venerdì 27 febbraio 2015

Cosa è la NASPI?

A decorrere dal 1° maggio 2015 è istituita la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

La NASpI sostituisce le prestazioni di ASpI e mini-ASpI introdotte dall’articolo 2 della legge n. 92 del 2012, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015[1].

A chi spetta:

lavoratori dipendenti
soci lavoratori delle cooperative di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 602 e personale artistico con rapporto di lavoro subordinato

A chi non spetta

dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni
operai agricoli a tempo determinato o indeterminato


Requisiti

Perdita involontaria occupazione (comprese dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 60)  e presenza congiunta dei seguenti requisiti

a) siano in stato di disoccupazione
b) possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
c) possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

Quanto spetta[2]

La base di calcolo per determinare la retribuzione di riferimento è la seguente:

(RETRIBUZIONE IMPONIBILE AI FINI PREVIDENZIALI ULTIMO 4 ANNI: SETTIMANE CONTRIBUZIONE) x 4,33

se risultato è inferiore ad euro  1195 (da rivalutarsi annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente): 75 %

se risultato è superiore a € 1195 indennità è pari a: (1195 x 75%) + (risultato – 1195 x 25%) entro limite massimo di € 1300 (rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.)

Dal quarto mese si riduce del 3% per ogni mese successivo e non è soggetta a prelievo contributivo.


Durata

Un numero di mesi pari al numero di settimane  di contribuzione degli ultimi 4 anni diviso due. Dal 2017 non potrà superare le 78 settimane.
NB è possibile richiedere Aspi in un'unica soluzione, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio (in tal caso non dà diritto alla contribuzione figurativa né all’Assegno per il Nucleo Familiare). Va richiesta  a pena di decadenza entro trenta giorni dalla data di inizio dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o dalla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa. Se tuttavia il lavoratore instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI , questo è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, salvo il caso in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.

Domanda e decorrenza della prestazione

La domanda di NASpI è presentata all’INPS in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro e spetta a decorrere dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, qualora la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.

NB L’erogazione della NASpI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti.




[1] Secondo SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN CASO DI DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA E DI RICOLLOCAZIONE DEI LAVORATORI DISOCCUPATI, IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N. 183. Art. 1 (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego – NASpI)


1. A decorrere dal 1° maggio 2015 è istituita presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, e nell’ambito dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) di cui all’articolo 2 della legge 28 giugno 2012, n. 92, una indennità mensile di disoccupazione, denominata Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. La NASpI sostituisce le prestazioni di ASpI e mini-ASpI introdotte dall’articolo 2 della legge n. 92 del 2012, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015.






[2] Secondo SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN CASO DI DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA E DI RICOLLOCAZIONE DEI LAVORATORI DISOCCUPATI, IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N. 183.Art. 4 (Calcolo e misura)


1. La NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.


2. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente, la NASpI è pari al 75 per cento della retribuzione mensile. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo l’indennità è pari al 75 per cento del predetto importo incrementato di una somma pari al 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo. La NASpI non può in ogni caso superare nel 2015 l’importo mensile massimo di 1.300 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.


3. La NASpI si riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione.


4. Alla NASpI non si applica il prelievo contributivo di cui all’articolo 26 della legge 28 febbraio 1986, n. 41.



giovedì 26 febbraio 2015



Quanto dura e a quanto ammonta l’Aspi?



L’Aspi ovvero l’indennità di disoccupazione in vigore dal 2013 spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente l’occupazione (apprendisti, i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato, il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato, i dipendenti a tempo determinato delle Pubbliche Amministrazioni) nel triennio 2013 - 30 aprile 2015, ha le seguenti durate massime:






Anno cessazione
Lavoratori con meno 50 anni
Lav. 50 – fino 55 anni
Lav. Pari o sopra 55 anni
2013
8 mesi
12 mesi
12 mesi
2014
8 mesi
12 mesi
14 mesi
Fino al 30 aprile 2015
10 mesi
12 mesi
16 mesi


La misura della prestazione è pari:

- al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, se questa è pari o inferiore ad un importo stabilito dalla legge e rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98). L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.

- al 75% dell’importo stabilito (per l’anno 2014 pari ad € 1.192,98) sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile imponibile ed € 1.192,98 (per l’anno 2014), se la retribuzione media mensile imponibile è superiore al suddetto importo stabilito. 



L’importo della prestazione non può comunque superare un limite massimo individuato annualmente per legge.



All’indennità mensile si applica una riduzione del 15% dopo i primi sei mesi di fruizione ed un’ulteriore riduzione del 15% dopo il dodicesimo mese di fruizione.




Il pagamento avviene mensilmente ed è comprensivo degli Assegni al Nucleo Familiare se spettanti. 

mercoledì 25 febbraio 2015

Il congedo parentale e l’indennità ex art. 34 Dlgs 151 del 2001 spetta in caso di affidamento e adozioni?

In base all’art. 36 del D.lgs 151 del 2001 comma 1 “Il congedo parentale spetta anche nel caso di adozione, nazionale e internazionale, e di affidamento”

Quando può essere fruito:

a) Fino alla pubblicazione dello SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 1, COMMI 8 E 9 DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N.183, RECANTE “DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, DEI SERVIZI PER IL LAVORO E DELLE POLITICHE ATTIVE, NONCHÉ IN MATERIA DI RIORDINO DELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO E DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA E DI TUTELA E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE DI CURA, VITA E DI LAVORO:



- qualunque sia l’età del minore, entro otto anni dall'ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età.

b) Dopo la pubblicazione dello SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 1, COMMI 8 E 9 DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N.183, RECANTE “DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, DEI SERVIZI PER IL LAVORO E DELLE POLITICHE ATTIVE, NONCHÉ IN MATERIA DI RIORDINO DELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO E DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA E DI TUTELA E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE DI CURA, VITA E DI LAVORO:




- qualunque sia l’età del minore, entro dodici anni dall’ingresso del minore in famiglia, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età.



Quanto all’indennità stabilita per il congedo parentale dall’art. 34 comma 1[1] spetta:

a) Fino alla pubblicazione dello SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 1, COMMI 8 E 9 DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N.183, RECANTE “DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, DEI SERVIZI PER IL LAVORO E DELLE POLITICHE ATTIVE, NONCHÉ IN MATERIA DI RIORDINO DELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO E DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA E DI TUTELA E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE DI CURA, VITA E DI LAVORO:

- per il periodo massimo complessivo ivi previsto, nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia



b) Dopo la pubblicazione dello SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 1, COMMI 8 E 9 DELLA LEGGE 10 DICEMBRE 2014, N.183, RECANTE “DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, DEI SERVIZI PER IL LAVORO E DELLE POLITICHE ATTIVE, NONCHÉ IN MATERIA DI RIORDINO DELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI DI LAVORO E DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA E DI TUTELA E CONCILIAZIONE DELLE ESIGENZE DI CURA, VITA E DI LAVORO:




- per il periodo massimo complessivo ivi previsto, entro i sei anni dall'ingresso del minore in famiglia.



[1] Art. 34 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi

martedì 24 febbraio 2015

Quanti congedi spettano ai genitori per la malattia del figlio?

In forza dell’art. 47 del Dlgs 151 del 2001:

a) fino a tre anni: entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio;
b) da tre ad otto anni  ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per le malattie di ogni figlio


La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie in godimento per i periodi di cui sopra.

In forza dell’art. 47 comma 3 La certificazione di malattia necessaria al genitore per  fruire dei congedi di cui sopra  e'  inviata  per  via  telematica direttamente dal medico curante del Servizio  sanitario  nazionale  o con esso convenzionato , che  ha  in  cura  il  minore,  all'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale,  utilizzando  il  sistema   di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al  decreto  del Ministro della salute in data  26  febbraio  2010.

In forza dell’art. 48 I comma i periodi di congedo per la malattia del figlio sono computati:
- nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.

In forza dell’art. 48 secondo comma i periodi di congedo per la malattia del figlio (per il richiamo all’art. 22 commi 4,5 e 6):

- non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all'articolo 7  della  legge  23  luglio  1991,  n.  223,  fermi restando i limiti temporali  di  fruizione  dell'indennità  di  mobilità.  I medesimi periodi  si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei  mesi  di  lavoro  effettivamente  prestato per poter beneficiare dell'indennità di mobilità.

NB Le  ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad  altro  titolo  non  vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità.

Nel corso di tali periodi non  viene  cancellata  dalla  lista  di  mobilità  ai  sensi dell'articolo  9  della  legge 23 luglio 1991, n. 223, la lavoratrice che  rifiuta l'offerta di lavoro,  di  impiego  in opere o servizi di pubblica utilità, ovvero l'avviamento a corsi di formazione professionale.

Durante i congedi per malattia del figlio non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore.


lunedì 23 febbraio 2015

Quando non  opera il divieto di licenziamento della lavoratrice madre?

In forza dell’art. 54 D.lgs 2001 n. 151 la lavoratrice madre non può essere licenziata dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro (dai due mesi precedenti la data del parto ai tre mesi successivi o nei casi di attestazione del medico dal mese precedente il parto ai quattro mesi successivi in forza dell’art. 20 Dlgs. 151 del 2001 o dai tre mesi precedenti nei casi di lavori pregiudizievoli con le modalità stabilite dall’art. 17 Dlgs. 151 del 2001) nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.

Tuttavia ciò non vale in caso:

a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro[1];
b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 1991 n. 125, e successive modificazioni[2].

NB:
In forza dell’art. 28 del Dlgs 151 del 2001 Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
Pertanto in base al comma 7 dell’art. 54 “In caso di fruizione del congedo di paternità, di cui all'articolo 28, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di un anno di età del bambino” ferme restando le eccezioni sopra indicate.



[1] Il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell'art. 3 lettera a) [recte art. 54, comma 3, lettera a), n.d.r.] del dlgs 2001 n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario - in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1991 - verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi d'inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. L'accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi. (Rigetta, App. Milano, 07/11/2008) Cass. civ., Sez. lavoro, 29/09/2011, n. 19912

[2] Ora si veda  Art. 25 dlgs 2006 n. 198  Discriminazione diretta e indiretta ( legge 1991 n. 125 art. 4commi 1 e 2)
1.  Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
 2.  Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
2-bis.  Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti

venerdì 20 febbraio 2015

La spedizione il 60° giorno dell’impugnazione del licenziamento è tempestiva?

Per le Sezioni Unite della Cassazione del 2010 la risposta è affermativa:

“L'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966 n. 604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che - in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale - l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio - idoneo a garantire un adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa (artt. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti. (Cassa con rinvio, App. Palermo, 08/09/2005)”. Cass. civ., Sez. Unite, 14/04/2010, n. 8830


ATTENZIONE

La sentenza è fondata sui “principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale”. Tuttavia, nel 2012 la Cassazione (in una materia differente) ha sancito un principio contrario, ritenendo le conclusioni della Corte Costituzionale in tema di decadenza non estensibili agli atti non processuali:


“La regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale, si applica solo agli atti processuali, non a quelli sostanziali (né agli effetti sostanziali degli atti processuali). Questi ultimi, pertanto, producono i loro effetti sempre e comunque dal momento in cui pervengono all'indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il momento in cui siano stati dal mittente consegnati all'ufficiale giudiziario od all'ufficio postale (principio affermato con riferimento alla verifica della tempestività dell'esercizio del diritto di riscatto dell'immobile locato da parte del conduttore, ai sensi dell'art. 39 della legge 1978 n. 392)”. (Rigetta, App. Perugia, 28/10/2009) Cass. civ., Sez. III, 08/06/2012, n. 9303

giovedì 19 febbraio 2015

Come deve essere comminato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo imprese con più di 15 dipendenti?

In base all’art. 7 della legge 604 del 1966 occorre attenersi alla seguente procedura:

1) Il datore di lavoro deve preventivamente comunicare alla “Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera” ed al lavoratore “l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo” indicando i motivi del licenziamento medesimo “nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato”.

2) La Direzione territoriale, dopo aver ricevuto la comunicazione, trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta. In base al comma quarto “La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta”. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.

3) L'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile. Durante l’incontro le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. Nel corso dell’incontro le parti procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso. In base al comma 8: “Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18 settimo comma della legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni , e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile”. La mancata presentazione di una o entrambe  le  parti  al tentativo  di  conciliazione  e'  valutata  dal  giudice   ai   sensi dell'articolo 116 del codice di procedura civile.

4) La procedura si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione (e, comunque, decorso il termine di 7 giorni per l’invio della convocazione) il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.

5) Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore “ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del dlgs 276 del 2003[1].

NB I
in base all’art. 18 della legge 300 del 1970 comma 6: “Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'art. 2 comma 2 legge 604 del 1966, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'art. 7 della legge 604 del 1966, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma[2], ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo".

NB II

La procedura stabilita dall’art. 7 della legge 604 del 1966  non  trova  applicazione  in  caso  di licenziamento  per  superamento  del  periodo  di  comporto  di   cui all'articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro  a  tempo  indeterminato  di  cui all'articolo 2, comma 34, della legge  28  giugno  2012,  n.  92, e cioè:

a)  licenziamenti   effettuati   in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute  assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali  che garantiscano la  continuità  occupazionale  prevista  dai  contratti collettivi  nazionali  di  lavoro  stipulati   dalle   organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

b) interruzione di  rapporto  di lavoro a tempo indeterminato, nel settore  delle  costruzioni  edili, per completamento delle  attività e  chiusura  del  cantiere).





[1]  Art. 4 comma 1: “Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il predetto albo è articolato in cinque sezioni:
a)  agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui all'articolo 20;
b)  agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attività specifiche di cui all'articolo 20 comma 3 lettere da a) a h);
c)  agenzie di intermediazione;
d)  agenzie di ricerca e selezione del personale;
e)  agenzie di supporto alla ricollocazione professionale

[2] Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

mercoledì 18 febbraio 2015

Quando un lavoratore si vuole dimettere o risolve consensualmente il contratto cosa deve fare?

Con la legge 92 del 2012 art. 4 commi 17-23 e con il DL 28 giugno 2013 n. 76 (convertito con legge 99 del 2013 che ha introdotto all’interno del citato art. 4 legge 92 del 2012, con l’art. 7 comma 5 lettera d, il comma 23 bis) è stato stabilito che l’efficacia delle dimissioni (o della risoluzione consensuale) presentate da:

- lavoratore subordinato
- associato in partecipazione ex art. 2549 cc II comma
- collaboratori coordinati e continuativi
- collaboratori a progetto

è sospensivamente condizionata in alternativa tra loro:

a) alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il centro per l’impiego territorialmente competenti (o ovvero  presso le sedi individuate  dai  contratti  collettivi  nazionali  stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più  rappresentative a livello nazionale – comma 17).

b) alla sottoscrizione di apposita dichiarazione della lavoratrice o del lavoratore apposta in  calce  alla  ricevuta  di  trasmissione  della comunicazione  di  cessazione  del  rapporto   di   lavoro   di   cui all'articolo 21 della legge 29 aprile  1949,  n.  264,  e  successive modificazioni (comma 18).

Se il lavoratore si rifiuta di convalidarle in DTL o di sottoscrivere la comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, il  datore deve invitare per iscritto il lavoratore (con comunicazione trasmessa  al  domicilio  del lavoratore indicato nel contratto di  lavoro  o  ad altro  domicilio  formalmente  comunicato  dalla  lavoratrice  o  dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta a convalidarle presso la DTL (o a firmare il modulo trasmesso insieme all’invito) entro 7 giorni dalla ricezione. A questo punto[1]:

- se il lavoratore non fa nulla il rapporto si intende risolto dopo i 7 giorni;
- se il lavoratore revoca le dimissioni il rapporto procede

I 7 giorni si possno sovrapporre al preavviso.

Il  contratto  di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad  avere  corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non sia stata  svolta,  il  prestatore  non  matura  alcun diritto retributivo.

Alla revoca del recesso conseguono la cessazione di ogni  effetto  delle  eventuali  pattuizioni  a  esso  connesse  e l'obbligo  in  capo  al  lavoratore  di   restituire   tutto   quanto eventualmente percepito in forza di esse[2].

In forza del comma 22 “Qualora, in mancanza della convalida di cui al comma 17  ovvero della sottoscrizione di cui al comma 18,  il  datore  di  lavoro  non provveda  a  trasmettere  alla  lavoratrice  o   al   lavoratore   la comunicazione contenente l'invito entro il termine di  trenta  giorni dalla data delle  dimissioni  e  della  risoluzione  consensuale,  le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto”.

Il comma 23 ha introdotto una specifica sanzione amministrativa in caso di abuso di foglio firmato in bianco dal lavoratore: “Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di  lavoro  che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione  consensuale  del rapporto, e' punito con la sanzione amministrativa da euro  5.000  ad euro 30.000. L'accertamento e l'irrogazione della  sanzione  sono  di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro. Si applicano,  in quanto compatibili, le disposizioni di cui  alla  legge  24  novembre 1981, n. 689”.
 




[1] 19. Nell'ipotesi in cui la lavoratrice o il lavoratore non  proceda alla convalida di cui al comma 17 ovvero alla sottoscrizione  di  cui al comma 18, il  rapporto  di  lavoro  si  intende  risolto,  per  il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o  il lavoratore  non  aderisca,  entro  sette  giorni   dalla   ricezione, all'invito a presentarsi presso le sedi di cui  al  comma  17  ovvero all'invito ad  apporre  la  predetta  sottoscrizione,  trasmesso  dal datore di lavoro, tramite comunicazione scritta, ovvero  qualora  non effettui la revoca di cui al comma 21. 
[2] 21.  Nei sette giorni di cui al comma 19, che possono sovrapporsi con il periodo di preavviso, la lavoratrice o il lavoratore ha facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non sia stata svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo. Alla revoca del recesso conseguono la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l'obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.

martedì 17 febbraio 2015

Entro quando devo comunicare la cessazione del rapporto di lavoro al centro per l'impiego?

In forza dell’art. 21 della legge 264 del 1949 “I datori di lavoro sono tenuti altresì a comunicare la cessazione dei rapporti di lavoro, entro i cinque giorni successivi, quando trattasi di rapporti a tempo indeterminato ovvero nei casi in cui la cessazione sia avvenuta in data diversa da quella comunicata all'atto dell'assunzione”.

Cosa succede in caso di violazione?

In base all’art. 19 del Dlgs 276 del 2003 comma terzo La violazione degli obblighi …. e di cui all'articolo 21, comma 1 della legge 24 aprile 1949 n. 264, così come sostituito dall'articolo 6 comma 2 del decreto legislativo n. 297 del 2002, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato”

lunedì 16 febbraio 2015

Quali soggetti sono tenuti ad iscriversi alla gestione commercianti?

In forza delle modifiche apportate dall’art. 1 comma 203 della legge 31 dicembre 1996 n. 662 sono obbligati a iscriversi alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali:

“i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:
a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata;
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli”.


Come indicato dalla Cassazione:
“Il giudice deve accertare la partecipazione del socio amministratore, personalmente, al lavoro aziendale e lo svolgimento dell'attività operativa in cui si estrinseca l'oggetto dell'impresa con carattere di abitualità ed in misura preponderante rispetto agli altri fattori produttivi. Solo all'esito positivo dell'accertamento "de quo" il giudice procederà al giudizio di prevalenza - verificando la dedizione dell'opera personale e professionale del socio amministratore, prevalentemente, ai compiti di amministratore della società o al lavoro aziendale - non facendovi luogo ove non risulti accertata la partecipazione del socio amministratore al lavoro aziendale con le predette modalità, atteso, in tal caso, l'obbligo di iscrizione esclusivamente alla gestione separata, in mancanza dei requisiti per l'iscrizione alla gestione commercianti. (Cassa con rinvio, App. Bolzano, 16/04/2007)” Cass. civ., Sez. Unite, 12/02/2010, n. 3240


sabato 14 febbraio 2015

Il datore di lavoro puo'revocare il licenziamento?

In base all'art. 18 comma 10 della legge 300 del 1970 il datore di lavoro entro 15 giorni dalla comunicazione dell'imougnazione puo' revocare il licenziamento e limitarsi ad erogare la retribuzione maturata dal lavoratore sino alla revoca senza subire il sistema sanzionatorio previsto dallo stesso articolo. Il raporto e' cosi' ripristinato senza soluzione di continuita'.

giovedì 12 febbraio 2015

Cosa è un avviso di addebito emesso dall’Inps ed entro quanto posso opporlo?

Con l’art. 30 del DL 78 del 2010 l’Inps, a partire dal 2011, può emanare direttamente atti di riscossione aventi natura di titoli esecutivi per il recupero dei propri crediti.

Secondo il primo comma: “dal 1° gennaio 2011, l'attività di riscossione relativa al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all'INPS, anche a seguito di accertamenti degli uffici, è effettuata mediante la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo”.

Il comma 2 dell’art. 30, individua gli elementi che l’avviso di addebito deve contenere, precisando che la loro assenza è causa di nullità dell’avviso emesso. 

In particolare: “L'avviso di addebito deve contenere a pena di nullità:
-          il codice fiscale del soggetto tenuto al versamento;
-          il periodo di riferimento del credito
-          la causale del credito
-          gli importi addebitati ripartiti tra quota capitale, sanzioni e interessi ove dovuti;
-          l’indicazione dell’agente della riscossione competente in base al domicilio fiscale presente nell'anagrafe tributaria alla data di formazione dell'avviso.

L'avviso dovrà altresì contenere l'intimazione ad adempiere l'obbligo di pagamento degli importi nello stesso indicati entro il termine di sessanta giorni dalla notifica nonché l'indicazione che, in mancanza del pagamento, l'agente della riscossione indicato nel medesimo avviso procederà ad espropriazione forzata, con i poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

L'avviso deve essere sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal responsabile dell'ufficio che ha emesso l'atto.

Espropriazione forzata. Ai fini dell'espropriazione forzata, l'esibizione dell'estratto dell'avviso come trasmesso all'agente della riscossione, tiene luogo, a tutti gli effetti, dell'esibizione dell'atto stesso in tutti i casi in cui l'agente della riscossione ne attesti la provenienza 

Notifica. L'avviso di addebito è notificato in via prioritaria tramite posta elettronica certificata all'indirizzo risultante dagli elenchi previsti dalla legge, ovvero previa eventuale convenzione tra comune e INPS, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento


Entro quando devo opporre un avviso di addebito emesso dall’Inps?

In base alla legge 78 del 2010 art. 30  si deve fare riferimento alle norme che disciplinavano l’opposizione contro il ruolo. In particolare: “i riferimenti contenuti in norme vigenti al ruolo, alle somme iscritte a ruolo e alla cartella di pagamento si intendono effettuati ai fini del recupero delle somme dovute a qualunque titolo all'INPS al titolo esecutivo emesso dallo stesso Istituto, costituito dall'avviso di addebito contenente l'intimazione ad adempiere l'obbligo di pagamento delle medesime somme affidate per il recupero agli agenti della riscossione”

Pertanto, restano fermi i termini stabiliti dall’art. 24 comma quinto del Dlgs 46 del 1999 “Contro l'iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all'ente impositore”


Il giudizio di opposizione contro il ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dagli articoli 442 e seguenti del codice di procedura civile. Nel corso del giudizio di primo grado il giudice del lavoro può sospendere l'esecuzione del ruolo per gravi motivi

mercoledì 11 febbraio 2015

In caso di illegittimita' del termine apposto sul contratto quali sono le conseguenze?

In generale in forza dell'art. 32 comma 5 della legge 183 del 2010 le conseguenze dell'illegittimita' del termine sono: la conversione del rapporto a tempo indeterminato e un'indennita' risarcitoria da 2,5 a 6 mensilita'. In particolare, secondo la norma: "Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della L. 604/1966". 

Come indicato da cass. Del 2012 n. 3056:
Tale disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (sul punto v. già Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), come è stato affermato da questa Corte (v. Cass. 31-1-2012 n. 1409. Cass. 31-1-2012 n. 1411), alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad "introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione", rispetto alle "obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente".
La norma, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata" va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall'indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza "è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando "completamente svuotata" la "tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato").

martedì 10 febbraio 2015

In caso di licenziamento per giusta causa o disciplinare l’Aspi spetta al lavoratore?

Con interpello 29 del 2013 il ministero del lavoro ha dato risposta positiva, dichiarando:

"Dal dettato della citata normativa, può evincersi che le cause di esclusione dall’ASpI e del contributo a carico del datore di lavoro sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con l’eccezione delle dimissioni per giusta causa, v. INPS circc. n. 97/2003, 142/2012, 44/2013, ovvero delle dimissioni intervenute durante il periodo di maternità tutelato dalla legge) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Ciò premesso, non sembra potersi escludere che l’indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell’art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di  licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari (cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013) per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell’indennità e del contributo in parola senza trattare l’ipotesi del licenziamento disciplinare. A supporto di quanto sopra rappresentato, si evidenzia che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 405/2001, aveva statuito in merito all’opportunità che, in caso di licenziamento disciplinare, venisse corrisposta l’indennità di maternità, pronunciandosi nel senso di ritenere che una sua esclusione integrasse una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione, in quanto alla protezione della maternità andava attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, trovando già “il fatto che ha dato causa al licenziamento (…) comunque in esso efficace sanzione”. A giudizio della scrivente Direzione, la fattispecie in argomento è suscettibile di essere analizzata con il medesimo metodo di ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale atteso che, analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti. 


Peraltro come si vede nelle pagine INPS dedicate all'Aspi, l'unica conseguenza che comporta il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo è rappresentato dalla data decorrenza della data di presentazione all'Inps (lettera f sezione domande):

LA DOMANDA
Per il riconoscimento dell’indennità di disoccupazione ASpI la domanda deve essere presentata all’INPS, esclusivamente in via telematica, attraverso uno dei seguenti canali: WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto; Contact Center multicanale attraverso il numero telefonico 803164 gratuito da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile a pagamento secondo la tariffa del proprio gestore telefonico; Patronati/intermediari dell’Istituto ­ attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi con il supporto dell’Istituto. La domanda deve essere presentata entro il termine di due mesi che decorre dalla data di inizio del periodo indennizzabile così individuato: a) ottavo giorno successivo alla data di cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro; b) data di definizione della vertenza sindacale o data di notifica della sentenza giudiziaria; c) data di riacquisto della capacità lavorativa nel caso di un evento patologico (malattia comune, infortunio) iniziato entro gli otto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; d) ottavo giorno dalla fine del periodo di maternità in corso al momento della cessazione del rapporto di lavoro; e) ottavo giorno dalla data di fine del periodo corrispondente all’indennità di mancato preavviso ragguagliato a giornate;

 f) trentottesimo giorno successivo alla data di cessazione per licenziamento per giusta causa.

lunedì 9 febbraio 2015

Come funzionano le commissioni di certificazione presso le direzioni provinciali del lavoro?

La materia è regolamentata dal D.lgs 276 del 2003 e dal DM del 21 luglio 2004.

a) Composizione[1]:

- un dirigente (con funzioni di presidente) coadiuvato da due funzionari del servizio politiche del lavoro (la loro è necessaria ai fini della validità comma 5 art. 1);
- un rappresentante INPS (la sua presenza è necessaria ai fini della validità comma 5 art. 1)
 un rappresentante Inail (la sua presenza è necessaria ai fini della validità comma 5 art. 1)
A titolo consultivo partecipano alle commissioni, un rappresentante della Agenzia delle entrate ed un rappresentante del consiglio provinciale degli ordini professionali di appartenenza dei soggetti di cui all'art. 1 della legge n. 12 del 1979.

 b) Funzionamento

In generale ogni commissione opera secondo il proprio regolamento (preventivamente trasmessi al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ne verifica la conformità alla legge ed al regolamento), tuttavia i seguenti passaggi devono essere sempre rispettati:
- presentazione istanza[2] alla direzione territoriale. Secondo i commi 2 e 3 del DM 21 luglio 2004, L'istanza di certificazione deve essere redatta su di un apposito modulo, e deve essere presentata in carta da bollo, con sottoscrizione in originale dalle parti, con allegata copia del documento di identità dei firmatari. L'istanza di certificazione deve contenere l'indicazione espressa degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali in relazione ai quali le parti chiedono la certificazione, inoltre deve essere corredata dall'originale del ontratto sottoscritto dalle parti, contenente i dati anagrafici e fiscali delle stesse.
- sulla base degli atti e dei documenti presentati, la commissione verifica la correttezza del contratto scelto dalle parti e, ove si renda necessario, propone eventuali modifiche e integrazioni.
- una volta valutata la correttezza del contratto,  il presidente della commissione di certificazione, provvede a convocare le parti stesse, al fine di procedere alla certificazione del contratto. La convocazione può avvenire anche a mezzo fax. La convocazione può avvenire anche a mezzo di posta elettronica qualora le parti nell'istanza hanno al tal fine indicato il proprio indirizzo.
 - Le parti devono presentarsi dinanzi alla commissione nella data e nell'ora stabilite nelal convocazione. (L'eventuale assenza anche solo di una delle parti rende improcedibile l'istanza e rende necessaria la presentazione di una nuova domanda).  L'audizione delle parti ha per oggetto l'assunzione di informazioni sui fatti e sugli elementi dedotti o da dedurre nel contratto di lavoro di cui si chiede la certificazione. Le parti presenziano personalmente all'audizione e, solo in caso di comprovate motivazioni valutate dal presidente della commissione, possono farsi rappresentare da un soggetto appositamente delegato (art. 5 DM 21 luglio 2004).

c) Durata

Il procedimento si conclude entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’istanza ovvero dal ricevimento della ulteriore documentazione che venga richiesta ad integrazione dalla commissione (art. 78 comma 2 lettera b) Dlgs 276 del 2003 e  art. 3 dm 21 luglio 2004)

d) La certificazione

L’atto di certificazione ha natura di provvedimento amministrativo, pertanto, deve  essere motivato e contenere l'indicazione dei rimedi esperibili avverso di esso, del termine, nonché della autorità cui è possibile ricorrere. Inoltre deve:
- dare atto di tutte le fasi procedimentali scaturite dalla istanza di certificazione, segnalando la presenza di rappresentanti dell’Inps, dell’Inail e dell’Agenzia delle Entrate (nonché le osservazioni dagli stessi eventualmente presentate);
- contenere esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione[3].
- essere sottoscritto, ai fini della validità, dai componenti di diritto della commissione.
Copia del provvedimento viene rilasciata alle parti del contratto di lavoro che hanno sottoscritto l'istanza di certificazione.

 e) Rimedi contro la certificazione

In forza dell’art. 80 Dlgs 276 del 2003 contro l’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l'atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l'autorità giudiziaria di cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l'atto di certificazione anche per vizi del consenso.
In caso di erroneità della certificazione questa ha effetto:
- se si stratta di erroneità della qualificazione questa ha effetto fin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale (art. 80 comma 2 prima parte)
- se si tratta di difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato, la pronuncia  ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa.
In forza del comma 4 dell’art. 80 Chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile[4]
E’ possibile inoltre presentare ricorsi dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere (art. 80 dlgs 276 del 2003 comma 5).
 




[1] 1. Costituzione e composizione delle commissioni di certificazione.
1. Presso le direzioni provinciali del lavoro - servizio politiche del lavoro e presso le province sono costituite le commissioni di certificazione di cui all'art. 76, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 276 del 2003.
2. La commissione di certificazione presso la direzione provinciale del lavoro è composta dal dirigente preposto, che la presiede, da due funzionari addetti al servizio politiche del lavoro, da un rappresentante dell'INPS e da un rappresentante dell'INAIL.
3. La commissione di certificazione presso la provincia è composta dal dirigente del servizio provinciale per l'impiego, che la presiede, da tre funzionari del servizio provinciale competente, da un rappresentante dell'INPS, da un rappresentante dell'INAIL, da due rappresentanti sindacali nominati dal presidente della commissione su designazione delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello provinciale e da due rappresentanti dei datori di lavoro, nominati dal presidente della commissione su designazione delle organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello provinciale.
4. Alle riunioni delle commissioni partecipano, a titolo consultivo, un rappresentante della Agenzia delle entrate ed un rappresentante del consiglio provinciale degli ordini professionali di appartenenza dei soggetti di cui all'art. 1 della legge n. 12 del 1979.
5. Ai fini della validità della seduta è necessaria la presenza, rispettivamente, dei membri di cui ai commi 2 e 3.
6. La comunicazione del calendario della seduta con l'indicazione delle relative pratiche rivolta all'INPS, INAIL e Agenzia delle entrate ha valore di comunicazione ai sensi dell'art. 78, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 276 del 2003. Le medesime autorità possono presentare le eventuali osservazioni in qualsiasi momento e comunque fino al termine della seduta della commissione.
7. La partecipazione alle riunioni della commissione non dà diritto ad alcun rimborso o compenso.
8. Ai sensi dell'art. 76, comma 3, del decreto legislativo n. 276 del 2003, le commissioni possono stipulare una convenzione per la costituzione di una commissione unitaria di certificazione. In tal caso le modalità di costituzione e di funzionamento della commissione unitaria sono stabilite dalla convenzione stessa nel rispetto dei principi e delle previsioni di cui al presente decreto e di eventuali accordi interconfederali intervenuti in materia ai sensi dell'art. 86, comma 13, del decreto legislativo n. 276 del 2003.


[2] In base all’art. 78 del Dlgs 276 del 2003  “La procedura di certificazione è volontaria e consegue obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro”

[3] A tal fine al lavoratore sono fornite le informazioni, predisposte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che riassumono le principali conseguenze giuridiche privatistiche e pubblicistiche dei contratti certificati.

[4] In forza dell’art. 31 comma 2 l. 183 del 2010 “Il tentativo di conciliazione di cui all’ articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è obbligatorio”.