lunedì 31 luglio 2017

Come è disciplinato il licenziamento disciplinare nel pubblico impiego dopo il Dlgs  75 del 2017?


Articolo 55-quater Licenziamento disciplinare 


1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:

a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;

c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;

d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;

e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui;

f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;

f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell'articolo 54, comma 3; 

f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell'infrazione di cui all'articolo 55-sexies, comma 3; 

f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l'applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell'arco di un biennio; 

f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell'ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell'articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009 .



1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l'amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell'orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta. 


[2. Il licenziamento in sede disciplinare è disposto, altresì, nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo è dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54. ABROGATO]

3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento è senza preavviso. Nei casi in cui le condotte punibili con il licenziamento sono accertate in flagranza, si applicano le previsioni dei commi da 3-bis a 3-quinquies. 


3-bis. Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza in servizio, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l'immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, fatto salvo il diritto all'assegno alimentare nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti, senza obbligo di preventiva audizione dell'interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura in cui il dipendente lavora o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall'ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione di tale termine non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile. 


3-ter. Con il medesimo provvedimento di sospensione cautelare di cui al comma 3-bis si procede anche alla contestuale contestazione per iscritto dell'addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all'Ufficio di cui all'articolo 55-bis, comma 4. Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno quindici giorni e può farsi assistere da un procuratore ovvero da un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato. Fino alla data dell'audizione, il dipendente convocato può inviare una memoria scritta o, in caso di grave, oggettivo e assoluto impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa per un periodo non superiore a cinque giorni. Il differimento del termine a difesa del dipendente può essere disposto solo una volta nel corso del procedimento. L'Ufficio conclude il procedimento entro trenta giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell'addebito. La violazione dei suddetti termini, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare né l'invalidità della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all'articolo 55-bis, comma 4. 


3-quater. Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall'avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d'immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L'azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all'articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L'ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l'eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia. 


3-quinquies. Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti che abbiano acquisito conoscenza del fatto, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l'omessa attivazione del procedimento disciplinare e l'omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare, senza giustificato motivo, costituiscono illecito disciplinare punibile con il licenziamento e di esse è data notizia, da parte dell'ufficio competente per il procedimento disciplinare, all'Autorità giudiziaria ai fini dell'accertamento della sussistenza di eventuali reati. 

sabato 29 luglio 2017



In caso di inidoneità sopravvenuta su chi grava l'onere della prova della sussistenza di mansioni compatibili?




Per Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 05-04-2017) 26-07-2017, n. 18506

A fonte della richiesta del lavoratore di essere assegnato a mansioni diverse per inidoneità sopravvenuta alle mansioni originarie, è a carico del datore di lavoro l'onere di provare la indisponibilità di altre posizioni lavorative di utile collocazione (compatibili con le condizioni di salute del lavoratore) senza che tale onere sia in alcun modo condizionato dalla previa allegazione di posizioni specifiche esistenti in azienda, posizioni che il lavoratore non è tenuto a conoscere e che potrebbero, in ipotesi, anche essere estranee alla sua sfera di conoscibilità. In tal senso può essere utilmente richiamata, per identità di ratio, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 11/10/2016, n. 20436) formatasi in tema di ripartizione degli oneri di allegazione e prova della impossibilità di repechage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Neppure può ravvisarsi un onere del lavoratore di contestare in causa la inidoneità, assunta dal datore di lavoro, rispetto alle mansioni disponibili giacchè tale onere riguarda i fatti storici (rientranti nella sfera di conoscibilità della parte onerata a contestarli) e non i giudizi, quale quello di inidoneità alle mansioni.

giovedì 27 luglio 2017



Di chi è la competenza in caso di richiesta di restituzione dell'alloggio concesso al dipendente?




Cass. civ. Sez. lavoro, 02-12-1988, n. 6544

La controversia promossa dal datore di lavoro, nei confronti del proprio dipendente, per conseguire il rilascio dell'alloggio concessogli per l'espletamento delle relative mansioni, in conseguenza dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, negata dal convenuto, spetta alla cognizione del pretore in funzione di giudice del lavoro, dato che investe la cessazione o meno del suddetto rapporto, come presupposto indispensabile del preteso rilascio dell'immobile.

In numerose occasioni la giurisprudenza della S.C. ha avuto motivo di affermare che la controversia individuale di lavoro è ravvisabile tutte le volte in cui si discuta dell'esistenza, del modo di essere e degli effetti di un rapporto di lavoro, ovvero comunque di interessi sorti in dipendenza di un siffatto rapporto, che viene a costituirne, corrispondentemente, la base ineliminabile e caratterizzante. Il che può ravvisarsi, eccezionalmente, anche quando le parti in lite non coincidono coi soggetti del rapporto di lavoro (cfr. ad es. Cass. n. 4332-82), purché esso sia dedotto come titolo della pretesa, cioé come suo presupposto giuridico necessari, e non come mera "occasione" o "circostanza esterna".

A maggior ragione si deve ritenere realizzata tale condizione di competenza in un caso come quello di specie, in cui vi è coincidenza tra le originarie parti in causa e i soggetti del rapporto di lavoro, e in cui il petitum e la causa petendi trovano matrice in tale rapporto e, lungi del configurarsi in modo autonomo e disgiunto rispetto ad esso, attengono alla sua continuazione, oggetto di contestazione tra le parti (cfr. ad es., per utili riferimenti, Cass. n. 4780-85, che ha affermato il principio che la domanda con cui l'amministratore del condominio, a seguito del licenziamento del portiere, chieda il rilascio dell'alloggio al predetto concesso in (parziale) corrispettivo del servizio prestato appartiene ala competenza del giudice del lavoro (senza che possa comportare esclusione l'eccezione, sollevata dall'ex dipendente, dell'instaurazione di un rapporto di comodato successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, attenendo tale eccezione al merito della domanda). Per questi motivi chiede che la Corte Suprema di Cassazione in camera di consiglio, pronunciando sulla richiesta d'ufficio di regolamento, dichiari la competenza del Pretore di S. Anastasia, con le conseguenze di legge". La Corte, condividendo le suesposte considerazioni, che fa proprie, decide in conformità.

Cass. civ. Sez. III, 09/05/1987, n. 4301

La controversia promossa dal condominio di un edificio nei confronti del proprio portiere, che sia rivolta a conseguire il rilascio dell'alloggio concessogli per l'espletamento delle relative mansioni, quale effetto dell'accertamento dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, negata dal convenuto, spetta alla cognizione del pretore in funzione di giudice del lavoro, dato che investe la cessazione o meno del suddetto rapporto, come presupposto indispensabile del preteso rilascio.

mercoledì 26 luglio 2017

Alle indagini fuori sede si applicano gli artt. 3, 4, e 8 della l. 300 del 1970


Per Cass. civ. Sez. lavoro, 18/07/2017, n. 17723 In tema di rapporto di lavoro subordinato, le norme di cui agli artt. 3, 4 e 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300, non sono applicabili all'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del "controllo difensivo" da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro.

martedì 25 luglio 2017


Quando è procedibile una controversia in misura di previdenza ed assistenza?


In base all'art. 443. cpc:

La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell'articolo 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo.

Se il giudice nella prima udienza di discussione rileva l'improcedibilità della domanda a norma del comma precedente, sospende il giudizio e fissa all'attore un termine perentorio di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede amministrativa.

Il processo deve essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di 180 giorni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione

lunedì 24 luglio 2017


Gli istituti di patronato possono rendere informazioni nel giudizio previdenziale?


c.p.c. art. 446. Istituti di patronato e di assistenza sociale.

Gli istituti di patronato e di assistenza sociale legalmente riconosciuti, possono, su istanza dell'assistito, in ogni grado del giudizio, rendere informazioni e osservazioni orali o scritte nella forma di cui all'articolo 425

sabato 22 luglio 2017

Quale è la competenza territoriale nelle cause di previdenza e  assistenza obbligatoria?


In base all'art. 444 cpc:

Le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie indicate nell'articolo 442 sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la residenza l'attore. Se l’attore è residente all’estero la competenza è del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione l’attore aveva l’ultima residenza prima del trasferimento all’estero ovvero, quando la prestazione è chiesta dagli eredi, nella cui circoscrizione il defunto aveva la sua ultima residenza .

Se la controversia in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali riguarda gli addetti alla navigazione marittima o alla pesca marittima, è competente il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l'ufficio del porto di iscrizione della nave.

Per le controversie relative agli obblighi dei datori di lavoro e all'applicazione delle sanzioni civili per l'inadempimento di tali obblighi, è competente il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo in cui ha sede l'ufficio dell'ente

giovedì 20 luglio 2017

Quando è possibile essere esentati dal pagamento delle spese delle competenze e onorari nei giudizi aventi ad oggetto le prestazioni previdenziali?

In base alle disp.att.c.p.c. art. 152. Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall'articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell'anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall'ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l'importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L'interessato che, con riferimento all'anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell'atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell'anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell'articolo 79 e dell'articolo 88 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della repubblica n. 115 del 2002. Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio. A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo

mercoledì 19 luglio 2017

Entro quanto devo proporre la domanda giudiziale per impugnare il diniego del riconoscimento dell'invalidità civile?


In base al comma terzo dell'art. 42 del Dl 30 marzo del 2009: La domanda giudiziale è proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa

martedì 18 luglio 2017

Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi?


In base a Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 11-10-2016) 16-02-2017, n. 4090

1.Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., e art. 111 Cost., la società ricorrente - premesso che la domanda azionata in questo processo è stata preceduta da altra domanda, anch'essa proposta dal lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro dopo la cessazione del rapporto, intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa; che successivamente l' A. ha proposto il presente giudizio volto al ricalcolo del premio fedeltà senza motivare in alcun modo la scelta di "parcellizzare" i giudizi; che entrambe le domande scaturiscono da un unico rapporto obbligatorio intercorrente tra la società e l' A. ed avente ad oggetto il contratto di lavoro; che il lavoratore al momento dell'attivazione della prima vertenza era nelle condizioni di fatto e di diritto per far valere entrambe le pretese e non aveva addotto alcuna ragione a sostegno della scelta di promuovere giudizi separati- ha sostenuto che la domanda proposta nel presente giudizio viola il divieto di abuso del processo per indebito frazionamento quale affermato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 23726 del 2007.

Con ordinanza interlocutoria n. 1251 del 2016 il collegio della sezione lavoro di questa Corte ha dato atto che, con le decisioni numeri 11256 e 27064 del 2013, altri collegi hanno sostenuto che il principio affermato dalle sezioni unite con la sentenza n. 23726 del 2007 secondo la quale è vietato l'indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un "unico rapporto obbligatorio" - è applicabile (anche) nelle ipotesi in cui siano avanzate diverse pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto di lavoro, fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti e produttivo di crediti collegabili unitariamente alla loro genesi - la volontà delle parti di stipulare un contratto di natura subordinata ex art. 2094 c.c.-: collegamento, questo, ancora più stringente nel caso di controversie promosse entrambe a rapporto concluso, quando il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto è ormai noto e consolidato.

Non condividendo l'equiparazione del fascio di rapporti obbligatori retributivi e risarcitori - derivanti dal rapporto di lavoro al "rapporto unico" considerato dalla citata sentenza delle Sezioni unite, nè la sussistenza dei presupposti per imporre al creditore di agire in un unico contesto in relazione a crediti diversi connessi solo in virtù di una complessiva relazione negoziale o legale, e dubitando a fortiori che dalla proposizione in differenti giudizi di una pluralità di domande concernenti diversi crediti, pur riferibili ad un medesimo rapporto di lavoro ormai cessato, possa farsi derivare l'improponibilità delle domande successive alla prima, il predetto collegio ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni unite.

2. Risulta sottoposta allo scrutinio delle Sezioni unite la questione "se, una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore debba avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie che sono maturate nel corso del suddetto rapporto o che trovano titolo nella cessazione del medesimo e se il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisca abuso sanzionabile con l'improponibilità della domanda".

Con la sentenza n. 23726 del 2007 le Sezioni unite sono intervenute sulla questione e, mutando il precedente orientamento (sent. n. 108 del 2000), hanno affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di "un unico rapporto obbligatorio", frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo. Tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale aggravamento della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede sia con il principio costituzionale del giusto processo, in quanto la parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

Più recentemente le Sezioni unite, con la sentenza n. 26961 del 2009 (pronunciata in tema di giurisdizione), riferendosi alle obbligazioni pecuniarie nascenti da un unico rapporto di lavoro, hanno ribadito quanto affermato dalla sentenza n. 23726 del 2007, sostenendo che costituisce principio generale la regola secondo la quale "la singola obbligazione" va adempiuta nella sua interezza ed in un'unica soluzione, dovendosi escludere che la stessa possa, anche nell'eventuale fase giudiziaria, essere frazionata dal debitore o dal creditore.

Come emerge con chiarezza dalla lettura delle sentenze suddette, quando le sezioni unite hanno discusso di (in)frazionabilità del credito si sono riferite sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Pertanto solo una interpretazione dell'espressione "unico rapporto obbligatorio", avulsa dal contesto nel quale essa è inserita, può indurre a ritenere che nella sentenza n. 23726 del 2007 il principio di infrazionabilità sia stato espressamente affermato non (soltanto) in relazione ad un singolo credito, bensì (anche) in relazione ad una pluralità di crediti riferibili ad un unico rapporto di durata.

Risulta inoltre evidente che l'infrazionabilità del singolo diritto di credito (decisamente condivisibile, nella considerazione che la parte può disporre della situazione sostanziale ma non dell'oggetto del processo, da relazionarsi al diritto soggettivo del quale si lamenta la lesione, in tutta l'estensione considerata dall'ordinamento) non comporta inevitabilmente (tanto meno implicitamente) la necessità di agire nel medesimo, unico processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riferibili ad un medesimo rapporto complesso tra le stesse parti.

I rilievi che precedono non esimono tuttavia le Sezioni unite dal dare risposta al quesito sopra prospettato (se il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro, debba avanzare in un unico processo tutte le pretese creditorie maturate nel corso del medesimo rapporto - quindi, più in generale, se debbano essere richiesti nello stesso processo tutti i crediti concernenti un unico rapporto di durata - e se la proposizione delle domande relative in giudizi diversi comporti l'improponibilità di quelle successive alla prima).

Tale risposta non può che essere negativa con riguardo ad entrambi i profili considerati.

3. La tesi secondo la quale più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, debbono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo non trova, infatti, conferma nella disciplina processuale, risultando piuttosto questa costruita intorno a una prospettiva affatto diversa.

Il sistema processuale risulta, invero, strutturato su di una ipotesi di proponibilità in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come autorizza a ritenere la disciplina di cui agli artt. 31, 40 e 104 c.p.c., in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte. Ulteriori argomenti in tal senso possono trarsi dalla contemplata possibilità di condanna generica ovvero dalla prevista necessità, ex art. 34 c.p.c., di esplicita domanda di parte perchè l'accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato. D'altro canto, l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di estensione oggettiva del giudicato - in relazione alla preclusione per le questioni rilevabili o deducibili - perderebbe gran parte di significato se dovesse ritenersi improponibile qualunque azione per il recupero di un credito solo perchè preceduta da altra, intesa al recupero di credito diverso e tuttavia riconducibile ad uno stesso rapporto di durata tra le medesime parti, a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione sul primo credito o comunque dalla inscrivibilità della diversa pretesa creditoria successivamente azionata nel medesimo ambito oggettivo di un giudicato in fieri tra le stesse parti relativo al medesimo rapporto di durata.

La mancanza di una specifica norma che autorizzi a ritenere comminabile la grave sanzione della improponibilità della domanda per il creditore che abbia in precedenza agito per il recupero di diverso credito, sia pure riguardante lo stesso rapporto di durata, e, soprattutto, la presenza nell'ordinamento di numerose norme che autorizzano, invece, l'ipotesi contraria, rafforzano la fondatezza ermeneutica della soluzione.

Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorchè relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo (quindi in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale); con conseguente indebita sottrazione alla autonoma disciplina prevista per i diversi crediti vantati e perdita, ad esempio, della possibilità di agire in via monitoria per i crediti muniti di prova scritta o di agire dinanzi al giudice competente per valore per ciascuno dei crediti - quindi di fruire del più semplice e spedito iter processuale eventualmente previsto dinanzi a quel giudice-, e con possibile esposizione alla necessità di "scegliere" di proporre (o meno) una tempestiva insinuazione al passivo fallimentare, col rischio di improponibilità di successive insinuazioni tardive per altri crediti.

Che la perdita della possibilità di fruire di riti più "snelli" per recuperare i propri crediti costituisca perdita di una importante "caratteristica" di tali crediti (i.e. la pronta "realizzabilità" sul piano processuale), nonchè vanificazione della pre-valutazione del legislatore circa la possibilità, in determinate condizioni, di un rito diverso e più spedito, trova conferma in alcune recenti pronunce di questa Corte (v. Cass. nn. 22574 del 2016 e 10177 del 2015), nelle quali si è affermato che il creditore può, finanche in relazione ad un singolo, unico credito, agire con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua senza incorrere in un abuso dello strumento processuale per frazionamento del credito.

In ogni caso, l'onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio - come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro - retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre non in un alleggerimento bensì - in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l'istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo.

E' verosimile che per questa via il processo (lungi dal costituire un agile strumento di realizzazione del credito) finisca per divenire un contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell'uso della giurisdizione.

E' infine il caso di evidenziare che l'affermazione di un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i diversi crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, a pena di improponibilità delle domande proposte successivamente alla prima, sarebbe suscettibile di arrecare pregiudizievoli conseguenze per l'economia.

Se, infatti, si ha riguardo in prospettiva non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, finanziamento, leasing), l'idea che essi debbano ineluttabilmente essere tutti veicolati - pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio - in un unico processo monstre (meno "spedito" dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l'agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti.

4. Le considerazioni che precedono non esauriscono l'analisi della problematica in esame.

La disciplina codicistica - relativa, tra l'altro, a connessione, domande accessorie, preclusione da giudicato -, sopra richiamata perchè idonea a testimoniare di un sistema che "contempla" - e perciò autorizza - l'ipotesi di diverse domande proposte in tempi e processi differenti con riguardo a crediti (diversi e tuttavia) riferibili ad un medesimo rapporto di durata, si presta in realtà ad una significativa lettura speculare.

Se è vero, infatti, che la citata disciplina ipotizza la proponibilità delle pretese creditorie suddette in processi (e tempi) diversi, è anche vero che essa è univocamente intesa a consentire, ove possibile, la trattazione unitaria dei suddetti processi e comunque ad attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata dei medesimi.

L'ordinamento guarda con particolare attenzione alle domande connesse che, pur legittimamente, siano state proposte separatamente, e, con riguardo alle domande inscrivibili nel medesimo "ambito" oggettivo di un ipotizzabile giudicato, pur non escludendone la separata proponibilità, prevede, tuttavia, un meccanismo di "preclusione" dopo il passaggio in cosa giudicata della sentenza che chiude uno dei giudizi, e comunque uno specifico rimedio impugnatorio per la sentenza contraria a precedente giudicato tra le stesse parti, con una disciplina dettata dall'esigenza di evitare, ove possibile, la "duplicazione" di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale. Di tale esigenza si è espressamente fatta carico la giurisprudenza di queste Sezioni unite (v. in particolare, tra le altre, S.u. n. 12310 del 2015 in materia di modificabilità della domanda ex art. 183 c.p.c., e S.u. n. 26242 del 2014 in materia di patologia negoziale), nella consapevolezza che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda "esistenziale", sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla "giustizia" sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale) nonchè, infine, sulla stabilità dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti).

Si tratta di una giurisprudenza che afferma la necessità di favorire, ove possibile, una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio, "evitando di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all'infinito".

Nel solco dell'indirizzo tracciato dalle citate decisioni deve ritenersi che, se sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti, pur riferibili al medesimo rapporto di durata, le questioni relative a tali crediti che risultino inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili - nonchè, in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo - possono anch'esse ritenersi proponibili separatamente, ma solo se l'attore risulti in ciò "assistito" da un oggettivo interesse al frazionamento.

Quest'ultima affermazione impone un chiarimento.

Nella giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass. n. 1540 del 2007, riferita al principio di non contestazione) risulta chiara la consapevolezza che il "giusto" processo regolato dalla legge resta affidato non solo alle norme che lo regolano, bensì anche agli stessi protagonisti del processo (giudice e parti), responsabilizzati, ciascuno per quanto di "competenza", a dare concreta e corretta attuazione alla relativa normativa.

Tali concetti, affermati dalla giurisprudenza di legittimità soprattutto con riguardo al principio di non contestazione (di origine giurisprudenziale e successivamente recepito dal legislatore nel novellato art. 115 c.p.c.), quindi con riguardo, in particolare, alla posizione del convenuto, non possono che ritenersi riferiti anche all'attore, il quale deve farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione che la Costituzione gli garantisce.

Pertanto, se l'interesse ad agire esprime il rapporto di utilità tra la lesione lamentata e la specifica tutela richiesta, è da ritenersi, nell'ottica di un esercizio responsabile del diritto di azione, che tale rapporto abbia ad oggetto anche le caratteristiche della suddetta tutela (ivi comprese la relativa "estensione" e le connesse modalità di intervento rispetto ad una più ampia vicenda sostanziale), con la conseguenza che l'interesse di cui all'art. 100 c.p.c., investe non solo la domanda ma anche, ove rilevante, la scelta delle relative "modalità" di proposizione.

Non si tratta quindi di valutare "caso per caso" (in relazione al bilanciamento degli interessi di ricorrente e resistente) l'azionabilità separata dei diversi crediti, nè tanto meno si tratta di accertare eventuali intenti emulativi o di indagare i comportamenti processuali del creditore agente sul versante psico-soggettivistico.

Quel che rileva è che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo.

Da ultimo, sul piano della dialettica processuale, è indubbio che al creditore procedente debba essere consentito di provare ed argomentare ogni qual volta il convenuto evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza. Ove il convenuto nulla abbia allegato o dedotto in proposito, il giudice che rilevi ex actis la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al "frazionamento" e ne metta in dubbio l'esistenza, dovrà indicare la questione ex art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie ex art. 101 c.p.c..

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, va affermato il seguente principio di diritto:

"Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque "fondati" sul medesimo fatto costitutivo - sì da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessità di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ai sensi dell'art. 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell'art. 101 c.p.c., comma 2".

Alla luce dei sopra esposti principi, e considerato che la domanda proposta dal lavoratore nel presente processo è intesa al ricalcolo del premio fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, mentre la domanda precedentemente proposta (anch'essa dopo la cessazione del rapporto di lavoro) era intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa, il ricorso della società non risulta fondato.

Deve infatti osservarsi che gli istituti del TFR e del premio fedeltà hanno diversa fonte (legale l'uno e pattizia l'altro), nonchè differenti presupposti e finalità, non risultando, in particolare, che il credito azionato in relazione al premio fedeltà sia inscrivibile nel medesimo ambito oggettivo del giudicato ipotizzabile in relazione alla precedente domanda riguardante la rideterminazione del TFR, nè che i due crediti siano fondati sul medesimo fatto costitutivo; onde è da ritenersi che ben poteva il lavoratore proporre le domande suddette in diversi processi, senza neppure la necessità di verificare la sussistenza di un interesse oggettivamente valutabile a tale separata proposizione.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Attesa la complessità della questione trattata e la riscontrata esistenza di un contrasto giurisprudenziale in proposito, sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

lunedì 17 luglio 2017



I lavoratori socialmente utili possono avere diritto a differenze retributive in caso di subordinazione?



In base Cass. Sez. lavoro, Ord., 11-07-2017, n. 17101

“ in punto di diritto, l'istituto dei LSU è stato disciplinato dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 14[1] di conversione del D.L. n. 299 del 1994, il quale disponeva che ai lavori socialmente utili presso le pubbliche amministrazioni potevano essere avviati o i titolari di trattamento straordinario di integrazione salariale, dell'indennità di mobilità, ovvero i disoccupati di lunga durata (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 25, comma 5). Per i primi il compenso per l'opera prestata era pari alla prestazione previdenziale in godimento (cassa integrazione o indennità di mobilità), salvo il diritto ad un compenso integrativo per il lavoro ulteriore svolto. Per i disoccupati che non godevano di alcuna prestazione previdenziale si stabilì (comma 4 del citato art. 14) la somma di Lire 7.500 orarie. La medesima legge ha previsto che l'utilizzazione dei lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro, non implica la perdita del trattamento straordinario di integrazione salariale e non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità. Successivamente, col decreto L. n. 510 del 1996, convertito nella L. n. 608 del 1996, art. 1, comma 3, fu operata la sostituzione della L. n. 451 del 1994, art. 14, comma 4, nei seguenti termini: "I soggetti di cui al comma 1 che non fruiscono di alcun trattamento previdenziale possono essere impegnati nell'ambito del progetto per non più di dodici mesi e per essi può essere richiesto, a carico del fondo di cui al comma 7, un sussidio non superiore a Lire 800.000 mensili. Il sussidio è erogato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e per esso trovano applicazione le disposizioni in materia di mobilità e di indennità di mobilità. Ai lavoratori medesimi può essere corrisposto, dai soggetti proponenti o utilizzatori, un importo integrativo di detti trattamenti, per le giornate di effettiva esecuzione delle prestazioni". Si stabilì ancora con la L. n. 196 del 1997, art. 20 che detto compenso fosse a carico del Fondo per l'occupazione di cui al D.L. n. 148 del 1993, art. 1, comma 7, convertito nella L. n. 236 del 1993. In seguito con il D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 3, si reiterò la previsione che per i lavoratori utilizzati nella attività di lavori socialmente utili non percettori di trattamenti previdenziali competeva un importo mensile di Lire 800.000 erogato dall'Inps (in tal senso Cass. n. 9811/2012 ed altre successive);

che, ad avviso del Collegio, tale disciplina regola l'ipotesi di conformità della prestazione di lavoro al progetto e la sua piena riconducibilità al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore; diverso è il caso in cui la prestazione di fatto resa presenti una radicale difformità dal progetto, non potendo il requisito formale prevalere su quello sostanziale. In caso di svolgimento di una prestazione lavorativa in tutto sovrapponibile a quella degli altri dipendenti, non può invocarsi la natura assistenziale propria del rapporto formalmente instaurato tra le parti; in tal caso, il rapporto di fatto intercorso come subordinato resta regolato dall'art. 2126 c.c., la cui applicabilità ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato è stata affermata più volte da questa Corte (cfr. sent. n. 12749 del 2008, n. 20009 del 2005 e più recentemente, ex plurimis, n. 1639 del 2012, n. 991 e n. 23645 del 2016, n. 3384 del 2017);

che anche la più risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21936 del 2004) aveva affermato che non può qualificarsi quale rapporto di lavoro subordinato, nè a termine, nè a tempo indeterminato, l'occupazione temporanea in lavori socialmente utili dei lavoratori che beneficiano del trattamento di cassa integrazione straordinaria a norma del D.L. n. 366 del 1987, art. 3, convertito in L. n. 452 del 1987, art. 3, dalla quale scaturisce un rapporto speciale che coinvolge più soggetti con una matrice assistenziale, ma con una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale in cassa integrazione per una possibile ricollocazione; tale espressa qualificazione normativa non esclude, tuttavia, che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione della relativa disciplina;

che, ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di una pubblica amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica e adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'Amministrazione, non rilevando in senso contrario l'assenza di un atto formale di nomina, nè che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni, con conseguente configurabilità di prestazione di fatto, a norma dell'art. 2126 c.c. (v. Cass. n. 10551 del 2003);

che in questa sede il Collegio intende dare continuità al più recente indirizzo espresso in argomento da Cass. nn. 13472/16 e 13596/16, 6914/16 e 15071/15, i cui principi devono essere ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritte ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

che, specificamente per quanto attiene alla fattispecie in esame, occorre enunciare il seguente principio: "In tema di occupazione di lavori socialmente utili o per pubblica utilità, la qualificazione normativa di tale rapporto speciale, avente matrice assistenziale e componente formativa, non esclude che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione dell'art. 2126 c.c. e, ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato di fatto alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nell'organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'Amministrazione";








[1]

14. Lavori socialmente utili. 

1. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, con esclusione di quelle che abbiano personale eccedente rispetto ai programmi dei lavori socialmente utili, nonché le società a prevalente partecipazione pubblica e gli altri soggetti individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale possono promuovere, nell'ambito delle loro attribuzioni e disponibilità di cui al comma 7, progetti socialmente utili per il raggiungimento di obiettivi di carattere straordinario, mediante l'utilizzazione dei soggetti di cui all'articolo 25, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonché dei lavoratori sospesi con diritto al trattamento straordinario di integrazione salariale. Ai fini dell'utilizzazione in lavori socialmente utili l'iscrizione agli elenchi ed albi di cui all'articolo 25, comma 5, lettera a), della legge 23 luglio 1991, n. 223, non costituisce impedimento qualora il soggetto interessato, con dichiarazione resa ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attesti che all'iscrizione non corrisponde l'esercizio della relativa attività professionale (44). Gli enti locali che hanno dichiarato lo stato di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, e dell'articolo 21 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, possono utilizzare i soggetti indicati nel presente comma, a condizione che dispongano delle risorse necessarie a finanziare il venti per cento della spesa prevista. L'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, trova applicazione anche per le finalità di cui al presente articolo. Per lavori socialmente utili si intendono quelli rivolti a settori innovativi quali: i beni culturali, la manutenzione ambientale, il recupero urbano, la ricerca, la formazione e la riqualificazione professionale, il sostegno alla piccola e media impresa in tema di erogazione di servizi e di sostegno alla commercializzazione e all'esportazione, i servizi alla persona. I lavori socialmente utili devono avere carattere di effettiva straordinarietà e devono essere a termine. Anche le amministrazioni pubbliche interessate possono avvalersi del supporto tecnico-professionale dell'agenzia per l'impiego e predisporre i progetti per l'utilizzo dei lavoratori nelle attività di cui al presente comma. 

2. L'assegnazione dei lavoratori ai soggetti gestori di progetti socialmente utili avviene a cura delle sezioni circoscrizionali per l'impiego, d'intesa con gli enti e le amministrazioni interessate, sulla base dei criteri dettati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. L'utilizzazione dei lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro, non implica la perdita del trattamento straordinario di integrazione salariale o dell'indennità di mobilità e non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità. I progetti, che possono prevedere specifici periodi di formazione, devono indicare idonee forme assicurative a carico del soggetto utilizzatore contro gli infortuni e le malattie professionali connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa, nonché per la responsabilità civile verso terzi. 

3. I lavoratori in cassa integrazione o che fruiscono dell'indennità di mobilità possono essere utilizzati esclusivamente per periodi non superiori a quelli di godimento del relativo trattamento. Ai lavoratori medesimi compete un importo integrativo di detti trattamenti, solo per le giornate di effettiva esecuzione delle prestazioni. Tale importo può non essere dovuto nei casi in cui i lavoratori siano adibiti per un numero di ore ridotto proporzionale alla misura del trattamento previdenziale o sussidio spettante . L'ingiustificato rifiuto dell'assegnazione ai sensi del comma 2 comporta la perdita del trattamento di integrazione salariale o di mobilità; per i rifiuti espressi entro il 31 luglio 1994 la perdita del trattamento di integrazione salariale o di mobilità è limitata al periodo corrispondente alla prevista durata dell'assegnazione stessa. Tale perdita è disposta dall'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, su segnalazione della sezione circoscrizionale per l'impiego. Avverso il provvedimento è ammesso ricorso entro trenta giorni all'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, che decide con provvedimento definitivo entro venti giorni. La perdita del trattamento di cui al presente comma non può essere disposta quando il lavoratore adduce giustificati motivi di rifiuto ovvero quando le attività offerte si svolgono in un luogo distante più di 50 chilometri da quello di residenza del lavoratore . 

4. I soggetti di cui al comma 1 che non fruiscono di alcun trattamento previdenziale possono essere impegnati nell'ambito del progetto per non più di dodici mesi e per essi può essere richiesto, a carico del fondo di cui al comma 7, un sussidio non superiore a lire 800.000 mensili. Il sussidio è erogato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e per esso trovano applicazione le disposizioni in materia di mobilità e di indennità di mobilità. Ai lavoratori medesimi può essere corrisposto, dai soggetti proponenti o utilizzatori, un importo integrativo di detti trattamenti, per le giornate di effettiva esecuzione delle prestazioni. 

5. I progetti sono redatti secondo i criteri stabiliti dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, riguardanti anche il carattere della straordinarietà previsto dal comma 1. I progetti corredati dai provvedimenti di approvazione validamente assunti dalle amministrazioni pubbliche competenti, sono presentati al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, se ad ambito nazionale o interregionale, e all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e all'agenzia per l'impiego competente per territorio, se ad ambito locale. I progetti dovranno di norma essere predisposti e svolti separatamente per i soggetti di cui al comma 4 e per i restanti soggetti di cui al comma 1. 

6. I progetti ad ambito nazionale o interregionale entro sessanta giorni sono sottoposti, previo parere del nucleo di valutazione di cui al comma 8, all'approvazione da parte della commissione centrale per l'impiego. La medesima commissione è tenuta a provvedere anche attraverso apposita sottocommissione, entro trenta giorni, decorsi i quali i progetti stessi sono rimessi ad un dirigente generale che decide sulla base del parere del nucleo di valutazione. L'agenzia per l'impiego di cui al comma 5, entro trenta giorni dalla data di ricevimento, sottopone i progetti ad ambito locale all'approvazione della commissione regionale per l'impiego con il proprio parere in ordine alla qualità del progetto e per i progetti che richiedano finanziamenti, alle priorità. La commissione medesima, anche attraverso apposita sottocommissione, è tenuta a provvedere entro trenta giorni, decorsi i quali i progetti sono rimessi al direttore dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione che decide sulla base del parere dell'agenzia per l'impiego. 

7. I progetti possono essere finanziati dai soggetti proponenti di cui al comma 1 nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e, per gli anni 1994-1995, dal fondo di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, nei limiti delle risorse finanziarie del medesimo Fondo preordinate allo scopo. 

8. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale è istituito un nucleo di valutazione composto da undici membri, di cui sei interni, e cinque esterni esperti in materia, con il compito di assistere il Ministro nella redazione del decreto di cui al comma 9; di fornire parere in relazione ai progetti nazionali e interregionali; di redigere annualmente un rapporto sull'esperienza applicativa. Con il medesimo decreto viene nominato, tra i componenti il nucleo di valutazione, un presidente. Per i membri del nucleo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1 della legge 5 giugno 1967, n. 417. 

9. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione centrale per l'impiego, determina, periodicamente, con propri decreti: 

a) la ripartizione degli stanziamenti su base regionale in funzione della gravità degli squilibri dei mercati locali del lavoro; 

b) i criteri per il finanziamento dei progetti; 

c) gli «standards» minimi che il progetto deve presentare; 

d) i termini per la presentazione delle domande relative ai progetti che interessano i lavoratori di cui al comma 4; 

e) le priorità che devono essere rispettate nell'approvazione dei progetti per i quali si richieda il finanziamento; tra le priorità vanno previsti lo svolgimento di attività formative, la gestione del progetto da parte di imprese, la partecipazione dell'ente pubblico al finanziamento del progetto; 

f) i criteri che devono essere seguiti per la scelta dei lavoratori da assegnare alle singole iniziative. Essi devono prevedere tra l'altro la corrispondenza tra la capacità dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti per l'attuazione del progetto e consentire che per i progetti redatti nel contesto della gestione di crisi aziendale, di settore o di area, l'assegnazione avvenga limitatamente a gruppi di lavoratori espressamente individuati dal progetto medesimo; 

g) le modalità dell'erogazione del finanziamento e le modalità dei controlli sulla regolare attuazione del progetto, prevedendo una responsabilizzazione anche del soggetto proponente nell'attività di controllo; 

h) i criteri per la redazione del rapporto di cui al comma 8. 

10. La commissione regionale per l'impiego può fissare, in relazione alle particolari esigenze di governo del mercato del lavoro locale criteri di scelta dei soggetti da assegnare difformi da quelli previsti dai decreti di cui al comma 9, nei limiti eventualmente contemplati da questi ultimi. 

11. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e il Dipartimento della funzione pubblica verificano ogni anno lo stato di attuazione dei progetti. 

12. Per i progetti di lavori socialmente utili in corso di attuazione, anche derivanti da convenzioni già stipulate, alla data di entrata in vigore del presente decreto, continua ad operare la disciplina previgente. La medesima disciplina, integrata dalle disposizioni di cui al comma 7 e da quelle relative all'ingiustificato rifiuto all'assegnazione di cui al comma 3 continua ad operare per i progetti di lavori socialmente utili le cui procedure di approvazione siano avviate entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Fino alla determinazione dei criteri previsti dai commi 5 e 9, nei confronti dei progetti di lavori socialmente utili sottoposti all'approvazione successivamente alla scadenza del predetto termine, non trova applicazione quanto previsto dai commi 5 e 6 





venerdì 14 luglio 2017



Come è disciplinata la maternità, la malattia e l'infortunio per i lavoratori autonomi che prestano in via continuativa la loro attività per un committente?


In forza dell'art. 14 della legge 81 del 2017:

1. La gravidanza, la malattia e l'infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comportano l'estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente.


2. In caso di maternità, previo consenso del committente, è prevista la possibilità di sostituzione delle lavoratrici autonome, già riconosciuta dall'articolo 4, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, da parte di altri lavoratori autonomi di fiducia delle lavoratrici stesse, in possesso dei necessari requisiti professionali, nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto.


3. In caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa per oltre sessanta giorni, il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi è sospeso per l'intera durata della malattia o dell'infortunio fino ad un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione.


4. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 3, valutati in 70.000 euro per l'anno 2017, si provvede ai sensi dell'articolo 25, comma 3.

giovedì 13 luglio 2017

Come è disciplinato il part time nel ccnl multiservizi cgil cisl e uil?


Articolo 33 - CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE Per lavoro a tempo parziale si intende il rapporto di lavoro subordinato prestato con orario ridotto rispetto a quello stabilito dal presente c.c.n.l. e potrà essere svolto con le tipologie, le opportunità di utilizzo e le modalità di impiego qui di seguito riportate: 
- orizzontale, quando la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all'orario normale giornaliero di lavoro; 
- verticale, quando risulti previsto che l'attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno; 
- misto, quando la prestazione si realizza secondo una combinazione delle modalità sopraindicate, che contempli giornate o periodi a tempo pieno alternati a giornate o periodi a orario ridotto o di non lavoro. 
Il rapporto a tempo parziale sarà disciplinato secondo i seguenti principi: 
a) volontà delle parti; 
b) reversibilità della prestazione da tempo parziale a tempo pieno in relazione alle esigenze aziendali e quando sia compatibile con le mansioni svolte e/o da svolgere, fermo restando la volontarietà delle parti; 
c) applicabilità delle norme del presente c.c.n.l. in quanto compatibili con la natura del rapporto stesso. 
d) possibilità di modificare, d’intesa tra le parti, l’articolazione strutturale dell’orario contrattuale. 
Il personale a tempo parziale può essere assunto nelle specifiche tipologie contrattuali di cui al presente c.c.n.l. e da accordi interconfederali. 
L’instaurazione del rapporto a tempo parziale sarà fissata tra datore di lavoro e lavoratore e dovrà risultare da atto scritto, nel quale saranno indicati: 
- le mansioni, la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, la durata della prestazione lavorativa ridotta, le eventuali clausole flessibili e/o elastiche; 
- il periodo di prova per i nuovi assunti. 
Fatte salve le esigenze tecnico-organizzative, l'azienda valuterà l'accoglimento di richieste per la trasformazione di rapporti di lavoro a tempo parziale. Le parti concordano che in quest’ambito, le aziende tenderanno ad accogliere prioritariamente le domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale motivate da gravi e comprovati problemi di salute del ricorrente ovvero dalla comprovata necessità di assistenza continua di genitori, coniuge o convivente, figli o altri familiari conviventi senza alcuna possibilità alternativa di assistenza, gravemente ammalati, o portatori di handicap o che accedano a programmi terapeutici e di riabilitazione per tossicodipendenti, ovvero per accudire figli fino a otto anni di età ovvero alla partecipazione certificata a corsi di formazione e/o studio. 

In caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, lo stesso potrà anche avere durata predeterminata che, di norma, non sarà inferiore a 6 mesi e superiore a 24 mesi. La relativa comunicazione all'interessato sarà fornita entro 45 giorni dalla richiesta. In tal caso è consentita l'assunzione di personale con contratto a tempo determinato per completare il normale orario di lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale fino a quando l'interessato osserverà il tempo di lavoro parziale. 

Le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione; nei rapporti a tempo parziale verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione. Il consenso del lavoratore alle clausole flessibili o elastiche deve risultare da atto scritto anche successivo all’instaurazione del rapporto di lavoro. L'esercizio, da parte del datore di lavoro, del potere di variare la collocazione della prestazione lavorativa ovvero aumentarne la durata comporta un preavviso, a favore del lavoratore, non inferiore a 48 ore. 

Per le sole ore prestate al di fuori degli orari concordati nell'atto di instaurazione del rapporto a tempo parziale, in regime di clausola flessibile, compete al lavoratore la maggiorazione del 10% della retribuzione oraria globale di fatto. Per lo svolgimento delle ore lavorative aggiuntive richieste in regime di clausole elastiche, al di fuori degli orari concordati, compete al lavoratore quanto previsto al comma 14 del presente articolo incrementata di un ulteriore 1,5%. In caso di gravi motivi personali, ovvero comprovate ragioni tecnico, organizzative e produttive aziendali si potrà pervenire ad una sospensione temporanea della clausola flessibile o della clausola elastica. L'atto scritto di ammissione alle clausole flessibili od elastiche, deve prevedere il diritto del lavoratore di denunciare il patto stesso, durante il corso di svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale nei seguenti casi: - comprovata instaurazione di altra attività lavorativa; - esigenze di tutela della salute, certificate dal servizio sanitario pubblico; - esigenze legate alla maternità e paternità; - esigenze personali legate a gravi motivi familiari di cui alla legge n. 53/2000. 

La denuncia, in forma scritta, potrà essere effettuata quando siano decorsi sei mesi dalla stipulazione del patto e dovrà essere accompagnata da un preavviso di almeno un mese. A seguito della denuncia di cui al comma precedente, viene meno la facoltà del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa inizialmente concordata, ovvero il suo incremento in applicazione delle clausole elastiche. Il datore di lavoro può, a sua volta, recedere dal patto con un preavviso di almeno un mese. L’eventuale rifiuto del lavoratore alla sottoscrizione di clausole flessibili o elastiche non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento né l’adozione di provvedimenti disciplinari. La variazione della collocazione temporale della prestazione non dà diritto alla compensazione di cui al comma 9 nei casi in cui la suddetta variazione sia richiesta dal lavoratore interessato per sue necessità o scelte.

Il lavoro supplementare è quello corrispondente alle prestazioni lavorative svolte oltre l’orario di lavoro concordato tra le parti nel contratto individuale ed entro il limite del tempo pieno. In considerazione delle specifiche esigenze tecnico organizzative e produttive del settore è consentito lo svolgimento di lavoro supplementare fino al raggiungimento dell'orario a tempo pieno giornaliero e/o settimanale di cui all'art. 30 del presente contratto collettivo. L’eventuale rifiuto del lavoratore allo svolgimento di ore supplementari non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento né l’adozione di provvedimenti disciplinari. Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 3, comma quarto, del decreto legislativo n. 61/2000, dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all’articolo 4, comma 2, lettere a) e b) del decreto legislativo n. 61/2000. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, di tipo verticale, le prestazioni di lavoro straordinario, intendendosi per tali le ore prestate oltre il normale orario giornaliero assegnato, sono disciplinate nei presupposti e nelle quantità delle disposizioni contrattuali per i lavoratori a tempo pieno previste dall'art. 38 del presente c.c.n.l.. Semestralmente la Direzione Aziendale fornirà alla R.S.U. ovvero, nell'ipotesi in cui non sia stata costituita, alle R.S.A. o, in mancanza anche di queste, alle OO. SS. territoriali, una informativa sui contratti part-time stipulati, sulle professionalità interessate, sul ricorso al lavoro supplementare e sulle sue motivazioni, anche al fine di concordare il consolidamento di quota parte delle ore di lavoro supplementare. Fornirà inoltre informazioni sul ricorso alle clausole flessibili ed elastiche. Il minimo settimanale dell’orario di lavoro non può essere inferiore a 14 ore. Per il part-time verticale e misto tale valore va proporzionato nella misura di 60 ore mensili e 600 ore annuali. La prestazione lavorativa giornaliera non potrà essere inferiore a due ore. Qualora non sia possibile il raggiungimento di detti minimi in un’unica ubicazione di servizio le parti si danno atto che il rispetto dello stesso è possibile solo a fronte della disponibilità del lavoratore a operare su più appalti ove l’impresa ne abbia nello stesso ambito territoriale e non si oppongano impedimenti di natura tecnico-produttiva e organizzativa derivanti da criteri e modalità di esecuzione dei servizi. II trattamento economico e normativo del lavoratore assunto a tempo parziale si determina sulla base della regola di proporzionamento all’orario contrattualmente pattuito con riferimento al trattamento contrattuale dei lavoratori a tempo pieno. I lavoratori part-time si computano in proporzione all'orario contrattuale. Nel caso in cui il lavoratore con rapporto a tempo parziale presti l’attività lavorativa in 2 appalti per il raggiungimento del minimo settimanale, non si applica la normativa di cui al comma 21 dell’art. 30, per la parte relativa allo spostamento da un posto all’altro di lavoro. Restano comunque salve le situazioni in atto presso le singole aziende.

I lavoratori interessati a svolgere un diverso o maggiore orario lavorativo lo comunicano all’azienda la quale ne terrà prioritariamente conto, fatte salve le esigenze produttive ed organizzative, in caso di nuove assunzioni di personale a tempo pieno e indeterminato. Con cadenza trimestrale l’azienda informerà le R.S.A. e/o R.S.U. delle richieste pervenute e delle eventuali assunzioni previste a tempo pieno ovvero di eventuali incrementi di orario. Sono fatte salve le condizioni di miglior favore in godimento ai lavoratori in forza alla data di stipula del presente c.c.n.l.. Per tutto quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le vigenti disposizioni di legge.

 DICHIARAZIONE A VERBALE Le parti, relativamente al rispetto del minimi settimanali, mensili ed annuali dell’orario di lavoro per i lavoratori part time, riconfermano quanto previsto dai precedenti commi 24 e 25 dell’articolo 33; di conseguenza contratti part time sottoscritti con orario inferiore alle 14 ore settimanali (60 mensili e 600 annuali), non costituiscono di per sè mancato rispetto e/o inadempimento del presente CCNL ai sensi delle normative di legge vigenti.

mercoledì 12 luglio 2017

La clausola di durata minima del rapporto a favore del datore richiede un corrispettivo?





Per Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-06-2017, n. 14457

L'attuale giudizio veniva introdotto dalla società con la ingiunzione di pagamento della penale ed, a seguito della opposizione introdotta dal dirigente, verteva sulla validità della pattuizione della clausola di stabilità, cui accedeva la penale (ed, in via subordinata, sulla eccessività della stessa penale).....

Giova premettere che questa Corte, con orientamento consolidato, che va in questa sede ribadito (Cassazione civile, sez. lav., 15/09/2016, n. 18122; Cass. 25/07/2014, n. 17010; Cass. n. 17817 del 2005; Cass. n. 18547 del 2009; n. 1435 del 1998), ha già chiarito che, fuori dalle ipotesi di giusta causa di recesso, nelle quali viene in rilievo la norma inderogabile di cui all'art. 2119 c.c., nessun limite è posto dall'ordinamento all'autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato attribuita al lavoratore, di cui egli può liberamente disporre pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto, purchè limitata nel tempo, che comporti il risarcimento del danno in favore del datore di lavoro nella ipotesi di mancato rispetto del periodo minimo di durata.

Nè si pongono dubbi sotto il profilo della meritevolezza dell'interesse datoriale sotteso a siffatta pattuizione, che è quello di assicurarsi la continuità della prestazione in vista di un programma aziendale per la cui realizzazione ritenga utile l'apporto di quel dipendente. Tale garanzia è analoga a quella destinata ad operare nel contratto di lavoro a tempo determinato, che consente il recesso anticipato del dipendente solo per giusta causa.

Del resto tale principio è coerente con la riconosciuta disponibilità del diritto al posto di lavoro, quale desumibile dalla ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione (sulla disponibilità del diritto nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, cfr. Cassazione civile, sez. lav., 19/10/2009, n. 22105 e giurisprudenza ivi citata).

Tanto premesso, il tema dibattuto concerne ulteriormente: la necessità di un corrispettivo dell'impegno del lavoratore e, nel caso di risposta affermativa, le modalità della sua determinazione.

Per risolvere tali questioni occorre muovere dal principio generale secondo cui nei rapporti a prestazioni corrispettive la reciprocità dell'impegno non va valutata atomisticamente - come contropartita della assunzione di ciascuna delle obbligazioni - bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni. L'equilibrio tra le prestazioni corrispettive, sempre per principio generale, è rimesso - (fuori dalle ipotesi patologiche di vizio del consenso) - alla libera valutazione di ciascun contraente, che nel momento in cui conclude il negozio resta arbitro della convenienza o meno della assunzione della posizione contrattuale.

Nel contratto di lavoro subordinato, tuttavia, vi è per il lavoratore il limite alla disponibilità della posizione negoziale costituito dalla inderogabilità del diritto, attribuitogli dall'art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.

Tale rilievo ha immediata incidenza nel tema in trattazione; infatti nelle fattispecie in cui il trattamento retributivo concordato, complessivamente considerato, non superi il cd. "minimo costituzionale" esso non può compensare, in alcuna misura, (anche) la temporanea rinunzia del lavoratore alla sua facoltà di recesso. Invero in caso diverso sarebbe inevitabile l'effetto della mancanza di proporzionalità della retribuzione, per la misura residua, alla quantità e qualità della prestazione fondamentale di lavoro dipendente.

Sicchè, rispondendo alla prima questione in esame, deve affermarsi dovuto al lavoratore un corrispettivo della limitazione delle sue facoltà rispetto al tipo contrattuale, affinchè non venga inciso il minimo costituzionale dovutogli quale corrispettivo della prestazione fondamentale di lavoro.

La corrispettività, tuttavia, venendo così alla seconda questione, deve essere valutata rispetto al complesso dei diritti e degli obblighi che identificano la posizione contrattuale di ciascuna parte.

Nell'equilibrio delle posizioni contrattuali il corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell'interesse del datore di lavoro, dunque, è sì necessario ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità assunto dalle parti ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in una obbligazione non-monetaria, purchè non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.

Del resto la necessità della previsione di un compenso specifico, in deroga al suddetto principio generale, è stata espressamente prevista a pena di nullità ove ritenuta necessaria, come nel caso dell'art. 2125 c.c., per il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato e dell'art. 1751 bis c.c. - nel testo introdotto dalla L. 29 dicembre 2000, n. 422, art. 23 - per il patto di non concorrenza nel rapporto di agenzia.

A tale riguardo questa Corte ha affermato che nel rapporto di agenzia la necessità della previsione del compenso specifico del patto di non concorrenza non si applica ai patti stipulati prima della entrata in vigore della legge 422/2000 (Cass., sent. 22/08/2016, n. 17239; nr. 12127/2015), il che conferma il rilievo che l'obbligo di uno specifico corrispettivo della limitazione delle facoltà di uno dei contraenti non deriva da un principio generale di ordine pubblico, limitativo dell'autonomia negoziale.

La sentenza impugnata, avendo ritenuto che il patto di stabilità nell'interesse del datore di lavoro si colloca all'interno del contratto di lavoro come clausola aggiunta successiva ai patti fondamentali e che, in mancanza di elementi di prova diversi, non può ritenersi remunerato con il trattamento retributivo concordato non si è adeguata a siffatti principi, non avendo valutato la reciprocità degli impegni rispetto alla complessiva posizione contrattuale ed avendo esteso al patto di stabilità le previsioni sulla necessità di un compenso specifico relative alla diversa fattispecie del patto di non concorrenza post-contrattuale.

martedì 11 luglio 2017

L'inadempimento del lavoratore può determinare il venir meno dell'obbligo alla retribuzione?



Per Cass. civ. Sez. lavoro, 04/07/2017, n. 16388 

Il recesso di cui è causa risulta intimato per impossibilità sopravvenuta della prestazione, dopo una sospensione del rapporto di lavoro di circa un anno in conseguenza del provvedimento di ritiro delle tessera di accesso all'area aeroportuale in possesso del lavoratore, documento essenziale per lo svolgimento.

Non si tratta, pertanto, di un licenziamento disciplinare ma di un recesso intimato in conseguenza dell'accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente, in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza, come il rilascio del tesserino di accesso nell'area aeroportuale (cfr. Cass., n. 19613 del 2014).

In relazione alla mancata corresponsione delle retribuzioni nel periodo di sospensione, occorre ricordare che questa Corte (Cass. n. 17353 del 2012) ha affermato che nel contratto di lavoro - ove le prestazioni sono corrispettive, in quanto all'obbligo di lavorare dell'una corrisponde l'obbligo di remunerazione dell'altra - ciascuna parte può valersi dell'eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 c.c., dovendosi escludere che alla inadempienza del lavoratore il datore di lavoro possa reagire solo con sanzioni disciplinari o, al limite, con il licenziamento, oppure col rifiuto di ricevere la prestazione parziale a norma dell'art 1181 c.c. e con la richiesta di risarcimento. Ne consegue che, nel caso di inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell'art. 1460 c.c..


Pertanto, correttamente, la Corte d'Appello ha escluso la natura disciplinare della sospensione con la conseguente inapplicabilità della relativa disciplina legale e convenzionale, e ha fatto applicazione dell'art. 1460 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 3 ritenendo non dovuta la retribuzione durante il periodo di sospensione del rapporto, escludendo che si vertesse in ipotesi in cui la sospensione è tutelata dalla legge, quale la malattia, e ritenendo legittimo il recesso.


lunedì 10 luglio 2017

Come disciplina la figura dello RLS il ccnq del 5 giugno 1996 nel pubblico impiego?


PARTE PRIMA

I. Il rappresentante per la sicurezza.

L'art. 18 del decreto legislativo n. 626/94, il cui comma 1 contiene l'enunciazione del principio generale secondo il quale in tutte le amministrazioni o unita' lavorative e' eletto o designato il rappresentante per la sicurezza, e' dedicato ai criteri di individuazione di tale soggetto unico per tutti i lavoratori e prevede il rinvio alla contrattazione collettiva per la definizione di altri parametri, in particolare, in tema di diritti, formazione e strumenti per l'espletamento degli incarichi.

A partire dal perfezionamento del presente accordo, in tutte le amministrazioni o unita' lavorative saranno promosse dalle stesse e dalle organizzazioni sindacali le iniziative con le modalita' di seguito indicate, per la identificazione della rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza.

II. Amministrazioni o unita' lavorative fino a quindici dipendenti.

Le parti concordano che per le amministrazioni o unita' lavorative aventi fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza sia eletto dai lavoratori al loro interno.

L'elezione si svolge a suffragio universale diretto e a scrutinio segreto anche per candidature concorrenti. Risultera' eletto il lavoratore che ha ottenuto il maggior numero di voti espressi.

Prima dell'elezione i lavoratori nominano tra di loro il segretario del seggio elettorale, il quale a seguito dello spoglio delle schede provvede a redigere il verbale delle elezioni. Il verbale e' comunicato senza ritardo al datore di lavoro. Questi si identifica nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione nonche' nel funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale.

Hanno diritto al voto tutti i dipendenti e possono essere eletti tutti i lavoratori - non in prova con contratto a tempo indeterminato o con contratto a tempo determinato purche' la durata del medesimo consenta lo svolgimento del mandato - che prestano la propria attivita' nelle amministrazioni o unita' lavorative.

La durata dell'incarico e' di tre anni.

Al rappresentante spettano, per l'espletamento degli adempimenti previsti dall'art. 19 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, appositi permessi retribuiti pari a 12 ore annue nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano fino a 6 dipendenti nonche' pari a 30 ore annue nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano da 7 a 15 dipendenti.

Per l'espletamento degli adempimenti previsti dall'articolo 19 citato, lettere b), c), d), g), i) ed l) non viene utilizzato il predetto monte ore e l'attivita' e' considerata tempo di lavoro.

III. Amministrazioni o unita' lavorative con piu' di quindici dipendenti.

Amministrazioni o unita' lavorative da 16 a 200 dipendenti:

nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano da 16 a 200 dipendenti il rappresentante per la sicurezza si individua nell'ambito delle rappresentanze sindacali.

Amministrazioni o unita' lavorative da 201 a 1000 dipendenti:

nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano da 201 a 1000 dipendenti, i rappresentanti per la sicurezza sono 3 nell'ambito delle rappresentanze sindacali presenti.

Amministrazioni o unita' lavorative con piu' di 1000 dipendenti:

nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano piu' di 1000 dipendenti il numero dei rappresentanti per la sicurezza e' pari a 6.

I rappresentanti per la sicurezza sono eletti o designati nell'ambito delle rappresentanze sindacali presenti.

IV. Permessi retribuiti orari.

Nelle amministrazioni o unita' lavorative che occupano piu' di 15 dipendenti, per l'espletamento dei compiti previsti dall'art. 19 del decreto legislativo n. 626/94, i rappresentanti per la sicurezza, oltre ai permessi gia' previsti per le rappresentanze sindacali, utilizzano appositi permessi retribuiti orari pari a 40 ore annue per ogni rappresentante.

Per l'espletamento degli adempimenti previsti dai punti b), c), d), g), i) ed l) dell'art. 19 citato, non viene utilizzato il predetto monte ore e l'attivita' e' considerata tempo di lavoro.

V. Procedure per l'elezione o designazione del rappresentante per la sicurezza.

a) All'atto della costituzione della RSU il candidato a rappresentante per la sicurezza viene indicato specificamente tra i candidati proposti per l'elezione della RSU.

La procedura di elezione e' quella applicata per le elezioni delle RSU.

b) Nei casi in cui sia gia' costituita la RSU, per la designazione del rappresentante per la sicurezza si applica la procedura che segue:

entro trenta giorni dalla data del presente accordo il/i rappresentante/i per la sicurezza e'/sono designato/i dai componenti della RSU al loro interno;

tale designazione verra' ratificata in occasione della prima assemblea dei lavoratori; nel caso di diversa indicazione da parte dell'assemblea, si procedera' a una nuova designazione sempre all'interno della R.S.U;

nel caso di dimissioni della RSU, il rappresentante per la

sicurezza esercita le proprie funzioni fino a nuova elezione e comunque non oltre sessanta giorni. In tale ipotesi allo stesso competono le sole ore di permesso previste per la sua funzione, ma in relazione al periodo di esercizio della funzione medesima.

c) Nei casi in cui la RSU non sia stata ancora costituita - e fino a tale evento - e nelle amministrazioni o nelle unita' lavorative operino esclusivamente le RSA costituite ai sensi del vigente art. 19 della legge n. 300/70 il/i rappresentante/i per la sicurezza e'/sono eletto/i dai lavoratori al loro interno secondo le procedure sopra richiamate per le amministrazioni o unita' lavorative con numero di dipendenti inferiore a 16, su iniziativa delle organizzazioni sindacali.

d) Nelle amministrazioni o unita' lavorative in cui vi sia compresenza di RSU e RSA la individuazione del rappresentante per la sicurezza avviene per tramite di una elezione con liste separate e concorrenti, a suffragio universale ed a scrutinio segreto.

L'elettorato passivo e' riservato ai componenti della RSU e delle RSA.

e) In assenza di rappresentanze sindacali, il rappresentante per la sicurezza e' eletto dai lavoratori al loro interno secondo le procedure sopra richiamate per il caso delle amministrazioni con numero di dipendenti inferiori a 16, su iniziativa delle organizzazioni sindacali.

In questa fattispecie, ai rappresentanti per la sicurezza spettano, per l'espletamento delle attribuzioni di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 626/94, permessi retribuiti pari a 40 ore.

Il verbale contenente i nominativi dei rappresentanti per la sicurezza deve essere comunicato al datore di lavoro.

I rappresentanti per la sicurezza restano in carica per un triennio.

VI. Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza.

Con riferimento alle attribuzioni del rappresentante per la sicurezza, la cui disciplina legale e' contenuta all'art. 19 del decreto legislativo n. 626/94, le parti concordano sulle seguenti indicazioni.

VII. Accesso ai luoghi di lavoro.

Il diritto di accesso ai luoghi di lavoro sara' esercitato nel rispetto delle esigenze produttive con le limitazioni previste dalla legge.

Il rappresentante per la sicurezza segnala preventivamente al datore di lavoro le visite che intende effettuare agli ambienti di lavoro.

Tali visite si possono anche svolgere congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione o ad un addetto da questi incaricato.

VIII. Modalita' di consultazione.

Laddove il decreto legislativo n. 626/94 prevede a carico del datore di lavoro la consultazione del rappresentante per la sicurezza, questa si deve svolgere in modo da garantire la sua effettivita' e tempestivita'.

Il datore di lavoro, pertanto, consulta il rappresentante per la sicurezza su tutti gli eventi per i quali la disciplina legislativa prevede un intervento consultivo dello stesso.

Il rappresentante, in occasione della consultazione ha facolta' di formulare proprie proposte e opinioni, sulle tematiche oggetto di consultazione secondo le previsioni di legge. Il verbale della consultazione deve riportare le osservazioni e le proposte formulate dal rappresentante per la sicurezza.

Il rappresentante per la sicurezza conferma l'avvenuta consultazione, apponendo la propria firma sul verbale della stessa.

In fase di prima applicazione del decreto legislativo n. 626/94, nelle realta' in cui non sia stata ancora individuata la rappresentanza per la sicurezza, le procedure di consultazione si rivolgono alle rappresentanze sindacali costituite ai sensi del vigente art.19 della legge n. 300/70.

A tal fine, la rappresentanza sindacale in azienda puo' designare uno o piu' soggetti, al proprio interno, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 18, comma 6, del decreto legislativo n. 626/94.

IX. Informazioni e documentazione aziendale.

Il rappresentante per la sicurezza ha diritto di ricevere le informazioni e la documentazione di cui alle lettere e) ed f) del comma 1 dell'art. 19.

Lo stesso rappresentante ha diritto di consultare il rapporto di valutazione dei rischi di cui all'art. 4, comma 2, custodito presso le amministrazioni o unita' lavorative ai sensi dell'art. 4, comma 3.

Il datore di lavoro fornisce, anche su istanza del rappresentante, le informazioni e la documentazione richiesta, secondo quanto previsto dalla legge e da eventuali accordi.

Per informazioni inerenti l'organizzazione e gli ambienti di lavoro si intendono quelle riguardanti l'unita' produttiva per gli aspetti relativi all'igiene, alla salute, ed alla sicurezza del lavoro.

Il rappresentante, ricevute le notizie e la documentazione, e' tenuto a farne un uso strettamente connesso alla sua funzione in conformita' a quanto previsto dall'art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 626/94.

X. Formazione dei rappresentanti per la sicurezza.

Il rappresentante per la sicurezza ha il diritto alla formazione prevista all'art. 19, comma 1, lettera g), del decreto legislativo n. 626/94, anche avendo riguardo alle indicazioni contenute nella circolare della Funzione pubblica del 24 aprile 1995, n. 14, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 135 del 12 giugno 1995.

La formazione dei rappresentanti per la sicurezza, i cui oneri sono a carico del datore di lavoro, si svolgera' mediante permessi retribuiti aggiuntivi rispetto a quelli gia' previsti per la loro attivita'.

Tale formazione deve comunque prevedere un programma base di 32 ore che, nelle amministrazioni o unita' lavorative con un numero di dipendenti inferiore a 16, si svolgera' in due moduli; tale programma deve comprendere:

conoscenze generali sugli obblighi e diritti previsti dalla normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro;

conoscenze generali sui rischi dell'attivita' e sulle relative misure di prevenzione e protezione;

metodologie sulla valutazione del rischio;

metodologie minime delle comunicazioni.

Il datore di lavoro, ogni qualvolta vengano introdotte innovazioni che abbiano rilevanza ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, prevede una integrazione della formazione.

XI. Riunioni periodiche.

In applicazione dell'art. 11 del decreto legislativo n. 626/94, le riunioni periodiche previste dal comma 1, sono convocate con almeno cinque giorni lavorativi di preavviso e su un ordine del giorno scritto.

Il rappresentante per la sicurezza puo' richiedere la convocazione di una riunione al presentarsi di gravi e motivate situazioni di rischio o di significative variazioni delle condizioni di prevenzione nelle amministrazioni o unita' lavorative.

Della riunione viene redatto verbale.

XII. Strumenti per l'espletamento delle funzioni.

In conformita' a quanto previsto al punto 4 dell'art. 18 del decreto legislativo n. 626/94, il rappresentante alla sicurezza puo' essere autorizzato all'utilizzo di strumenti in disponibilita' della struttura.

In tali strumenti rientrano in particolare l'utilizzo del locale a disposizione della rappresentanza sindacale, la consultazione delle pubblicazioni nella specifica materia.

XIII. Contrattazione di comparto.

E' rimessa alla contrattazione di comparto, da avviare entro novanta giorni dalla sottoscrizione definitiva del presente accordo, in particolare la possibilita' di:

individuare, in relazione a peculiari specificita', diverse modalita' di rappresentanza tra piu' amministrazioni dello stesso comparto o tra piu' uffici della stessa amministrazione, nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 18, comma 2, del decreto legislativo n. 626/94;

definire in relazione alla individuazione di specifiche esigenze di prevenzione e/o protezione dai rischi connessi all'attivita' di lavoro, un numero di rappresentanti per la sicurezza superiore a quello previsto dall'art. 18, dianzi citato che sara' ricompreso nell'ambito delle rappresentanze sindacali presenti;

evitare la sovrapposizione tra i componenti delle RSU ed i rappresentanti per la sicurezza nelle unita' lavorative che occupano da 201 a 300 dipendenti, individuando due rappresentanti per la sicurezza tra i componenti la RSU ed aggiungendo a questi un ulteriore rappresentante per la sicurezza;

individuare ulteriori contenuti specifici della formazione con riferimento a specificita' dei propri comparti.

In ogni caso, in sede di contrattazione di comparto o decentrata le parti procederanno all'assorbimento delle ore di permesso spettanti - in base al presente accordo - ai rappresentanti per la sicurezza, fino a concorrenza delle ore di permesso riconosciute per lo stesso titolo.

PARTE SECONDA

Organismi paritetici.

I. La contrattazione di comparto, da avviare entro novanta giorni dalla sottoscrizione definitiva del presente accordo, determinera' le modalita' operative per la costituzione degli organismi paritetici di cui all'art. 20 del decreto legislativo n. 626/94, su base territoriale, secondo la struttura del comparto, assegnando le funzioni ivi previste.

In ogni caso, la funzione di prima istanza di riferimento conciliativo in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti, non esclude il ricorso alla via giurisdizionale.

II. Fino a che non interviene la predetta disciplina, gli organismi paritetici previsti dai contratti di comparto svolgeranno anche le funzioni di cui all' art. 20 del decreto legislativo n. 626/94.

A tale scopo gli organismi predetti si raccorderanno, in base al territorio di competenza, con i soggetti istituzionali di livello regionale o provinciale, operanti in materia di salute e sicurezza per favorire la realizzazione delle finalita' anzidette. Anche per tali organismi, la funzione di prima istanza di riferimento conciliativo in merito a controversie sorte sull'applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti, non esclude il ricorso alla via giurisdizionale.

Dichiarazione congiunta

Nel sottoscrivere l'ipotesi di accordo per un contratto quadro sulle materie rimesse alla contrattazione collettiva dal decreto legislativo n. 626/94 le parti auspicano una sollecita applicazione del decreto legislativo in tutte le pubbliche amministrazioni. A tal fine, in parallelo alle iniziative gia' programmate dalle confederazioni e dalle organizzazioni sindacali di categoria, le parti ritengono opportuna da parte delle singole amministrazioni un'adeguata campagna di informazione sui contenuti del decreto legislativo, nei confronti dei responsabili delle articolazioni orgaanizzative e, in generale di tutti i lavoratori interessati.

Dichiarazione CGIL CISL UIL

CGIL CISL UIL evidenziano come eventuali norme correttive al decreto legislativo n. 626/94, che rimandino ad ulteriori decreti ministeriali l'individuazione di particolari esigenze connesse ai servizi espletati, non sospendono comunque l'applicazione del decreto legislativo n. 626/94 e pertanto ribadiscono l'immediata applicabilita' in tutte le pubbliche amministrazioni del presente accordo.

Sottolineano inoltre che questo non preclude la possibilita' di una sua rimodulazione, appropriata alle specifiche realta' delle diverse amministrazioni.

Dichiarazione a verbale CONFSAL accordo quadro decreto legislativo n. 626/94

L'accordo quadro sul decreto legislativo n. 626 del 19 settembre 1994 viene firmato condividendo l'impostazione generale ma con le seguenti riserve, espresse ampiamente nel corso della lunga trattativa e non recepite dall'ARAN nonostante chiare indicazioni della normativa di riferimento:

a) il numero dei rappresentanti per la sicurezza indicato nell'accordo e' pari al minimo indicato dal decreto legislativo n. 626/94 spesso insufficiente a garantire l'adempimento delle attribuzioni;

b) il tempo di lavoro retribuito per lo svolgimento dell'incarico di R.S.L. e' estremamente restrittivo in riferimento alle attribuzioni di cui al punto 1, lettere a), e), f), h), m), n), o), dell'art. 19 del decreto legislativo n. 626/94 e quindi in contrasto con il punto 2 dello stesso articolo che dispone che "il rappresentante per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell'incarico senza perdita di retribuzione ..".