venerdì 30 dicembre 2016



In caso di violazione del divieto di utilizzare il lavoro a domicilio per attività che determinino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi quali sanzioni sono previste?



In base all'art. 13 legge 877 del 1973 "Il committente lavoro a domicilio il quale contravviene alla disposizione di cui all'art. 2, primo comma, (ovvero "non è ammessa l'esecuzione di lavoro a domicilio per attività le quali comportino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o la incolumità del lavoratore e dei suoi familiari") è punito con l'arresto fino a sei mesi."


giovedì 29 dicembre 2016

Quali sono le regole sottostanti al licenziamento per giustificato motivo oggettivo secondo la Cassazione?

La sentenza della Cassazione del 7 dicembre 2016 n. 25201 del 2016 riassume lo stato della giurisprudenza :

"La necessità che il licenziamento per motivo oggettivo sia giustificato dalla necessità di fare fronte "a sfavorevoli situazioni" e non sia "meramente strumentale ad un incremento del profitto" è affermazione che si trova poi reiterata nella successiva giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass. n. 12514 del 2004; Cass. n. 21282 del 2006; Cass. n. 7006 del 2011; Cass. n. 19616 del 2011; Cass. n. 2874 del 2012; Cass. n. 24037 del 2013, in motivazione; Cass. n. 5173 del 2015, in motivazione; Cass. n. 13116 del 2015). Da tale indirizzo, rigorosamente applicato, scaturisce la conseguenza, condivisa dai giudici del Collegio fiorentino, in base alla quale il presupposto fattuale della sfavorevole situazione economica in cui versa l'azienda, indipendentemente dalle ragioni addotte dall'imprenditore e dalla loro effettività, assurge a requisito di legittimità intrinseco al licenziamento per giustificato motivo oggettivo che deve essere provato dal datore di lavoro ed accertato dal giudice.
4.2.— Secondo altro orientamento, invece, le ragioni inerenti l'attività produttiva di cui all'art. 3 della I. n. 604 del 1966 possono derivare anche "da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali ne siano le finalità e quindi comprese quelle dirette al risparmio dei costi o all'incremento dei profitti ... opinare diversamente significherebbe affermare il principio, contrastante con quello sancito dall'art. 41 Cost., per il quale l'organizzazione aziendale, una volta delineata, costituisca un dato non modificabile se non in presenza di un andamento negativo e non anche ai fini di una più proficua configurazione dell'apparato produttivo, del quale il datore di lavoro ha il 'naturale' interesse ad ottimizzare l'efficienza e la competitività" (Cass. n. 10672 del 2007, in motivazione; conf. Cass. n. 12094 del 2007, in motivazione). Anche in precedenza si era avuto modo di affermare che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro "possono essere le più diverse" e non solo quelle che ne riconoscono la legittimità se "dirette a fronteggiare situazioni sfavorevoli" (Cass. n. 9310 del 2001, in motivazione), non potendosi distinguere nelle ragioni economiche a sostegno della decisione imprenditoriale "tra quelle determinate da fattori esterni all'impresa, o di mercato, e quelle inerenti alla gestione dell'impresa, o volte ad una organizzazione più conveniente per un incremento del profitto" (Cass. n. 5777 del 2003).
Più di recente si è considerato "estraneo al controllo giudiziale il fine di arricchimento, o non impoverimento, perseguito dall'imprenditore, comunque suscettibile di determinare un incremento di utili a beneficio dell'impresa e, dunque, dell'intera comunità dei lavoratori" (Cass. n. 23620 del 2015). Sulla medesima linea - peraltro dubitandosi che questa Corte abbia mai fatto applicazione, nel concreto delle fattispecie esaminate, del principio per il quale l'imprenditore possa licenziare un dipendente solo per evitare perdite e non anche per mantenere o incrementare profitti - si è sostenuto: "l'assunto secondo cui il datore di lavoro dovrebbe provare la necessità della contrazione dei costi dimostrando l'esistenza di sfavorevoli contingenze di mercato, a tal fine non bastando una sua autonoma scelta in tal senso, si dimostra infondato vuoi perché tale necessità non è imposta dalla lettera e dallo spirito dell'art. 3 cit., vuoi perché l'esegesi proposta è incompatibile con l'art. 41 co. 1° Cost. che lascia all'imprenditore (con il limite di cui al cpv. dello stesso articolo) la scelta della migliore combinazione dei fattori produttivi a fini di incremento della produttività
aziendale. Diversamente opinando e cioè supponendo come indispensabile, affinché si possa ravvisare un giustificato motivo oggettivo, che l'impresa versi in sfavorevoli situazioni di mercato superabili o mitigabili soltanto mediante una riorganizzazione tecnico-produttiva e il conseguente licenziamento d'un dato dipendente, bisognerebbe ammetterne la legittimità esclusivamente ove essa tenda ad evitare il fallimento dell'impresa e non anche a migliorarne la redditività. Ma sarebbe -questa- una conclusione costituzionalmente impraticabile e illogica: in termini microeconomici, nel lungo periodo e in un regime di concorrenza, l'impresa che ha il maggior costo unitario di produzione è destinata ad essere espulsa dal mercato" (Cass. n. 13516 del 2016; in senso sostanzialmente conforme si è espressa altresì, in motivazione, Cass. n. 15082 del 2016). In analoga prospettiva appaiono collocarsi nel corso del tempo quelle molteplici decisioni che, senza concretamente indagare sulla preesistenza di una situazione sfavorevole, riconducono ad un giustificato motivo oggettivo di licenziamento la soppressione del posto seguita alla cd. esternalizzazione dell'attività a terzi (Cass. n. 6222 del 1998; Cass. n. 13021 del 2001; Cass. n. 18416 del 2013) ovvero alla ripartizione delle mansioni tra il personale già in forza all'azienda (Cass. n. 24502 del 2011; Cass. n. 18780 del 2015; Cass. n. 14306 del 2016; Cass. n. 19185 del 2016, tutte in motivazione; per il caso di soppressione parziale delle mansioni v. Cass. n. 6229 del 2007; Cass. n. 11402 del 2012). 4.3.— Tratti comuni ad entrambi gli orientamenti sono rappresentati dal controllo giudiziale sull'effettività del ridimensionamento e sul nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato. Parimenti costituisce limite al potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa. E' così costante l'affermazione secondo cui: "il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato" (Cass. n. 24235 del 2010; Cass. n. 15157 del 2011; Cass. n. 7474 del 2012; tra le recenti conformi: Cass. n. 18409 del 2016; Cass. n. 16544 del 2016; Cass. n. 6501 del 2016; Cass. n. 12242 del 2015; Cass., ord. VI sez., n. 25874 del 2014, queste ultime sempre in motivazione). 5.— Tanto premesso, la Corte ritiene che debba essere data continuità, al fine di consolidarlo, al secondo orientamento innanzi delineato. 5.1.— Ai sensi dell'art. 3 della I. n. 604 del 1966, nella parte che qui rileva, "il licenziamento per giustificato motivo ... è determinato ... da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa". L'interpretazione letterale della norma, da cui occorre necessariamente muovere, esclude che per ritenere giustificato il licenziamento per motivo oggettivo debba ricorrere, ai fini dell'integrazione della fattispecie astratta, un presupposto fattuale - che il datore di lavoro debba indefettibilmente provare ed il giudice conseguentemente accertare - identificabile nella sussistenza di "situazioni sfavorevoli" ovvero di "spese notevoli di carattere straordinario", cui sia necessario fare fronte. Dal punto di vista dell'esegesi testuale della disposizione è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente o pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività d'impresa. Non è quindi necessitato che si debba fronteggiare un andamento economico negativo o spese straordinarie e non appare pertanto immeritevole di considerazione l'obiettivo aziendale di salvaguardare la competitività nel settore nel quale si svolge l'attività dell'impresa attraverso le modalità, e quindi la combinazione dei fattori della produzione, ritenute più opportune dal soggetto che ne assume la responsabilità anche in termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli.
5.2.— La diversa interpretazione, infatti, non trova riscontro in dati interni al dettato normativo bensì viene patrocinata sulla base di elementi extra-testuali e di contesto e trae origine nella tesi dottrinale della extrema ratio secondo cui la scelta che legittima l'uso del licenziamento dovrebbe essere "socialmente opportuna". Tale lettura tuttavia non appare innanzitutto costituzionalmente imposta. In una pluridecennale giurisprudenza la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare - in estrema sintesi e per quanto qui rileva - che nell'art. 4 Cost. non è dato rinvenire un diritto all'assunzione o al mantenimento del posto di lavoro; che l'indirizzo di progressiva garanzia del diritto del lavoro previsto dall'art. 4 e dall'art. 35 Cost. ha portato nel tempo ad introdurre temperamenti al potere di recesso del datore di lavoro; che tuttavia tali garanzie sono affidate alla discrezionalità del legislatore, non solo quanto alla scelta dei tempi, ma anche dei modi attuazione, in rapporto alla situazione economica generale (cfr. Corte cost. n. 45 del 1965; n. 194 del 1970; n. 129 del 1976; n. 189 del 1980; n. 2 del 1986; n. 46 del 2000; n. 541 del 2000; n. 303 del 2011). In assenza di una specifica indicazione normativa, la tutela del lavoro garantita dalla Costituzione non consente di riempire di contenuto l'art. 3 della I. n. 604 del 1966 sino al punto di ritenere precettivamente imposto che, nel dilemma tra una migliore gestione aziendale ed il recesso da un singolo rapporto di lavoro, l'imprenditore possa optare per la seconda soluzione solo a condizione che debba fare fronte a sfavorevoli e non contingenti situazioni di crisi. L'art. 41, co. 3, Cost., riserva al legislatore il compito di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Fermo restando il vincolo invalicabile per cui l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, essa "è libera" (art. 41, co. 1, Cost.), nei limiti stabiliti dal legislatore al quale non può sostituirsi il giudice. Non pare dubbio che spetta all'imprenditore stabilire la dimensione occupazionale dell'azienda, evidentemente al fine di perseguire il profitto che è lo scopo lecito per il quale intraprende. Tale scelta è sicuramente libera nel momento genetico in cui nasce l'azienda e si instaurano i rapporti di lavoro in misura ritenuta funzionale allo scopo.
Anche durante la vita dell'azienda la selezione del livello occupazionale dell'impresa rimane libera e non può essere pertanto sindacata al di fuori dei confini stabiliti dal legislatore, non essendo affidato al giudice il compito di contemperare ex post interessi confliggenti stabilendo quello ritenuto prevalente se un tale potere non trova riscontro nella legge. In altre parole se è vero che, in via meramente ipotetica, la norma potrebbe stabilire - nella cornice costituzionale innanzi detta - che il licenziamento per motivo oggettivo possa ritenersi giustificato solo in presenza di una accertata crisi d'impresa, è anche vero che ove ciò non faccia espressamente, come nel caso dell'art. 3 della I. n. 604 del 1966, tale condizione non è ricavabile aliunde in via interpretativa. Compete al legislatore sancire se il fine sociale cui può essere coordinata o indirizzata l'attività economica anche privata, nella scelta tra una più efficiente gestione aziendale ed il sacrificio di una singola posizione lavorativa, debba necessariamente seguire la strada di inibire il licenziamento individuale, fermo restando che chi legifera può diversamente ritenere che l'interesse collettivo dell'occupazione possa essere meglio perseguito salvaguardando la capacità gestionale delle imprese di fare fronte alla concorrenza nei mercati e che il beneficio attuale per un lavoratore a detrimento dell'efficienza produttiva possa piuttosto tradursi in un pregiudizio futuro per un numero maggiore di essi. Non spetta al giudice, in presenza di una formula quale quella dettata dall'art. 3 più volte citato, surrogarsi nella scelta, con riferimento alla singola impugnativa di licenziamento, tenuto conto altresì della inevitabile mancanza di strumenti conoscitivi e predittivi che consentano di valutare quale possa essere la migliore opzione per l'impresa e per la collettività. Egli, così, non può essere legittimato a gravare l'impresa di costi impropri o non dovuti in base alla legge, quando piuttosto la Costituzione investe i poteri pubblici del compito di perseguire l'interesse collettivo dell'occupazione, tenuto altresì conto che la prospettiva individuale della difesa del singolo rapporto di lavoro potrebbe anche pregiudicare, come già è stato osservato da Cass. n. 23620 del 2015 cit., l'intera comunità dei lavoratori dell'azienda interessata. Del resto le considerazioni esposte non presentano alcun carattere di reale novità nella giurisprudenza di questa Corte la quale ha costantemente ribadito il principio, comune ad entrambi gli orientamenti in discorso, che la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro "non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità", in ossequio proprio all'art. 41 Cost.. Orbene, il controllo sulla necessità o sulla inevitabilità del singolo recesso sottende un sindacato su congruità ed opportunità della scelta organizzativa nella misura in cui si ritenga che la soppressione del posto sia sempre eludibile quando non vi è crisi d'impresa o perdita di bilancio. Pertanto esigere la sussistenza di una situazione economica sfavorevole per rendere legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo significa inserire nella fattispecie legale astratta disegnata dall'art. 3 della I. n. 604 del 1966 un elemento fattuale non previsto, con una interpretazione che trasmoda inevitabilmente, talvolta surrettiziamente, nel sindacato sulla congruità e sulla opportunità della scelta imprenditoriale. 5.3.— In proposito occorre rilevare che, secondo l'art. 30, co. 1, della I. n. 183 del 2010, applicabile al presente giudizio, in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nella materie del lavoro privato e pubblico "contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di ... recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro ...". Si rammenta che formule omologhe, ispirate dall'intento di delimitare l'intervento giudiziale sui poteri dell'imprenditore, sono contenute nella precedente I. n. 276 del 2003, sia all'art. 27, co. 3, in tema di somministrazione, sia all'art. 69, co. 3, in tema di lavoro a progetto. Con l'art. 1, co. 43 della I. n. 92 del 2012, pure vigente per il caso in esame, all'art. 30 cit. si è aggiunto che "l'inosservanza delle disposizioni di cui al precedente periodo, in materia di limiti al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro, costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto". Il chiaro intento delle suddette formule legislative non ne autorizza, in particolare nella materia che ci occupa, una lettura minimizzante che archivia le disposizioni ivi contenute come assolutamente prive di qualsivoglia significato (cfr. Cass. n. 23620/2015 cit., in motivazione). La circostanza, da più parti evidenziata, che sia stata recepita in norma una opinione diffusa ed in giurisprudenza accolta circa il limite al sindacato giudiziale sulle scelte dell'impresa non può svilire l'attribuzione espressa del crisma della legalità, il quale conferisce al canone una portata interpretativa di assoluto rilievo nelle ipotesi in cui l'affermazione del principio tende a tradursi nella sua negazione all'atto dell'applicazione pratica. Pertanto, considerato che la situazione sfavorevole di mercato non risulta iscritta nell'art. 3 della I. n. 604 del 1966 quale presupposto di legittimità del licenziamento, ogni valutazione del giudice che ad essa attribuisca rilievo, implicando, per le ragioni esposte, una estensione "al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro", è preclusa dall'art. 30 citato e si traduce in una errata ricognizione del contenuto precettivo della fattispecie astratta mediante l'inserimento di un elemento non previsto, con conseguente censurabilità per violazione di norme di diritto a mente dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.. Invero è valutazione di merito quella che attribuisce a chi la esercita la facoltà di effettuare un giudizio comparativo tra più possibili soluzioni, selezionando quella che appare più confacente sotto il profilo organizzativo o produttivo e che connota la discrezionalità propria delle opzioni imprenditoriali, ove non altrimenti limitate dalla legge. Non è tale, invece, quella che riguarda l'esistenza stessa di una ragione organizzativa o produttiva che riconduce la decisione datoriale alla giustificazione che la legge postula per l'esercizio del potere; valutazione quest'ultima che non presuppone alcun giudizio comparativo ma solo un sindacato di effettività che il giudice può e deve svolgere. 5.4.— L'interpretazione accolta non palesa profili di tensione neanche con l'ordinamento dell'Unione europea.
L'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce che: "Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali". Come noto non è sufficiente che un diritto sia riconosciuto dalla Carta come "fondamentale", ma occorre che l'Unione abbia la competenza a disciplinarlo e che la stessa competenza sia stata in concreto esercitata, atteso che la Corte di Giustizia ha evidenziato come essa, per quanto riguarda la Carta, non possa valutare una normativa nazionale che non si collochi nell'ambito del diritto dell'Unione (tra le altre: CGUE, Fransson, C-617/2010, Grande Sezione del 26 febbraio 2013; CGUE, Emiliano Torralbo Marcos, 27 marzo 2014, C-265/13; Corte Cost. n. 80 del 2011; Cass. SS.UU. n. 9595 del 2012).
Sebbene la tutela dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro sia uno dei mezzi per raggiungere gli obiettivi fissati dall'art. 151 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione e il legislatore dell'Unione sia competente in tale settore in base alle condizioni di cui all'art. 153 dello stesso Trattato, vi è una direttiva che riguarda i licenziamenti collettivi ma non quelli individuali rispetto ai quali detta competenza non è stata esercitata (CGUE, Polfer, C-361/07 del 16 gennaio 2008, punto 13). Inoltre l'art. 30 cit. si limita a proclamare il diritto del lavoratore ad una tutela in caso di licenziamento ingiustificato, lasciando al legislatore comunitario ed a quello nazionale il compito di dare concretezza al contenuto ed agli scopi del principio enunciato. Anche la Carta sociale europea (ratificata con I. n. 30 del 1999), all'art. 24, si limita a stabilire l'impegno delle parti contraenti a riconoscere il diritto dei lavoratori a non essere licenziati senza un valido motivo e tra essi pone quello "basato sulle necessità di funzionamento dell'impresa". Pure riguardo alla Carta sociale, peraltro, la Corte di Giustizia si è dichiarata incompetente a pronunciarsi in materia di interpretazione di norme di diritto internazionale che vincolano gli Stati membri, ma esulano dalla sfera del diritto dell'Unione, non sindacando un patto di prova rispetto al quale non era stato dimostrato un nesso con l'ordinamento comunitario (CGUE, Grima Janet Nisttahuz Poclava, C-117/2014 del 5 febbraio 2015, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 5.5.— In definitiva la ragione inerente all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa. Senza carattere di esaustività, ma solo in via esemplificativa sulla scorta di casi già esaminati dalla Corte ed innanzi richiamati, la modifica della struttura organizzativa può essere colta nella soppressione della funzione cui il licenziato era addetto, nella cd. esternalizzazione della sua attività a terzi, nella ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze, nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto. La circostanza che tali effetti di ristrutturazione organizzativa possano essere originati dall'obiettivo di una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero finalizzati ad un incremento della redditività d'impresa (e quindi eventualmente del profitto) e non solo determinati dalla necessità di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli non contingenti oppure a spese straordinarie non significa affatto che la decisione imprenditoriale sia sottratta ad ogni controllo e sfugga a ben precisi limiti. Innanzitutto, in ossequio all'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, non vi è effettiva soppressione del posto di lavoro nel caso in cui avvenga una mera sostituzione del dipendente licenziato con altro lavoratore assunto a minor costo, perché retribuito meno per lo svolgimento di identiche mansioni (Cass. SS.UU. n. 3353 del 1994; conf. Cass. n. 3899 del 2001; da ultimo Cass. n. 13516 del 2016, in motivazione, secondo cui La combinazione di siffatti controlli e limiti, oltre le comuni tutele del lavoratore dagli atti illeciti o discriminatori del datore, esclude che il potere di questi di risolvere il rapporto per motivazioni economiche possa essere assimilato ad un recesso ad nutum frutto di scelte autosufficienti ed insindacabili dell'imprenditore. Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impugnata che, in mancanza di prova da parte del datore di lavoro dell'esigenza di fare fronte a sfavorevoli e non contingenti situazioni economiche ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario, ha ritenuto non sufficiente ai fini della legittimità del licenziamento del Tanganelli "la dimostrazione dell'effettività della riorganizzazione" che pure risultava coerente con la motivata esigenza tecnica di rendere più efficiente la gestione aziendale, deve essere cassata in accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
8.— In conclusione, in relazione ai primi due motivi di ricorso accolti, dichiarato inammissibile il terzo ed assorbito il quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo il quale si uniformerà al seguente principio di diritto: "Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della I. n. 604 del 1966, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore".

mercoledì 28 dicembre 2016



In caso di impugnazione alla DTL della sanzione comminata il datore di lavoro può proporre nei 10 giorni successivi il tentativo di conciliazione ex art. 410 cpc ed adire alla sua conclusione l'autorità giudiziaria?




Sul punto la Cassazione: 09/07/2015, n. 14352 ha statuito:L'art. 7, comma 7 della L. n. 300/70, nel prescrivere al datore che abbia inflitto al prestatore di lavoro una sanzione disciplinare, di nominare un proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione ed arbitrato entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro - impone al medesimo datore di lavoro che intenda declinare la competenza arbitrale ricorrendo al giudice ordinario, di promuovere entro lo stesso termine di dieci giorni il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c., comminando una decadenza che viene impedita con la tempestiva consegna della lettera all'ufficio postale, restando irrilevante la data di ricezione. Alla luce degli esposti principi, deve ritenersi che, richiesto dal datore di lavoro il tentativo obbligatorio di conciliazione, durante il suo esperimento e nei venti giorni successivi alla sua conclusione, è impedita ogni decadenza.

martedì 27 dicembre 2016

Sul lavoratore a domicilio quali obblighi gravano?


In base all'art. 11 della legge 877 del 1973: "Il lavoratore a domicilio deve prestare la sua attività con diligenza, custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli e attenersi alle istruzioni ricevute dall'imprenditore nell'esecuzione del lavoro. 

Il lavoratore a domicilio non può eseguire lavoro per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore, quando questi gli affida una quantità di lavoro atto a procurargli una prestazione continuativa corrispondente all'orario normale di lavoro secondo le disposizioni vigenti e quelle stabilite dal contratto collettivo di lavoro di categoria.

venerdì 23 dicembre 2016

Gli sgravi contributivi riconosciuti dall'art. 1 comma 178 della legge 2015 n. 208 sono mantenuti in caso di cambio di appalto dall'impresa subentrante?





In base al comma 181 dell'art. 1 della Legge 28/12/2015, n. 208 Il datore di lavoro che subentra nella fornitura di servizi in appalto e che assume, ancorché in attuazione di un obbligo preesistente, stabilito da norme di legge o della contrattazione collettiva, un lavoratore per il quale il datore di lavoro cessante fruisce dell'esonero contributivo di cui ai commi 178[1] o 179, preserva il diritto alla fruizione dell'esonero contributivo medesimo nei limiti della durata e della misura che residua computando, a tal fine, il rapporto di lavoro con il datore di lavoro cessante.










[1] L 28/12/2015, n. 208

art. 1 comma 178. Al fine di promuovere forme di occupazione stabile, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, e con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico, decorrenti dal 1° gennaio 2016 con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2016, è riconosciuto, per un periodo massimo di ventiquattro mesi, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, l'esonero dal versamento del 40 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 3.250 euro su base annua. L'esonero di cui al presente comma spetta ai datori di lavoro in presenza delle nuove assunzioni di cui al primo periodo, con esclusione di quelle relative a lavoratori che nei sei mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro, e non spetta con riferimento a lavoratori per i quali il beneficio di cui al presente comma ovvero di cui all'articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato. L'esonero di cui al presente comma non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente. L'esonero di cui al presente comma non spetta ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro, ivi considerando società controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge. L'INPS provvede, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, al monitoraggio del numero di rapporti di lavoro attivati ai sensi del presente comma e delle conseguenti minori entrate contributive, inviando relazioni mensili al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze. 



giovedì 22 dicembre 2016



Ai lavoratori a domicilio spettano gli assegni familiari e si applicano le assicurazioni sociali?




In base all'art. 9 della legge 877 del 1983. "Ai lavoratori a domicilio si applicano le norme vigenti per i lavoratori subordinati in materia di assicurazioni sociali e di assegni familiari, fatta eccezione di quelle in materia di integrazione salariale.

A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al termine di due anni dalla data medesima, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale di concerto con il Ministro per il tesoro, sentita la commissione centrale di cui al precedente articolo 7, sono stabilite, anche per singole zone territoriali, tabelle di retribuzioni convenzionali ai fini del calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali"

mercoledì 21 dicembre 2016

Come è regolamentata la sostituzione dei lavoratori in congedo dal dlgs 151 del 2001?


In base all'art. 4.
1. In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o utilizzare personale con contratto temporaneo, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 1, secondo comma, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l'osservanza delle disposizioni delle leggi medesime. 


2. L'assunzione di personale a tempo determinato e l'utilizzazione di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del presente testo unico può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. 


3. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l'impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto.


4. Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento.


5. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui al Capo XI, è possibile procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 3.

martedì 20 dicembre 2016


Il lavoratore a domicilio deve essere indicato sul libro  unico?



In base all'art. 3 comma 5 l. 877 del 1973 "il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda è obbligato a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro"

lunedì 19 dicembre 2016

Quando è vietato il lavoro a domicilio?

In base all'art. 2 della legge 1973 n. 877


Non è ammessa l'esecuzione di lavoro a domicilio per attività le quali comportino l'impiego di sostanze o materiali nocivi o pericolosi per la salute o la incolumità del lavoratore e dei suoi familiari.

È fatto divieto alle aziende interessate da programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, di affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno rispettivamente dall'ultimo provvedimento di licenziamento e dalla cessazione delle sospensioni.
....



È fatto divieto ai committenti di lavoro a domicilio di valersi dell'opera di mediatori o di intermediari comunque denominati i quali, unitamente alle persone alle quali hanno commesso lavoro a domicilio, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del datore di lavoro per conto e nell'interesse del quale hanno svolto la loro attività" .

venerdì 16 dicembre 2016

Come è regolamentata la definizione agevolata della legge 225 del 2016?

In base all’art. 6 dellla legge 2225 del 2016:

1. Relativamente ai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016, i debitori possono estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, provvedendo al pagamento integrale delle somme di cui alle lettere a) e b), dilazionato in rate sulle quali sono dovuti, a decorrere dal 1° agosto 2017, gli interessi nella misura di cui all'articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973. Fermo restando che il 70 per cento delle somme complessivamente dovute deve essere versato nell'anno 2017 e il restante 30 per cento nell'anno 2018, e' effettuato il pagamento, per l'importo da versare distintamente in ciascuno dei due anni, in rate di pari ammontare, nel numero massimo di tre rate nel 2017 e di due rate nel 2018:
 a) delle somme affidate all'agente della riscossione a titolo di capitale e interessi;
b) di quelle maturate a favore dell'agente della riscossione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, a titolo di aggio sulle somme di cui alla lettera a) e di rimborso delle spese per le procedure esecutive, nonche' di rimborso delle spese di notifica della cartella di pagamento.

2. Ai fini della definizione di cui al comma 1, il debitore manifesta all'agente della riscossione la sua volonta' di avvalersene, rendendo, entro il 31 marzo 2017 apposita dichiarazione, con le modalita' e in conformita' alla modulistica che lo stesso agente della riscossione pubblica sul proprio sito internet nel termine massimo di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in tale dichiarazione il debitore indica altresi' il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1, nonche' la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi. Entro la stessa data del 31 marzo 2017 il debitore puo' integrare, con le predette modalita', la dichiarazione presentata anteriormente a tale data.

3. Entro il 31 maggio 2017, l'agente della riscossione comunica ai debitori che hanno presentato la dichiarazione di cui al comma 2 l'ammontare complessivo delle somme dovute ai fini della definizione, nonche' quello delle singole rate, e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse, attenendosi ai seguenti criteri:
a) per l'anno 2017, la scadenza delle singole rate e' fissata nei mesi di luglio, settembre e novembre; b) per l'anno 2018, la scadenza delle singole rate e' fissata nei mesi di aprile e settembre.

3-bis. Ai fini di cui al comma 1, l'agente della riscossione fornisce ai debitori i dati necessari a individuare i carichi definibili ai sensi dello stesso comma 1:
a) presso i propri sportelli;
b) nell'area riservata del proprio sito internet istituzionale.
3-ter. Entro il 28 febbraio 2017, l'agente della riscossione, con posta ordinaria, avvisa il debitore dei carichi affidati nell'anno 2016 per i quali, alla data del 31 dicembre 2016, gli risulta non ancora notificata la cartella di pagamento ovvero inviata l'informazione di cui all'articolo 29, comma 1, lettera b), ultimo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ovvero notificato l'avviso di addebito di cui all'articolo 30, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010.

4. In caso di mancato ovvero di insufficiente o tardivo versamento dell'unica rata ovvero di una rata di quelle in cui e' stato dilazionato il pagamento delle somme di cui al comma 1, lettere a) e b), la definizione non produce effetti e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi oggetto della dichiarazione di cui al comma 2. In tal caso, i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto dell'importo complessivamente dovuto a seguito dell'affidamento del carico e non determinano l'estinzione del debito residuo, di cui l'agente della riscossione prosegue l'attivita' di recupero e il cui pagamento non puo' essere rateizzato ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

4-bis. Limitatamente ai carichi non inclusi in precedenti piani di dilazione in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la preclusione della rateizzazione di cui al comma 4, ultimo periodo, non opera se, alla data di presentazione della dichiarazione di cui al comma 1, erano trascorsi meno di sessanta giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento ovvero dell'avviso di accertamento di cui all'articolo 29, comma 1, lettera a), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ovvero dell'avviso di addebito di cui all'articolo 30, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010.

5. A seguito della presentazione della dichiarazione di cui al comma 2, sono sospesi i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi che sono oggetto di tale dichiarazione e, fermo restando quanto previsto dal comma 8, sono altresi' sospesi, per i carichi oggetto della domanda di definizione di cui al comma 1, fino alla scadenza della prima o unica rata delle somme dovute, gli obblighi di pagamento derivanti da precedenti dilazioni in essere relativamente alle rate di tali dilazioni in scadenza in data successiva al 31 dicembre 2016. L'agente della riscossione, relativamente ai carichi definibili ai sensi del presente articolo, non puo' avviare nuove azioni esecutive ovvero iscrivere nuovi fermi amministrativi e ipoteche, fatti salvi i fermi amministrativi e le ipoteche gia' iscritti alla data di presentazione della dichiarazione, e non puo' altresi' proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione che non si sia ancora tenuto il primo incanto con esito positivo ovvero non sia stata presentata istanza di assegnazione ovvero non sia stato gia' emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.

6. Ai pagamenti dilazionati previsti dal presente articolo non si applicano le disposizioni dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. 7. Il pagamento delle somme dovute per la definizione puo' essere effettuato:
a) mediante domiciliazione sul conto corrente eventualmente indicato dal debitore nella dichiarazione resa ai sensi del comma 2;
b) mediante bollettini precompilati, che l'agente della riscossione e' tenuto ad allegare alla comunicazione di cui al comma 3, se il debitore non ha richiesto di eseguire il versamento con le modalita' previste dalla lettera a) del presente comma;
c) presso gli sportelli dell'agente della riscossione.

8. La facolta' di definizione prevista dal comma 1 puo' essere esercitata anche dai debitori che hanno gia' pagato parzialmente, anche a seguito di provvedimenti di dilazione emessi dall'agente della riscossione, le somme dovute relativamente ai carichi indicati al comma 1 e purche', rispetto ai piani rateali in essere, risultino adempiuti tutti i versamenti con scadenza dal 1° ottobre al 31 dicembre 2016. In tal caso:
a) ai fini della determinazione dell'ammontare delle somme da versare ai sensi del comma 1, lettere a) e b), si tiene conto esclusivamente degli importi gia' versati a titolo di capitale e interessi compresi nei carichi affidati, nonche', ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, di aggio e di rimborso delle spese per le procedure esecutive e delle spese di notifica della cartella di pagamento;
b) restano definitivamente acquisite e non sono rimborsabili le somme versate, anche anteriormente alla definizione, a titolo di sanzioni comprese nei carichi affidati, di interessi di dilazione, di interessi di mora di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e di sanzioni e somme aggiuntive di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46;
c) il pagamento della prima o unica rata delle somme dovute ai fini della definizione determina, limitatamente ai carichi definibili, la revoca automatica dell'eventuale dilazione ancora in essere precedentemente accordata dall'agente della riscossione.

9. Il debitore, se per effetto dei pagamenti parziali di cui al comma 8, computati con le modalita' ivi indicate, ha gia' integralmente corrisposto quanto dovuto ai sensi del comma 1, per beneficiare degli effetti della definizione deve comunque manifestare la sua volonta' di aderirvi con le modalita' previste dal comma 2.
9-bis. Sono altresi' compresi nella definizione agevolata di cui al comma 1 i carichi affidati agli agenti della riscossione che rientrano nei procedimenti instaurati a seguito di istanza presentata dai debitori ai sensi del capo II, sezione prima, della legge 27 gennaio 2012, n. 3.
9-ter. Nelle proposte di accordo o del piano del consumatore presentate ai sensi dell'articolo 6, comma 1, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, i debitori possono estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni, gli interessi di mora di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all'articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, provvedendo al pagamento del debito, anche falcidiato, nelle modalita' e nei tempi eventualmente previsti nel decreto di omologazione dell'accordo o del piano del consumatore.

10. Sono esclusi dalla definizione di cui al comma 1 i carichi affidati agli agenti della riscossione recanti:
a) le risorse proprie tradizionali previste dall'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE/Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE/Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione;
b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 16 del regolamento (UE) n. 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015;
c) i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti;
d) le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
e) (Soppressa). e-bis) le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali.

11. Per le sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le disposizioni del presente articolo si applicano limitatamente agli interessi, compresi quelli di cui all'articolo 27, sesto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689.

12. A seguito del pagamento delle somme di cui al comma 1, l'agente della riscossione e' automaticamente discaricato dell'importo residuo. Al fine di consentire agli enti creditori di eliminare dalle proprie scritture patrimoniali i crediti corrispondenti alle quote discaricate, lo stesso agente della riscossione trasmette, anche in via telematica, a ciascun ente interessato, entro il 30 giugno 2019, l'elenco dei debitori che hanno esercitato la facolta' di definizione e dei codici tributo per i quali e' stato effettuato il versamento.
12-bis. All'articolo 1, comma 684, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il primo periodo e' sostituito dal seguente: «Le comunicazioni di inesigibilita' relative a quote affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015, anche da soggetti creditori che hanno cessato o cessano di avvalersi delle societa' del Gruppo Equitalia Spa, sono presentate, per i ruoli consegnati negli anni 2014 e 2015, entro il 31 dicembre 2019 e, per quelli consegnati fino al 31 dicembre 2013, per singole annualita' di consegna partendo dalla piu' recente, entro il 31 dicembre di ciascun anno successivo al 2019.
13. Alle somme occorrenti per aderire alla definizione di cui al comma 1, che sono oggetto di procedura concorsuale, nonche' in tutte le procedure di composizione negoziale della crisi d'impresa previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si applica la disciplina dei crediti prededucibili di cui agli articoli 111 e 111-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

13-bis. La definizione agevolata prevista dal presente articolo puo' riguardare il singolo carico iscritto a ruolo o affidato.

giovedì 15 dicembre 2016



Come è regolamentato il trasferimento del lavoratore nel ccnl metalmeccanici industria?


In base all'art. 8 della sezione quarta: "I lavoratori di età superiore ai 50 anni se uomini e 45 se donne, potranno essere trasferiti in altra sede solo in casi eccezionali da esaminare, a richiesta del lavoratore, in sede sindacale.

In caso di altri trasferimenti individuali dovrà tenersi conto delle obiettive e comprovate ragioni che il lavoratore dovesse addurre contro il trasferimento, direttamente ovvero tramite i componenti delle Rappresentanze sindacali unitarie.

In ogni caso il trasferimento deve essere preceduto da un preavviso non inferiore a 20 giorni.

I trasferimenti collettivi formeranno oggetto di preventiva comunicazione alle Organizzazioni sindacali dei lavoratori e, a richiesta delle stesse, di esame congiunto.

La presente disciplina non si applica ai trasferimenti che vengono disposti nell'ambito del comprensorio.

Quanto sopra non si cumula con le eventuali regolamentazioni in materia derivanti da accordi aziendali."

mercoledì 14 dicembre 2016

Chi è il lavoratore a domicilio?


In base all'art. 1 della legge 873 del 1977 "È lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi .

La subordinazione, agli effetti della presente legge e in deroga a quanto stabilito dall'articolo 2094 del codice civile, ricorre quando il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente.

Non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato chiunque esegue, nelle condizioni di cui ai commi precedenti, lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l'uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti corrisponde al datore di lavoro uni compenso di qualsiasi natura"

martedì 13 dicembre 2016

Su chi grava l'onere della prova in ordine all'incompatibilità/compatibilità del lavoro nel corso della malattia?




Come indicato dalla recente Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-12-2016, n. 24671 sul lavoratore:


"Con il quarto motivo si allega la violazione dell'art. 2697 c.c.: la prova in ordine dell'incidenza dell'attività lavorativa sul recupero psico-fisico del dipendente spettava al datore di lavoro. Il motivo appare infondato in quanto il principio affermato dalla sentenza impugnata risulta anche recentemente confermato da questa Corte che ha stabilito che "il lavoratore, al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un'assenza per malattia, ha l'onere di dimostrare la compatibilità dell'attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche, restando, peraltro, le relative valutazioni riservate al giudice del merito all'esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto" (Cass. n. 586/2016)".

lunedì 12 dicembre 2016

Entro quando si prescrive l'azione di regresso dell'Inail verso il datore di lavoro in caso di assenza di accertamento di responsabilità penale del datore di lavoro?

In base a Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 16-03-2015, n. 5160:

"L'Istituto ricorrente sostiene che "il termine triennale di estinzione dell'azione di regresso, nell'ipotesi, come nella specie, in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale nei confronti del datore di lavoro per non essere mai stato investito il giudice penale della cognizione dell'infortunio, decorre dalla data della prescrizione o di altra causa estintiva del reato in quanto l'art. 112, comma 5, T.U. 1124 del 1965, non potendosi più interpretare letteralmente giacchè la sua formulazione originaria non poteva che disciplinare l'unica ipotesi all'epoca possibile per promuovere l'azione di regresso, quando era vincolata all'esistenza di un giudizio penale, deve essere letto in combinazione all'art. 2947 c.c.". Pertanto, secondo il ricorrente, nel caso di specie, essendo intervenuta la estinzione del reato l'11-8-2004 (ex art. 157 c.p. nella formulazione vigente all'epoca, con il decorso di cinque anni dopo la commissione del reato di lesioni personali colpose punite con la reclusione inferiore a cinque anni), l'azione di regresso introdotta con ricorso depositato il 15-11-2005, doveva considerarsi tempestiva.

Premesso che il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, commi 3 e 5, prevedono rispettivamente che le azioni spettanti all'Istituto assicuratore, in forza del presente titolo, verso i datori di lavoro e verso le persone assicurate possono essere esercitate indipendentemente dall'azione penale, salvo nei casi previsti negli artt. 10 e 11 - e quindi salvo il caso di azione di regresso -, che il giudizio civile di cui all'art. 11, avente ad oggetto appunto l'azione di regresso dell'Istituto, non può istituirsi dopo trascorsi tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per le cause indicate nello stesso articolo e che l'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile, osserva il Collegio che sulla questione del dies a quo del suddetto termine nell'ipotesi in cui non sia intervenuta nè una sentenza di condanna, nè una di proscioglimento questa Corte ha espresso diversi orientamenti.

In particolare Cass. 18-8-2000 n. 10950 ha ritenuto che tale dies a quo decorre dalla definizione del procedimento penale solo quando tale procedimento sia stato iniziato, mentre negli altri casi decorre dal giorno in cui l'istituto ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione.

Cass. 21-1-2004 n. 968 ha invece affermato che il termine triennale di prescrizione dell'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, nella ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale a carico del datore di lavoro per non essere mai stato investito il giudice penale della cognizione dell'infortunio, decorre dalla data della prescrizione o di altra causa estintiva del reato, e non dalla data dell'infortunio, in quanto, fino a tale momento, è sempre possibile la instaurazione del processo penale.

Tale pronuncia ha precisato che non rileva in contrario la circostanza che, a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, sia venuto meno il principio della necessaria pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello civile, atteso che, in tema di azione di regresso dell'Inail, dal combinato disposto del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10, 11, 111 e 112 è ricavabile un sistema dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale che si pone in rapporto di specialità rispetto ai principi generali desumibili dal codice di procedura penale, per effetto del quale l'Inail non può esercitare l'azione di regresso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale di proscioglimento o di condanna dell'escusso, ovvero prima dell'estinzione del reato per una delle varie ipotesi previste dalla legge penale per il caso in cui la notizia di reato non sia mai pervenuta al pubblico ministero.

Parimenti, Cass. 18-5-2007 n. 11625 (non massimata) ha ribadito che "il termine triennale di prescrizione (da qualificarsi più correttamente come decadenza) dell'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro, nella ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale a carico del datore di lavoro per non essere mai stato investito il giudice penale della cognizione dell'infortunio, decorre dalla data della prescrizione o di altra causa estintiva del reato, in quanto, fino a tale momento, è sempre possibile la instaurazione del processo penale, senza che rilevi in contrario la circostanza che, a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, è venuto meno il principio della necessaria pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello civile, atteso che, in tema di azione di regresso dell'INAIL, dal combinato disposto del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10, 11, 111 e 112e dagli interventi della Corte costituzionale è ricavabile un sistema dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale che si pone in rapporto di specialità rispetto ai principi generali desumibili dal codice di procedura penale, per effetto del quale l'INAIL non può esercitare l'azione di regresso prima del passaggio in giudicato della sentenza penale di proscioglimento o di condanna dell'escusso, ovvero prima dell'estinzione del reato per una delle varie ipotesi previste dalla legge penale per il caso in cui la notizia di reato non sia mai pervenuta al pubblico ministero".

Secondo un più recente orientamento (Cass. 3 marzo 2011, n. 5134, Cass. 11 marzo 2011, n. 5879), invece, l'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo, dovendosi ritenere che detta azione, con la quale l'Istituto fa valere in giudizio un proprio credito in rivalsa, sia assimilabile a quella di risarcimento danni promossa dall'infortunato, atteso che il diritto viene esercitato nei limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare il datore di lavoro, consentendo, al contempo, di recuperare quanto corrisposto al danneggiato.

Peraltro, nel caso, invece, di pronuncia del giudice penale di non doversi procedere, caratterizzata dalla mancanza di un accertamento del fatto-reato, alla quale è equiparabile qualsiasi provvedimento, ancorchè adottato nella fase precedente al dibattimento, che precluda, se non in presenza di una diversa situazione fattuale, la possibilità dell'avvio di nuove indagini e l'esercizio dell'azione penale nei confronti della medesima persona, Cass. 25-1-2012 n. 1061 ha affermato che, ove sia stato emesso, ai sensi dell'art. 409 c.p.p., decreto di archiviazione, il termine decadenziale decorre dalla relativa data di emissione trattandosi di atto la cui rimozione deve essere autorizzata dal giudice.

Nel caso, invece, in cui sia intervenuta una sentenza di condanna un'ulteriore puntualizzazione è stata fatta da Cass. 29 novembre 2012, n. 21269, che ha precisato che l'ultimo inciso del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, comma 5, nello stabilire che l'azione di regresso dell'Inail si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile, richiama esplicitamente l'azione di regresso di cui all'art. 11 stesso T.U. che, a sua volta, prevede che il diritto di regresso può essere esercitato dall'istituto assicuratore per le somme pagate a titolo di indennità e di spese accessorie contro le persone civilmente responsabili, per cui il presupposto per l'esercizio dell'azione di regresso è rappresentato dall'avvenuto pagamento di somme di denaro e non certamente dall'esistenza di un debito assicurativo ancora insoluto nei confronti dell'assicurato o dei suoi superstiti, con l'ulteriore conseguenza che il termine di prescrizione del diritto di regresso inizia a decorrere solo dalla data di pagamento dell'indennizzo da parte dell'Inail e non dalla data precedente in cui la sentenza penale diviene irrevocabile.

Sulla natura, poi, di decadenza o di prescrizione del termine di tre anni previsto dalla norma citata, in passato, queste Sezioni Unite (Cass. 16 aprile 1997, n. 3288), componendo un contrasto di giurisprudenza sul punto, hanno affermato che "il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, u.c., (secondo cui il giudizio civile di cui al precedente art. 11 non può istituirsi dopo trascorsi tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per le cause indicate dallo stesso articolo, quali la morte dell'imputato o l'intervenuta amnistia del reato, e l'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile) contempla, nelle sue due disposizioni anzidette, due fattispecie diverse, delle quali la prima è caratterizzata dalla mancanza di un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale e la seconda, invece, dall'esistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (pronunciata nei confronti del datore di lavoro o di suoi dipendenti o dello stesso infortunato); correlativamente, l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. soggiace nella prima ipotesi (ai sensi della prima parte, ultimo comma, cit. art. 112) a termine triennale di decadenza, che (insuscettibile d'interruzione) decorre dalla data di emissione della sentenza penale di non doversi procedere, e nella seconda ipotesi (ai sensi dell'ultima parte, ultimo comma, stesso art. 112) a termine triennale di prescrizione, che decorre dal giorno nel quale è divenuta irrevocabile la sentenza penale di condanna".

Sul tema della natura del termine, infine, Cass. 3-10-2007 n. 20736, ha affermato che "l'azione di regresso spettante all'Inail nei confronti del datore di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 11, nel caso in cui questi sia stato assolto dall'imputazione derivatagli dall'infortunio sul lavoro, è sottoposta al termine triennale di prescrizione di cui all'art. 112, comma 2, seconda parte, del d.P.R. citato, la cui decorrenza può essere interrotta non con il deposito bensì con la notificazione del ricorso con cui l'azione viene esercitata oppure da ogni atto idoneo alla costituzione in mora".

Con tale pronuncia, premesso che la "coerenza fra artt. 10 e 11, da una parte, e art. 112, dall'altra parte è venuta meno per effetto di pronunce della Corte Costituzionale (nn. 102 del 1981 e 118 del 1996) e di mutamenti del regime processuale penale (artt. 75 e 651 e segg. c.p.p., del 1988) e civile (art. 295 c.p.c., come novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 35) i quali si riassumono nell'abolizione della cosiddetta pregiudiziale penale", per cui "l'azione di regresso dell'Inail è connessa soltanto all'astratta previsione legale quale reato del fatto causativo dell'infortunio e non dal concreto accertamento dell'illecito penale", nel colmare la relativa lacuna normativa, questa Corte ha evidenziato che "quand'anche non voglia ritenersi, insieme alla prevalente dottrina ed a Cass. 16 giugno 1979 n. 3331, che le previsioni legislative di decadenza siano di stretta interpretazione e che perciò un termine di decadenza non possa ravvisarsi in via analogica, la possibilità di desumere in via interpretativa la natura, decadenziale o prescrittiva, di un termine (Cass. 26 giugno 2000 n. 8680) deve tener conto dell'idoneità della decadenza a rendere più difficile l'esercizio del diritto soggettivo anche in via giudiziale e perciò contrastare con gli artt. 24 e 112 Cost.", per cui "nel dubbio, deve perciò propendersi per la prescrizione." D'altra parte, come pure ha affermato la detta pronuncia, "l'interesse del soggetto passivo alla liberazione dal vincolo obbligatorio anche ed eventualmente attraverso la prescrizione, o la decadenza del soggetto attivo dalla pretesa (interesse giuridicamente protetto poichè la prescrizione è species adquirendi: Cass. S.U. 3 febbraio 1996 n. 916), non è pregiudicato, come sembra ritenere Cass. S.U. n. 3288 del 1997, dal potere, spettante al creditore, di interrompere la prescrizione, giacchè l'atto interruttivo avverte il debitore dell'opportunità di apprestare prove e più in generale difese giudiziali, non meno che l'atto di esercizio dell'azione (Cass. S.U. 16 novembre 1999 n. 783)".

Orbene, stante il contrasto delineato, in ordine alla individuazione del dies a quo del termine previsto dall'art. 112, u.c. cit, nel caso in cui l'accertamento del fatto-reato da parte del giudice penale sia del tutto mancato, perchè non è stato instaurato alcun procedimento penale, e rilevata la necessità di un chiarimento anche in ordine alla natura del detto termine (di decadenza o di prescrizione - sulla quale, peraltro, a ben vedere non hanno preso posizione nè, da un lato, Cass. n. 968/2004 cit. nè, dall'altro Cass. n.ri 5134 e 5879/2011), ritiene il Collegio che, nella specie, occorre partire dalle medesime considerazioni di base svolte da Cass. n. 20736/2007, e cioè dal rilievo del venir meno della coerenza fra gli artt. 10 e 11, da una parte, e l'art. 112, dall'altra, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale e dei mutamenti del regime processuale penale e civile, che si riassumono nella abolizione della cosiddetta pregiudiziale penale, con la conseguente connessione, dell'azione di regresso dell'INAIL, soltanto all'astratta previsione legale quale reato del fatto causativo dell'infortunio.

Ciò posto, anche nel caso della mancata instaurazione del procedimento penale, dovendo parimenti colmarsi una lacuna nel sistema, come sopra creatosi a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale e dei mutamenti processuali evidenziati, il termine non può che ritenersi di prescrizione, stante il principio di stretta interpretazione delle previsioni legislative di decadenza, con la conseguenza che il detto termine deve ritenersi suscettibile di interruzione in base ai principi generali. Del resto, essendo quantomeno dubbia, nella specie, la natura del termine, deve ritenersi che, in ogni caso, vada preferita la tesi della prescrizione, che rende meno difficile l'esercizio, anche in via giudiziale, del diritto di regresso dell'istituto.

Per quanto riguarda, poi, la individuazione del dies a quo, in primo luogo il Collegio ritiene che non può darsi seguito all'indirizzo (v. Cass. n. 10950/2000 cit.) secondo cui, in caso di mancato inizio del procedimento penale, il termine triennale decorra dal giorno in cui l'Istituto ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione.

In tal modo, infatti, la decorrenza della prescrizione sarebbe affidata all'iniziativa del creditore, onerato della prescrizione, ed il credito potrebbe divenire, in ipotesi, in sostanza anche imprescrittibile.

D'altra parte appare difficile inquadrare la speciale azione di regresso dell'INAIL (che non può dirsi terzo) nell'ipotesi prevista dall'art. 2952 c.c., comma 3, che prevede che nell'assicurazione della responsabilità civile il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione.

Parimenti, poi, non può condividersi l'indirizzo (v. Cass. n. 968/2004 cit.) secondo cui, quando il giudice penale non sia stato investito della cognizione dell'infortunio, non per questo il termine per l'azione di regresso può decorrere per l'INAIL prima che il preteso reato sia estinto per prescrizione o altra causa, giacchè fino a quel momento è sempre possibile che la notizia di reato venga a conoscenza del giudice penale e che il processo penale venga instaurato nella sede competente, con la conseguenza che, in tal caso, la prescrizione decorrerebbe dalla data dell'avverarsi della causa estintiva (in applicazione analogica della disciplina prevista dall'art. 2947 c.c. - in tal senso v. già Cass. n. 502/1985, n. 330/1990, n. 5796/1990 -).

Tale indirizzo, infatti, risulta in evidente contrasto con la ormai pacifica autonomia del sistema civilistico della rivalsa rispetto al sistema penale della responsabilità del datore di lavoro.

Nel quadro delineato, infatti, deve ritenersi che l'INAIL ben può agire in regresso anche prima che il reato sia estinto, per cui, nel contempo, ben può decorrere il termine di prescrizione, fin da quando il diritto di regresso può essere fatto valere, in base al principio generale di cui all'art. 2935 c.c..

Del resto l'argomento secondo cui il sistema speciale dei rapporti tra giudizio penale e giudizio civile previsto dal T.U. del 1965 e dalle sentenze della Corte Costituzionale sarebbe fondamentalmente rimasto tale non appare sostenibile.

Va, invece, condivisa la soluzione da ultimo affermata da questa Corte con le sentenze n.ri 5134 e 5879 del 2011, che, nell'ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale, hanno stabilito che il termine triennale (che, come sopra, va ritenuto di prescrizione) decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato.

Al riguardo, infatti, va rilevato che l'INAIL, con l'azione di regresso prevista dal D.P.R. n. 1124, artt. 10 ed 11 cit., agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo (v., fra le altre, Cass. 2-4-1992 n. 4015, Cass. 18-10- 1994 n. 8467, Cass. S.O. 16-4-1997 n. 3288, Cass. 21-1-2004 n. 970, Cass. 18-8-2004 n. 16141, Cass. 7-3-2008 n. 6212, Cass. 28-3-2008 n. 8136), spiegando un'azione nei confronti del datore di lavoro, che ha violato la normativa sulla sicurezza sui lavoro, in qualche misura assimilabile ad un'azione di risarcimento danni promossa dall'infortunato, tanto che il diritto viene esercitato entro i limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro, consentendo contestualmente all'Istituto assicuratore di recuperare quanto corrisposto al danneggiato (v. fra le altre Cass. 20-8-1996 n. 7669, Cass. 16-6-2000 n. 8196, Cass. 9-8-2006 n. 17960).

Pertanto, il diritto dell'INAIL al recupero di quanto erogato al danneggiato deve agganciarsi, per la certezza dei rapporti giuridici, alla liquidazione dell'indennizzo assicurativo che costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto a svolgere, nel termine previsto, l'azione di regresso.

Ai sensi, quindi, dell'art. 384 c.p.c., comma 1, va enunciato il seguente principio: "in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale di prescrizione, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa".

Orbene, nella fattispecie in esame, la costituzione della rendita per entrambi i danneggiati si è verificata in data 14-3-2000 e la "prima e unica richiesta stragiudiziale" (vedi sentenza impugnata, sul punto non contestata) da parte dell'INAIL è avvenuta con la diffida del 22- 3-2000 (costituente atto interruttivo della prescrizione). Dopo tale atto sono trascorsi oltre tre anni prima della notifica del ricorso giudiziario, avvenuta il 1-12-2005 (al riguardo v. Cass. n. 20736/2007 cit), di guisa che il diritto di regresso dell'INAIL deve ritenersi prescritto.

Pertanto, correggendosi in tali sensi la motivazione dell'impugnata sentenza ex art. 384 c.p.c., u.c., il ricorso dell'INAIL va respinto.

sabato 10 dicembre 2016


Se ho dei debiti contributivi quando posso ottenere il durc?

In base all'art. 13 bis comma 5 del DL 2012 n. 52 "Il documento unico di regolarità contributiva è rilasciato anche in presenza di una certificazione, rilasciata ai sensi dell'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185*, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, come da ultimo modificato dal presente articolo, che attesti la sussistenza e l'importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, assicurando l'assenza di riflessi negativi sui saldi di finanza pubblica".


*art. 9 comma 3 bis dl 2008 n. 185 Su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, le pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165certificano, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione dell'istanza, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto o pro solvendo a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. Scaduto il predetto termine, su nuova istanza del creditore, è nominato un Commissario ad acta, con oneri a carico dell'ente debitore. La nomina è effettuata dall'Ufficio centrale del bilancio competente per le certificazioni di pertinenza delle amministrazioni statali centrali, degli enti pubblici non economici nazionali e delle agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300; dalla Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio per le certificazioni di pertinenza delle altre amministrazioni. Ferma restando l'attivazione da parte del creditore dei poteri sostitutivi, il mancato rispetto dell'obbligo di certificazione o il diniego non motivato di certificazione, anche parziale, comporta a carico del dirigente responsabile l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 7, comma 2, del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64. La pubblica amministrazione di cui al primo periodo che risulti inadempiente non può procedere ad assunzioni di personale o ricorrere all'indebitamento fino al permanere dell'inadempimento. La cessione dei crediti oggetto di certificazione avviene nel rispetto dell'articolo 117 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Ferma restando l'efficacia liberatoria dei pagamenti eseguiti dal debitore ceduto, si applicano gli articoli 5, comma 1, e 7, comma 1, della legge 21 febbraio 1991, n. 52. La certificazione deve indicare obbligatoriamente la data prevista di pagamento. Le certificazioni già rilasciate senza data devono essere integrate a cura dell'amministrazione utilizzando la piattaforma elettronica di cui all'articolo 7, comma 1, del citato decreto-legge n. 35 del 2013 con l'apposizione della data prevista per il pagamento. (58) (65)


3-ter. La certificazione di cui al comma 3-bis non può essere rilasciata, a pena di nullità:

a) dagli enti locali commissariati ai sensi dell'articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Cessato il commissariamento, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti sorti prima del commissariamento stesso. Nel caso di gestione commissariale, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti rientranti nella gestione commissariale;
b) dagli enti del Servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari, ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi, qualora nell'ambito di detti piani o programmi siano state previste operazioni relative al debito. Sono in ogni caso fatte salve le certificazioni rilasciate ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché le certificazioni rilasciate nell'ambito di operazioni di gestione del debito sanitario, in attuazione dei predetti piani o programmi operativi.

giovedì 8 dicembre 2016

Come sono disciplinati appalti nel ccnl Terziario?

Art. 218 - Appalti 
Le aziende appaltanti devono esigere dalle aziende appaltatrici il rispetto delle norme contrattuali del settore merceologico cui appartengono le aziende appaltatrici stesse e quello di tutte le norme previdenziali ed antinfortunistiche, nonché richiedere il Documento Unico di Regolarità Contributiva. A tal fine sarà inserita apposita clausola nel capitolato d’appalto. 
Qualora l’introduzione di appalti per lavori che non sono strettamente pertinenti all’attività propria dell’azienda e comunque autonomamente ritenuti necessari dall’imprenditore dovesse comportare riduzione di personale dell’azienda appaltante questa è tenuta a darne informazione alle organizzazioni sindacali provinciali stipulanti il presente contratto. 
La norma di cui al precedente capoverso trova applicazione per le aziende previste dagli articoli 2, 3 e 10. 

Art. 219 - Terziarizzazioni delle attività di vendita

 L’azienda che intenda avviare i processi di terziarizzazione o esternalizzazione di cui al primo comma dell’art. 3 che riguardino attività di vendita svolte nei negozi, e gestite dall’impresa mediante proprio personale, convocherà preventivamente le RSA o le RSU al fine di informarle sui seguenti temi: 
- attività che vengono conferite a terzi; 
- lavoratori che vengono coinvolti in tale processo; 
- contrattazione applicata e relativo trattamento economico complessivo; 
- assunzione del rischio di impresa da parte dei terzi subentranti nell’attività conferita in gestione e dei conseguenti obblighi inseriti nel relativo contratto, derivanti dalle norme di legge in tema di assicurazione generale obbligatoria, di igiene e sicurezza sul lavoro, di rispetto dei trattamenti economici e normativi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale; - internalizzazioni di attività precedentemente conferite a terzi. 
Tale procedura si esaurirà entro 15 giorni dalla convocazione di cui al comma 1.
Entro tale termine, su richiesta delle RSA o della RSU, sarà attivato un confronto finalizzato a raggiungere intese in merito agli obiettivi della salvaguardia dei livelli occupazionali e del mantenimento dell’unicità contrattuale.

martedì 6 dicembre 2016

Come devono essere determinati in sede di accordo i criteri di scelta dei lavoratori nei licenziamenti collettivi?




Come indicato da Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-11-2016, n. 23100:

Questa Corte ha ripetutamente affermato (da ultimo: Cass. 4 agosto 2016, n. 16351; Cass. 3 luglio 2015, n. 13794) che la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, che si traduca in un accordo sindacale concluso dai lavoratori attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, deve rispettare il principio non solo di non discriminazione, ma anche di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità ed essere coerenti col fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori. Ed infatti, la legittimità del licenziamento collettivo (che non esige nè giusta causa, nè giustificato motivo e per cui grava sul lavoratore licenziato l'onere di allegare e provare la violazione dei criteri di scelta legali o convenzionali) è garantita al lavoratore licenziato proprio dalla correttezza dell'iter procedimentale: sicchè, se il datore di lavoro comunica un criterio decisamente vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge, perchè la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato, con la conseguenza dell'assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell'individuazione dei lavoratori da licenziare (Cass. 5 agosto 2016, n. 16548; Cass. 5 agosto 2016, n. 16547; Cass. 5 agosto 2016, n. 16546; Cass. 4 agosto 2016, n. 16351; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27165; Cass. 23 agosto 2004 n. 16588).

lunedì 5 dicembre 2016

In sede di ricorso per Cassazione il contratto collettivo deve essere depositato per estratto o integralmente?  

Per Cass. civ. Sez. lavoro, 16/11/2016, n. 23351 "l'art. 369 comma 2 n. 4 cpc, laddove prevede che il ricorrente, a pena di improcedibilità del ricorso, depositi i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, deve essere interpretato nel senso che il deposito deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento al corretto esercizio della funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale"

venerdì 2 dicembre 2016

Come sono disciplinate le procedure disciplinari nel ccnl metalmeccanici artigiani cgil cisl uil ?

Art. 34 Provvedimenti disciplinari per il Settore Metalmeccanica ed Installazione di impianti e per il Settore Orafi, Argentieri ed Affini

Le infrazioni al presente contratto e alle relative norme saranno punite:
a) con richiamo verbale;
b) con ammonizione scritta;
c) con una multa fino ad un massimo di 3 ore di retribuzione;
d) con la sospensione fino ad un massimo di 3 giorni;
e) con il licenziamento ai sensi dell' articolo rubricato “Licenziamento per mancanze”.
I proventi delle multe e le trattenute che non rappresentino risarcimento di danno dovranno essere versati all' INPS.

Il datore di lavoro non potrà adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l' addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto ed i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni.

Tali giustificazioni si riterranno accolte se il provvedimento non verrà comminato entro:
- 6 giorni successivi per il Settore Metalmeccanica ed Installazione di impianti;
- 12 giorni successivi per il Settore Orafi, Argentieri ed Affini.

Art. 35 Ammonizioni, multe e sospensioni per il Settore Metalmeccanica ed Installazione di impianti e per il Settore Orafi, Argentieri ed Affini

Le ammonizioni, le multe e le sospensioni saranno inflitte al lavoratore che:
- abbandoni il posto di lavoro senza giustificato motivo;
- non si presenti al lavoro o si presenti in ritardo senza giustificato motivo;
- ritardi l' inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la sospensione;
- non esegua il lavoro secondo le istruzioni avute oppure lo esegua con negligenza;
- arrechi danni per disattenzione al materiale di officina o al materiale di lavorazione o occulti scarti di lavorazione;
- sia trovato addormentato;
- introduca nei locali dell' impresa bevande alcooliche senza regolare permesso;
- si presenti o si trovi al lavoro in stato di ubriachezza;
- in qualsiasi altro modo trasgredisca alle disposizioni del presente contratto di lavoro ed alle direttive dell' impresa o rechi pregiudizio alla disciplina, alla morale, all' igiene e alla sicurezza del lavoro.
Nei casi di maggiore gravità o recidività, verrà inflitta la sospensione.

Art. 36 Licenziamento per mancanze per il Settore Metalmeccanica ed Installazione di impianti e per il Settore Orafi, Argentieri ed Affini
L'azienda potrà procedere al licenziamento senza preavviso dell' operaio con la motivazione obbligatoria del provvedimento per iscritto, nei seguenti casi:
- insubordinazione non lieve verso i superiori;
- reati per i quali siano intervenute condanne penali passate in giudicato o comunque, data la loro natura, si renda per essi impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro;
- rissa all'interno dell' impresa, furto, frodi e danneggiamenti volontari o con colpa di materiali dell' impresa o di materiali di lavorazione;
- trafugamento di disegno, di utensili o di altri oggetti di proprietà dell' impresa;
- lavori fuori dell' impresa in concorrenza con la stessa;
- lavorazione e costruzione nell' interno dell' impresa, senza autorizzazione, di oggetti per proprio uso o per conto di terzi;
- assenza ingiustificata per tre giorni di seguito o per tre volte in uno dei giorni successivi al festivo nel periodo di un anno;
- recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’articolo rubricato “Ammonizioni, multe e sospensioni”, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui allo stesso articolo.
Ai fini della recidiva non si terrà conto dei provvedimenti, trascorsi due anni dalla loro comminazione.
Indipendentemente dai provvedimenti di cui sopra in caso di danneggiamento volontario o per colpa grave o di furto, il lavoratore sarà tenuto al risarcimento dei danni.

Norme per il Settore Odontotecnica

Ex operai

Art. 134 Provvedimenti disciplinari
Le infrazioni del presente contratto e delle relative norme saranno punite:
a) con richiamo verbale;
b) con ammonizione scritta;
c) con multa fino a un massimo di 3 ore di retribuzione;
d) con la sospensione fino a un massimo di 3 giorni;
e) con il licenziamento ai sensi dell'art. 136 (Licenziamento per mancanze).
I proventi delle multe e le trattenute che non rappresentino risarcimento di danni dovranno essere versati all'INPS.
Il datore di lavoro non potrà adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto ed i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni.
Se il provvedimento non verrà comminato entro 12 giorni successivi a tali giustificazioni, queste si riterranno accolte.

Art. 135 Ammonizioni, multe e sospensioni

Le ammonizioni, le multe e le sospensioni saranno inflitte al lavoratore che:
- abbandoni il posto di lavoro senza giustificato motivo;
- non si presenti al lavoro o si presenti in ritardo senza giustificato motivo;
- ritardi l'inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la sospensione;
- non esegua il lavoro secondo le istruzioni avute oppure lo esegua con negligenza;
- arrechi danni per disattenzione al materiale di officina o al materiale di lavorazione o occulti scarti di lavorazione;
- sia trovato addormentato;
- introduca nei locali dell'impresa bevande alcooliche senza regolare permesso;
- si presenti o si trovi al lavoro in stato di ubriachezza;
- in qualsiasi altro modo trasgredisca alle disposizioni del presente contratto di lavoro ed alle direttive dell'impresa o rechi pregiudizio alla disciplina, alla morale, all'igiene ed alla sicurezza del lavoro.
Nei casi di maggiore gravità o recidiva, verrà inflitta la sospensione.

Art. 136 Licenziamento per mancanze

L'azienda potrà procedere al licenziamento del lavoratore senza preavviso nei seguenti casi:
- insubordinazione non lieve verso i superiori;
- reati per i quali siano intervenute condanne penali passate in giudicato o comunque per la loro natura, si renda impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro;
- rissa nell'interno dell'impresa, furto o frodi e danneggiamento volontario con colpa di materiali dell'impresa o di materiali di lavorazione;
- trafugamento di disegni, di utensili, o di altri oggetti di proprietà dell'impresa;
- lavori fuori dell'impresa in concorrenza con la stessa;
- lavorazione e costruzione nell'interno dell'impresa, senza autorizzazione, di oggetti per proprio uso o per conto terzi;
- assenza ingiustificata per tre giorni di seguito o per tre volte in uno dei giorni successivi al festivo nel periodo di un anno;
- recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell'art. 135, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui allo stesso articolo. Ai fini della recidiva non si terrà conto dei provvedimenti, trascorsi due anni dalla loro comminazione.
Indipendentemente dai provvedimenti di cui sopra in caso di danneggiamenti volontari o per colpa grave o di furto, il lavoratore sarà tenuto al risarcimento dei danni.

Parte impiegati

Art. 154 Provvedimenti disciplinari 

Le mancanze del lavoratore potranno essere punite, a seconda della gravità con:
a) rimprovero verbale;
b)rimprovero scritto;
c) multa non superiore all' importo di tre ore di retribuzione;
d) sospensione del lavoro o dalla retribuzione e dal lavoro per un periodo non superiore a 5 giorni;
e) licenziamento con preavviso;
f) licenziamento senza preavviso.
La sospensione di cui alla lettera d) si può applicare a quelle mancanze le quali, anche in considerazione delle circostanze speciali che le hanno accompagnate non siano così gravi da rendere applicabile una maggiore punizione, ma abbiamo tuttavia tale rilievo da non trovare adeguata sanzione nel disposto delle lettere a), b), c).
Nel provvedimento di cui alla lettera e) incorre il lavoratore che commette infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro che, pur essendo di maggior rilievo di quelle contemplate nei punti a) b) c) d) non siano così gravi da rendere applicabile la sanzione di cui alla lettera f).
Nel provvedimento di cui alla lettera f) incorre il lavoratore che provochi all' azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscano delitto a termine di legge.
Il licenziamento è inoltre, indipendente dalle eventuali responsabilità nelle quali sia incorso il lavoratore. 
Nel provvedimento di cui alla lettera f) incorre altresì il lavoratore che commetta recidiva in qualunque delle mancanze per le quali siano stati comminati due provvedimenti di sospensione. Ai fini della recidiva non si terrà conto dei provvedimenti, trascorsi due anni dalla loro comminazione.
Il datore di lavoro non potrà adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l' addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Salvo che per il richiamo verbale, la contestazione dovrà essere effettuata per iscritto ed i provvedimenti disciplinari non potranno essere comminati prima che siano trascorsi 5 giorni, nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue giustificazioni. 
Se il provvedimento non verrà comminato entro 12 giorni successivi a tali giustificazioni, queste si riterranno accolte.