Nel caso di trasporti in concessione quando il tempo per recarsi al lavoro può essere remunerato?
Cass. 29-04-2021, n. 11338
Il R.D.L. n. 2328 del 1923, art. 17 prevede che si computi "come lavoro effettivo... la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località all'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto" (lett. c).
5. Riguardo a tale norma è stato precisato che per viaggio comandato deve intendersi "ogni trasferimento inevitabile per l'organizzazione dei turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia con mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di spesa a carico del lavoratore. A tal fine, il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale, restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento. Concorrendo tali condizioni, il lavoratore può ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, il cui fondamento è insito nell'esigenza di compensare il tempo necessario al menzionato spostamento indotto dall'organizzazione del lavoro riconducibile all'azienda" (Cass. n. 26581/2011; conformi: n. 10020/2011; n. 3575/2006; n. 15821/2000).
6. Il principio è stato successivamente ribadito da Cass. n. 9062/2014 (e dalle conformi n. 9063 e n. 9064/2014) e peraltro contestualmente precisato "con riguardo agli oneri probatori imposti al lavoratore" nei termini seguenti: "Il R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17 - nella parte in cui prevede, per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, che si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un'altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiutò - interpretato nel senso che il computo del tempo dei viaggi, regolarmente comandati ed effettuati anche con proprio mezzo di trasporto, presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva da una necessità logistica aziendale, va coordinato con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore, per ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, la dimostrazione delle modalità della prestazione, e cioè del tipo di turno praticato, degli spostamenti effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della prestazione e di ogni altro elemento idoneo".
7. Ora, risulta accertato dal giudice di appello, in quanto circostanza espressamente riconosciuta con il ricorso di secondo grado e, pertanto, pacifica in causa, che i lavoratori "potevano recarsi direttamente presso il posto di cambio quando iniziavano a lavorare in linea, senza essere obbligati a presentarsi preventivamente al deposito di appartenenza, ovvero potevano fare ritorno direttamente a casa, quando terminavano il turno presso un posto di cambio" (cfr. sentenza impugnata, p. 7 e p. 8, ultimo capoverso).
8. Su tale (non contestata) premessa, la decisione della Corte territoriale si pone in linea con l'orientamento espresso da Cass. n. 9062/2014, peraltro ampiamente richiamata in motivazione, risultando del tutto esente dalle censure svolte con il motivo in esame.
9. La fattispecie concreta dedotta in giudizio, e così come accertata dal giudice di merito, è invero quella in cui, al termine della prestazione lavorativa, vi è recupero immediato del tempo libero cui il lavoratore ha diritto (come, prima dell'inizio di essa, egli ancora ne fruisce), senza che su tale situazione venga a incidere il potere organizzativo del datore di lavoro ovvero, in senso lato, un suo potere di ingerenza o di conformazione, quale potrebbe realizzarsi mediante prescrizioni diverse, variamente connesse a esigenze dell'impresa e da esse in qualche modo giustificate, in relazione al tempo precedente o successivo alla prestazione lavorativa: tale essendo, al di là dell'invecchiamento lessicale della norma, il senso ultimo del nucleo concettuale che si deve tuttora riconoscere nelle parole "viaggi comandati" (da una località all'altra), le quali rimandano alla necessità di un collegamento funzionale tra la presenza del lavoratore in un luogo e la sua prestazione in un altro.
10. D'altra parte, è stato più volte affermato che il tempo impiegato dal dipendente per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria solo quando "lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa" (Cass. n. 17511/2010, fra altre), diversamente il tempo in questione non rientrando tra il lavoro "effettivo", nè potendo essere considerato come tale.