lunedì 30 dicembre 2019

Cosa occorre provare per il licenziamento causato dall'abuso nel diritto alla fruizione dei permessi assistere disabili conviventi?

Cass. 30/01/2019, n. 2743

Ai fini della prova dell'abuso dei permessi di lavoro concessi per l'assistenza del familiare convivente disabile, e quindi della legittimità del licenziamento irrogato di conseguenza, è sufficiente l'accertamento della sola presenza del lavoratore in altro e diverso luogo da quello indicato e la mancata specificazione delle" altre attività" complementari cui si sarebbe in alternativa dedicato il lavoratore.

venerdì 27 dicembre 2019

La richiesta di ferie permessi in giudizio che oneri impone?


Tribunale Roma Sez. lavoro Sent., 24/10/2019



La richiesta di indennità per ferie e permessi non goduti non può trovare accoglimento ove il prestatore ometta di indicare a quante ferie o permessi avrebbe avuto diritto sulla base del CCNL di settore e di quante ferie o permessi abbia fruito, né formuli al riguardo specifiche istanze istruttorie.

mercoledì 25 dicembre 2019

Entro quali limiti opera il repechage?





Cass. 03/12/2019, n. 31520




Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la cui causale sia riconducibile nella soppressione della posizione lavorativa, ai fini dell'obbligo del repechage, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell'organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore - cioè che non siano disomogenee e incoerenti con la sua competenza - ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza. Ciò è possibile affermare, ai fini del bilanciamento tra l'interesse del datore di lavoro a perseguire una organizzazione produttiva ed efficiente e quello del lavoratore diretto alla stabilità del posto, in un'ottica di compatibilità e di non ingerenza nella determinazione dell'assetto aziendale, non essendo previsto un obbligo del datore di lavoro, secondo la precedente versione dell'art. 2103 cod. civ., di fornire un'ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro. Resta fermo, comunque, che grava sul datore di lavoro l'obbligo di provare - in base a circostanze oggettivamente riscontrabili - che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, altrimenti il rispetto dell'obbligo di repechage risulterebbe sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell'imprenditore.

lunedì 23 dicembre 2019


Quando deve essere applicata l'Irap?


Cass. 18/12/2019, n. 33547


In base al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, ai fini della soggezione ad IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo, non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia "autonoma", cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi. Inoltre, la sussistenza dell'autonoma organizzazione si profila allorquando il contribuente si avvalga anche in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la sogli dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.



sabato 21 dicembre 2019

IL datore di lavoro ha l'obbligo di provvedere alla manutenzione dei DPI?

Cass. 16/12/2019, n. 33133

Il datore di lavoro ha l'obbligo, ex art. 2, lett. g), D.lgs. n. 626 del 1994, di fornitura e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale. Infatti, questi, seppur in maniera minima, sono comunque idonei a ridurre i rischi dell'attività lavorativa, costituendo specifico obbligo datoriale quello di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e quindi prevenire, con specifico riferimento agli operatori ecologici, l'insorgere e la diffusione di infezione in danno dei medesimi e dei loro familiari, a cui il rischio si estenderebbe in caso di lavaggio degli indumenti da lavoro in ambito domestico.

mercoledì 18 dicembre 2019

Entro quali limiti opera la responsabilità ex art. 2087 cc?


Cass. civ. Sez. I Sent., 27/10/2017, n. 25644 

In tema di responsabilità civile per morte del lavoratore, il requisito soggettivo della colpa è integrato dalla violazione, da parte del datore di lavoro, delle regole cautelari di prevenzione evocate dall'art. 2087 c.c., strettamente correlate, in termini di ragionevole prevedibilità, alla verificazione dell'evento, in quanto fondate, se non sulla certezza scientifica, sulla probabilità o possibilità, concreta e non ipotetica, che la condotta considerata determini l'evento.




martedì 17 dicembre 2019

Quali dati vanno registrati sul LUL?


 39 DL 112 del 2008 comma 2

"Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, compresi le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l'indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo la giornata di presenza al lavoro".  

lunedì 16 dicembre 2019

Quando è annullabile il licenziamento del disabile?

Cass. 26/02/2015, n. 3931


In tema di licenziamento del lavoratore disabile, l'art. 10, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68 - che prevede l'annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente "qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva" prevista dal precedente art. 3 della legge - riguarda soltanto il "recesso di cui all'articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo" e non anche gli altri tipi di recesso datoriale. Ne consegue che la norma non si applica al licenziamento disciplinare, nelle sue diverse configurazioni, in conformità con l'idea ispiratrice di tutta la legge n. 68 del 1999 di coniugare la valorizzazione delle capacità professionali dei disabili (o equiparati) con la funzionalità economica delle imprese che li assumono. (Rigetta, App. Brescia, 23/11/2010)

venerdì 13 dicembre 2019

Quando si ha cessione di ramo d'azienda?

Cass 26/08/2016, n. 17366

Integra elemento costitutivo della cessione di ramo di azienda, prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32, D.Lgs. n. 276 del 2003, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano la operatività.

giovedì 12 dicembre 2019

la mancata opposizione dell'avviso di pagamento Inps determina la trasformazione del termine prescrizionale da cinque a dieci anni?

Cass. 09-12-2019, n. 32077


il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: "La scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che, dall'1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)";

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che "In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell'Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell'irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l'esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all'art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all'amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)";




mercoledì 11 dicembre 2019

Che cosa determina la mancata comunicazione dei dipendenti licenziati ex art. 4 comma 9 l. 223 del 1991?

Cass. 14/10/2019, n. 25807

In tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall'art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, per l'invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la sua violazione determina l'invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione, atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle OO.SS. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell'operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo "spatium deliberandi" riservato al lavoratore per l'impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all'art. 6 della l. n. 604 del 1966.

martedì 10 dicembre 2019

Come sono disciplinati i buoni pasto?




Ministero dello sviluppo economico DM 07/06/2017, n. 122

Art. 1.  Ambito di applicazione e finalità
1.  Con il presente decreto sono individuati gli esercizi presso i quali può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto, le caratteristiche dei buoni pasto e il contenuto degli accordi stipulati tra le società di emissione di buoni pasto e i titolari degli esercizi convenzionabili, al fine di garantire la libera ed effettiva concorrenza nel settore, l'equilibrato svolgimento dei rapporti tra i diversi operatori economici, ed un efficiente servizio ai consumatori.
Art. 2.  Definizioni
1.  Ai fini del presente decreto si intende:
a)  per attività di emissione di buoni pasto, l'attività finalizzata a rendere, per il tramite di esercizi convenzionati, il servizio sostitutivo di mensa aziendale;
b)  per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni pasto, le somministrazioni di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo effettuate dagli esercenti le attività elencate all'articolo 3;
c)  per buono pasto, il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, avente le caratteristiche di cui all'articolo 4, che attribuisce, al titolare, ai sensi dell'articolo 2002 del codice civile, il diritto ad ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all'esercizio convenzionato, il mezzo per provare l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
d)  per società di emissione, l'impresa che svolge l'attività di emissione di buoni pasto, legittimata all'esercizio, previa segnalazione certificata di inizio attività attestante il possesso dei requisiti richiesti di cui al comma 3 dell'articolo 144 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, trasmessa, ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al Ministero dello sviluppo economico;
e)  per esercizi convenzionati, gli esercizi presso i quali i soggetti esercenti le attività elencate all'articolo 3 in forza di apposita convenzione con la società di emissione, provvedono ad erogare il servizio sostitutivo di mensa;
f)  per cliente, il datore di lavoro che acquista dalla società di emissione i buoni pasto al fine di erogare il servizio sostitutivo di mensa ai soggetti di cui alla lettera g);
g)  per titolare, il prestatore di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, nonché il soggetto che abbia instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato, al quale, ai sensi delle norme vigenti e dei contratti collettivi di lavoro, vengono assegnati i buoni pasto e che, pertanto, è titolato ad utilizzarli;
h)  per valore facciale, il valore della prestazione indicato sul buono pasto, inclusivo dell'imposta sul valore aggiunto di cui all'articolo 6.


Art. 3.  Esercizi presso i quali può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa
1.  Il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), è erogato dai soggetti legittimati ad esercitare:
a)  la somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della legge 25 agosto 1991, n. 287;
b)  l'attività di mensa aziendale ed interaziendale;
c)  la vendita al dettaglio, sia in sede fissa che su area pubblica, dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114;
d)  la vendita al dettaglio nei locali di produzione e nei locali attigui dei prodotti alimentari previa iscrizione all'Albo di cui all'articolo 5, primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443;
e)  la vendita al dettaglio e la vendita per il consumo sul posto dei prodotti provenienti dai propri fondi effettuata, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 8-bis, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, dagli imprenditori agricoli, dai coltivatori diretti e dalle società semplici esercenti l'attività agricola, iscritti nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile;
f)  nell'ambito dell'attività di agriturismo di cui alla legge 20 febbraio 2006, n. 96, la somministrazione di pasti e bevande, costituiti prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona, presso la propria azienda;
g)  nell'ambito dell'attività di ittiturismo, la somministrazione di pasti costituiti prevalentemente da prodotti derivanti dall'attività di pesca, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, della legge 20 febbraio 2006, n. 96, da parte di imprenditori ittici;
h)  la vendita al dettaglio dei prodotti alimentari, anche trasformati, nei locali adiacenti a quelli di produzione nel caso di soggetti esercenti l'attività di produzione industriale.
2.  Ai fini delle attività di cui al comma 1, resta ferma la necessità del rispetto dei requisiti igienico sanitari prescritti dalla normativa vigente.

Art. 4.  Caratteristiche dei buoni pasto
1.  Ai sensi del presente decreto i buoni pasto:
a)  consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
b)  consentono all'esercizio convenzionato di provare documentalmente l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
c)  sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l'orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato;
d)  non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
e)  sono utilizzabili esclusivamente per l'intero valore facciale.
2.  I buoni pasto in forma cartacea devono riportare:
a)  il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro;
b)  la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione;
c)  il valore facciale espresso in valuta corrente;
d)  il termine temporale di utilizzo;
e)  uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell'esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato;
f)  la dicitura «Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare».
3.  Nei buoni pasto in forma elettronica:
a)  le indicazioni di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 2 sono associate elettronicamente ai medesimi in fase di memorizzazione sul relativo carnet elettronico;
b)  la data di utilizzo del buono pasto e i dati identificativi dell'esercizio convenzionato presso il quale il medesimo è utilizzato di cui alla lettera e) del comma 2, sono associati elettronicamente al buono pasto in fase di utilizzo;
c)  l'obbligo di firma del titolare del buono pasto è assolto associando, nei dati del buono pasto memorizzati sul relativo supporto informatico, un numero o un codice identificativo riconducibile al titolare stesso;
d)  la dicitura di cui alla lettera f) del comma 2 è riportata elettronicamente.
4.  Le società di emissione sono tenute ad adottare idonee misure antifalsificazione e di tracciabilità del buono pasto.
Art. 5.  Contenuto degli accordi
1.  Gli accordi stipulati tra le società di emissione di buoni pasto e i titolari degli esercizi convenzionabili contengono i seguenti elementi:
a)  la durata del contratto, le condizioni anche economiche, ed il termine del preavviso per l'eventuale rinegoziazione o la disdetta;
b)  le clausole di utilizzabilità del buono pasto, relative alle condizioni di validità, ai limiti di utilizzo e ai termini di scadenza, specificati in modo espresso ed uniforme;
c)  l'indicazione dello sconto incondizionato riconosciuto alla società emittente dai titolari degli esercizi convenzionati per effetto dell'utilizzo dei buoni pasto presso i medesimi;
d)  l'indicazione del termine di pagamento che la società emittente è tenuta a rispettare nei confronti degli esercizi convenzionati, comunque nell'osservanza di quanto disposto al comma 6 del presente articolo;
e)  l'indicazione del termine, non inferiore a sei mesi dalla data di scadenza del buono pasto, entro il quale l'esercizio convenzionato potrà esigere il pagamento delle prestazioni effettuate;
f)  l'indicazione di eventuali ulteriori corrispettivi riconosciuti alla società emittente, ivi compresi quelli per l'espletamento di servizi aggiuntivi offerti, nel rispetto e nei limiti di cui ai commi 7 e 8.
2.  Gli accordi tra la società di emissione e i titolari degli esercizi convenzionabili contemplano comunque un'offerta di base, senza servizi aggiuntivi, idonea ad assicurare al cliente un servizio completo, ferma restando la libertà della prima di proporre agli esercizi convenzionabili anche servizi aggiuntivi. I bandi di gara si uniformano a quanto precede prescrivendo la presentazione da parte dei concorrenti anche della suddetta offerta di base.
3.  Gli accordi stipulati tra la società di emissione e i titolari degli esercizi convenzionabili non possono negare ai titolari di esercizi convenzionati il pagamento almeno parziale di fatture relative ai buoni pasto presentati a rimborso a fronte di contestazioni parziali, di quantità o valore, relative alla fatturazione dei medesimi.
4.  Gli accordi di cui al presente articolo sono stipulati e possono essere modificati, con specifica accettazione delle parti, esclusivamente in forma scritta, a pena di nullità.
5.  Ai fini dell'attuazione del comma 1, lettera c), è vietato pattuire con gli esercizi convenzionati uno sconto incondizionato più elevato di quello stabilito dalla società emittente in sede di offerta ai fini dell'aggiudicazione o in sede di conclusione del contratto con il cliente. Lo sconto incondizionato remunera tutte le attività necessarie e sufficienti al corretto processo di acquisizione, erogazione e fatturazione del buono pasto.
6.  Ai termini di pagamento di cui al comma 1, lettera d), si applicano le disposizioni del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, come modificato dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192.
7.  Nell'ambito dei contratti di convenzionamento, ai fini della partecipazione alle gare, nonché della valutazione di congruità delle relative offerte economiche, possono essere considerati come servizi aggiuntivi solo quelli che consistono in prestazioni ulteriori rispetto all'oggetto principale della gara e abbiano un'oggettiva e diretta connessione intrinseca con l'oggetto della gara.
8.  E' vietato addebitare agli esercenti convenzionati costi diversi dallo sconto incondizionato e dai corrispettivi per prestazioni o servizi aggiuntivi eventualmente acquistati.
9.  Resta ferma la facoltà dei titolari degli esercizi convenzionabili di non aderire alla proposta di prestazioni aggiuntive.
10.  In caso di mancato convenzionamento a seguito della non adesione alla proposta di prestazioni aggiuntive resta ferma l'applicabilità, ove sussistano i presupposti, degli articoli 1341 e 2598, primo comma, numero 3), del codice civile. Nel caso di procedura ad evidenza pubblica, accordi che prevedono un tale obbligo di adesione, o comunque di fatto lo determinino, costituiscono causa di risoluzione del contratto tra la stazione appaltante e la società di emissione.
Art. 6.  Disposizioni finali
1.  Il valore facciale del buono pasto è comprensivo dell'imposta sul valore aggiunto prevista per le somministrazioni al pubblico di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo. Le variazioni dell'imposta sul valore aggiunto lasciano inalterato il contenuto economico dei contratti già stipulati, ferma restando la libertà delle parti di addivenire alle opportune rinegoziazioni per ristabilire l'equilibrio del rapporto.
2.  Il Ministero dello sviluppo economico, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con l'Autorità nazionale anticorruzione, previe apposite consultazioni, effettua il monitoraggio degli effetti del presente decreto al fine della verifica dell'efficacia del medesimo.
3.  In relazione al monitoraggio da verificare entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere adottate disposizioni integrative e correttive, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400.


lunedì 9 dicembre 2019


In caso di licenziamento collettivo cosa determina la violazione della quota di riserva dei disabili?

Cass. 15/10/2019, n. 26029

Nel caso di licenziamento collettivo, la violazione della quota di riserva prescritta dall'art. 3 della l. n. 68 del 1999 rientra nell'ipotesi di "violazione dei criteri di scelta" in quanto assunti in contrasto con espressa previsione legale, ai sensi dell'art. 5, comma 3, della l. n. 223 del 1991, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, st.lav. novellato, quale opzione interpretativa rispettosa del dettato normativo e conforme alla finalità della disciplina - anche sovranazionale - in materia, posta a speciale protezione del disabile.

sabato 7 dicembre 2019


Cosa rientra nel danno biologico?



Cass. 29/11/2019, n. 31272


In ordine al danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno biologico, rappresentato dall'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

giovedì 5 dicembre 2019

Quando si ha licenziamento ritorsivo?


Cass. 02/12/2019, n. 31395

In ordine al licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, ossia costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale. Ne deriva che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all'applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) novellato dalla legge n. 92 del 2012, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento.

mercoledì 4 dicembre 2019

La comunicazione finale deve indicare i criteri utilizzati per il licenziamento collettivo?





Tribunale Civitavecchia Sez. lavoro, Sent., 20-03-2019




Sul punto si osserva che la Corte di Cassazione ha affermato che "non sussiste alcun principio di supposta "autosufficienza" della comunicazione finale, importando esclusivamente che in essa il datore di lavoro provveda a specificare le modalità applicative dei criteri di scelta di cui abbia offerto "puntuale indicazione" nella comunicazione preventiva di inizio della procedura, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui, e non altri dipendenti, sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l'illegittimità della misura espulsiva (Cass. 6 giugno 2011, n. 12196; Cass. 26 agosto 2013, n. 19576; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25152)"

martedì 3 dicembre 2019

Quando spettano i buoni pasto nel pubblico impiego?





Cass. 28/11/2019, n. 31137

Nel pubblico impiego contrattualizzato l'effettuazione della pausa pranzo è condizione per l'attribuzione del buono pasta e tale effettuazione, a sua volta presuppone, come regola generale, che il lavoratore osservi in concreto un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore (oppure altro orario superiore minimo indicato dalla contrattazione collettiva), sicché la suddetta attribuzione compete solo per le giornate in cui si verifichino le suindicate condizioni (art. 8, D.Lgs. n. 66 del 2003). Del resto, l'istituto dei buoni pasta è stato introdotto nel nostro ordinamento per favorire l'estensione dell'orario di lavoro europeo nelle Amministrazioni pubbliche nazionali, onde incrementarne l'efficienza, la fruibilità dei servizi, i rapporti interni ed esterni. Ne consegue che i buoni pasta non possono essere attribuiti ai lavoratori che nella qualità di destinatari delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità contenute nel D.Lgs. n. 151 del 2001 osservano in concreto un orario giornaliero effettivo inferiore alle suddette sei ore. Infatti, con riguardo ai buoni pasto, non può valere l'equiparazione dei periodi di riposo di cui al comma 1 dell'art. 39 del D.Lgs. n. 151 del 2001 alle ore lavorative, come si desume agevolmente dal comma 2 dello stesso art. 39, ove si precisa che la suddetta equiparazione vale "agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro". L'attribuzione dei buoni pasto, non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro essendo finalizzata a compensare l'estensione dell'orario lavorativo disposta dalla P.A. (per le suindicate finalità) con una agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire agli interessati il recupero delle proprie energie psico-fisiche.

lunedì 2 dicembre 2019

La contrattazione collettiva può escludere gli straordinari dal computo del TFR?

Cass. 25/09/2019, n. 23932


La prestazione di lavoro straordinario deve ritenersi positivamente esclusa e non computabile ai sensi dell'art. 2120 c.c. ove sussista una chiara volontà ad excludendum espressa dalle parti contrattuali. Ai fini del calcolo del T.F.R., invero, i criteri di quantificazione della retribuzione annua fissati dall'art. 2120 c.c., così sostituito dalla L. n. 297 del 1982, la cui ratio è quella di ricomprendere tutti gli elementi retributivi a carattere non occasionale, possono essere derogati dalla normativa collettiva intervenuta successivamente all'entrata in vigore della norma di legge.