseguentemente, l'attività del pubblicista iscritto nel relativo elenco, anche qualora egli non svolga altre attività, non assume carattere abusivo ai sensi dell'art. 45 Legge Professionale, perchè la regola è pienamente soddisfatta dall'iscrizione all'albo.

Una diversa e più restrittiva interpretazione non risulterebbe coerente con i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze su richiamate e limiterebbe in modo ingiustificato l'esercizio di un'attività costituzionalmente protetta, creando un'ipotesi di nullità del rapporto di lavoro non sorretta dal dato normativo.

10.2.- Il recente intervento del legislatore, con la L. n. 198 del 2016, si pone in linea di continuità e coerenza con questo orientamento. L'art. 5 L. cit. ha disposto la sostituzione dell'art. 45, che attualmente così dispone: "Art. 45. (Esercizio della professione). - 1. Nessuno può assumere il titolo nè esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente. La violazione della disposizione del primo periodo è punita a norma degli artt. 348 e 498 c.p., ove il fatto non costituisca un reato più grave".

10.3.- La nuova formulazione della norma supera i dubbi interpretativi derivanti dalla espressione "professione di giornalista", che oggi indubbiamente connota l'attività tanto del giornalista professionista tanto del pubblicista, e consente altresì di predicare la legittimità dell'attività del pubblicista che sia iscritto nel relativo elenco.

11.- Dall'assimilabilità su evidenziata del collaboratore fisso al pubblicista discende l'enunciazione del seguente principio di diritto: "In tema di rapporto di lavoro giornalistico, l'attività del collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio rientra nel concetto di "professione giornalistica". Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione necessaria e sufficiente la iscrizione del collaboratore fisso nell'albo dei giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti: conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma imperativa contenuta nella L. n. 69 del 1963, art. 45 il contratto di lavoro subordinato del collaboratore fisso, iscritto nell'elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga l'attività giornalistica in modo esclusivo".



12.- L'accoglimento del primo motivo, con la cassazione della sentenza, assorbe la questione posta nel secondo motivo, dovendo l'intera controversia, anche in ordine alla cessazione del rapporto, essere riesaminata dal giudice del rinvio alla luce dei principi di diritto su enunciati. Al giudice del rinvio spetterà regolare le spese del giudizio di legittimità.

giovedì 30 gennaio 2020

L'Inps ammette la frazionabilità dei permessi giornalieri dell'art. 33 comma 3 legge 104 del 1992?



Messaggio: 15995  del 2007 frazionabilità dei permessi giornalieri di cui al comma 3 della legge 104/92 – modifica criteri - 

Al fine di fornire una soluzione unitaria al problema della frazionabilità dei permessi lavorativi dei familiari di portatori di handicap grave, data la diversa soluzione interpretativa adottata dagli enti previdenziali, Inps e Inpdap, con proprie circolari (Inps n.211/1996 e Inpdap n.34/2000), il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, con propria circolare, ha ammesso la possibilità di fruire dei tre giorni di permesso di cui al comma 3 della legge 104/1992, anche frazionandoli in permessi orari.


Tale frazionamento, comunque, non potrà portare al superamento delle 18 ore mensili.


Ciò premesso, con decorrenza immediata, le sedi dovranno uniformarsi all’orientamento interpretativo Ministeriale sopra esposto.

mercoledì 29 gennaio 2020

A quanto ammonta la prescrizione dei crediti previdenziali?





Cass. 27/01/2020, n. 1824




La durata della prescrizione dei crediti previdenziali iscritti a ruolo è quinquennale e non già decennale. In assenza di un titolo giudiziale definitivo, che accerti con valore di giudicato l'esistenza del credito e produca la rideterminazione in dieci anni della durata del termine prescrizionale ex art. 2953 c.c., continua a trovare applicazione la disciplina della prescrizione prevista dall'art. 3 della legge n. 335 del 1995, che assoggetta i crediti di cui trattasi al regime prescrizionale quinquennale.

martedì 28 gennaio 2020

Quando è riconosciuto il permesso ex art. 33 l. 1992 n. 104?


In tema di lavoro, il permesso di cui all'art. 33 della L. 5 febbraio 1992 n. 104 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l'abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.

lunedì 27 gennaio 2020

Quale processo logico giuridico deve essere seguito per determinare il corretto inquadramento del lavoratore?

Cass. 23/01/2020, n. 1556


Il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone, di tre fasi: l'accertamento in fatto dell'attività lavorativa svolta in concreto; l'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi.

venerdì 24 gennaio 2020

Per l'azione di responsabilità contro il dirigente direttore generale quale sezione del Tribunale è competente?

Cass. 13/01/2020, n. 345

Qualora la responsabilità del direttore generale di una società per azioni sia stata prospettata sotto il profilo delle inadempienze poste in essere nello svolgimento delle sue mansioni, ossia nell'ambito del rapporto di lavoro, l'azione, dovendosi effettuare una valutazione alla stregua della domanda e dei fatti costitutivi come in essa allegati, non va proposta alla sezione specializzata del Tribunale delle Imprese, di cui al D.Lgs. n. 168 del 2003, ma al giudice del lavoro, attesa l'espressa salvezza stabilita dall'art. 2396 c.c.

giovedì 23 gennaio 2020


Come si realizza il mobbing?


Cass. 20/01/2020, n. 1109

In tema di lavoro subordinato, per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti, se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

mercoledì 22 gennaio 2020

Come vanno individuati i lavoratori da licenziare all'interno dell'unità produttiva nelle procedure di licenziamento collettivo e/o mobilità?

Cass. 17/01/2020, n. 981

In tema di lavoro subordinato, la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità è condizionata dagli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, nel senso, cioè, che, ove non emerga il carattere infungibile dei lavoratori collocati in CIGS o comunque in difetto di situazioni particolari evidenziate sempre in sede di esame congiunto, la scelta deve interessare i lavoratori addetti all'intero complesso.

martedì 21 gennaio 2020


L'applicabilità dell'art. 18 della legge 300 del 1970 è preclusa in caso di venir meno del rapporto associativo?

Cass. 15/01/2020, n. 707

In tema di società cooperativa di produzione e lavoro l'art. 2 della L. n. 142 del 2001, esclude l'applicazione dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori nell'ipotesi ove, con il rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo, sicché l'accertata illegittimità della delibera di esclusione del socio, con conseguente ripristino del rapporto associativo, determina l'applicabilità della tutela di cui all'art. 18 nel testo vigente all'epoca del licenziamento.

giovedì 16 gennaio 2020

Da quando decorre il reclamo del rito Fornero?

Cass. 23/12/2019, n. 34366


Il termine di trenta giorni per il reclamo di cui all'art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell'art. 133, comma 2, c.p.c., nella parte in cui stabilisce che "la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 c.p.c", in quanto attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria

Quale è il termine di prescrizione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali?

Cass. 13/01/2020, n. 401


L'art. 2948 c.c. presuppone la liquidità ed esigibilità del credito, perché solo in tal caso il credito stesso si può considerare pagabile periodicamente e non è sufficiente, a questo fine, che tale sia soltanto in astratto, in base cioè alla disciplina legale applicabile nel momento in cui esso è sorto. Di talché, alle componenti essenziali di ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che presuppone la liquidità del credito, da intendere, non secondo la nozione comune ma secondo il disposto dell'art. 129, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell'Istituto le rate di pensione "non riscosse". Il diritto di credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed interessi, costituente parte integrante del credito base) che non sia stata posta in riscossione si prescrive, dunque, nel termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli effetti del citato art. 129. In definitiva, in relazione ai ratei di prestazioni assistenziali o previdenziali, occorre considerare, al fine della verifica del termine di prescrizione in concreto applicabile, se il credito sia o meno liquido, ossia se vi sia stata o meno messa a disposizione dell'avente diritto delle relative somme.

mercoledì 15 gennaio 2020

Quando un avvocato deve iscriversi all'Inps?

Cass. Lavoro Ord., 10/01/2020, n. 318


In materia di previdenza, gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attività libero professionale priva del carattere dell'abitualità, non hanno(secondo la disciplina vigente ratione temporis antecedente l'introduzione dell'automatismo della iscrizione) l'obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all'albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l'INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui è funzionale la disposizione di cui all'art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, secondo cui l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale.

martedì 14 gennaio 2020

Come vanno versate le ritenute dei lavoratori negli appalti?


In forza dell'art. 4 del DL 26/10/2019, n. 124 come modificato dalla legge di conversione 19 dicembre 2019, n. 157. è stato introdotto l'art. 17 bis del DLGS 241 del 1997:


Art. 4. Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera 

1. Al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, dopo l'articolo 17 è inserito il seguente:

“Art. 17-bis (Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera). - 1. In deroga alla disposizione di cui all'articolo 17, comma 1, i soggetti di cui all'articolo 23, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, residenti ai fini delle imposte dirette nello Stato, ai sensi degli articoli 2, comma 2, 5, comma 3, lettera d), e 73, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 a un'impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma, sono tenuti a richiedere all'impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute di cui agli articoli 23 e 24 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, 50, comma 4, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e 1, comma 5, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, trattenute dall'impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell'esecuzione dell'opera o del servizio. Il versamento delle ritenute di cui al periodo precedente è effettuato dall'impresa appaltatrice o affidataria e dall'impresa subappaltatrice, con distinte deleghe per ciascun committente, senza possibilità di compensazione.
2. Al fine di consentire al committente il riscontro dell'ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese, entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento di cui all'articolo 18, comma 1, l'impresa appaltatrice o affidataria e le imprese subappaltatrici trasmettono al committente e, per le imprese subappaltatrici, anche all'impresa appaltatrice le deleghe di cui al comma 1 del presente articolo e un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell'esecuzione di opere o servizi affidati dal committente, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell'opera o del servizio affidato, l'ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione e il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.
3. Nel caso in cui alla data di cui al comma 2 sia maturato il diritto a ricevere corrispettivi dall'impresa appaltatrice o affidataria e questa o le imprese subappaltatrici non abbiano ottemperato all'obbligo di trasmettere al committente le deleghe di pagamento e le informazioni relative ai lavoratori impiegati di cui al medesimo comma 2 ovvero risulti l'omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, il committente deve sospendere, finché perdura l'inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20 per cento del valore complessivo dell'opera o del servizio ovvero per un importo pari all'ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, dandone comunicazione entro novanta giorni all'ufficio dell'Agenzia delle entrate territorialmente competente nei suoi confronti. In tali casi, è preclusa all'impresa appaltatrice o affidataria ogni azione esecutiva finalizzata al soddisfacimento del credito il cui pagamento è stato sospeso, fino a quando non sia stato eseguito il versamento delle ritenute.
4. In caso di inottemperanza agli obblighi previsti dai commi 1 e 3, il committente è obbligato al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata all'impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la violazione degli obblighi di corretta determinazione delle ritenute e di corretta esecuzione delle stesse, nonché di tempestivo versamento, senza possibilità di compensazione.
5. Gli obblighi previsti dal presente articolo non trovano applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici di cui al comma 1 comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, la sussistenza, nell'ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista dal comma 2, dei seguenti requisiti:
a) risultino in attività da almeno tre anni, siano in regola con gli obblighi dichiarativi e abbiano eseguito nel corso dei periodi d'imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell'ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell'ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
b) non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.
6. A decorrere dalla data di applicazione della presente disposizione, la certificazione di cui al comma 5 è messa a disposizione delle singole imprese dall'Agenzia delle entrate e ha validità di quattro mesi dalla data del rilascio.
7. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate possono essere disciplinate ulteriori modalità di trasmissione telematica delle informazioni previste dal comma 2 che consentano modalità semplificate di riscontro dei dati di cui allo stesso comma.
8. In deroga alla disposizione di cui all'articolo 17, comma 1, per le imprese appaltatrici o affidatarie e per le imprese subappaltatrici di cui al comma 1 del presente articolo è esclusa la facoltà di avvalersi dell'istituto della compensazione quale modalità di estinzione delle obbligazioni relative a contributi previdenziali e assistenziali e premi assicurativi obbligatori, maturati in relazione ai dipendenti di cui al medesimo comma 1. Detta esclusione opera con riguardo a tutti i contributi previdenziali e assistenziali e ai premi assicurativi maturati, nel corso della durata del contratto, sulle retribuzioni erogate al personale direttamente impiegato nell'esecuzione delle opere o dei servizi affidati. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai soggetti di cui al comma 5”.


2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2020.


3. All'articolo 17, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dopo la lettera a-quater) è inserita la seguente:
“a-quinquies) alle prestazioni di servizi, diverse da quelle di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma. La disposizione del precedente periodo non si applica alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all'articolo 11-ter e alle agenzie per il lavoro disciplinate dal capo I del titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.


4. L'efficacia della disposizione di cui al comma 3 è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell'Unione europea, dell'autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.





lunedì 13 gennaio 2020

Nell'accesso alle prestazioni previdenziali come devono essere valutate le domande?





Cass. Lavoro Ord., 07/01/2020, n. 74




In tema di prestazioni previdenziali ed assistenziali, al fine di integrare il requisito della previa presentazione della domanda non è necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall'INPS o l'uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinché la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente. Ne consegue che non costituisce requisito imprescindibile della domanda amministrativa barrare la casella che, nel modulo, individua le condizioni sanitarie la cui sussistenza è necessaria per il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento, non potendo l'istituto previdenziale introdurre nuove cause di improcedibilità ovvero di improponibilità in materia che deve ritenersi coperta da riserva di legge assoluta ex art. 111 Cost.

sabato 11 gennaio 2020

Entro quale limite si può esercitare il diritto di critica del dipendente?



Cass. 07/01/2020, n. 113




In tema di rapporto di lavoro subordinato, l'esercizio del diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è legittimo se limitato a difendere la propria posizione soggettiva, nel rispetto della verità oggettiva, e con modalità e termini inidonei a ledere il decoro del datore di lavoro o del superiore gerarchico e a determinare un pregiudizio per l'impresa (Cass. n. 21649 del 2016), rilevando i limiti della continenza sostanziale e formale, superati i quali la condotta assume carattere diffamatorio (Cass. 26.9.2017 n. 22375, Cass. n. 19092 del 2018, Cass. n. 14527 del 2018, Cass. n. 21362 del 2013);

giovedì 9 gennaio 2020

In caso di reintegra il TFR ricevuto deve essere restituito?

Cass. 20/12/2019, n. 34190

Nel caso di licenziamento illegittimo annullato dal giudice con sentenza reintegratoria, che ricostituisce il rapporto con efficacia "ex tunc" e, pertanto, la sua continuità giuridica, deve essere escluso il diritto del lavoratore di trattenere le somme erogategli dal datore di lavoro a titolo di competenze di fine rapporto, qualora sia attinto dall'azione di ripetizione di indebito da parte del medesimo.

mercoledì 8 gennaio 2020

La responsabilità solidale ex art. 2112 cc presuppone la prosecuzione del rapporto con il cessionario?


Cass. 10858 del 2019:

Per consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr,. fra le altre, Cass. n. 4598 del 06/03/2015; Cass. n. 7517 del 29/03/2010) l'art. 2112 c.c., comma 2, che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d'azienda, talchè non è applicabile ai crediti relativi a rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori;

per espressa disposizione legislativa, quindi, (e nel rispetto del brocardo in claris non fit interpretatio), l'esistenza in atto del rapporto lavorativo al momento della cessione rappresenta una condizione imprescindibile per la configurabilità della responsabilità solidale del cessionario per i crediti maturati nei confronti del cedente in relazione al periodo lavorativo antecedente al trasferimento stesso;

martedì 7 gennaio 2020

Il ccnl sanità come disciplina dal maggio del 2018 i tempi di vestizione?

In base all'art. 27 del ccnl del 21 maggio del 2018 commi 11 e 12:

11. Nei casi in cui gli operatori del ruolo sanitario e quelli appartenenti a profili del ruolo tecnico addetti all’assistenza, debbano indossare apposite divise per lo svolgimento della prestazione e le operazioni di vestizione e svestizione, per ragioni di igiene e sicurezza, debbano avvenire all’interno della sede di lavoro, l’orario di lavoro riconosciuto ricomprende fino a 10 minuti complessivi destinati a tali attività, tra entrata e uscita, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere. 12. Nelle unità operative che garantiscono la continuità assistenziale sulle 24 ore, ove sia necessario un passaggio di consegne, agli operatori sanitari sono riconosciuti fino ad un massimo di 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne, purché risultanti dalle timbrature effettuate, fatti salvi gli accordi di miglior favore in essere.

venerdì 3 gennaio 2020

Il superamento del comporto per malattia cagionata dal datore di lavoro legittima il licenziamento?

Tribunale Modena Sez. lavoro Sent., 11/10/2019

In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l'infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c..

mercoledì 1 gennaio 2020

Quando deve essere concesso il permesso ex l. 104 del 1992?





Tribunale Latina Sez. lavoro , 12/11/2019

Il permesso ex art. 33 della legge n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile, rispetto alla quale l'assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza.