mercoledì 14 ottobre 2020

 Se l'assemblea interrompe l'attività può venir meno il diritto alla retribuzione?



Cass. civ. Sez. lavoro, 12/01/1998, n. 203 (rv. 511466) 

L'art. 26 c.c.n.l. del settore commercio, nel demandare ad accordi aziendali la determinazione dello svolgimento delle assemblee durante l'orario di lavoro in modo da garantire la continuità di vendita al pubblico, si configura come disposizione di carattere programmatico, con la conseguenza che, in mancanza degli accordi previsti dalla citata disposizione contrattuale, i soli limiti al diritto di assemblea restano quelli previsti dall'art. 20 l. n. 300 del 1970; ciascun lavoratore, pertanto, ha diritto, nel limite delle dieci ore annue, a partecipare alle assemblee indette nell'unità produttiva durante l'orario di lavoro usufruendo della normale retribuzione, senza che l'eventuale interruzione dell'attività di vendita al pubblico determinata dalla massiccia partecipazione dei lavoratori all'assemblea possa legittimare il datore di lavoro a rifiutare la retribuzione, posto che, in materia, l'art. 1460 c.c. è derogato dal citato art. 20 l. n. 300 del 1970, in quale prevedendo la normale retribuzione per i dipendenti che si astengono dal lavoro per partecipare all'assemblea, impedisce che l'interruzione dell'attività produttiva determinata dalla partecipazione all'assemblea possa essere equiparata, sotto questo profilo, a quella determinata dalla partecipazione ad uno sciopero. 



Cass. civ. Sez. lavoro, 05/07/1997, n. 6080 





Il diritto di partecipare all'assemblea indetta durante l'orario di lavoro, usufruendo della normale retribuzione secondo la disciplina di cui all'art. 20 della l. n. 300 del 1970, non può essere limitato dalla pretesa del datore di lavoro di non subire alcun pregiudizio nella normale esplicazione dell'attività aziendale, fermo restando il limite esterno a tale diritto costituito dall'esigenza della tutela - prioritaria o paritaria - di interessi, costituzionalmente garantiti, confliggenti con il suo esercizio (garanzia dell'incolumità delle persone, di sicurezza e salvaguardia degli impianti, ecc.). Il medesimo diritto, poichè non solo costituisce per il sindacato uno strumento per verificare il consenso alla sua politica e definirne i contenuti, ma anche si inquadra tra i diritti del lavoratore inerenti alla libera manifestazione del pensiero, non può essere limitato dalla contrattazione collettiva. (Fattispecie relativa alla pretesa di azienda della grande distribuzione di subordinare la retribuzione dell'ora utilizzata per l'assemblea alla salvaguardia del servizio di vendita al pubblico, in relazione al tenore dell'art. 26, comma 7, del c.c.n.l. 28 marzo 1987, avente peraltro, secondo l'interpretazione del giudice di merito, natura programmatica e non precettiva, per il suo rinvio a successivi accordi in sede locale). 





Cass. civ. Sez. lavoro, 12/08/1996, n. 7471 

Non rientra fra le limitazioni poste dall'art. 20 l. 20 maggio 1970 n. 300 al diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea nell'unità produttiva nella quale prestano la loro opera, durante l'orario di lavoro e nel limite delle dieci ore annue, per discutere di materie di interesse sindacale e del lavoro - ferma restando la possibilità che ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea vengano stabilite nei contratti collettivi di lavoro, anche aziendali -, la salvaguardia del normale svolgimento dell'attività aziendale, la quale è cosa affatto diversa dalla libertà di iniziativa economica e di organizzazione dell'imprenditore, costituzionalmente protetta (art. 41 cost.). (Nella specie, l'impugnata sentenza, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che la garanzia del servizio di vendita al pubblico in un supermercato non potesse giustificare il rifiuto di autorizzazione dell'assemblea da parte del datore di lavoro, rifiuto motivato col fatto che essa era stata fissata nella giornata del sabato e cioè in quella di massima affluenza del pubblico). 





Cass. civ. Sez. lavoro, 15/06/1994, n. 5799 

Il diritto di assemblea di cui all'art. 20 della legge n. 300 del 1970 deve essere esercitato con l'osservanza dei limiti coessenziali alla sua attribuzione e, quindi, con modalità tali da non ledere interessi dialetticalmente contrapposti ed elevati dall'ordinamento al rango di diritti dotati di uguale o superiore tutela, come quello dei cittadini alla fruizione dei servizi pubblici essenziali, ivi compreso il servizio di trasporto pubblico autoferrotranviario, urbano o extraurbano. Ne consegue che la norma citata non è incompatibile con disposizioni di contratto collettivo che, senza escludere la possibilità di esercizio del diritto durante l'orario di lavoro, tendano a fissarne le modalità in guisa tale da assicurarne la compatibilità con le suddette contrapposte esigenze.

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