giovedì 30 novembre 2017


Quali sanzioni derivano dall'inosservanza della legge 260 del 1949?


In base all'art. 6 della legge 260 del 1949:

6. In caso di inosservanza alle norme della presente legge gli imprenditori sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire trecentomila a un milione ottocentomila

mercoledì 29 novembre 2017



Quale retribuzione spetta nelle festivita' ex art. 5 l. 260 del 1949?


In base all'art.5 della legge 260 del 1949:

5. Nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell'anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1° maggio) e nel giorno dell'unità nazionale (4 novembre), lo Stato, gli Enti pubblici ed i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera compreso ogni elemento accessorio. La normale retribuzione sopra indicata sarà determinata ragguagliandola a quella corrispondente ad un sesto dell'orario settimanale contrattuale o, in mancanza, a quello di legge. Per i lavoratori retribuiti a cottimo, a provvigione o con altre forme di compensi mobili, si calcolerà il valore delle quote mobili sulla media oraria delle ultime quattro settimane. 

Ai lavoratori considerati nel precedente comma, che prestino la loro opera nelle suindicate festività, è dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo.

Ai salariati retribuiti in misura fissa, che prestino la loro opera nelle suindicate festività, è dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo. Qualora la festività ricorra nel giorno di domenica, spetterà ai lavoratori stessi, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, anche una ulteriore retribuzione corrispondente all'aliquota giornaliera (12).

martedì 28 novembre 2017

Il lavoratore può rifiutarsi di lavorare nei giorni delle festività infrasettimali?



Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 23-11-2017, n. 27948

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, artt. 2 e 5; L. n. 90 del 1954, artt. 2 e 3; artt. 1362, 1363, 1368 e 1371 c.c., con riferimento agli artt. 5, parte speciale, sez. 3, 8, comma 14, parte speciale, del c.c.n.l. 7.5.03 per l'industria metalmeccanica privata.

Lamenta che al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, e tuttavia, allorquando la contrattazione collettiva applicabile preveda, come eccezione alla regola legale, che l'attività lavorativa possa essere svolta anche nei giorni festivi, subordinando la fruizione della festività alle esigenze aziendali, la sussistenza di tali esigenze costituisce l'unico presupposto per l'applicazione del regime di eccezione (contrattuale) in luogo della regola (legale), sicchè il datore di lavoro, che invochi l'applicazione della norma contrattuale, deve solo provare la sussistenza del presupposto di fatto, e cioè delle esigenze aziendali.

Si doleva pertanto che la sentenza impugnata aveva configurato il trattamento economico della festività come un diritto soggettivo incondizionato, inderogabile anche ad opera della contrattazione collettiva.

Il motivo è infondato, come già ritenuto da questa Corte in identica fattispecie (Cass. n.22482/16), alle cui argomentazioni si rinvia.

Qui basti evidenziare che gli artt. 5 e 8 citati prevedono la possibilità di lavorare anche durante le festività, ma non un obbligo. Soprattutto l'art. 8, comma 14, secondo cui "nessun lavoratore può rifiutarsi, salvo giustificato motivo, di compiere lavoro straordinario, notturno e festivo" non può incidere, stante la genericità della dizione festivo sulla disciplina, sovraordinata, di cui alla L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3. Nè la norma può ritenersi comunque derogabile se non dall'accordo individuale col datore di lavoro o da accordi sindacali stipulati da oo.ss. cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato (Cass. n.22482/16, Cass. n.16634/05).

2.- Con il secondo motivo la società denuncia la violazione, omessa e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949,artt. 2 e 5; della L. n. 90 del 1954, artt. 2 e 3, oltre che dell'art. 12 preleggi.

Lamenta che dal combinato disposto della L. n. 90 del 1954, art. 2, lett. a) e c) deriverebbe la non estensibilità del trattamento di festività per il lavoratore assente ingiustificato o che sospenda il lavoro per sua volontà.

Il motivo è infondato: la questione è che l'art. 2 prevede la spettanza del trattamento di festività anche se la prestazione lavorativa non è affatto resa in taluni casi di assenza in generale dal lavoro, ritenuti degni di maggior tutela (malattia, gravidanza, etc.), mentre ritenere assente ingiustificato il lavoratore che non presti attività lavorativa durante le festività di legge non è consentito dalla norma.

Questa Corte ha anzi ritenuto che (Cass. n. 16592/15) il provvedimento con cui il datore di lavoro impone al dipendente di prestare l'attività lavorativa nelle festività infrasettimanali in violazione della L. n. 260 del 1949(nella specie, nelle giornate dell'8 dicembre, 25 aprile, 1 maggio e 6 gennaio, con la maggiorazione dei compensi prevista per il lavoro straordinario), è nullo ed integra un inadempimento parziale del contratto di lavoro, sicchè l'inottemperanza del lavoratore è giustificata in base al principio "inadimplenti non est adimplendum" ex art. 1460 c.c. e sul rilievo che gli atti nulli non producono effetti, dovendosi escludere che i provvedimenti aziendali siano assistiti da una presunzione di legittimità che ne imponga l'ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio.

La società, pur prendendo atto del contrario orientamento di questa Corte (Cass. n. 4039/80, n. 9176/97, n. 5712/86) deduce che la rinunciabilità alla festività infrasettimanale comporterebbe la perdita del diritto del lavoratore al relativo trattamento qualora sia rimasto assente senza giustificato motivo o per causa dipendente dalla sua volontà.

Anche tale critica non è fondata per le ragioni sopra evidenziate: la L. n. 90 del 1954, art. 2 estende il diritto al trattamento di festività anche ad alcuni casi, di totale assenza dal lavoro, ritenuti meritevoli di particolare tutela (malattia, gravidanza, etc.). Rovesciare tale norma nel senso di ritenere che il trattamento non spetti in ipotesi in cui il lavoratore semplicemente rifiuti di prestare, come suo diritto, la sua opera durante le festività previste dalla legge non è operazione consentita, nè desumibile dalla norma.

D'altro canto questa Corte ha già osservato che, atteso che la L. n. 260 del 1949, come modificata dalla L. n. 90 del 1954, relativa alle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose, riconosce al lavoratore il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione di tali festività, regolando compiutamente la materia, non è consentita - ai sensi dell'art. 12 preleggi - l'applicazione analogica delle eccezioni al divieto di lavoro domenicale e deve escludersi che il suddetto diritto possa essere posto nel nulla dal datore di lavoro, essendo rimessa la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali solo all'accordo tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 16634/05).

lunedì 27 novembre 2017



Le norme sul licenziamento collettivo si applicano al fine lavoro nelle costruzioni edili?




In base al comma 4 art. 24 della legge 223 del 1991:


4. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano nei casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e nei casi di attività stagionali o saltuarie.

sabato 25 novembre 2017

Nei criteri di scelta da adottare nei licenziamenti collettivi quale deve essere il rapporto uomini e donne?

In base al comma 2 dell'art. 5 della legge 223 del 1991: "L'impresa non può altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione".

giovedì 23 novembre 2017



Quale è la nozione di rischio elettivo negli infortuni secondo la giurisprudenza?




Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-07-2017, n. 17917 riepiloga lo stato della giurisprudenza:


Con riferimento al comportamento del lavoratore, per risalente giurisprudenza, l'ambito della tutela risulta delimitato, attraverso il concetto di rischio elettivo, inteso come tutto ciò che sia estraneo e non attinente alla attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore; il concetto di rischio elettivo finisce quindi per delimitare sul piano oggettivo l'occasione di lavoro e dunque il concetto di rischio assicurato o di attività protetta. Di recente sul punto, Sez. L, Sentenza n. 6 del 05/01/2015: "In materia di infortuni sul lavoro, l'" occasione di lavoro" di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1224, art. 2, ricomprende tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio economiche in cui l'attività lavorativa si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite, in questo caso, del cosiddetto rischio elettivo".

17.- Dunque, secondo la giurisprudenza, l'assicurato non ha diritto all'indennizzo soltanto quando l'infortunio derivi da "rischio elettivo", ossia quando esso sia la conseguenza di un rischio collegato ad un comportamento volontario, volto a soddisfare esigenze meramente personali e, comunque, indipendente dall'attività lavorativa, cioè di rischio generato da un'attività che non abbia rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa o che esorbiti in modo irrazionale dai limiti di essa.

19.- Per quanto attiene l'attività lavorativa diretta si afferma invece (Sez. L, Sentenza n. 11417 del 18/05/2009): In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio che è in grado di incidere, escludendola, sull'occasione di lavoro - si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa.

In materia è stato autorevolmente osservato, da Cass. 15047/2007 (rel. De Matteis): "Quanto alla nozione di rischio elettivo, esso è qualificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come una deviazione puramente arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 18 agosto 1977 n. 3789; Cass. 24 luglio 1991 n. 8292; Cass. 17 novembre 1993 n. 11351; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1269; Cass. maggio 1995 n. 6088;Cass. 1 settembre 1997 n. 8269; Cass. 4 dicembre 2001 n. 15312). Nella giurisprudenza di legittimità più recente, esso viene configurato come l'unico limite che incide sulla occasione di lavoro, escludendola (Cass. 19 aprile 1999 n. 3885; Cass. 2 giugno 1999 n. 5419; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13447; Cass. 8 marzo 2001 n. 3363). Con formula ormai consolidata e tralaticia, il rischio elettivo può essere individuato attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive datoriali, ma motivate da finalità produttive, come nella fattispecie esaminata da Cass. 25 novembre 1975 n. 3950, la quale ha ritenuto non costituire rischio elettivo, ma infortunio sul lavoro connotato eventualmente da colpa del lavoratore, quello di un fattorino che, contrariamente alle direttive aziendali, si attrezzi con un proprio ciclomotore per provvedere ad una più rapida consegna dei plichi della quale è incaricato); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicchè l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Questi elementi concorrono a distinguere il rischio elettivo dall'atto lavorativo compiuto con colpa, costituita da imprudenza, negligenza, imperizia, nel quale permane la copertura infortunistica".

mercoledì 22 novembre 2017

Quando si ha uso aziendale?

Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 14-11-2017, n. 26869
la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sè, gli estremi dell'uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite tali perchè, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali alla stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.
Conformi:
Cass. ss.uu. 13/12/2007 n. 26107, Cass. 28/07/2009 n. 17481, Cass. 25/03/2013 n. 7395

martedì 21 novembre 2017



Le indennitá per infortunio sono pignorabili?

In forza dell'art.110 dpr 1124 del 1965

Il credito delle indennità fissate dal presente decreto non può essere ceduto per alcun titolo né può essere pignorato o sequestrato, tranne che per spese di giudizio alle quali l'assicurato o gli aventi diritto, con sentenza passata in giudicato, siano stati condannati in seguito a controversia dipendente dall'esecuzione del presente decreto .

1. La Corte costituzionale, con sentenza 4-9 maggio 1973, n. 55 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del presente articolo limitatamente al periodo: "tranne che per spese di giudizio alle quali l'assicurato o gli aventi diritto con sentenza passata in giudicato, siano stati condannati in seguito a controversia dipendente dall'esecuzione del presente decreto" e, successivamente, con sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 572, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilità per crediti alimentari dovuti per legge delle rendite erogate dall'INAIL.

lunedì 20 novembre 2017


La trasferta erogata continuativamente subisce un differente trattamento contributivo?

In base a Cass. civ. Sez. Unite, 15/11/2017, n. 27093

In materia di trattamento contributivo dell'indennità di trasferta, alla stregua dei criteri di interpretazione letterale, storica, logico-sistematica e teleologica, l'espressione "anche se corrisposta con carattere di continuità", presente sia nell'art. 11 della L. 4 agosto 1984, n. 467, sia nel vigente art. 51, comma 6, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 314, deve essere intesa nel senso che l'eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta non ne modifica l'assoggettabilità al regime contributivo (e fiscale) meno gravoso (di quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile), rispettivamente previsto dalle citate disposizioni.

sabato 18 novembre 2017



I termini per i ricorsi amministrativi all'Inps i termini sono perentori?

In base all'art. 8. della legge 1973 n. 533

Nelle procedure amministrative riguardanti le controversie di cui all'articolo 442 del codice di procedura civile, non si tiene conto dei vizi, delle preclusioni e delle decadenze verificatesi.





giovedì 16 novembre 2017

Come è disciplinata la classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali e assistenziali?

In base all'art. 49 della legge 1989 n. 88:

49. Classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali ed assistenziali.

1. La classificazione dei datori di lavoro disposta dall'Istituto ha effetto a tutti i fini previdenziali ed assistenziali ed è stabilita sulla base dei seguenti criteri:

a) settore industria, per le attività: manifatturiere, estrattive, impiantistiche; di produzione e distribuzione dell'energia, gas ed acqua; dell'edilizia; dei trasporti e comunicazioni; delle lavanderie industriali; della pesca; dello spettacolo; nonché per le relative attività ausiliarie ;

b) settore artigianato, per le attività di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443 ;

c) settore agricoltura, per le attività di cui all'articolo 2135 del codice civile ed all'articolo 1 della legge 20 novembre 1986, n. 778;

d) settore terziario, per le attività: commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e prestazione dei servizi anche finanziari; per le attività professionali ed artistiche; nonché per le relative attività ausiliarie;

e) credito, assicurazione e tributi, per le attività: bancarie e di credito; assicurative; esattoriale, relativamente ai servizi tributari appaltati.

2. I datori di lavoro che svolgono attività non rientranti fra quelle di cui al comma 1 sono inquadrati nel settore «attività varie»; qualora non abbiano finalità di lucro sono esonerati, a domanda, dalla contribuzione alla Cassa unica assegni familiari, a condizione che assicurino ai propri dipendenti trattamenti di famiglia non inferiori a quelli previsti dalla legge.

3. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale sarà stabilito a quale dei settori indicati nel precedente comma si debbano aggregare, agli effetti previdenziali ed assistenziali, i datori di lavoro che svolgono attività plurime rientranti in settori diversi. Restano comunque validi gli inquadramenti già in atto nei settori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura o derivanti da leggi speciali o conseguenti a decreti emanati ai sensi dell'articolo 34 del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797

mercoledì 15 novembre 2017



Come può essere determinato in via presuntiva il danno alla professionalità?

Cass. civ. Sez. lavoro, Ord.,09-11-2017, n. 26593 riassume i principi giurisprudenziali sul punto:

"3.1. che per il resto il terzo, il quarto e il quinto motivo sono infondati in quanto il giudice di appello non ha ritenuto il danno in re ipsa bensì, richiamando giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che l'esistenza del danno può essere desunta in via presuntiva da elementi di fatto quali "il periodo di inattività, la lunga durata della dequalificazione, la elevata professionalità, la specializzazione, l'esperienza acquisita dalla lavoratrice, insieme alle inevitabili ripercussioni della dequalificazione nell'ambiente di lavoro, in termini di immagine, e sulle prospettive future di lavoro";

3.2. che la sentenza impugnata sul punto è conforme all'orientamento di questa Corte (Cass. n. 19778/2014; Cass. n. 4652/2009; Cass. n. 28274/2008), sicchè non si ravvisano i vizi denunciati in quanto, da un lato, è corretto il ricorso alla prova presuntiva, dall'altro "spetta al giudice del merito apprezzare l'efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all'esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico " (Cass. 28.10.2014 n. 22801);

3.3. che il danno alla professionalità può essere liquidato in via equitativa (Cass. n. 19778/2014; Cass. 15915/2009; Cass. 4652) e che a tal fine si deve ritenere " non privo di concretezza il ricorso in via parametrica alla retribuzione..., posto che, indubbiamente, non può negarsi che elemento di massimo rilievo nella determinazione della retribuzione è il contenutò professionale delle mansioni sicchè essa costituisce, in linea di massima, espressione (per qualità e quantità, ai sensi dell'art. 36 Cost.) anche del contenuto professionale della prestazione..." (Cass. n. 12253/2015);

3.4. che la liquidazione del danno non patrimoniale in via equitativa resta affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità purchè la motivazione della decisione dia conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo (Cass. n. 1622/2015; Cass. 5090/2016);

martedì 14 novembre 2017

L'art. 410 cpc è applicabile anche alle controversie di pubblico impiego?

In forza dell'art. 31 comma 9 della l legge 183 del 2010:

Le disposizioni degli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile si applicano anche alle controversie di cui all’ articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Gli articoli 65 e 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono abrogati.

lunedì 13 novembre 2017

Chi è obbligato ad iscriversi alla gestione commercianti?

In base all'art. 1 comma 202 legge 1996 n. 662

1. 202. A decorrere dal 1° gennaio 1997 l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti di cui alla legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, è estesa ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività di cui all'articolo 49, comma 1, lettera d), della legge 9 marzo 1989, n. 88, con esclusione dei professionisti ed artisti.

In base all'art. 49 comma 1 lettera d) rientrano nel terziario:

d) settore terziario, per le attività: commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e prestazione dei servizi anche finanziari; per le attività professionali ed artistiche; nonché per le relative attività ausiliarie;

giovedì 9 novembre 2017

Come è regolamentato il periodo di prova nel ccnl DIPENDENTI DA AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO STUDI E/O SOCIETÀ DI SERVIZI PROFESSIONALI ALLA PROPRIETÀ IMMOBILIARE ?

Art. 89 Durata

Qualora l’assunzione sia disposta con periodo di prova, questi deve risultare da atto scritto.

La durata del periodo di prova non potrà superare i seguenti limiti:
livelli                giorni
Q e I°               180 giorni di calendario
II° e III°           90 giorni di calendario
IV° e V°          60 giorni di lavoro effettivo
VI° e VII°        20 giorni di lavoro effettivo

Durante il periodo di prova la retribuzione del lavoratore non potrà essere inferiore al minimo contrattuale stabilito per la qualifica attribuita al lavoratore stesso. Nel corso del periodo di prova il rapporto di lavoro potrà essere risolto in qualsiasi momento da una parte e dall’altra senza preavviso. Trascorso il periodo di prova senza che nessuna delle parti abbia dato regolare disdetta, l’assunzione del lavoratore si intenderà confermata ed il periodo stesso sarà computato, a tutti gli effetti, nell’anzianità di servizio.  

mercoledì 8 novembre 2017

Entro quando si deve proporre una causa  in materia di trattamenti pensionistici  ed in materia di prestazioni per la disoccupazione?



Come ribadito da Cass. civ. Sez. lavoro, 03/11/2017, n. 26163

Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunciata dai competenti organi dell'istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronuncia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza di termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni della Gestione di cui all'art. 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date in cui al precedente comma. Dalla data della reiezione della domanda di prestazione decorrono, a favore del ricorrente o dei suoi aventi causa, gli interessi legali sulle somme che risultino agli stessi dovute. L'Istituto nazionale della previdenza sociale è tenuto ad indicare ai richiedenti le prestazioni od ai loro aventi causa, nel comunicare il provvedimento adottato sulla domanda di prestazione, i gravami che possono esser proposti, a quali organi debbono essere presentati ed entro quali termini. È tenuto, altresì, a precisare i presupposti ed i termini per l'esperimento dell'azione giudiziaria.

martedì 7 novembre 2017

I lavoratori transfrontalieri che operano in Svizzera quale trattenuta subiscono in Italia?

In forza dell'art. 76 della legge 1991 n. 413:

1. Le rendite corrisposte in Italia da parte della assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti Svizzera (AVS), maturata sulla base anche di contributi previdenziali tassati alla fonte in Svizzera, sono assoggettate a ritenuta unica del 5 per cento da parte degli istituti italiani, quali sostituti d'imposta, per il cui tramite l'AVS Svizzera le eroga ai beneficiari in Italia. Le rendite, giusta l'accordo tra Italia e Svizzera del 3 ottobre 1974, di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 386, non formano più oggetto di denuncia fiscale in Italia.

1–bis. La ritenuta di cui al comma 1 è applicata dagli intermediari finanziari italiani che intervengono nel pagamento anche sulle somme corrisposte in Italia da parte della gestione della previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità svizzera (LPP), ivi comprese le prestazioni erogate dagli enti o istituti svizzeri di prepensionamento, maturate sulla base anche di contributi previdenziali tassati alla fonte in Svizzera e in qualunque forma erogate.

lunedì 6 novembre 2017



A chi spetta il recupero delle somme indebitamente percepite dai pubblici dipendenti?

In base all'art. 3 del DPR 1955 n. 1544

3. È demandato agli Uffici provinciali del tesoro il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio o da pensionati ed altri assegnatari in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che detti Uffici amministrano. Il recupero predetto deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all'art. 3 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295.

Agli Uffici stessi è demandata inoltre la facoltà di concedere, a richiesta degli interessati, la ratizzazione, entro un periodo massimo di cinque anni, del rimborso dei debiti di cui al comma precedente.

sabato 4 novembre 2017

Il distacco e l'appalto illeciti sono depenalizzati?


In materia di lavoro somministrato, in assenza di un'espressa esclusione, si intendono depenalizzate le fattispecie disciplinate dall'art. 18 del D.Lgs. n. 276 del 2003, punite con la sola pena pecuniaria, tra cui il reato di "appalto illecito" e di "distacco illecito", essendo, tali fattispecie di reato, nella loro ipotesi base, punite con l'ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Ne consegue che per dette fattispecie deve pronunciarsi sentenza di assoluzione, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con conseguente trasmissione degli atti alla competente autorità amministrativa. Cass. pen. Sez. III, 07/07/2016, n. 43926

Ad opera dell'art. 1 del D.Lgs. n. 8/2016, si è determinata la sopravvenuta abrogazione dell'art. 18, co. 5-bis, D.Lgs. n. 276/2003, che punisce l'appalto ed il distacco di manodopera privi dei requisiti rispettivamente sanciti dagli artt. 29 e 30 del D.Lgs. n. 276/2003, salvo che il fatto sia commesso mediante lo sfruttamento dei minori (che, di regola, si ha con l'avviamento al lavoro di soggetti minori di 15 anni o che non abbiano concluso il periodo di istruzione obbligatoria, o ancora minori compresi tra i 15 e i 18 anni per adibirli ai lavori espressamente vietati dall'art. 6, L. 17 ottobre 1967, n. 977, come modificato dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345 e quindi dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 262). Cass. pen. Sez. III, 10/02/2016, n. 10484




giovedì 2 novembre 2017


Cosa sono i fondi per la formazione ed integrazione del reddito previsti per le imprese che svolgono somministrazione? 


In base all'art. 12 del  dlgs 276 del 2003:

1. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l'esercizio di attività di somministrazione. Le risorse sono destinate a interventi di formazione e riqualificazione professionale, nonché a misure di carattere previdenziale e di sostegno al reddito a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, dei lavoratori che abbiano svolto in precedenza missioni di lavoro in somministrazione in forza di contratti a tempo determinato e, limitatamente agli interventi formativi, dei potenziali candidati a una missione.  


2. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono altresì tenuti e versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Le risorse sono destinate a:

a) iniziative comuni finalizzate a garantire l'integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori;
b) iniziative comuni finalizzate a verificare l'utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti;
c) iniziative per l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le regioni;
d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale.


3. Gli interventi di cui ai commi 1 e 2 sono attuati nel quadro delle politiche e delle misure stabilite dal contratto collettivo nazionale di lavoro delle imprese di somministrazione di lavoro, sottoscritto dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale ovvero, in mancanza, dai fondi di cui al comma 4. (1)


4. I contributi di cui ai commi 1 e 2 sono rimessi a un fondo bilaterale appositamente costituito, anche nell'ente bilaterale, dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro:

a) come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell'articolo 36 del codice civile;
b) come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 12 del codice civile con procedimento per il riconoscimento rientrante nelle competenze del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 12 gennaio 1991, n. 13.

5. I fondi di cui al comma 4 sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della congruità, rispetto alle finalità istituzionali previste ai commi 1 e 2, dei criteri di gestione e delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con particolare riferimento alla sostenibilità finanziaria complessiva del sistema. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali esercita la vigilanza sulla gestione dei fondi e approva, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione, il documento contenente le regole stabilite dal fondo per il versamento dei contributi e per la gestione, il controllo, la rendicontazione e il finanziamento degli interventi di cui ai commi 1 e 2. Decorso inutilmente tale termine, il documento si intende approvato. 

6. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196. 

7. I contributi versati ai sensi dei commi 1 e 2 si intendono soggetti alla disciplina di cui all'articolo 26-bis della legge 24 giugno 1997, n. 196.

8. In caso di omissione, anche parziale, dei contributi di cui ai commi 1 e 2, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al fondo di cui al comma 4, oltre al contributo omesso, gli interessi nella misura prevista dal tasso indicato all’articolo 1 del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 26 settembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2005, più il 5 per cento, nonché una sanzione amministrativa di importo pari al contributo omesso. 

8-bis. In caso di mancato rispetto delle regole contenute nel documento di cui al comma 5, il fondo nega il finanziamento delle attività formative oppure procede al recupero totale o parziale dei finanziamenti già concessi. Le relative somme restano a disposizione dei soggetti autorizzati alla somministrazione per ulteriori iniziative formative. Nei casi più gravi, individuati dalla predetta disciplina e previa segnalazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si procede ad una definitiva riduzione delle somme a disposizione dei soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro in misura corrispondente al valore del progetto formativo inizialmente presentato o al valore del progetto formativo rendicontato e finanziato. Tali somme sono destinate al fondo di cui al comma 4. 

9. Trascorsi dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale può ridurre i contributi di cui ai commi 1 e 2 in relazione alla loro congruità con le finalità dei relativi fondi. 

9-bis. Gli interventi di cui al presente articolo trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori assunti per prestazioni di lavoro in somministrazione


(1) 
In base all'art. 55-ter DL 50 del 2017 

1. Il comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che gli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo 12 includono le misure stabilite dal contratto collettivo nazionale di lavoro dirette a garantire ai lavoratori somministrati una protezione complessiva in termini di welfare, anche attraverso la bilateralità del settore.


mercoledì 1 novembre 2017

La responsabilità disciplinare del pubblico dipendente per fatti che possono costituire reato richiede l'esaurimento del procedimento penale?





Come indicato da Cass. civ. Sez. lavoro, 26/10/2017, n. 25485

"Venuta meno la cd. pregiudiziale penale e regolato per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei procedimenti giusta l'art. 55-ter del D.Lgs. n. 165 del 2001, l'Amministrazione è libera di valutare autonomamente gli atti del procedimento penale, ai fini della contestazione, senza necessità di una ulteriore ed autonoma istruttoria, e di avvalersi dei medesimi atti, in sede d'impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti".

In particolare l'art. 55 ter del dlgs 165 del 2001 prevede



Articolo 55-ter Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale 

1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l'amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.  


2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale.  


3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa. 


4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto, mediante rinnovo della contestazione dell'addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all'amministrazione di appartenenza del dipendente, ovvero dal ricevimento dell'istanza di riapertura. Il procedimento si svolge secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis con integrale nuova decorrenza dei termini ivi previsti per la conclusione dello stesso. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'articolo 653, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale.