La clausola di durata minima del rapporto a favore del datore richiede un corrispettivo?
Per Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-06-2017, n. 14457
L'attuale giudizio veniva introdotto dalla società con la ingiunzione di pagamento della penale ed, a seguito della opposizione introdotta dal dirigente, verteva sulla validità della pattuizione della clausola di stabilità, cui accedeva la penale (ed, in via subordinata, sulla eccessività della stessa penale).....
Giova premettere che questa Corte, con orientamento consolidato, che va in questa sede ribadito (Cassazione civile, sez. lav., 15/09/2016, n. 18122; Cass. 25/07/2014, n. 17010; Cass. n. 17817 del 2005; Cass. n. 18547 del 2009; n. 1435 del 1998), ha già chiarito che, fuori dalle ipotesi di giusta causa di recesso, nelle quali viene in rilievo la norma inderogabile di cui all'art. 2119 c.c., nessun limite è posto dall'ordinamento all'autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato attribuita al lavoratore, di cui egli può liberamente disporre pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto, purchè limitata nel tempo, che comporti il risarcimento del danno in favore del datore di lavoro nella ipotesi di mancato rispetto del periodo minimo di durata.
Nè si pongono dubbi sotto il profilo della meritevolezza dell'interesse datoriale sotteso a siffatta pattuizione, che è quello di assicurarsi la continuità della prestazione in vista di un programma aziendale per la cui realizzazione ritenga utile l'apporto di quel dipendente. Tale garanzia è analoga a quella destinata ad operare nel contratto di lavoro a tempo determinato, che consente il recesso anticipato del dipendente solo per giusta causa.
Del resto tale principio è coerente con la riconosciuta disponibilità del diritto al posto di lavoro, quale desumibile dalla ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto e dalla possibilità di consolidamento degli effetti di un licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione (sulla disponibilità del diritto nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, cfr. Cassazione civile, sez. lav., 19/10/2009, n. 22105 e giurisprudenza ivi citata).
Tanto premesso, il tema dibattuto concerne ulteriormente: la necessità di un corrispettivo dell'impegno del lavoratore e, nel caso di risposta affermativa, le modalità della sua determinazione.
Per risolvere tali questioni occorre muovere dal principio generale secondo cui nei rapporti a prestazioni corrispettive la reciprocità dell'impegno non va valutata atomisticamente - come contropartita della assunzione di ciascuna delle obbligazioni - bensì alla luce del complesso delle reciproche pattuizioni. L'equilibrio tra le prestazioni corrispettive, sempre per principio generale, è rimesso - (fuori dalle ipotesi patologiche di vizio del consenso) - alla libera valutazione di ciascun contraente, che nel momento in cui conclude il negozio resta arbitro della convenienza o meno della assunzione della posizione contrattuale.
Nel contratto di lavoro subordinato, tuttavia, vi è per il lavoratore il limite alla disponibilità della posizione negoziale costituito dalla inderogabilità del diritto, attribuitogli dall'art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto.
Tale rilievo ha immediata incidenza nel tema in trattazione; infatti nelle fattispecie in cui il trattamento retributivo concordato, complessivamente considerato, non superi il cd. "minimo costituzionale" esso non può compensare, in alcuna misura, (anche) la temporanea rinunzia del lavoratore alla sua facoltà di recesso. Invero in caso diverso sarebbe inevitabile l'effetto della mancanza di proporzionalità della retribuzione, per la misura residua, alla quantità e qualità della prestazione fondamentale di lavoro dipendente.
Sicchè, rispondendo alla prima questione in esame, deve affermarsi dovuto al lavoratore un corrispettivo della limitazione delle sue facoltà rispetto al tipo contrattuale, affinchè non venga inciso il minimo costituzionale dovutogli quale corrispettivo della prestazione fondamentale di lavoro.
La corrispettività, tuttavia, venendo così alla seconda questione, deve essere valutata rispetto al complesso dei diritti e degli obblighi che identificano la posizione contrattuale di ciascuna parte.
Nell'equilibrio delle posizioni contrattuali il corrispettivo della clausola di durata minima garantita nell'interesse del datore di lavoro, dunque, è sì necessario ma può essere liberamente stabilito dalle parti e può consistere nella reciprocità dell'impegno di stabilità assunto dalle parti ovvero in una diversa prestazione a carico del datore di lavoro, consistente in una maggiorazione della retribuzione o in una obbligazione non-monetaria, purchè non simbolica e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore.
Del resto la necessità della previsione di un compenso specifico, in deroga al suddetto principio generale, è stata espressamente prevista a pena di nullità ove ritenuta necessaria, come nel caso dell'art. 2125 c.c., per il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato e dell'art. 1751 bis c.c. - nel testo introdotto dalla L. 29 dicembre 2000, n. 422, art. 23 - per il patto di non concorrenza nel rapporto di agenzia.
A tale riguardo questa Corte ha affermato che nel rapporto di agenzia la necessità della previsione del compenso specifico del patto di non concorrenza non si applica ai patti stipulati prima della entrata in vigore della legge 422/2000 (Cass., sent. 22/08/2016, n. 17239; nr. 12127/2015), il che conferma il rilievo che l'obbligo di uno specifico corrispettivo della limitazione delle facoltà di uno dei contraenti non deriva da un principio generale di ordine pubblico, limitativo dell'autonomia negoziale.
La sentenza impugnata, avendo ritenuto che il patto di stabilità nell'interesse del datore di lavoro si colloca all'interno del contratto di lavoro come clausola aggiunta successiva ai patti fondamentali e che, in mancanza di elementi di prova diversi, non può ritenersi remunerato con il trattamento retributivo concordato non si è adeguata a siffatti principi, non avendo valutato la reciprocità degli impegni rispetto alla complessiva posizione contrattuale ed avendo esteso al patto di stabilità le previsioni sulla necessità di un compenso specifico relative alla diversa fattispecie del patto di non concorrenza post-contrattuale.
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