venerdì 29 aprile 2022

 Entro quando di decade dal diritto all'indennità di mobilità ex art. 7 legge 223 del 2001?



Cass. 15/04/2022, n. 12373

L'indennità di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7, costituisce un trattamento di disoccupazione cui è applicabile il termine di decadenza previsto dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 129, comma 5, di sessanta giorni dall'inizio della disoccupazione indennizzabile, ossia dall'ottavo giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro.

giovedì 28 aprile 2022

 Ai fini del licenziamento disciplinare come devono essere interpretate la clausole generali dei ccnl che sanciscono sanzioni conservative?

Cass. 26/04/2022, n. 13063

In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall'art. 18 commi 4 e 5 della L. n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla L. n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali od elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell'attuazione del principio proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.

mercoledì 27 aprile 2022

 In caso di addebito disciplinare che ha rilevanza anche penale come deve essere valutato il principio dell'immediatezza?


Cass. 14/04/2022, n. 12321

Inoltre la Corte territoriale ha coerentemente richiamato l'insegnamento secondo il quale, quando il fatto che dà luogo a sanzione disciplinare abbia anche rilievo penale, il principio della immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall'intervallo di tempo necessario all'accertamento della condotta del lavoratore ed alle adeguate valutazioni di questa, non può considerarsi violato dal datore di lavoro il quale, avendo scelto ai fini di un corretto accertamento del fatto di attendere l'esito degli accertamenti svolti in sede penale, contesti l'addebito solo quando i fatti a carico del lavoratore gli appaiano ragionevolmente sussistenti (Cass. n. 27069 del 2018; conf. a Cass. n. 5057 del 2016).

martedì 26 aprile 2022

 Come deve essere calcolato l'aliunde percipiendum in caso di licenziamento assoggettato alla disciplina ex art. 18 comma 4 della legge 300 del 1970 come modificata dalla legge 92 del 2012?

Cass. 19/04/2022, n. 12448


7.5. l'art. 18, comma 4, prevede che il giudice "annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al comma 1, e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonchè quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto";

7.6. la Corte di merito si è attenuta al disposto normativo che descrive con precisione la sequenza volta a determinare l'indennità risarcitoria, attraverso il calcolo della retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore per l'intero periodo di estromissione, e la successiva detrazione, dall'importo così ottenuto, dell'aliunde perceptum e percipiendi; là dove il tetto massimo previsto per l'indennità risarcitoria, come pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, rappresenta un limite al quantum del risarcimento dovuto dal datore di lavoro rispetto all'importo, ove superiore al tetto massimo, risultante dalla differenza tra la retribuzione spettante per tutto il periodo di estromissione e l'aliunde perceptum o percipiendi;

7.7. al riguardo, deve precisarsi che nessuna rilevanza può attribuirsi alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel periodo di estromissione, trattandosi di elemento in nessun modo desumibile dalla disposizione in esame e non coerente con il principio della compensatio lucri cum damno, di cui l'aliunde perceptum e percipiendi costituiscono applicazione, che presuppone una valutazione complessiva sia del danno e sia dell'incremento patrimoniale, causalmente ricollegabili al medesimo fatto illecito (v. Cass. n. 16702 del 2020; Cass., S.U., ud. 22.5.2018 nn. 12564, 12565, 12566, 12567; con specifico riferimento all'aliunde perceptum, v. Cass. n. 7453 del 2005 e Cass. n. 2529 del 2003);

7.8. l'aliunde perceptum e percipiendi comportano la riduzione corrispondente (nel citato art. 18, comma 4, senza il limite minimo delle cinque mensilità di retribuzione globale di fatto) del risarcimento del danno, subito dal lavoratore per il licenziamento, che va commisurata alle retribuzioni percepite o percepibili nel periodo intercorrente tra il licenziamento e l'effettiva reintegra;

7.9. la compensatio lucri cum damno, alla quale va ricondotto il principio in esame, trova applicazione solo se - e nei limiti in cui - sia il danno (damnum) che l'incremento patrimoniale o, comunque, il vantaggio (lucrum) siano conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto, il quale abbia in sè l'idoneità a produrre entrambi gli effetti (v. Cass. n. 7453 del 2005 cit.). Si è, ad esempio, affermato che il compenso percepito dal lavoratore, per attività di lavoro subordinato o autonomo nel periodo di estromissione, comporti la corrispondente riduzione del risarcimento del danno per licenziamento illegittimo solo se - e nei limiti in cui - quel lavoro, essendo incompatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento, supponga, appunto, l'intimazione del licenziamento medesimo (v. Cass. n. 17051 del 2021; Cass. n. 7453 del 2005 cit.; Cass. n. 6439 del 1995);

7.10. in virtù dei principi richiamati, che trovano fondamento normativo nel disposto degli artt. 1223 e 1227 c.c., l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così che occorre tener conto anche degli elementi idonei a provocare una riduzione del danno, causalmente riferibili al medesimo fatto illecito, e che quindi debbano essere valutati in diminuzione del risarcimento;

7.11. nel sistema delineato dal citato art. 18, comma 4, il computo dell'indennità risarcitoria deve essere eseguito in relazione all'importo delle retribuzioni perse e di quelle aliunde percepite o percepibili, e non in base al dato temporale riferito ai periodi di inoccupazione oppure di occupazione lavorativa;

7.12. le somme aliunde percepite o percepibili dal lavoratore nel periodo di estromissione vanno quindi sottratte, con un semplice calcolo aritmetico, dall'ammontare complessivo del danno subito per effetto del recesso e pari, secondo il disposto normativo, alle retribuzioni spettanti per l'intero periodo dal licenziamento alla reintegra; se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all'importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo; se il risultato del calcolo è inferiore alle dodici mensilità di retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a questo minore importo;

7.13. la previsione normativa del tetto massimo delle dodici mensilità non incide sul sistema di calcolo del danno effettivamente subito dal lavoratore per effetto del licenziamento (pari alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione, depurate di quanto aliunde percepito o percepibile), e rileva solo all'esito del conteggio eseguito, in termini di limite massimo entro cui l'indennità risarcitoria può essere riconosciuta;

7.14. non può pertanto essere condivisa la tesi su cui insistono le società datrici di lavoro, secondo cui Valiunde perceptum o percipiendum deve essere detratto dal tetto massimo delle dodici mensilità, e neppure la diversa opzione, sostenuta dei lavoratori, per cui la detrazione dell'aliunde perceptum o percipiendum è preclusa qualora l'attività svolta aliunde non si sovrapponga al periodo di inoccupazione risarcito.

7.15. per le ragioni esposte, il motivo di ricorso deve essere respinto;

7.16. deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "In base alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1 comma 42, la determinazione dell'indennità risarcitoria deve avvenire attraverso il calcolo dell'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, a titolo di aliunde perceptum o percipiendum, e, comunque, entro la misura massima corrispondente a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, senza che possa attribuirsi rilievo alla collocazione temporale della o delle attività lavorative svolte dal dipendente licenziato nel corso del periodo di estromissione; se il risultato di questo calcolo è superiore o uguale all'importo corrispondente a dodici mensilità di retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a tale tetto massimo; se il risultato del calcolo è inferiore alle dodici mensilità di retribuzione, l'indennità va riconosciuta in misura pari a questo minore importo;

giovedì 21 aprile 2022

 Quando l'inidoneità fisica del lavoratore può essere ricondotta ad una condizione di handicap?


Cass. 28/10/2019, n. 27502

8.3. Recenti pronunzie di questa Corte hanno posto il problema del licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di "handicap" e hanno ritenuto in tali casi sussistente, ai fini della legittimità del recesso, l'obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi purchè contenuti nei limiti della ragionevolezza, obbligo scaturente, anche con riferimento a fattispecie sottratte "ratione temporis" alla applicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 3, comma 3 bis, di recepimento dell'art. 5 della Dir. 2000/78/CE, dall'interpretazione del diritto nazionale in modo conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5, considerato il dovere del giudice nazionale di offrire una interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi di una direttiva anche prima del suo concreto recepimento e della sua attuazione (Cass. n. 13649 del 2019, Cass. n. 27243 del 2018).

8.4. Le difficoltà applicative connesse alla inesistenza nel nostro ordinamento di una nozione unitaria di disabilità alla quale collegare le tutele previste dalla norma comunitaria sono alla base della elaborazione di questa Corte (v. Cass. 13649 del 2019 e Cass. 6798 del 2018, cit.) la quale, recependo le indicazioni del giudice comunitario (sentenze 11 aprile 2013, HK Danmark, C-335/11 e C337/11, punti 38-42; 18 marzo 2014, Z., C-363/12, punto 76; 18 dicembre 2014, FOA, C-354/13, punto 53; 1 dicembre 2016, Mo. Da. C-395/15, punti 41-42), ha chiarito che la nozione di disabilità, anche ai fini della tutela in materia di licenziamento, deve essere costruita in conformità al contenuto della direttiva, come interpretata dalla Corte di Giustizia, quindi quale "limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori". Ricorrendo, pertanto, tale ipotesi occorrerà verificare la possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli da parte del datore di lavoro onde consentire l'utilizzazione del lavoratore divenuto "disabile" nel senso sopra chiarito.

8.5. Nella fattispecie in esame, premesso che non ogni situazione di infermità fisica del lavoratore che lo renda inidoneo alle mansioni di assegnazione risulta ex se riconducibile alla richiamata nozione di disabilità occorrendo la allegazione e dimostrazione della limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature e del fatto che tale limitazione, in interazione con barriere di diversa natura, si traduca in ostacolo alla piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e premesso altresì che la questione del ricorrere di una situazione di disabilità nei termini sopra chiariti non è stata in alcun modo affrontata dalla sentenza impugnata, occorreva da parte dell'odierno ricorrente, per non incorrere nella violazione del divieto di novum, la allegazione e dimostrazione della sua rituale e tempestiva introduzione nel giudizio di merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006) - onere in concreto non assolto.

 Quando l'inidoneità fisica deriva da handicap quali oneri ha il datore di lavoro?


Cass. 21/05/2019, n. 13649

In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di "handicap", sussiste l'obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, che discende, pur con riferimento a fattispecie sottratte "ratione temporis" alla applicazione dell'art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, di recepimento dell'art. 5 della Dir. 2000/78/CE, dall'interpretazione del diritto nazionale in modo conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5, considerato l'obbligo del giudice nazionale di offrire una interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi di una direttiva anche prima del suo concreto recepimento e della sua attuazione

Cass. 26/10/2018, n. 27243

In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di "handicap", sussiste l'obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi nei luoghi di lavoro - purché comportanti un onere finanziario proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell'impresa e nel rispetto delle condizioni di lavoro dei colleghi dell'invalido - ai fini della legittimità del recesso, in applicazione dell'art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, di recepimento dell'art. 5 della Direttiva 2000/78/CE, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5 (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che, dopo aver vagliato analiticamente anche la serie di mansioni indicate dal lavoratore, aveva ritenuto assolto l'obbligo datoriale in considerazione dell'accertata insussistenza di mansioni equivalenti o inferiori da affidare al lavoratore stesso, perché incompatibili con l'inabilità ovvero occupate da altri lavoratori con posizioni intangibili). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 23/03/2017)



mercoledì 20 aprile 2022

 Quali norme hanno introdotto il fondo di tesoreria presso l'Inps?


Il fondo è stato introdotto dall'art. 1 commi 755 ss della legge 296 del 2006

1.755. Con effetto dal 1° gennaio 2007, è istituito il «Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile», le cui modalità di finanziamento rispondono al principio della ripartizione, ed è gestito, per conto dello Stato, dall'INPS su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato. Il predetto Fondo garantisce ai lavoratori dipendenti del settore privato l'erogazione dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile, per la quota corrispondente ai versamenti di cui al comma 756, secondo quanto previsto dal codice civile medesimo.


1.756. Con effetto sui periodi di paga decorrenti dal 1° gennaio 2007, al fine del finanziamento del Fondo di cui al comma 755, al medesimo Fondo affluisce un contributo pari alla quota di cui all'articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all'articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, maturata a decorrere dalla predetta data e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ovvero all'opzione di cui al comma 756-bis. Il predetto contributo è versato mensilmente dai datori di lavoro al Fondo di cui al comma 755, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757. Non sono tenuti al versamento del predetto contributo i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti. La liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata, sulla base di un'unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757, dal Fondo di cui al comma 755, limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro. Al contributo di cui al presente comma si applicano le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva.

1.757. Le modalità di attuazione delle disposizioni dei commi 755 e 756 sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge

martedì 19 aprile 2022

 Come viene erogato ilo TFR in caso di imprese assoggettate al Fondo di tesoreria?




In base all'art. 2 del DM 30/01/2007 Modalità di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 755 e 756 della L. 27 dicembre 2006, n. 296, relative al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto, di cui all'articolo 2120 del codice civile (Fondo tesoreria). Pubblicato nella Gazz. Uff. 1 febbraio 2007, n. 26.


1. Il Fondo eroga le prestazioni secondo le modalità previste dall'art. 2120 del codice civile, in riferimento alla quota maturata a decorrere dal 1° gennaio 2007.

2. Le prestazioni di cui al comma 1 sono erogate dal datore di lavoro anche per la quota parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio da valersi prioritariamente sui contributi dovuti al Fondo riferiti al mese di erogazione della prestazione e, in caso di incapienza, sull'ammontare dei contributi dovuti complessivamente agli enti previdenziali nello stesso mese.

3. Gli enti previdenziali interessati sono tenuti a comunicare al Fondo le informazioni necessarie ad ottemperare agli obblighi previsti dal comma 2.

4. L'importo di competenza del Fondo erogato dal datore di lavoro non può, in ogni caso, eccedere l'ammontare dei contributi dovuti al Fondo e agli enti previdenziali con la denuncia mensile contributiva. Qualora si verifichi tale ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a comunicare immediatamente al Fondo tale incapienza complessiva e il Fondo deve provvedere, entro trenta giorni, all'erogazione dell'importo delle prestazioni per la quota parte di competenza del Fondo stesso.

5. Le anticipazioni di cui all'art. 2120 del codice civile sono calcolate sull'intero valore del TFR maturato dal lavoratore. Dette anticipazioni sono erogate dal datore di lavoro nei limiti della capienza dell'importo maturato in virtù degli accantonamenti effettuati fino al 31 dicembre 2006. Qualora l'importo dell'anticipazione non trovi capienza su quanto maturato presso il datore di lavoro, la differenza è erogata secondo le disposizioni del presente articolo.

sabato 16 aprile 2022

 Come interpretare le clausole generali dei ccnl in merito ai contratti collettivi al fine di determinare l'applicazione della saznione conservativa in luogo del licenziamento?



Cass. 11/04/2022, n. 11665

In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall'art. 18 commi 4 e 5 della L. n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla L. n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa, anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo

giovedì 14 aprile 2022

 Cosa indennizza il trattamento di malattia dell'INPS?

Cass. 11/04/2022, n. 11657

In materia di risarcimento del danno da sinistro stradale, laddove sia accertato giudizialmente che il danneggiato ha sofferto un danno biologico, lo stesso non forma oggetto di indennizzo da parte dell'Istituto di Previdenza Sociale, con la conseguenza che, in sede di liquidazione giudiziale del pregiudizio, non può esservi legittima detrazione, dall'importo dovuto a titolo di danno non patrimoniale alla salute, delle somme indennizzate da parte dell'INPS e fondate sull'esistenza d'un pregiudizio patrimoniale rappresentato dalla perduta capacità di lavoro e, quindi, di guadagno.

martedì 12 aprile 2022

Entro quali limiti opera la decadenza prevista dall'art. 32 della legge 183 del 2010 in caso di trasferimento di azienda ex art. 2112 cc.?


Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 09/07/2021, n. 19589

Le disposizioni di cui all'art. 32, comma 4, lett. c) e d), della legge n. 183 del 2010, relative al regime di decadenza ivi previsto, non si applicano alle ipotesi nelle quali, in tema di cessione di contratto di lavoro ex art. 2112 cod. civ., il lavoratore escluso chieda l'accertamento del suo diritto al trasferimento alle dipendenze dell'azienda cessionaria. (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione gravata con la quale la corte d'appello, ritenendo fondata l'eccezione di decadenza sollevata ex art. 32 della legge n. 183 del 2010, aveva confermato, anche in sede di gravame, il rigetto della domanda diretta all'accertamento del diritto della ricorrente trasferimento alle dipendenze della società cessionaria con condanna alla costituzione del rapporto di lavoro nonché al pagamento del danno subito per il ritardo nell'assunzione.)



Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 11/11/2020, n. 25384

In tema di trasferimento di azienda, solo il lavoratore che intenda contestare la cessione del suo contratto di lavoro ex art. 2112 c.c. deve far valere tale impugnazione nel termine di cui all'art. 32, comma 4, lett. c) della L. 4 novembre 2010 n. 183; tale termine non trova, invece, applicazione nell'ipotesi inversa, in cui il lavoratore deduca l'intervenuta realizzazione della fattispecie di cui all'art. 2112 c.c., al fine di accertare il passaggio alle dipendenze dell'azienda cessionaria.



Corte d'Appello Roma, Sez. lavoro, Sentenza, 23/09/2019, n. 2740

Nell'ipotesi di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene automaticamente ai sensi dell'art. 2112 c.c.. Di talché, è solo il lavoratore che intenda contestare la cessione a dover far valere detta impugnazione nel termine di cui all'art. 32, comma 4, lett. c), della legge n. 183 del 2010, mentre non vi è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l'avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro.

Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 21/05/2019, n. 13648

Nell'ipotesi di trasferimento di azienda, ancorché di fatto, la domanda del lavoratore volta all'accertamento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario non è soggetta al termine di decadenza di cui all'art. 32, comma 4, lett. c), della l. n. 183 del 2010, applicandosi tale disposizione ai soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza la domanda di una lavoratrice, volta a fare accertare che, per effetto del distacco presso un altro datore di lavoro, seguito dalla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con il distaccante e dalla successiva assunzione a tempo determinato da parte del datore "cessionario", si era determinata la continuazione del rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 2112 c.c.). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO TRIESTE, 27/12/2016)










lunedì 11 aprile 2022

In caso di violazione delle norme dettate per la regolamentazione dei servizi pubblici essenziali quando è possibile attivare le procedure disciplinari contro i lavoratori? 


Cass. 07/04/2022, n. 11365

Nell'ambito dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, il potere disciplinare del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori che aderiscono ad uno sciopero proclamato dalle organizzazioni sindacali senza il rispetto delle modalità e delle procedure di erogazione e delle altre misure previste dall'art. 2, comma 2, della L. n. 146 del 1990, come modificata dalla L. n. 83 del 2000, è subordinato, ai sensi dell'art. 13, comma 1, lett. i) della legge citata, alla valutazione negativa del comportamento delle parti collettive ad opera della Commissione di garanzia, e l'apertura del procedimento disciplinare è, in tal caso, doverosa.

venerdì 8 aprile 2022

Il danno biologico assorbe anche il danno morale?



Cass. 06/04/2022, n. 11227


In presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi, definibili come danni morali, rappresentati dalla sofferenza interiore, che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente.

 



mercoledì 6 aprile 2022

 Quando si può procedere per far accertare il proprio stato d'invalidita'?




Cass. 04/04/2022, n. 10753




Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984, la domanda è procedibile, ai sensi dell'art. 445 bis, secondo comma, c.p.c., se sia stata presentata istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere, sicché il ricorrente è legittimato a procedere secondo le forme ordinarie, per l'accertamento del diritto, anche se l'istanza sia stata rigettata o dichiarata inammissibile senza procedere all'espletamento del richiesto accertamento tecnico.

martedì 5 aprile 2022

 

Quando il ccnl individua un comportamento censurabile con una sanzione conservativa e' possibile procedere al licenziamento?



Cass. 28/03/2022, n. 9931

In materia di licenziamenti disciplinari, nell'ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione (trattandosi di condizione di maggior favore fatta espressamente salva dalla L. n. 604 del 1966, art. 12), a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.

lunedì 4 aprile 2022

 Entro quali limiti era possibile detrarre quanto percepito dal lavoratore nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e la data di reintegra sino alla riforma Fornero?


Cass. 31/03/2022, n. 10459


Nella vigenza dell'art. 18 Statuto dei lavoratori nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012, quanto percepito dal lavoratore nell'espletamento di attività di lavoro svolta nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, non è detraibile se e nei limiti in cui quel lavoro risulta, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento. Ciò in coerente applicazione del criterio della compensatio lucri cum damno, che trova fondamento normativo nel disposto degli artt. 1223 e 1227 cod. civ., in base ai quali l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così che occorre tener conto anche degli elementi idonei a provocare una riduzione del danno, causalmente riferibili al medesimo fatto illecito, i quali, quindi, debbono essere valutati in diminuzione del risarcimento.

sabato 2 aprile 2022

 Come opera la responsabilità ex art. 2087 cc?



Cass. 29/03/2022, n. 10115

L'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.