giovedì 30 marzo 2017

Come è disciplinato il lavoro a tempo determinato nel ccnl del terziario?



In base all'art. 63 "Le parti convengono che l'utilizzo complessivo di tutte le tipologie di contratto a tempo determinato non potrà superare il 20% annuo dell'organico a tempo indeterminato in forza nell'unità produttiva, ad esclusione dei contratti conclusi per la fase di avvio di nuove attività di cui all'art. 67 e per sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto nonchè per la stipula di contratti a tempo determinato di sostegno all'occupazione di cui all'art. 69 bis del presente contratto.

Nelle singole unità produttive che occupino fino a quindici dipendenti è consentita in ogni caso la stipulazione di contratti a tempo determinato per quattro lavoratori.

Nelle singole unità produttive che occupino da sedici a trenta dipendenti è consentita in ogni caso la stipulazione di contratti a tempo determinato per sei lavoratori.

Nelle unità produttive che occupino fino a quindici dipendenti è consentita in ogni caso la stipulazione complessivamente di contratti a tempo determinato o somministrazione per sei lavoratori.

Ferme restando le misure indicate nei precedenti commi l'azienda potrà assumere in un'unità produttiva un numero di lavoratori superiore rispetto a quello previsto per ciascuna unità produttiva, portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive.

Le assunzioni annue di lavoratori a tempo determinato effettuate in base al comma precedente non potranno comunque superare il 28% dell'organico a tempo indeterminato in forza dell'unità produttiva.

In caso di successione di contratti a tempo determinato non si applicano le disposizioni di cui all'art. 5 del dlgs 368 del 2001, nel caso in cui l'assunzione sia determinata da ragioni sostitutive.

mercoledì 29 marzo 2017

Chi può svolgere la professione di consulente del lavoro?

in base all'art. 1 della legge L 11/01/1979 n. 12:

1. Esercizio della professione di consulente del lavoro.

Tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro a norma dell'articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra.

I dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che abbiano prestato servizio, almeno per 15 anni, con mansioni di ispettori del lavoro presso gli ispettorati del lavoro, sono esonerati dagli esami per l'iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro e dal tirocinio per esercitare tale attività. Il personale di cui al presente comma non potrà essere iscritto all'albo della provincia dove ha prestato servizio se non dopo 4 anni dalla cessazione del servizio stesso.

Il titolo di consulente del lavoro spetta alle persone che, munite dell'apposita abilitazione professionale, sono iscritte nell'albo di cui all'articolo 8 della presente legge.

Le imprese considerate artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956, n. 860 , nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l'esecuzione degli adempimenti di cui al primo comma a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti dalle predette associazioni.

Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, nonché per l'esecuzione delle attività strumentali ed accessorie, le imprese di cui al quarto comma possono avvalersi anche di centri di elaborazione dati che devono essere in ogni caso assistiti da uno o più soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge con versamento, da parte degli stessi, della contribuzione integrativa alle casse di previdenza sul volume di affari ai fini IVA, ovvero costituiti o promossi dalle rispettive associazioni di categoria alle condizioni definite al citato quarto comma. I criteri di attuazione della presente disposizione sono stabiliti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sentiti i rappresentanti delle associazioni di categoria e degli ordini e collegi professionali interessati. Le imprese con oltre 250 addetti che non si avvalgono, per le operazioni suddette, di proprie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione dati, di diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o più soggetti di cui al primo comma.

L'iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro non è richiesta per i soggetti abilitati allo svolgimento delle predette attività dall'ordinamento giuridico comunitario di appartenenza, che operino in Italia in regime di libera prestazione di servizi.

Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è istituito un comitato di monitoraggio, composto dalle associazioni di categoria, dai rappresentanti degli ordini e collegi di cui alla presente legge e delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, allo scopo di esaminare i problemi connessi all'evoluzione professionale ed occupazionale del settore

martedì 28 marzo 2017

Come è regolamentata la fase istruttoria nella fase di opposizione del giudizio Fornero?


In primo luogo, l'art. 1 comma 57 della legge 92 del 2012  in merito all'istruttoria della fase di opposizione stabilisce;

57. All'udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonché disposti d'ufficio, ai sensi dall'articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede con sentenza all'accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall'udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale


Occorre considerare che nell'esercizio dei propri poteri il giudice non potrà prescindere dalla natura del giudizio Fornero che sebbene bifasico è comunque un giudizio unico:

"In particolare, risulta acquisito l'esito interpretativo, che assegna al processo in esame natura dl giudizio unico a composizione bifasica, in quanto contraddistinto da una prima fase ad istruttoria sommaria e semplificata, diretta ad assicurare al lavoratore una più rapida tutela dei propri diritti, in virtù dell'effetto anticipatorio dell'ordinanza che la conclude, e da una seconda fase (eventuale), che non ha natura di impugnazione della prima ma che di questa costituisce solo una prosecuzione, a cognizione piena e con portata espansiva sul piano soggettivo ed oggettivo, tale da fornire alle parti la garanzia di una decisione più completa e approfondita" (Cass. n. 15066/2015; n. 21438/2015; n. 25046/2015). Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-09-2016, n. 19552


Pertanto, come notato dalla Cassazione "nell'ambito del procedimento disciplinato alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e segg., l'attività istruttoria assunta in entrambe le fasi del giudizio di primo grado va valutata unitariamente, senza che si possano scindere per fasi gli adempimenti richiesti alle parti in tema di formazione della prova". Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-07-2016, n. 13788

lunedì 27 marzo 2017

Fino a quando si possono utilizzare i buoni acquistati per lavoro accessorio?




In seguito all'abrogazione effettuata dall'art. 1 del del DL 17 marzo 2017 n. 25 delle norme ce regolamentavano il lavoro accessorio (il comma 1 prevede Gli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono abrogati) il comma secondo ha stabilito: 

"I buoni per prestazioni di lavoro accessorio richiesti alla data di entrata in vigore del presente decreto possono essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017".



venerdì 24 marzo 2017

A quanto ammonta l'indennità di malattia a carico dell'Inps?

La misura è indicata nella  circolare Inps 28 gennaio 1981, n. 123368

"10. Misura dell'indennità

10.1 Operai (compresi gli agricoli) e addetti al commercio con qualifica di impiegati
Agli operai (compresi gli agricoli) e agli addetti al commercio con qualifica di impiegati l'indennità giornaliera di malattia spetta in misura pari:
a) al 50% della retribuzione media globale giornaliera per le giornate indennizzabili comprese nei primi 20 giorni di malattia;
b) al 66,66% della retribuzione media globale giornaliera a decorrere dal 21º giorno di malattia qualora questa si prolunghi, continuativamente o per ricaduta, oltre il 20º giorno.

10.2 Lavoratori dipendenti da pubblici esercizi e da laboratori di pasticceria non iscritti all'albo delle imprese artigiane tenuti al pagamento del contributo aggiuntivo
Ai lavoratori in epigrafe l'indennità giornaliera spetta in misura pari all'80% della retribuzione media globale giornaliera per tutte le giornate indennizzabili per il periodo di malattia e ciò sia per quelle comprese nei primi 20 giorni di malattia che per le successive, fermo restando il limite massimo dei 180 giorni di malattia indennizzabili".

giovedì 23 marzo 2017

Quali modifiche ha apportato il DL 2017  n. 25 all'art. 29 del dlgs 276 del 2003?


Art. 29. Appalto

1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.


2. In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d'imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. 


3. L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda. 


3-bis. Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2. 


3-ter. Fermo restando quando previsto dagli articoli 18 e 19, le disposizioni di cui al comma 2 non trovano applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale. 


mercoledì 22 marzo 2017

Nel contratto di trasporto quali obblighi ha il committente per non incorrere nella responsabilità solidale per contributi e retribuzioni dovuti dal vettore? 

In forza dell'art. 83 bis del DL 112 del 2008 commi 4 bis 4 sexies commi inseriti dalla legge 2014 n. 190 dal gennaio del 2015:


4-bis. Al fine di garantire l'affidamento del trasporto a vettori in regola con l'adempimento degli obblighi retributivi, previdenziali e assicurativi, il committente è tenuto a verificare preliminarmente alla stipulazione del contratto tale regolarità mediante acquisizione del documento di cui al comma 4-sexies. In tal caso il committente non assume gli oneri di cui ai commi 4-ter e 4-quinquies.  


4-ter. Il committente che non esegue la verifica di cui al comma 4-bis ovvero di cui al comma 4-quater è obbligato in solido con il vettore, nonché con ciascuno degli eventuali sub-vettori, entro il limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi agli enti competenti, dovuti limitatamente alle prestazioni ricevute nel corso della durata del contratto di trasporto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni amministrative di cui risponde solo il responsabile dell'inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. 


4-quater. La verifica sulla regolarità del vettore è effettuata limitatamente ai requisiti e ai sensi del comma 4-bis, fino alla data di adozione della delibera del presidente del Comitato centrale per l'albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto di terzi, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. A decorrere dall'adozione della delibera di cui al primo periodo, la verifica sulla regolarità del vettore è assolta dal committente mediante accesso ad apposita sezione del portale internet attivato dal citato Comitato centrale, dal quale sia sinteticamente acquisita la qualificazione di regolarità del vettore a cui si intende affidare lo svolgimento di servizi di autotrasporto. A tal fine il medesimo Comitato centrale, previa opportuna intesa, acquisisce sistematicamente in via elettronica dalle amministrazioni e dagli enti competenti l'informazione necessaria a definire e aggiornare la regolarità dei vettori iscritti.  


4-quinquies. In caso di contratto di trasporto stipulato in forma non scritta il committente che non esegue la verifica di cui al comma 4-bis ovvero di cui al comma 4-quater, oltre agli oneri di cui al comma 4-ter, si assume anche gli oneri relativi all'inadempimento degli obblighi fiscali e alle violazioni del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, commesse nell'espletamento del servizio di trasporto per suo conto eseguito. 


4-sexies. All'atto della conclusione del contratto, il vettore è tenuto a fornire al committente un'attestazione rilasciata dagli enti previdenziali, di data non anteriore a tre mesi, dalla quale risulti che l'azienda è in regola ai fini del versamento dei contributi assicurativi e previdenziali.

martedì 21 marzo 2017

Contro l'elemento intenzionale dell'evasione contributiva di cui all'art. 116 comma 8 lettera b) l, 2000 n. 388 connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero  è ammessa prova conraria?



Cass.13-03-2017, n. 6405

Benchè non siano mancati contrasti nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., n. 1230/2011, citata dalla ricorrente, la quale deve tuttavia ritenersi pronuncia isolata), deve ritenersi ormai consolidato il principio secondo il quale, perchè ricorra l'ipotesi dell'evasione contributiva, a mente della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), è necessario che vi sia a) occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate; b) tale occultamento sia stato attuato con l'intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato.

3.- Il primo requisito sussiste non solo quando vi sia l'assoluta mancanza di un qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l'accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, ma anche quando ricorra un'incompleta o non conforme al vero denuncia obbligatoria, attraverso la quale viene celata all'ente previdenziale (e, quindi, occultata) l'effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell'imposizione.

Nè a contrario avviso può condurre il rilievo che, in ipotesi di registrazione dei rapporti e delle effettive retribuzioni, l'ente impositore potrebbe venire a conoscenza della situazione effettiva, atteso che tale conoscenza resterebbe, in difetto di una denuncia periodica veritiera, meramente eventuale, collegata cioè ad un altrettanto eventuale accertamento, e non farebbe quindi venir meno, in relazione alla denuncia infedele, l'occultamento dei rapporti o delle retribuzioni (in tal senso, Cass., 27 dicembre 2011, n. 28966).

Come già posto in luce dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 4808/2005, un'interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all'Ente previdenziale l'accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione dell'Istituto, imponendogli un'incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.
.....
La formulazione della norma (art. 116, comma 8, lett. b) "in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l'intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate..."), attribuisce rilievo all'elemento intenzionale, creando, da un lato, una presunzione iuris tantum della volontà del datore di lavoro di sottrarsi al pagamento dei contributi e, dall'altro, consentendo, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l'ipotesi dell'evasione: la suddetta presunzione (proprio perchè non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l'allegazione e prova di circostanze dimostrative dell'assenza del fine fraudolento; e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangile in sede di legittimità ove congruamente motivato (così ancora Cass., 28966/2011, cit.; Cass. n. 10509 del 25/06/2012; Cass. n. 4188 del 20/02/2013; Cass. n. 17119 del 25/08/2015).

....

10. La questione va quindi risolta con l'affermazione del principio di diritto, secondo cui: "In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'accertamento dell'esistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato in luogo di un lavoro a progetto per la mancanza di uno specifico progetto, benchè regolarmente denunciato e registrato, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di "omissione contributiva" di cui alla lettera a) della medesima norma, dovendosi ritenere che la stipulazione di un contratto di lavoro a progetto privo dei requisiti prescritti dalla legge implichi occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, che non può tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati omessi o infedelmente riportati nelle denunce sui libri di cui è obbligatoria la tenuta; in tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata".

lunedì 20 marzo 2017

In caso di licenziamento collettivo effettuato partire dal gennaio del 2017 il datore di lavoro deve ancora versare il contributo per la mobilità stabilito dall'art. 5 comma 4 della legge 1991 n. 223?

In forza dell'art. 2 comma 71 della legge 92 del 2012 "a decorrere dal 1° gennaio 2017, sono abrogate le seguenti disposizioni:  a) articolo 5, commi 4, 5 e 6, della legge 23 luglio 1991, n. 223".

In forza di tale abrogazione in caso di licenziamento collettivo il datore di lavoro sarà tenuto a versare il contributo naspi secondo le regole stabilite dall'art. 2 commi 31,33 e 35 della legge 92 del 2012:

31. Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all'ASpI, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Nel computo dell'anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al comma 30.

33. Il contributo di cui al comma 31 non è dovuto, fino al 31 dicembre 2016, nei casi in cui sia dovuto il contributo di cui all'articolo 5, comma 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223.

35. A decorrere dal 1° gennaio 2017, nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale di cui all'articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il contributo di cui al comma 31 del presente articolo è moltiplicato per tre volte.




sabato 18 marzo 2017

A quanto ammontano i contributi colf e badanti nell'anno 2017?

Importi del contributo orario per l’anno 2017 in relazione alla retribuzione senza contributo addizionale 
Tabella contributi inps per lavoratori domestici a tempo indeterminato:
Ore di lavoro settimanali
Retribuzione effettiva oraria
Contributo orario compresa CUAF
Contributo orario esclusa CUAF
Contributo orario dipendente
da
A
Fino a 24 ore settimanali
0 (*)
7,88
1,39
1,40
0,35
7,89
9,59
1,57
1,58
0,40
9,60
999
1,911,93
0,48
Prestazioni superiori a 24 ore settimanali
0
999
1,01
1,02
0,25


Importi del contributo orario per l’anno 2017 in relazione alla retribuzione con contributo addizionale 
Tabella contributi inps per lavoratori domestici a tempo determinato:
Ore di lavoro settimanali
Retribuzione effettiva oraria
Contributo orario compresa CUAF
Contributo orario esclusa CUAF
Contributo orario dipendente
da
A
Fino a 24 ore settimanali
0
7,88
1,49
1,50
0,35
7,89
9,59
1,68
1,69
0,40
9,60
999
2,05
2,06
0,48
Prestazioni superiori a 24 ore settimanali
0
999
1,08
1,09
0,25

giovedì 16 marzo 2017

In caso malattia dell'invalido cagionata dall'aver adibito il lavoratore a mansioni incompatibili con il suo stato su chi grava l'onere della prova?

Cass. civ. Sez. lavoro, 23/04/2004, n. 7730

Nell'ipotesi di rapporto di lavoro con invalido assunto obbligatoriamente ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, le assenze dovute a malattie collegate con lo stato di invalidità non possono essere computate nel periodo di  comporto, ai fini della conservazione del posto di lavoro ex art. 2110 c.c., se l'invalido sia stato adibito, in violazione dell'art. 20 della legge n. 482 del 1968, a mansioni incompatibili con le sue condizioni di salute, in quanto la impossibilità della prestazione deriva, in tale caso, dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica del lavoratore, il quale è tuttavia gravato dell'onere di provare gli elementi oggettivi della fattispecie, sulla quale si fonda la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, dimostrandone l'inadempimento, nonché il nesso di causalità tra l'inadempimento stesso, il danno alla salute e le assenze dal lavoro che ne conseguano. 

mercoledì 15 marzo 2017



Il licenziamento intimato nel pubblico impiego deve osservare le regole stabilite dal diritto amministrativo in ordine alla motivazione del provvedimento?

Come indicato da Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-03-2017, n. 5313:

"Questa Corte ha da tempo affermato che il licenziamento disciplinare, nel regime giuridico dei rapporti di lavoro di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, è negozio giuridico di diritto privato regolato, quanto alla forma dell'atto, dalla L. n. 604 del 1966. L'obbligo di motivazione, quindi, non è quello dei provvedimenti amministrativi ed è assolto dall'amministrazione con l'indicazione del fatto, già oggetto di contestazione che, a giudizio del datore di lavoro, giustifica il recesso (Cass. 758/2006, Cass. 19183/2016)".

martedì 14 marzo 2017

I compensi del lavoro accessorio formano reddito utile ai fini della concessione del permesso di soggiorno?


In base all'art. 48 comma 5 Dlgs 2015 "I compensi percepiti dal lavoratore secondo le modalità di cui all'articolo 49 sono computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno".

lunedì 13 marzo 2017

Come è disciplinato l'utilizzo del lavoro accessorio?


In base all'art. 49 dlgs 81 come modificato dal dlgs 185 del 2016:


Acquisto buoni:

1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori o professionisti acquistano esclusivamente attraverso modalità telematiche uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le diverse attività lavorative e delle risultanze istruttorie del confronto con le parti sociali. I committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i buoni anche presso le rivendite autorizzate.

Valore buoni

2. In attesa della emanazione del decreto di cui al comma 1, e fatte salve le prestazioni rese nel settore agricolo, il valore nominale del buono orario è fissato in 10 euro e nel settore agricolo è pari all'importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Obbligo di preventiva comunicazione dati lavoratore

3. I committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale competente dell'Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al primo periodo nonché ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. (12)

Pagamento lavoratore

4. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso dal concessionario di cui al comma 7, successivamente all'accreditamento dei buoni da parte del beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Il compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
5. Fermo restando quanto disposto dal comma 6, il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, effettuando altresì il versamento per suo conto dei contributi previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese. La percentuale relativa al versamento dei contributi previdenziali può essere rideterminata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in funzione degli incrementi delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata dell'INPS.
6. In considerazione delle particolari e oggettive condizioni sociali di specifiche categorie di soggetti correlate allo stato di disabilità, di detenzione, di tossicodipendenza o di fruizione di ammortizzatori sociali per i quali è prevista una contribuzione figurativa, utilizzati nell'ambito di progetti promossi da pubbliche amministrazioni, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto, può stabilire specifiche condizioni, modalità e importi dei buoni orari.
7. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua con decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 5 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'INPS e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettere a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo n. 276 del 2003.

Norma transitoria

8. Fino al 31 dicembre 2015 resta ferma la previgente disciplina per l'utilizzo dei buoni per prestazioni di lavoro accessorio già richiesti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

venerdì 10 marzo 2017



Posso pignorare le somme destinate a finanziare i fondi pensione introdotti dalla Dlgs 252 del 2005?




In base all'art. 11 comma 10 le posizioni individuali durante la fase di accumulo sono intangibili. In particolare: "10. Ferma restando l'intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni di cui al comma 7, lettera a), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria previsti dall'articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1935, n. 1155, e dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni. I crediti relativi alle somme oggetto di riscatto totale e parziale e le somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c), non sono assoggettate ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità.


Come indicato dalla DELIBERAZIONE 28 giugno 2006 della Covip: Cedibilita', sequestrabilita' e pignorabilita'.
"L'art. 11, comma 10, del decreto conferma espressamente, in primo luogo, l'intangibilita' delle posizioni individuali durante la fase di accumulo presso le forme pensionistiche complementari, ivi compresa, naturalmente, la parte derivante dal conferimento del TFR. In tale fase, infatti, le risorse rientrano nel patrimonio della forma pensionistica e non sono, in generale, disponibili da parte dell'iscritto ne' assoggettabili a sequestro o pignoramento. Anche le somme oggetto di trasferimento ad altro fondo per iniziativa dell'iscritto sono intangibili, in quanto sempre riconducibili alla fase di accumulo.
Inoltre, la predetta norma stabilisce che le prestazioni pensionistiche, in capitale e in rendita, e le anticipazioni concesse per far fronte a spese sanitarie saranno sottoposte, a decorrere dal 1° gennaio 2008, agli stessi limiti di cedibilita', sequestrabilita' e pignorabilita' in vigore per le prestazioni nel regime pensionistico di base, mentre i crediti relativi alle somme oggetto di riscatto o di anticipazione per altri motivi non saranno assoggettate ad alcun vincolo al. riguardo."

giovedì 9 marzo 2017

L'appello notificato senza il rispetto dei termini ex art. 435 comma terzo  cpc determina la possibilità di rinnovare la notifica ex art. 291 cpc?

Cass. 5880 del 8 marzo 2017:

1. La questione in rassegna è già stata scrutinata da questa Corte in numerosi arresti, tra i quali Cass. 10/10/2016 n. 20335 e Cass. 28/08/2013 n. 19818, cui occorre dare continuità, che hanno affermato che nel rito del lavoro l'inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire previsto dal terzo comma dell'art. 435 c.p.c. , non determina l'improcedibilità del gravame, ma dà luogo ad un'ipotesi di nullità della notificazione, sanabile "ex tunc" per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione del principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili con effetto retroattivo, a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall'art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (art. 156 c. 3 c.p.9), ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante.  
Non si verte infatti nell'ipotesi esaminata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 30/07/2008 n. 20604, che ha escluso, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 della Costituzione, la possibilità di concessione di nuovo termine per la notifica, in relazione però al caso in cui la notifica non sia avvenuta o sia inesistente (e non solamente nulla). 
2. Il giudice d' appello era quindi tenuto a concedere il nuovo termine per il rinnovo della notifica che era stato richiesto dall'appellante, ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ. , al fine di garantire il rispetto dei termini a difesa; il mancato rispetto da parte dell'appellante di tale nuovo termine — necessariamente perentorio — avrebbe comportato la declaratoria di improcedibilità dell'impugnazione. 


Cass.  5855 del 8 marzo 2017


1. Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza n. 137/10, pronunciata sull'appello proposto da Parmesan Luisa nei confronti di Azienda ULSS n. 1 di Belluno, avverso la sentenza n. 43/2007 emessa, tra le parti, dal Tribunale di Belluno, dichiarava l'improcedibilità dell'appello ex art. 435, terzo cemnna, cpc, poichè il decreto di fissazione per l'udienza del 2 marzo 2010 era stato notificato solo in data 10-16 febbraio 2010, non rispettando il termine a difesa previsto da tale norma, né veniva giustificato il ritardo..... La Corte d'Appello, dopo aver richiamato Cass., S.U., n. 20604 del 2008, ha affermato che la notificazione tardiva per causa imputabile all'appellante è totalmente equiparabile, ai fini giuridici, all'omessa notificazione, atteso che ne conseguono il medesimo effetto di dilatazione non giustificata dei tempi del processo e le medesime conseguenze. Pertanto dichiarava l'improcedibilità dell'appello in ragione della tradiva notificazione del decreto di fissazione dell'udienza.
Tale statuizione non è corretta. Va precisato che nella specie viene in rilievo la tardiva notifica del decreto di fissazione dell'udienza, in quanto intervenuta prima dell'udienza medesima (fissata per il 2 marzo 2010), ma dopo il cd. termine a difesa (notifica in data 10-16 febbraio 2007). L'appellata si costituiva eccependo l'improcedibilità dell'impugnazione e in via subordinata, senza voler sanare il vizio dedotto, si difendeva nel merito, prospettando l'infondatezza dell'appello (pag. 7 e 8 del controricorso). Tanto premesso, occorre chiarire che Cass., S.U., n. 20604 del 2008, ha affermato che «Nel rito del lavoro l'appello pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza non sia avvenuta non essendo consentito - alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata (art. 111 Cost., comma 2) - al giudice di assegnare ex art.421 c.p.c. all'appellante, previa fissazione di una altra udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291 c.p.c.».
 Dunque, si tratta di fattispecie diversa da quelle in esame, ove la notifica del decreto di fissazione, sia pure oltre il termine a difesa, è intervenuta. 
2.6. Scopo della notificazione è quello di provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità, con gli effetti che ne conseguono (in termini - per quanto qui interessa - di instaurazione del contraddittorio). In presenza di una notificazione nulla, così come opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, correlativamente, in mancanza di tale costituzione, il giudice, ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ., deve dispone la rinnovazione della notificazione (fissando a tal fine un termine perentorio), a meno che la parte stessa non abbia a ciò già spontaneamente provveduto. Entrambi i rimedi, che sono previsti a fronte del verificarsi del medesimo presupposto della nullità della notificazione — con l'unica peculiarità che l'attivazione spontanea della parte (con la costituzione o la rinnovazione) rende superfluo l'intervento del giudice —, operano con efficacia ex tunc, cioè sanano con effetto retroattivo il vizio della notificazione (quella originaria, nel caso di rinnovazione): ciò è previsto espressamente nel citato art. 291 ("la rinnovazione impedisce ogni decadenza'), si configura come una normale qualità del concetto di sanatoria e costituisce un'ulteriore espressione del principio di strumentalità delle forme. Va ribadito, per completezza, che il detto effetto sanante ex tunc prodotto dalla costituzione del convenuto — la quale non è mai tardiva, poiché la nullità della notificazione impedisce la decorrenza del termine (per tutte, Cass., sez. un., n. 14539 del 2001) - opera anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (tra altre, Cass., sez. un., n. 5785 del 1994; Cass. nn. 10119 del 2006, 13667 del 2007, 6470 del 2011)». 


Cass. 20335 del 10 ottobre 2016

"La Corte territoriale ha rilevato che, nonostante il decreto presidenziale di cui all'art. 435 c.p.c. fosse stato comunicato alla società a mezzo fax in data 28.3.2012, quest'ultima aveva avviato la procedura notificatoria solo in data 6.2.2013, a fronte di udienza fissata per il giorno 7.2.2013. 3. Ha ritenuto che, in base ai principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella decisione n. 20604 del 2008, la notifica del ricorso e del pedissequo decreto era inesistente in quanto inidonea a consentire alla parte appellata di svolgere le sue difese, per essere stata la notifica avviata solo il giorno precedente la prima udienza di trattazione (fissata per il giorno 7.2.2013). 4. Per la cassazione di tale sentenza la Muitiservizi srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Maranta Luigi è rimasto intimato.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia illegittimità della sentenza impugnata per lesione del diritto di difesa e violazione e falsa applicazione degli artt. 435, 136, 421 e 291 c.p.c., sostenendo:...
7. b. che l'improcedibilità dell'appello può essere dichiarata nei soli casi di inesistenza della notifica e non nei casi, quale quello dedotto in giudizio, in cui la notifica sia stata effettuata, sia pure in violazione dei termini posti, dall'art. 435 c. 3 c.p.c., a tutela del diritto di difesa della parte convenuta. 10. Detta questione è già stata scrutinata da questa Corte in numerose decisioni, tra le quali: Cass. n.i 16479 del 2015, 16154/2015, 7378/2014, 19818/2013, 8125/2013; Ord, 10775/2016; Cass. SSUU, 9331/1996 (il principio enunziato da detta decisione, da intendere con la correzione apportata dalla decisione delle Sezioni Unite n. 30.07.08 n. 20604, per la quale il termine può essere concesso ove la notifica sia nulla ma non quando sia inesistente). 11. Il Collegio ritiene di dare continuità all'orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate secondo cui: 12. nel rito del lavoro l'inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire non è configurabile come vizio di forma e di contenuto dell'atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l'impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell'udienza di comparizione è fissato dalla parte (art. 163 c.p.c., n, 7 e art. 342 c.p.c.), considerato altresì, che tale giorno è fissato, nel rito del lavoro, dal giudice col suo provvedimento. Pertanto, tale inosservanza non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì  quella della sua notificazione, sanabile "ex tunc" per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione di un principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili "ex tunc", con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall'art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (art. 156 c. 3 c.p.9, ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante.
13. La sovrapponibilità della vicenda dedotta in giudizio alle fattispecie esaminate nelle richiamate decisioni di questa Corte, desunta dalle motivazioni che sorreggono il "decisum " della sentenza oggi impugnata e dai motivi dei presente ricorso, esime il Collegio dalla ripetizione delle argomentazioni motivazionali spese nelle richiamate sentenze di questa Corte, per nulla contrastate dalla parte controricorrente, rimasta intimata e che non ha svolto alcuna attività difensiva, e consentono il rinvio "per relationem" a dette argomentazioni. 
 15. Il primo motivo del ricorso, quanto al profilo correlato all'art. 435, c. 3 c.p.c., va accolto, sulla scorta delle stesse ragioni esposte nelle sentenze richiamate nel punto n. 10 di questa sentenza. 16. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata, con rinvio al giudice individuato in dispositivo, che in applicazione dei principi indicati nel punto 12 di questa sentenza, dovrà assegnare un termine per la rinnovazione della notificazione dell'atto di appello e fissare una nuova udienza di discussione, che l'appellante dovrà notificare alla controparte, in una col ricorso, nel rispetto dei termine di cui all'art. 435 c.p.c., c.3. 

Cass. 16479 del 5 agosto 2015

La Corte territoriale ha premesso che l'udienza del 16 febbraio 2007, in cui si era costituito il Giannotti, era stata fissata esclusivamente per la trattazione della richiesta di inibitoria avanzata dalla ASL e che, con diverso apposito decreto presidenziale dell'11 luglio 2008, era stata fissata per la trattazione del merito del gravame l'udienza del 14 novembre 2008; ha considerato che, nonostante detto decreto fosse stato comunicato al procuratore della ASL in data 7 ottobre 2008, questi aveva provveduto alla notifica solo in data 20 ottobre 2008, solo dopo la scadenza del termine di 25 giorni liberi previsto dall'art. 435, co. 3, c.p.c.; ha ritenuto che, in base ai principi espressi da Cass. SS.UU. n. 20604 del 30 luglio 2008, detta notifica eseguita doveva "ritenersi giuridicamente inesistente, e non già semplicemente nulla, perché in siffatta ipotesi l'inattività della parte fino alla scadenza del termine ha determinato effetti preclusivi del tutto parificabili a quelli correlati alla scadenza di un termine perentorio, con la conseguente impossibilità di ottenere la concessione di un nuovo termine"; pertanto la Corte di Appello, constatato che all'udienza del 14 novembre 2008 il Giannotti non si era costituito, ha negato la rinnovazione della notifica dell'impugnazione richiesta dalla ASL ed ha dichiarato improcedibile l'appello.
5.— Con il primo mezzo di gravame parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. nonché dell'art. 156 c.p.c., con il quesito di diritto innanzi riportato, lamenta che i giudici di appello avrebbero erroneamente dichiarato improcedibile l'appello proposto dall'Azienda, ritenendo che la notifica dell'impugnazione effettuata oltre il termine non minore di venticinque giorni di cui all'art. 435, co. 3, c.p.c., debba considerarsi "giuridicamente inesistente, e non già semplicemente nulla". Il motivo è fondato. L'art. 435, co. 3, c.p.c., prescrivendo che "tra la data di notificazione all'appellato e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni", stabilisce un termine nell'interesse dell'appellato e dell'esercizio consapevole del suo diritto di difesa, di cui, però, l'appellato medesimo può disporre. In alcun modo la notifica dell'atto di appello eseguita oltre tale termine può essere equiparata ad una notifica omessa o inesistente, per la contraddizione che non consente di equivalere "l'eseguire" all' "omettere"; tanto è che la costituzione dell'appellato è idonea a sanare la violazione del termine, non presidiando l'art. 435, co. 3, c.p.c., la formazione del giudicato. Secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, ancora di recente ribadita (Cass. n. 19818 del 2013), nel rito del lavoro, l'inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire non è configurabile come vizio di forma e di contenuto-forma dell'arto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l'impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, e considerato altresì che, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell'udienza di comparizione è fissato dalla parte (art. 163 c.p.c., n. 7 e art. 342 c.p.c.), tale giorno è fissato, nel rito del lavoro, dal giudice col suo provvedimento. Pertanto, tale inosservanza non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile "ex tunc" per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione di un principio generale dell'ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili "ex tunc", con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall'art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all'atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (art. 156 c.p.c., comma 3), ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all'ufficiale giudiziario o alla parte istante (v., tra le altre, Cass. n. 4461 del 1993; Cass. n. 1093 del 1994; Cass. n. 7957 del 1994; Cass. n. 3373 del 1996; Cass. n. 18165 del 2004; Cass. n. 488 del 2010). 
Adesivamente occorre ancora rilevare che di recente questa Corte, a Sezioni unite, cogliendo l'occasione rappresentata dalla questione dell'omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte in materia di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 ha affermato "che il principio del giusto processo ... non si esplicita nella sola durata ragionevole dello stesso" ed ha richiamato la dottrina per sottolineare che "occorre prestare altresì la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pure si sostanzia il processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in definitiva, il diritto ad un giudizio" (Cass. SS. UU. n. 5700 del 12 marzo 2014) Sulla scorta di tale insegnamento si è così ritenuto che nel rito del lavoro, finanche nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e del decreto di fissazione dell'udienza, è ammessa la concessione di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notificazione di tali atti (Cass. n. 1483 del 2015). A maggior ragione, nel caso di notifica dell'appello e del pedissequo decreto eseguita oltre il termine di venticinque giorni previsto dall'art. 435, co. 3, c.p.c., poiché la violazione determina nullità e non inesistenza della notificazione, il giudice, ove l'appellato non si sia costituito, deve autorizzare la rinnovazione della medesima.  

mercoledì 8 marzo 2017

Quali sono le linee guida dell'Inps per la determinazione delle malattie gravi che impongono terapie salva vita?

“LINEE GUIDA IN ATTUAZIONE DEL DECRETO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, DI CONCERTO CON IL MINISTRO DELLA SALUTE, 11 GENNAIO 2016, PREVISTO DALL’ART. 25 DEL D. LGS. 14 SETTEMBRE 2015, N. 151”.

La previsione di esenzione in precise fattispecie dall’obbligo di reperibilità del lavoratore assente per incapacità temporanea allo svolgimento del lavoro specifico, introdotta per i pubblici dipendenti con DPCM 18.12.2009 n. 206, del tutto di recente è traslata con modifiche anche nella disciplina riguardante i lavoratori subordinati del privato. L’impatto della novella regolamentare sull’organizzazione del lavoro, in rapporto alle presenze giornaliere dei lavoratori, e sulla governance assicurativo previdenziale non è di trascurabile profilo ove non fosse oculatamente soppesato il giudizio medico legale e garantito in ogni caso il sistema dei controlli, anche perché è fissato un tetto massimo di 180 giorni di comporto! L’intento di tutela che si evince dal Regolamento in parola è che si vogliono tutelare da restrizioni temporali quei lavoratori in malattia, qualora entrino in gioco:
 • un vulnus funzionale intenso e inconsueto rispetto la casistica più frequente di malattia e tale da necessitare di contestuale somministrazione di terapie “estreme” ben debitamente certificate
• una malattia temporanea determinata o connessa alla menomazione che, valutata in sede medico legale pluricratica, abbia visto assegnarsi una percentuale pari o superiore ai due terzi (67%) di invalidità permanente.
A rendere più complesso il quadro, rileva che non esiste né una normativa specifica né un’elencazione statuita delle gravi patologie ovvero delle terapie con la qualificazione di “salvavita”. In senso letterale, si può parlare di terapia salvavita quando vi sia un “pericolo di vita” immediato e concreto ovvero procrastinato, ma altrettanto certo o fortemente probabile: sono terapie salvavita quelle praticate in rianimazione, ma anche quelle che – se non assunte – espongono certamente alla morte. 

Tuttavia, in senso analogico, potrebbe diventare assimilabile alla terapia salvavita qualunque terapia che si debba assumere cronicamente come, a mero titolo esemplificativo e non certo esaustivo, quella anticoagulante, perché altrimenti può verificarsi un’embolia mortale o gravemente invalidante; quella antipertensiva, per scongiurare le rotture vasali e conseguenti emorragie; quella antibiotica, per le infezioni croniche o subacute delle ossa onde evitare gli ascessi ossifluenti; quelle profilattiche antitubercolari; quelle immunosoppressive in tutte le patologie autoimmuni o nei trapiantati e in numerose altre circostanze.

Ma è di tutta evidenza che non può essere questa l’interpretazione perché sarebbe implicitamente rimosso in via surrettizia erga omnes l’obbligo stesso di reperibilità a controllo, essendo la patologia cronica - di cui le esemplificate terapie sarebbero emendamento -largamente rappresentata nei lavoratori con un progressivo incremento in rapporto al progredire dell’età.

Non essendoci, dunque, riferimenti univoci e finalizzati alla specificità dell’argomento e per non lasciare ogni eventuale riconoscimento nell’alea della mera analogia, ancor più aggravata dal fatto che, chiamata ad attestare tali condizioni, è una vera molteplicità di “curanti” con criteri e personali modalità operative spesso molto difformi persino su medesimi ambiti territoriali, sembra più che mai utile fornire linee d’indirizzo, anche suscettibili di periodico aggiornamento, che garantiscano la maggiore omogeneità possibile di approccio.

PATOLOGIE GRAVI CHE RICHIEDONO TERAPIE SALVAVITA DECRETO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI 11 gennaio 2016 Art.1 co.2 -

Le patologie di cui al comma 1, lettera a), devono risultare da idonea documentazione, rilasciata dalle competenti strutture sanitarie, che attesti la natura della patologia e la specifica terapia salvavita da effettuare. In premessa, bisogna ricordare che la nozione di "infermità" (da in-firmus = non fermo, debole), che costituisce il rischio assicurato ex lege 29 Febbraio 1980, n. 33, si riferisce ad una disfunzione relativa alla funzione organica/psichica interessata, mono o pluriorgano, in conseguenza di processi morbosi, quantitativamente caratterizzata. 

La “malattia”, nell’indicare un "Fenomeno anormale o patologico che altera l'integrità anatomica degli organi o ne fa deviare il funzionamento in senso dannoso" invece, fa riferimento ad una diagnosi nosologica ed è, pertanto, prevalentemente qualitativa. Il termine "patologia" (dal greco antico πάθος: "sofferenza"; λογία: "studio") - oltre ad indicare quella branca della medicina che si occupa dello studio delle malattie, nei loro aspetti fondanti: cause, evoluzione, danno - è anche sinonimo dotto di "malattia". Sul piano medico e medico legale, entrambi i termini – malattia /patologia – sottendono la necessarietà della disfunzione modulata secondo progressiva severità. 

SUL CONCETTO DI “GRAVITÀ” 

Molte sono le patologie che possono essere considerate gravi e, alquanto spesso, esse assumono un andamento clinico subacuto/persistente o addirittura cronico.

Tuttavia, l’Ordinamento, quando vuole sostanziare una situazione ad “alta intensità di rischio” – cioè che l’evento da scongiurare o tutelare accada veramente - qualifica quella situazione con l’aggettivo grave, senza indicarne il correlato significato concreto: manca cioè la “misura” parametrata. La malattia/patologia/sindrome è, oggi, intesa dalla dottrina medico legale come un’alterazione quali-quantitativa dello stato di salute che induca una modificazione peggiorativa dello stato anteriore suscettibile di apprezzamento clinico e/o, eventualmente, medico legale, caratterizzata dai seguenti attributi: ANORMALITÀ, EVOLUTIVITÀ, BISOGNO di CURE, DISFUNZIONALITÀ, MANCATA ESPANSIONE DELLE ATTIVITÀ SOCIO-RELAZIONALI ecc.

Tali situazioni si connotano per essere gravi se si appalesano per un considerevole disordine funzionale, in grado di scemare sensibilmente e in modo severo la funzione dell’organo /apparato /sistema in quella fattispecie compromesso. 

Quindi, del processo morboso in esame è necessario valutare: 

1. LA SUA NATURA CLINICA 
2. L’ENTITÀ DELLA DISFUNZIONE che determina 
3. IL CONCRETARSI a carico della persona IN MODO ACUTO, anche se più ampiamente iscritto in un decorso più torpido o cronico 
4. La sua STORIA NATURALE/MODIFICATA DALLA TERAPIA 

E’ opportuno precisare come la qualificazione di “Grave” non attiene:
 ƒ né le strategie di diagnosi o la particolare indaginosità degli accertamenti/ trattamenti eseguiti (ad es, l’aver eseguito trattamento chirurgico in anestesia generale)
ƒ né la tipologia/importanza ella Struttura in sé per sé considerata cui ci si rapporta (essere stati ricoverati in ospedali di eccellenza) o altro di segno socio-ambientale (aver avuto bisogno di assistenza personale, come in caso di fratture agli arti inferiori).

In sintesi, dunque, quello che si è voluto tutelare, esonerando dall’obbligo di reperibilità, non può che essere la “straordinarietà” dell’episodio morboso - isolato o anche iscritto in un eventuale decorso cronico - per cui è l’evento intrinsecamente “drammatico” a costituire la situazione da cui scaturisce l’esonerabilità.

TERAPIA SALVAVITA

Il secondo pre-requisito per rendere operativo l’esonero dalla reperibilità - da concretarsi contestualmente alla grave patologia – è il veder somministrata TERAPIA SALVAVITA

Come già detto, non esiste un’elencazione di farmaci salvavita, men che meno di terapie ad essi assimilabili. Oggi, si dispone solo di una lista1 che, però, attiene ad apprezzamenti di carattere economico ed è, pertanto, suscettibile di fluttuazioni in relazione alla capienza di bilancio delle singole Regioni. L’unico riferimento dottrinale scevro di considerazioni contabili (che risente però dell’impossibilità di stilare un inventario nominativo dei farmaci che possono rientrare nella definizione) è quello giurisprudenziale. In quest’ultimo ambito, ad es. con Sentenza di C. Cass. Sez. I, 11 luglio 2002, n. 26646, si è affrontato questo delicato capitolo delle cure salvavita asserendo che è salvavita quella terapia che consente di salvare la vita al paziente, che può essere anche rifiutata liberamente e consapevolmente (ad esempio rifiuto della trasfusione per motivi religiosi), ravvisando il reato di violenza privata nel comportamento del medico che imponesse la terapia contro la volontà del paziente e che può persino sconfinare nell’accanimento terapeutico, quando l'insistere con trattamenti di sostegno vitale sia immediatamente ingiustificato o sproporzionato, malgrado non esistano linee-guida di natura tecnica ed empirica di orientamento comportamentale dei medici davanti a situazioni di insostenibilità della qualità della vita o di degradazione della persona. Dunque, sono “salvavita” quelle cure “indispensabili a tenere in vita” la persona e, in certa misura, sono indipendenti dalla qualità intrinseca del/dei farmaco/i usati ad essere salvavita. Infatti, quel farmaco potrebbe essere salvavita nei confronti di una determinata patologia, ma non esserlo più se somministrato in caso di patologia diversa verso cui ha pur tuttavia indicazione d’uso e/o con altra posologia. In altre parole un antibiotico può essere salvavita in un paziente con AIDS, mentre svolgere il suo semplice, normale ruolo antimicrobico non salvavita in un soggetto immunocompetente.

L’eparina è salvavita, ad esempio, in caso di trombosi completa della vena cava, ma si derubrica a comune presidio antitrombofilico in caso di profilassi preoperatoria o di terapia della flebite complicata. Alcuni antiepilettici maggiori sono salvavita se usati nell’epilessia; a posologia inferiore, semplicemente aumentano la soglia del dolore in cefalee ribelli o in nevriti post-herpetiche. Così anche i farmaci biologici: • svolgono il ruolo di salvavita se utilizzati nelle chemioterapie neoadiuvanti e perfezionano i due requisiti richiesti per l’esonero dalla reperibilità in caso la patologia neoplastica abbia indotto una grave disfunzione produttiva di incapacità al lavoro; • impiegati nelle reumopatie, gli inibitori del TNF-alfa svolgono azione patogenetica sui mediatori della flogosi e agiscono mitigando esclusivamente gli effetti disfunzionali e in nessun caso possono considerarsi “salvavita” né possono dirsi ad essi “assimilabili” (perché, semmai, la vita hanno la potenzialità di comprometterla). In quest’ultimo caso, si verte solo nell’ambito delle terapie funzionali antidisabilità, con miglioramento della qualità della vita, non anche della sua durata, e spesso proprio per mantenere integra la capacità al lavoro. Nel novero delle possibili situazioni che deve vagliare il medico certificatore, esistono anche quadri morbosi in cui è indispensabile assumere quotidianamente la prescritta dose di farmaco o pattern compositi plurifarmaco. In tal caso, la terapia - sostitutiva o curativa - assume la connotazione di “TERAPIA VITALE”, poiché se il soggetto non assumesse cronicamente e con consapevole regolarità certe terapie sostitutive/soppressive ovvero modulanti o contrastanti il quadro morboso, la stessa vita sarebbe compromessa, nella sua durata o nella sua estrinsecazione funzionale (es.: terapia antiretrovirale), ovvero si avrebbe di fatto il rischio del concretarsi addirittura di un evento fatale se non fosse garantito in circolo il corretto livello di sostanze (come ad es. gli ormoni). 

E’ bene ricordare che, in questa appena descritta situazione di patologie croniche a supporto terapeutico costante, spesso non sussiste neppure specifica incapacità al lavoro: anzi, la prestazione lavorativa può essere assicurata proprio per il fatto che si assume per un tempo indefinito un qualsiasi farmaco che sia idoneo ad emendare lo stato di malattia o a prevenirne gli effetti più drammatici, risultando pertanto indispensabile.

Ben diverso concetto è quello della “TERAPIA SALVAVITA” dove è implicitamente esclusa ogni forma di somministrazione cronica del farmaco che, per contro, deve di necessità essere assunto episodicamente per emendare un pericolo di vita attuale e causalmente dovuto a patologia grave in atto estrinsecante il pericolo di vita o l’intensa compromissione acuta del complessivo stato di salute (ad esempio, gli scompensi acuti che, se non altrimenti e prontamente curati, provocano il coma e la morte in un progressivo avvitamento in pejus di eventi. Non anche, per contro, stati diabetici insulinodipendenti né tanto meno day hospital collegati a periodici accertamenti, anche se indispensabili al monitoraggio della malattia; collagenopatie in terapia con immunosoppressivi/terapie biologiche; interventi di chirurgia plastica ricostruttiva anche se successivi a importanti demolizioni corporee da altre cause; interventi chirurgici che richiedano anestesia generale laddove non significa assolutamente che ne sia sottesa una grave infermità, per la quale la legge prevede di entrare nel merito della “natura”, poiché l’anestesia di per sé è solo un mezzo per privare l’atto operatorio del dolore ed è condotta in via generale o locale per varie motivazioni). In avversa ipotesi, come altrove anticipato, sarebbe esentata dall’obbligo di reperibilità sempre e comunque la maggior parte dei lavoratori e per la totalità della c.d. “vita attiva”. In pratica, la sottile differenza semantica fra TERAPIA VITALE e TERAPIA SALVAVITA parrebbe ben essere equiparata a quella esistente fra terapia preventiva e terapia emendativa: la prima, infatti, mira a prevenire - mediante la regolare assunzione - il verificarsi di eventi peggiorativi lo statu quo ante, a mitigare l’effervescenza sindromico-funzionale della malattia e a scongiurare eventi maggiori; la seconda, invece, pone rimedio agli effetti più nefasti e/o letali di un evento maggiore che già si è verificato. Sulla base di queste considerazioni, si definisce di seguito una: 

LISTA DI RIFERIMENTO PER SITUAZIONI PATOLOGICHE CHE INTEGRANO IL DIRITTO ALL’ESONERO DELLA FASCE DI REPERIBILITÀ 

SINDROMI VASCOLARI ACUTE CON INTERESSAMENTO SISTEMICO EMORRAGIE SEVERE /INFARTI D’ORGANO COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA E CONDIZIONI DI SHOCK – STATI VEGETATIVI DI QUALSIASI ETIOLOGIA INSUFFICIENZA RENALE ACUTA INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA ANCHE SU BASE INFETTIVA (polmoniti e broncopolmoniti severe, ascesso polmonare, sovrainfezioni di bronchiectasie congenite, fibrosi cistica) INSUFFICIENZA MIOCARDICA ACUTA SU BASE ELETTRICA (gravi aritmie acute), ISCHEMICA (infarto acuto), MECCANICA (defaillance acuta di pompa) E VERSAMENTI PERICARDICI CIRROSI EPATICA NELLE FASI DI SCOMPENSO ACUTO GRAVI INFEZIONI SISTEMICHE FRA CUI AIDS CONCLAMATO INTOSSICAZIONI ACUTE AD INTERESSAMENTO SISTEMICO ANCHE DI NATURA PROFESSIONALE O INFORTUNISTICA NON INAIL (arsenico, cianuro, acquaragia, ammoniaca, insetticidi, farmaci, monossido di carbonio, etc.) IPERTENSIONE LIQUORALE ENDOCRANICA ACUTA MALATTIE DISMETABOLICHE IN FASE DI SCOMPENSO ACUTO MALATTIE PSICHIATRICHE IN FASE DI SCOMPENSO ACUTO E/O IN TSO NEOPLASIE MALIGNE, IN. ƒ Trattamento CHIRURGICO E NEOADIUVANTE ƒ Chemioterapico ANTIBLASTICO E/O SUE COMPLICANZE ƒ Trattamento RADIOTERAPICO SINDROME MALIGNA DA NEUROLETTICI TRAPIANTI DI ORGANI VITALI ALTRE MALATTIE ACUTE CON COMPROMISSIONE SISTEMICA (a tipo pancreatite, mediastinite, encefalite, meningite, ect...) PER IL SOLO PERIODO CONVALESCENZIALE QUADRI SINDROMICI A COMPROMISSIONE SEVERA SISTEMICA SECONDARI A TERAPIE O TRATTAMENTI DIVERSI (a tipo trattamento interferonico, trasfusionale)