sabato 31 ottobre 2020

Per quali  finalità possono essere fruiti i permessi ex lege 104 del 1992

Cass. 26/10/2020, n. 23434


In tema di lavoro subordinato, in base alla "ratio" dell'art. 33, comma 3 della L. 5 febbraio 1992 n. 104, che attribuisce al lavoratore dipendente che assiste persona con handicap in situazione di gravità il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, coperto da contribuzione figurativa, è necessario che l'assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile; questa può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell'interesse del familiare assistito.

giovedì 29 ottobre 2020

 A partire da quando può essere richiesta l'indennità sostitutiva della reintegrazione?



 Cass. 25-01-2011, n. 1690

 Dalla norma di evince che si tratta di una "facoltà" conferita al prestatore di lavoro, che deve essere esercitata entro un determinato termine e cioè entro trenta giorni dal deposito della sentenza. Non è invece precisato a partire da quale momento possa essere esercitata. Il collegamento con il deposito della sentenza risulta formulato solo per far decorrere il termine di trenta giorni oltre il quale la facoltà non può più essere esercitata. Ciò non esclude che la richiesta possa essere fatta anche prima del deposito della sentenza. La giurisprudenza ha, infatti, ritenuto, costantemente, che la richiesta di indennità sostitutiva della reintegrazione può essere fatta ben prima della decisione: in corso di causa (Cass., 28 luglio 2005, n. 15898) o con il ricorso introduttivo del giudizio (Cass., 28 novembre 2006, n. 25210). Nel medesimo ordine logico deve affermarsi che l'indennità può essere richiesta con il ricorso per ottenere in via d'urgenza un provvedimento contro il licenziamento ritenuto illegittimo.

Cass. civ. Sez. lavoro, 28/11/2006, n. 25210

Il testo del comma 5 dell'art. 18legge n. 300/1970 - nella parte in cui stabilisce che, qualora il lavoratore non abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità in sostituzione della reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare del suddetto termine - si limita a fissare un termine di decadenza per l'esercizio della ripetuta facoltà (nell'ovvia esigenza di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento), ma non stabilisce affatto un "dies a quo" in relazione all'attivazione di quel potere. In applicazione di tale principio deve ritenersi pienamente valida ed efficace l'opzione per l'indennità sostitutiva esercitata prima del deposito della sentenza che ha accertato l'illegittimità del licenziamento ed ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro.

Cass. 28-07-2005, n. 15898   Passando all'esame della prima questione posta dal terzo motivo, relativa agli effetti della manifestazione da parte del lavoratore nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento della opzione per l'attribuzione dell'indennità pari a quindici mensilità della retribuzione in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro (art. 18, quinto comma, l. n. 300, nel testo di cui all'art. 1 l. n. 108/1990), deve ritenersi corretto l'operato del Tribunale di Pistoia, che ha cumulato tale indennità con il risarcimento del danno maturato a favore dei lavoratori, per la perdita delle retribuzioni, fino al momento dell'esercizio dell'opzione. Questa Corte ha precisato che il diritto del lavoratore ad optare per l'indennità integrativa deriva dalla stessa illegittimità del licenziamento e contemporaneamente al diritto al reintegrazione (Cass. 16 ottobre 1998 n. 10283, 8 aprile 2000 n. 4472 e 12 giugno 2000 n. 8015) e che quindi il lavoratore può limitarsi inizialmente a chiedere in giudizio tale indennità in sostituzione della domanda di reintegrazione (sentenze n. 10283/1998 e 8015/2000), così come può esercitare la stessa scelta nel corso del giudizio, fermo restando il diritto al risarcimento del danno ex art. 18, quarto comma (sentenza n. 4472/2000).

Cass. civ. Sez. lavoro, 12-06-2000, n. 8015

 É, infatti, evidente che la norma si limita a fissare il termine finale per l'esercizio della facoltà di opzione (nell'ovvia, esigenza di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento) ma non stabilisce affatto un termine giudiziale per l'attivazione di quel potere di scelta

 


lunedì 26 ottobre 2020

 Posso utilizzare in giudizio una registrazione cui ho partecipato?




Cass., Sezione lavoro, n. 27424/2014:

“La registrazione fonografica di un colloquio tra presenti, rientrando nel "genus" delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 cod. civ., ha natura di prova ammissibile nel processo civile, sicchè la sua effettuazione, operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro, non integra illecito disciplinare. Nè tale condotta, comunque scriminata ex art. 51 cod. pen., in quanto esercizio del diritto di difesa, la cui esplicazione non è limitata alla sede processuale, può ritenersi lesiva del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, che concerne esclusivamente l'affidamento di quest'ultimo sulle capacità del dipendente di adempimento dell'obbligazione lavorativa. (Rigetta, App. Torino, 27/09/2010)

sabato 24 ottobre 2020

 Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto devo indicare i giorni di assenza?



Cass. 21/10/2020, n. 22998

In tema di licenziamento per superamento del comporto, anche nel regime successivo all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 37, della L. n. 92 del 2012, il datore di lavoro non deve specificare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, quali il numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.

martedì 20 ottobre 2020

In cosa consiste la perdita di chance? 


Cass. 14/10/2020, n. 22226

La perdita di "chance" costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare) consistente nella perdita di una possibilità attuale ed esige la prova, anche presuntiva, purché fondata su circostanze specifiche e concrete dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità, la sua attuale esistenza.

lunedì 19 ottobre 2020

 Le malattie cagionate da mobbing possono rientrare nelle malattie professionali indennizzabili dall'INAIL?


Cass. 20774 del 2018



2. Col secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, commi 1 e 4, art. 3, art. 4, comma 1, e artt. 66 e 74, e del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, anche in relazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione con riferimento all'elenco (lista 2, gruppo 7, voce 01) delle malattie professionali aggiornato; approvato con D.M. Lavoro 11 dicembre 2009, emanato in attuazione del D.P.R. n. 1124, art. 139, e D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 10, comma 1. Violazione dell'art. 115 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) avendo la Corte errato nel disconoscere la indennizzabilità delle malattie psicofisiche derivanti dalla costrittività organizzativa sul presupposto che essa non attenga mai ad un rischio specifico tutelabile dal D.P.R. n. 1124 del 1965; tanto più che il D.M. Lavoro 11 dicembre 2009, ha approvato una nuova tabella in cui ha inserito espressamente le disfunzioni della organizzazione del lavoro vale a dire la cosiddetta costrittiva organizzativa nella lista due.

2.1. Il secondo motivo è fondato, ritenendo questa Corte di dover confermare e consolidare l'orientamento espresso di recente con l'ordinanza n. 5066/2018, nella quale, giudicando un'analoga fattispecie, ha rilevato come la tesi su cui riposa la sentenza della Corte d'Appello di Perugia non risulti in linea con l'ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimità, cui soltanto l'ordinamento riserva la funzione di nomofilachia, al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3.

2.2. Invero secondo il risalente e costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte in materia di assicurazione sociale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ai sensi dell'art. 1, TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass.1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002" Cass. 5354/2002). Lo stesso orientamento è stato riaffermato da questa Corte, a proposito dell'art. 3, TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela ancorchè, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sè e per sè considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente.

2.3. L'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell'ambito dell'infortunio in itinere, ai sensi dell'art.12 del d.lgs. 38/2000, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all'entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass. 7313/2016).

2.4. Ulteriore estensione dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall'assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina). Tanto in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 4.7.74 n. 206; 9.7.1977 n. 114). In tal senso questa Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa "al lavoro in sè e per sè considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine", essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro.

2.5. Ed ancora, nella stessa direzione muove, soprattutto, la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata", talchè, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purchè si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.

Pertanto non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata secondo cui sarebbe da escludere che l'assicurazione obbligatoria copra patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l'origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU. 2.6. Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dalla L. n. 38 del 2000, art. 10, comma 4, dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale".

L'approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta dunque ad affermare che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008). Pertanto, ed in conclusione, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.

2.7. A tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sè; ed è questo e non la prima l'evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l'"oggetto della tutela dell'art.38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (sentenza n. 100 del 2.3.1991).

2.8. In tale ottica, pertanto, non può neppure sostenersi che il premio assicurativo INAIL abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle; assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: "il distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un'interpretazione dell'art. 38, comma 2, coordinata con l'art. 32 Cost., allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori" (ancora Corte Cost. n. 100/1991).

3.- Col terzo motivo viene dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in quanto la Corte d'Appello aveva del tutto omesso di esaminare il fatto per cui il signor P.P. sin dal 1997, nell'esercizio delle sue mansioni di bibliotecario e delle attività complementari assegnategli presso l'Università di Perugia, aveva subito un notevole stress lavorativo derivante da una serie di fatti che si erano succeduti in maniera sistematica e che avevano comportato il progressivo insorgere e consolidarsi della malattia depressiva, sindrome dell'adattamento di cui aveva chiesto l'indennizzabilità all'Inail.

Il motivo, riguardante questioni di fatto logicamente subordinate rispetto alla questione concernente l'indennizzabilità della malattia in discorso, deve ritenersi assorbito.

4. Sulla scorta delle precedenti considerazioni il secondo motivo di ricorso va quindi accolto; mentre va rigettato il primo motivo e dichiarato assorbito il terzo. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa per un nuovo esame al giudice designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopra formulati in materia di tutela della malattia professionale discendente dall'organizzazione del lavoro; e provvederà alla statuizione sulle spese anche di questa fase del giudizio.



5. In considerazione dell'esito del ricorso non sussistono i presupposti stabiliti dalla legge per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

venerdì 16 ottobre 2020

Il licenziamento collettivo può essere limitato agli addetti di un solo reparto?



Cass. 14/10/2020, n. 22217

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, 3 comma della legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata. Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non, ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali.

giovedì 15 ottobre 2020

 In quanto si prescrive il danno da demansionamento?

Cass. 2018 n. 9318

Premesso che non è in contestazione l'applicabilità del termine decennale di prescrizione, conforme, del resto, alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di domanda di risarcimento del danno conseguente all'inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente (v. tra le altre Cass. 6.5.2013 n. 10414), si osserva che questa Corte, al fine della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, ha distinto tra illecito istantaneo con effetti permanenti - caratterizzato da un punto di vista naturalistico da un'azione che unu actu perficitur, che cioè si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo - e illecito permanente nel quale la condotta contra ius si protrae, così protraendo la verificazione dell'evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce (Cass. Sezioni Unite 14/11/2011 n. 23763). In questa prospettiva è stato chiarito che nel primo caso, in base all'art. 2935 c.c., la prescrizione decorre dalla data in cui si è verificato il danno, (purchè il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimenti giuridici a far valere il diritto al risarcimento), mentre nel secondo caso, nella ricorrenza degli stessi presupposti (conoscenza e difetto di impedimenti), la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 23763/2011 cit.; Cass. 30/03/2011 n. 7272; Cass. 07/11/2005 n.21500; Cass. 21/02/2004 n. 3498; Cass. 02/02/2004 n. 6515; Cass. 13/02/1998 n. 1520).

mercoledì 14 ottobre 2020

 Se l'assemblea interrompe l'attività può venir meno il diritto alla retribuzione?



Cass. civ. Sez. lavoro, 12/01/1998, n. 203 (rv. 511466) 

L'art. 26 c.c.n.l. del settore commercio, nel demandare ad accordi aziendali la determinazione dello svolgimento delle assemblee durante l'orario di lavoro in modo da garantire la continuità di vendita al pubblico, si configura come disposizione di carattere programmatico, con la conseguenza che, in mancanza degli accordi previsti dalla citata disposizione contrattuale, i soli limiti al diritto di assemblea restano quelli previsti dall'art. 20 l. n. 300 del 1970; ciascun lavoratore, pertanto, ha diritto, nel limite delle dieci ore annue, a partecipare alle assemblee indette nell'unità produttiva durante l'orario di lavoro usufruendo della normale retribuzione, senza che l'eventuale interruzione dell'attività di vendita al pubblico determinata dalla massiccia partecipazione dei lavoratori all'assemblea possa legittimare il datore di lavoro a rifiutare la retribuzione, posto che, in materia, l'art. 1460 c.c. è derogato dal citato art. 20 l. n. 300 del 1970, in quale prevedendo la normale retribuzione per i dipendenti che si astengono dal lavoro per partecipare all'assemblea, impedisce che l'interruzione dell'attività produttiva determinata dalla partecipazione all'assemblea possa essere equiparata, sotto questo profilo, a quella determinata dalla partecipazione ad uno sciopero. 



Cass. civ. Sez. lavoro, 05/07/1997, n. 6080 





Il diritto di partecipare all'assemblea indetta durante l'orario di lavoro, usufruendo della normale retribuzione secondo la disciplina di cui all'art. 20 della l. n. 300 del 1970, non può essere limitato dalla pretesa del datore di lavoro di non subire alcun pregiudizio nella normale esplicazione dell'attività aziendale, fermo restando il limite esterno a tale diritto costituito dall'esigenza della tutela - prioritaria o paritaria - di interessi, costituzionalmente garantiti, confliggenti con il suo esercizio (garanzia dell'incolumità delle persone, di sicurezza e salvaguardia degli impianti, ecc.). Il medesimo diritto, poichè non solo costituisce per il sindacato uno strumento per verificare il consenso alla sua politica e definirne i contenuti, ma anche si inquadra tra i diritti del lavoratore inerenti alla libera manifestazione del pensiero, non può essere limitato dalla contrattazione collettiva. (Fattispecie relativa alla pretesa di azienda della grande distribuzione di subordinare la retribuzione dell'ora utilizzata per l'assemblea alla salvaguardia del servizio di vendita al pubblico, in relazione al tenore dell'art. 26, comma 7, del c.c.n.l. 28 marzo 1987, avente peraltro, secondo l'interpretazione del giudice di merito, natura programmatica e non precettiva, per il suo rinvio a successivi accordi in sede locale). 





Cass. civ. Sez. lavoro, 12/08/1996, n. 7471 

Non rientra fra le limitazioni poste dall'art. 20 l. 20 maggio 1970 n. 300 al diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea nell'unità produttiva nella quale prestano la loro opera, durante l'orario di lavoro e nel limite delle dieci ore annue, per discutere di materie di interesse sindacale e del lavoro - ferma restando la possibilità che ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea vengano stabilite nei contratti collettivi di lavoro, anche aziendali -, la salvaguardia del normale svolgimento dell'attività aziendale, la quale è cosa affatto diversa dalla libertà di iniziativa economica e di organizzazione dell'imprenditore, costituzionalmente protetta (art. 41 cost.). (Nella specie, l'impugnata sentenza, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che la garanzia del servizio di vendita al pubblico in un supermercato non potesse giustificare il rifiuto di autorizzazione dell'assemblea da parte del datore di lavoro, rifiuto motivato col fatto che essa era stata fissata nella giornata del sabato e cioè in quella di massima affluenza del pubblico). 





Cass. civ. Sez. lavoro, 15/06/1994, n. 5799 

Il diritto di assemblea di cui all'art. 20 della legge n. 300 del 1970 deve essere esercitato con l'osservanza dei limiti coessenziali alla sua attribuzione e, quindi, con modalità tali da non ledere interessi dialetticalmente contrapposti ed elevati dall'ordinamento al rango di diritti dotati di uguale o superiore tutela, come quello dei cittadini alla fruizione dei servizi pubblici essenziali, ivi compreso il servizio di trasporto pubblico autoferrotranviario, urbano o extraurbano. Ne consegue che la norma citata non è incompatibile con disposizioni di contratto collettivo che, senza escludere la possibilità di esercizio del diritto durante l'orario di lavoro, tendano a fissarne le modalità in guisa tale da assicurarne la compatibilità con le suddette contrapposte esigenze.

martedì 13 ottobre 2020

 Che aiuti sono previsti per i lavoratori marittimi dal DL 104 del 2020?




Art. 10 DL 104 del 2020

1. Ai lavoratori marittimi di cui all'articolo 115 del Codice della Navigazione, nonché a quelli di cui all'articolo 17, comma 2, della legge 5 dicembre 1986, n. 856, che hanno cessato involontariamente il contratto di arruolamento o altro rapporto di lavoro dipendente nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno trenta giornate nel medesimo periodo, non titolari di contratto di arruolamento o di altro rapporto di lavoro dipendente, né di NASPI, né di indennità di malattia né di pensione alla data di entrata in vigore del presente decreto, è riconosciuta un'indennità pari a 600 euro per ciascuno dei mesi di giugno e luglio 2020.


2. L'indennità di cui al presente articolo non concorre alla formazione del reddito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed è erogata dall'INPS, previa domanda, nel limite di spesa complessivo di 26,4 milioni di euro per l'anno 2020. L'INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa e comunica i risultati di tale attività al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze. Qualora dal predetto monitoraggio emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti concessori.


3. Agli oneri derivanti dai commi 1 e 2 del presente articolo pari a 26,4 milioni di euro per l'anno 2020 si provvede ai sensi dell'articolo 114.

lunedì 12 ottobre 2020

Il contratto di prossimità può escludere l'indennità di preavviso?

Cass. civ. Sez. lavoro, 22/07/2019, n. 19660


In tema di contratto di lavoro, gli accordi di prossimità possono anche escludere, in caso di licenziamento per crisi, l'erogazione dell'indennità sostitutiva del preavviso.

sabato 10 ottobre 2020

 Quali incentivi contributivi sono previsti dal DL 104 del 2020 per le assunzioni a termine nel settore turistico?



In base all'art. 7 del Dl 104 del 2020:

1. L'esonero di cui all'articolo 6 del presente decreto è riconosciuto con le medesime modalità e nel medesimo arco temporale limitatamente al periodo dei contratti stipulati e comunque sino ad un massimo di tre mesi, per le assunzioni a tempo determinato o con contratto di lavoro stagionale nei settori del turismo e degli stabilimenti termali. In caso di conversione dei detti contratti in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato si applica il comma 3 del predetto articolo 6.


2. Il beneficio di cui al presente articolo è concesso ai sensi della sezione 3.1. della Comunicazione della Commissione europea recante un «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell'economia nell'attuale emergenza del COVID-19» e nei limiti e alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione. L'efficacia delle disposizioni del presente articolo è subordinata, ai sensi dell'articolo 108 paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'autorizzazione della Commissione europea nel limite di 87,5 milioni di euro per l'anno 2020 e di 87,8 milioni di euro per l'anno 2021.


3. Alle minori entrate derivanti dai commi 1 e 2, pari a 87,5 milioni di euro per l'anno 2020 e a 87,8 milioni di euro per l'anno 2021 e a 14,1 milioni di euro per l'anno 2023, si provvede quanto a 34,2 milioni di euro per l'anno 2021 mediante le maggiori entrate derivanti dai commi 1 e 2 medesimi e quanto a 87,5 milioni di euro per l'anno 2020, 53,6 milioni di euro per l'anno 2021 e a 14,1 milioni di euro per l'anno 2023 ai sensi dell'articolo 114.


giovedì 8 ottobre 2020

 Quali sono gli elementi della subordinazione?



Cass. 02/10/2020, n. 21194

Il requisito proprio della subordinazione è la prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e, perciò, con l'inserimento nell'organizzazione di questo mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante ma natura unicamente sussidiaria, da valutarsi globalmente come indici probatori della subordinazione stessa.

mercoledì 7 ottobre 2020

 Come si determina il danno in caso di nullità del contratto nel pubblico impiego?






Cass. 05/10/2020, n. 21315

In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno subito dal lavoratore nell'ipotesi di contratto di lavoro nullo per violazione delle disposizioni che regolano le assunzioni alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, di cui sia chiesto il risarcimento ai sensi dell'art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 165 del 2001 non coincide con le retribuzioni ed i correlati oneri contributivi e previdenziali, dal momento che tali voci sono comunque dovute, in virtù del principio di corrispettività di cui all'art. 2126 c.c., per le prestazioni eseguite durante lo svolgimento in via di fatto del rapporto di lavoro.

martedì 6 ottobre 2020

 Come sono state disciplinate le denunce Inail nella fase Covid?



In base all'art. 42 del DL 18 del 2020:






1. In considerazione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, a decorrere dal 23 febbraio 2020 e sino al 1° giugno 2020, il decorso dei termini di decadenza relativi alle richieste di prestazioni erogate dall'INAIL è sospeso di diritto e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Sono altresì sospesi, per il medesimo periodo e per le stesse prestazioni di cui al primo periodo del presente comma, i termini di prescrizione. Sono, infine, sospesi i termini di revisione della rendita su domanda del titolare, nonché su disposizione dell'Inail, previsti dall'articolo 83 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, che scadano nel periodo indicato al primo periodo del presente comma. Detti termini riprendono a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. 


2. Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell'oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti dell'allegato 2 al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 27 febbraio 2019, recante “Modalità per l'applicazione delle tariffe 2019”. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati

lunedì 5 ottobre 2020

 L'art. 7 comma  7 della legge 300 del 1970 si applica anche ai licenziamenti disciplinari?



Cass. 11-06-2004, n. 11141

In particolare, con la sentenza 23 giugno 2001, n. 8619, la Corte di Cassazione ha ritenuto che "anche dopo l'estensione al licenziamento disciplinare delle garanzie procedimentali previste dall'art. 7 dalla legge n. 300 del 1970 - disposta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1982 - al suddetto licenziamento non è applicabile la disciplina prevista dal settimo comma del citato art. 7 per l'ipotesi di mancata adesione del datore di lavoro all'iniziativa del lavoratore di adire un collegio di conciliazione e arbitrato. Nè tale Inapplicabilità costituisce violazione dei diritti costituzionalmente garantiti al lavoratore in quanto, come precisato dalla stessa Corte costituzionale nella citata sentenza, essa 'non sbarra ai lavoratore che si sia rivolto all'Ufficio provinciale del lavoro la via del ricorso ai presidente del tribunale, di cui all'art. 810 c.p.c., al fine di conseguire - malgrado l'indifferenza del datore di lavoro - la integrazione del collegio di conciliazione ed arbitratò".




Cass. 23/06/2001, n. 8619

Anche dopo l'estensione al licenziamento disciplinare delle garanzie procedimentali previste dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970 - disposta dalla sentenza della Corte cost. n. 204 del 1982 - al suddetto licenziamento non è applicabile la disciplina prevista dal comma 7 del citato art. 7 per l'ipotesi di mancata adesione del datore di lavoro all'iniziativa del lavoratore di adire un collegio di conciliazione ed arbitrato. Nè tale inapplicabilità costituisce violazione dei diritti costituzionalmente garantiti al lavoratore in quanto, come precisato dalla stessa Corte cost. nella citata sentenza, essa "non sbarra al lavoratore che si sia rivolto all'ufficio provinciale del lavoro la via del ricorso al presidente del tribunale, di cui all'art. 810 c.p.c., al fine di conseguire - malgrado l'indifferenza del datore di lavoro - la integrazione del collegio di conciliazione ed arbitrato".

venerdì 2 ottobre 2020

 Che modifiche ha introdotto il Dl 104 del 2020 sulla proroga ed i rinnovi dei contratti a termine?

L'Art. 8. ha previsto:

1. All'articolo 93 del decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga all'articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e fino al 31 dicembre 2020, ferma restando la durata massima complessiva di ventiquattro mesi, è possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di dodici mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.»;
b) il comma 1-bis è abrogato.

giovedì 1 ottobre 2020

Per quali fini devono essere utilizzati i permessi ex art. 33 comma 6 della legge l. 104/1992 



Cass. 25/09/2020, n. 20243

I permessi ex art. 33, comma 6 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, sono riconosciuti al lavoratore portatore di "handicap" in ragione della necessità di una più agevole integrazione familiare e sociale, senza che la fruizione del beneficio debba essere necessariamente diretto alle esigenze di cura.