giovedì 30 maggio 2019

Qual'è la durata del part time nel ccnl del terziario cgil cisl e uil?


RAPPORTO A TEMPO PARZIALE
L'instaurazione del rapporto a tempo parziale dovrà risultare da atto scritto, nel quale siano indicati seguenti elementi:
1) il periodo di prova per i nuovi assunti;
2) la durata della prestazione lavorativa ridotta e le relative modalità da ricondurre ai regimi di orario esistenti in azienda; la prestazione individuale sarà fissata fra datore di lavoro e lavoratore in misura non inferiore ai seguenti limiti:
aziende che occupino complessivamente fino a 30 dipendenti
a) 16 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario settimanale;
b) 64 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario mensile;
c) 532 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario annuale.
aziende che occupino complessivamente più di 30 dipendenti
d) 18 ore nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario settimanale;
e) 72 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario mensile;
f) 600 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario annuale;
3) il trattamento economico e normativo secondo criteri di proporzionalità all'entità della prestazione lavorativa;
4) puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, così come previsto dall'art. 2, 2° comma, del D.Lgs. n. 61/2000 e successive modifiche.
Potranno essere realizzati contratti di lavoro a tempo parziale della durata di 8 ore settimanali per la giornata di sabato o domenica cui potranno accedere, studenti lavoratori occupati a tempo parziale presso altro datore di lavoro, nonché giovani fino a 25 anni di età compiuti. Altre modalità relative alla collocazione della giornata di lavoro potranno essere definite previo accordo aziendale ovvero previo parere vincolante di conformità dell'Ente Bilaterale Territoriale.
In relazione alle specifiche realtà territoriali ed aziendali ed alle particolari condizioni dei lavoratori, al secondo livello di contrattazione possono essere raggiunte intese diverse in merito a quanto previsto in materia di durata della prestazione.
La prestazione lavorativa giornaliera fino a 4 ore non potrà essere frazionata nell'arco della giornata.

mercoledì 29 maggio 2019

Come è disciplinata la ricerca di personale a mezzo stampa internet tv e altri mezzi di informazione?

In forza dell'art. 9 del Dlgs 276 del 2003


Comunicazioni a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione

1. Sono vietate comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione, in qualunque forma effettuate, relative ad attività di ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale, intermediazione o somministrazione effettuate in forma anonima e comunque da soggetti, pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'incontro tra domanda e offerta di lavoro eccezion fatta per quelle comunicazioni che facciano esplicito riferimento ai soggetti in questione, o entità ad essi collegate perché facenti parte dello stesso gruppo di imprese o in quanto controllati o controllanti, in quanto potenziali datori di lavoro.


2. In tutte le comunicazioni verso terzi, anche a fini pubblicitari, utilizzanti qualsiasi mezzo di comunicazione, ivi compresa la corrispondenza epistolare ed elettronica, e nelle inserzioni o annunci per la ricerca di personale, le agenzie del lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati devono indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento al fine di consentire al lavoratore, e a chiunque ne abbia interesse, la corretta e completa identificazione del soggetto stesso.


3. Se le comunicazioni di cui al comma 2 sono effettuate mediante annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica, e non recano un facsimile di domanda comprensivo dell'informativa di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, indicano il sito della rete di comunicazioni attraverso il quale il medesimo facsimile è conoscibile in modo agevole. 


martedì 28 maggio 2019

Come è disciplinata l'azione di regresso dell'Inail in seguito alle modifiche apportate al TU 1124 del 1965 alla legge 145 del 2018?



Art. 11 

L'Istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme a qualsiasi titolo pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie nei limiti del complessivo danno risarcibile contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita a qualsiasi titolo dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché ad ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo. 


La sentenza, che accerta la responsabilità civile a norma del precedente articolo, è sufficiente a costituire l'Istituto assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente. 


Nella liquidazione dell'importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le modalità di esecuzione dell'obbligazione possono essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile.


L'Istituto può, altresì, esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato quando l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale. Quando sia pronunciata la sentenza di non doversi procedere per la morte dell'imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle forme stabilite dal Codice di procedura civile.


lunedì 27 maggio 2019

Come è disciplinato il danno differenziale dal TU 1124 del 1965 in seguito alle modifiche della legge 145 del 2018?


Art. 10 

L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.

Nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.

Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile. 

Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio è derivato sia necessaria la querela della persona offesa.

Qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, proposta entro tre anni dalla sentenza, decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile a norma dei commi secondo, terzo e quarto del presente articolo. 

Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo, complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell'indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto. 

Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38. 

Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo

venerdì 24 maggio 2019

Quale è il termine di prescrizione dei contributi  delle casse dei professionisti?





Cass. 21/05/2019, n. 13639




Alle contribuzioni dovute alle casse di previdenza privatizzate dei liberi professionisti è applicabile la nuova disciplina della prescrizione quinquennale di cui all’art. 3, della legge n. 335 del 1995.

giovedì 23 maggio 2019

Come è disciplinato il cambio d'appalto nel ccnl Logistica Cgil Cisl e Uil dal dicembre del 2017?


Art. 42. Appalto di lavori di logistica, facchinaggio, movimentazione; cambi di appalto; clausola sociale. 
1. Le parti, consapevoli dei crescenti fenomeni di illegalità diffusi nelle attività di logistica, facchinaggio e movimentazione merci, si impegnano a contrastare tali fenomeni attraverso ogni utile strumento atto a garantire il pieno rispetto della normativa e della disciplina sugli appalti. 

2. Ai fini del presente articolo, gli ambiti oggetto di esternalizzazione, attraverso l’utilizzo di appalti, sono riferiti ad attività quali logistica, facchinaggio, movimentazione, magazzinaggio delle merci, all’interno dei processi produttivi. Le attività per la gestione delle operazioni di cui sopra saranno affidate solo ad imprese che applicano il presente CCNL e non possono essere oggetto di sub appalto. L’assegnazione di un appalto da parte di un Consorzio ad impresa associata non costituisce subappalto. 

3. I soggetti economici affidatari potranno essere società di capitali iscritte alla Camera di Commercio o società cooperative che risultino iscritte nell’Albo nazionale delle società cooperative presso il Ministero dello Sviluppo Economico, nel registro delle Imprese istituito presso le Camere di Commercio e in possesso del certificato di revisione. Tali soggetti dovranno possedere capacità ed esperienze tecnico professionali, organizzative (disporre di propri mezzi ed idonee, adeguate attrezzature), nonché adeguata solidità finanziaria ed economica, anche relativamente agli aspetti fiscali e contributivi, risultante da certificazione semestrale di rating rilasciata da società specializzata nonché dal DURC semestrale. 

4. Gli operatori affidanti ed affidatari delle attività devono recepire integralmente, all’interno del contratto di appalto, le condizioni ed i contenuti posti a tutela del lavoro. Il soggetto affidatario applicherà il presente CCNL, in ogni sua parte, compresa la sanità integrativa e l’ente bilaterale di riferimento, oltreché tutte le norme relative alla sicurezza ed alla salvaguardia dei lavoratori nonché alla contrattazione di secondo livello, così come previste dal CCNL stesso. 

5. Saranno motivo di risoluzione del contratto il mancato rispetto di uno o più punti summenzionati oltre che l’accertamento, da parte dei soggetti sindacali, dei committenti, delle autorità ispettive, di una o più delle seguenti violazioni da parte dell’appaltatore interessato ad eventuali terziarizzazioni:  Omesso e/o incongruente versamento contributivo e/o assicurativo. 
 Applicazione di un CCNL diverso dal presente contratto; 
 Mancata e/o incongruente corresponsione degli Istituti contrattuali a carattere economico nei confronti di una pluralità di lavoratori. 

6. Le parti stipulanti il CCNL, durante la vigenza dell’appalto, possono realizzare momenti di verifica dell’organizzazione del lavoro su richiesta di una delle parti stesse. 

7. In caso di cambio di appalto l’azienda appaltante dovrà comunicare alle OO.SS. stipulanti e competenti territorialmente di tale operazione con un preavviso di almeno 15 giorni. 

8. Su richiesta delle OO.SS. stipulanti il presente CCNL e competenti territorialmente, l’azienda appaltante informerà in uno specifico incontro in merito alle problematiche connesse al subentro, con particolare riferimento all’organizzazione del lavoro, alla sicurezza, ai volumi produttivi ed alle attività oggetto del cambio di appalto, nonché all’applicazione da parte della gestione subentrante del presente CCNL. La società cessante fornirà, alle parti stipulanti, l’elenco dei lavoratori precedentemente impiegati nell’appalto, comprensivo di tutti i trattamenti retributivi in essere. 

9. L’impresa appaltante includerà nel contratto di appalto con l’impresa subentrante il passaggio diretto, senza soluzione di continuità, a parità di condizioni di appalto, di tutti i lavoratori impiegati nell’appalto stesso da almeno 6 mesi continuativi, fatti salvi gli eventi sospensivi previsti dalla legge, mantenendo l’anzianità pregressa e tutti i trattamenti salariali ed i diritti normativi, ivi compresa per i lavoratori occupati nei siti produttivi prima del 7 marzo 2015 l’applicazione della legge 92/2012 e la continuità della loro storia disciplinare. Quanto sopra nel rispetto dell’autonomia organizzativa apicale dell’azienda subentrante e delle innovazioni tecnologiche, informatiche e di automazione intervenute. 

10. La procedura deve essere espletata dalle imprese congiuntamente alle parti stipulanti il presente CCNL, presso l’Ente Bilaterale di riferimento territoriale e, dove non ancora costituito, presso l’Associazione Datoriale competente o, in assenza, presso la DTL. L’esito della procedura verrà depositato presso l’Ente Bilaterale di riferimento nazionale. 

11. Restano ferme le condizioni di miglior favore attualmente esistenti. 

12. Sono fatti salvi i contratti in essere fino alla loro naturale scadenza. 


 

mercoledì 22 maggio 2019

La clausola di gradimento del committente può determinare la necessità di spostare un lavoratore da parte dell'appaltatrice?

Cass. Num. 10071 Anno 2016

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. da 1362 a 1372 c.c. nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., imputa alla Corte territoriale il mancato rispetto dei criteri legali di interpretazione dei contratti, in quanto applicabili anche agli atti unilaterali, laddove ha letto le comunicazioni inviate dalla Società cooperativa datrice di lavoro al ricorrente, discostandosi dal tenore letterale delle stesse, non quale mera proposta di rendersi disponibile al proprio impiego presso un servizio in appalto gestito dalla Cooperativa medesima diverso da quello cui era addetto per essere risultato sgradito al committente, bensì come atti di disposizione del trasferimento, casi da imputare al ricorrente il rifiuto dell'ordine di servizio.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., il ricorrente deduce l'erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla configurabilità del mancato gradimento del lavoratore da parte dell'appaltante quale idonea ragione giustificativa del trasferimento:
Il terzo motivo si sostanzia nella deduzione della nullità dell'impugnata sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale omesso qualsiasi motivazione in ordine all'eccepita irrilevanza del mancato gradimento del lavoratore espresso dall'appaltante, in difetto di una clausola contrattuale che che ne sancisse la valenza impegnativa a carico della Cooperativa datrice.
Nel quarto motivo la medesima censura è riproposta sotto il profilo del vizio di motivazione.
Con il quinto motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione del rifiuto di adempiere al preteso ordine di trasferimento in termini di eccezione di inadempimento, così sottraendosi alla valutazione della valenza giustificativa di quel comportamento in rapporto alla gravità dell'inadempimento imputato all'altro contraente di cui il primo primo di prospetta come reazione.
Con il sesto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, 1. n. 604/1966 nonché dell'art. 2697 c.c., il ricorrente contesta la conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine alla raggiunta prova della ricorrenza nella specie di un giustificato motivo oggettivo di recesso quale la stessa Corte lo aveva configurato.
In sostanza, l'impugnazione proposta, pur articolata sui sci motivi sopra riassunti, è complessivamente volta a censurare nella sua totalità le pronunzia della Corte territoriale dichiarativa della legittimità del recesso, qualificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così da ritenerlo intimato per essersi il ricorrente, con il proprio rifiuto di rendersi disponibile a sovvenire all'esigenza organizzativa insorta in relazione al mancato gradimento manifestato nei suoi confronti da un committente della Cooperativa datrice, posto quale ostacolo al regolare funzionamento dell'azienda e ciò in relazione alla configurabilità stessa del rifiuto del trasferimento a fronte dell'assenza del provvedimento relativo, alla legittimità di tale preteso rifiuto, alla sua idoneità a porsi quale causa giustificativa del recesso sotto il profilo oggettivo della compromissione dell'organizzazione e dell'operatività dell'azienda.
Posta così la questione, l'impugnazione proposta risulta nel complesso fondata, configurandosi la sentenza impugnata incongrua rispetto alla stessa qualificazione giuridica che la Corte territoriale ha inteso dare alla fattispecie; ciò in quanto la sentenza de qua non dà adeguatamente conto del carattere ostativo rispetto al regolare funzionamento dell'azienda della disfunzione organizzativa ricollegata alla persona del ricorrente e dell'impossibilità di sovvenire ad essa attraverso la ricollocazione, anche valendosi di un provvedimento imperativo, del medesimo in seno all'organizzazione aziendale (repechage), cui, del resto, era tenuta ex art. 3, 1. n. 604/1966.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo anche per l'attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità

martedì 21 maggio 2019

La clausola di gradimento è legittima?



TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
Sezione Lavoro
Nella causa civile iscritta al n. r.g. 2509/2018, pubblicata il 17 dicembre 2018
Il Giudice, dott.ssa Maria Luisa Pugliese, a scioglimento della riserva formulata all'udienza del 13/12/2018
Ordinanza
La datrice di lavoro  ha quindi allontanato, ponendolo in ferie, il ricorrente, a seguito della richiesta della committente di esonerarlo dal servizio presso la sede occupata ovvero presso altre sedi .................., avendo la committente (soggetto estraneo al rapporto di lavoro) fatto valere la clausola di gradimento prevista dal contratto di appalto.
Il ricorso alla clausola di non gradimento determina per il datore di lavoro l’impossibilità oggettiva di impiegare il lavoratore presso l’appalto in oggetto.
Tale clausola non è incompatibile con il sistema giuslavoristico atteso che la stessa è strumento per intervenire in ipotesi di incompatibilità aziendale che rilevano nel nostro ordinamento in ragione dello stato di disorganizzazione e disfunzione che puo’ verificarsi nell’unità produttiva (cfr. Cass. Civ. sez. l. n. 4265/2007; Trib Milano ordinanza del 10.8.2011).
Tale provvedimento di inibizione non è stato emesso dal datore di lavoro che ha esclusivamente preso atto della volontà della committente.
Ciò posto, nei confronti della datrice di lavoro (nelle more di questo processo ha licenziato il ricorrente per giusta causa), l’attore non può avanzare alcuna domanda di reintegra o riammissione in servizio, atteso che un ordine di reintegra non potrebbe mai essere eseguito senza il consenso della committenza e sarebbe comunque improponibile e inopponibile essendo quest’ultima estranea al rapporto di lavoro.
Per le suddette ragioni il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da X il 27.10.2018 è infondato e viene respinto.

lunedì 20 maggio 2019

Come deve essere valutata la sussistenza della giusta causa?



Cass. 14/05/2019, n. 12786



In tema di licenziamento, la giusta causa deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.

sabato 18 maggio 2019

Quali sono i requisiti posti a base dell'Irap?

Cass. civ. Sez. V, 09/05/2019, n. 12331

In materia di IRAP, il presupposto dell'autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all'esercizio dell'attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l'impiego di un dipendente con mansioni esecutive. Tuttavia, l'assenza di dipendenti esecutivi non equivale necessariamente ad esclusione del requisito dell'autonoma organizzazione, perché l'utilizzo di lavoro altrui (che sia dipendente o meno) può essere indice di autonoma organizzazione se eccede il livello del dipendente esecutivo. (Nel caso concreo l'affermazione della CTR, determinante nell'economia della decisione, che sembra dare rilievo alla sola assenza di dipendenti, non appare del tutto in linea con l'esposto principio, di talché la sentenza va annullata con rinvio.) 

giovedì 16 maggio 2019

In caso di fallimento alla retrocessione dell'azienda si applica l'art. 2112 cc?


In forza dell'ultimo comma dell'art. 104 bis del RD 267 del 1942:





La retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 del codice civile. Ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II.


mercoledì 15 maggio 2019

Possono essere utilizzate le registrazioni dei colleghi di lavoro in giudizio?

Cass. 10/05/2019, n. 12534

In tema di controversie di lavoro, l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e, pertanto, di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio. Ne consegue che è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all'interno dell'azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

martedì 14 maggio 2019

Quando è possibile depositare ricorso giudiziale in caso di mancata risposta da parte dell'Inail?

Cass. civ. Sez. Unite, 07/05/2019, n. 11928



Deve ritenersi che, ai sensi dell'art. 111, comma 2, D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, la prescrizione dell'azione per conseguire le prestazioni previste dal titolo primo capo quinto del citato D.P.R. resta sospesa per tutta la durata della liquidazione amministrativa della prestazione e fino all'adozione di un provvedimento di accoglimento o di diniego da parte dell'Istituto. Con il decorso del termine di centocinquanta giorni, previsto dall'art. 104, o di duecentodieci giorni, di cui all'art. 83 dello stesso decreto, è rimossa la condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria ed all'assicurato è data facoltà di agire in giudizio a tutela della posizione giuridica soggettiva rivendicata.

lunedì 13 maggio 2019

Quando si ha insussistenza del atto materiale ai sensi dell'art. 3 del Dlgs 23 del 2015?

Cass. 08/05/2019, n. 12174

Ai fini della pronuncia di cui all'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 23 del 2015, la insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilevo disciplinare.


giovedì 9 maggio 2019

Quali sono i criteri generali da seguire nella valutazione del personale nel pubblico impiego?

In base all'art. 3 del Dlgs 150 del 2009:

1. La misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l'erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di diritti e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e delle risorse impiegate per il loro perseguimento.

2. Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare ed a valutare la performance con riferimento all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti, secondo le modalità indicate nel presente Titolo e gli indirizzi impartiti dal Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'articolo 19 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. 


3. Le amministrazioni pubbliche adottano modalità e strumenti di comunicazione che garantiscono la massima trasparenza delle informazioni concernenti le misurazioni e le valutazioni della performance.


4. Le amministrazioni pubbliche adottano metodi e strumenti idonei a misurare, valutare e premiare la performance individuale e quella organizzativa, secondo criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell'interesse del destinatario dei servizi e degli interventi.


5. Il rispetto delle disposizioni del presente Titolo è condizione necessaria per l'erogazione di premi e componenti del trattamento retributivo legati alla performance e rileva ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell'attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali. 


5-bis. La valutazione negativa, come disciplinata nell'ambito del sistema di misurazione e valutazione della performance, rileva ai fini dell'accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell'irrogazione del licenziamento disciplinare ai sensi dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera f-quinquies), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ove resa a tali fini specifici nel rispetto delle disposizioni del presente decreto. 


6. Fermo quanto previsto dall' articolo 13, dall'applicazione delle disposizioni del presente Titolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate utilizzano a tale fine le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

mercoledì 8 maggio 2019

Come devono essere valutati più condotte ai fini del licenziamento disciplinare?

Cass. 02/05/2019, n. 11539


Nell'ipotesi in cui il licenziamento per giusta causa venga intimato a fronte di più condotte inadempienti addebitate, non necessariamente l'esistenza della giusta causa deve essere ritenuta solo con riferimento al complesso dei fatti contestati, potendo ciascuno di essi essere idoneo a giustificare la massima sanzione espulsiva. Allo stesso tempo il giudice, sebbene debba esaminare le condotte contestate non "atomisticamente" ma con riferimento anche alla concatenazione tra tutte, ha altresì l'obbligo di valutare la valenza disciplinare di ogni singola inadempienza, sia pure nel contesto complessivo della contestazione.

martedì 7 maggio 2019


Quando è legittimo il ricorso agli investigatori privati?



Tribunale di Padova Tribunale Padova Sez. lavoro, Sent., 08-11-2018 


I controlli del datore di lavoro , a mezzo di investigatori privati, sui dipendenti che operano all'esterno dei locali aziendali, sono legittimi qualora riguardino comportamenti illeciti e non semplici inadempimenti contrattuali. 

Svolgimento:

- costituitosi in udienza, il ricorrente eccepisce in primo luogo l'inutilizzabilità in giudizio dei dati risultanti dalla relazione investigativa, e la conseguente inammissibilità della testimonianza sui medesimi fatti da parte degli investigatori autori del pedinamento, prospettando che tale attività di indagine è stata compiuta in violazione degli artt. 3 e 4 dello statuto dei lavoratori;


- tanto premesso, deve essere chiarito che nel caso di specie non si verte in ipotesi di utilizzazione di "impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori", disciplinata dall'art. 4 dello statuto dei lavoratori, bensì nella diversa ipotesi di impiego di personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa, in relazione al quale l'art. 3 dello statuto dei lavoratori stabilisce che "i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati"; 

- nel caso di specie è pacifico che gli agenti investigativi cui è stata commissionata l'indagine non sono soggetti compresi nell'organico aziendale di A.H. s.p.a., né i rispettivi nomi sono stati preventivamente comunicati ai lavoratori interessati; 

- tuttavia, il diritto vivente consolidatosi in seno alla giurisprudenza sia di merito (v. Corte d'Appello di Roma, sent. 13.2.2013, est. G. Poscia; Trivunale di Veleltri, sent. 26.3.2006, F. A.; Tribunale di Venezia, ord. 8.10.2018, B. B.), sia di legittimità, ha tradizionalmente elaborato un'interpretazione marcatamente estensiva della norma in esame, in particolare stabilendo che il rigoroso divieto di controllo occulto sancito dall'art. 3 sull'attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali non opera nel caso in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite, quali ad esempio la violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (vedi Cass. n. 12810/2017), ovvero l'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, di permessi di cui all'art. 33 del L. n. 104 del 1992 (vedi Cass. n. 4984/2014), e a maggior ragione nel caso in cui si tratti di comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (vedi Cass. n. 5269 e 14383/2000). Si tratta, nella sostanza, dell'estensione all'ambito applicativo dell'art. 3 della dottrina dei cosiddetti "controlli difensivi", tradizionalmente elaborata con riferimento all'interpretazione dell'art.4 dello statuto dei lavoratori nella formulazione precedente alla novella introdotta dall'art. 23, comma 1 del D.Lgs. n. 151 del 2015; 

- resta invece fermo l'assoggettamento al rigoroso regime interdittivo stabilito dall'art. 3 di ogni controllo diretto a verificare il corretto adempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali su di lui imposti dal contratto di lavoro, in particolare con riferimento al diligente adempimento delle mansioni pattuite (vedi Cass. n. 21621/2018); 

- qualunque conclusione voglia trarsi in merito alla perdurante compatibilità della dottrina dei controlli difensivi rispetto alla nuova formulazione dell'art. 4 introdotta dal Jobs Act (v. Tribunale di Roma, ord. 13.6.2018, D. C., e di avviso contrario Tribunale della Spezia, ord. 25.11.2016, G. R.), essa non è di per sé estendibile all'art. 3, atteso che mentre la regolamentazione introdotta dal novellato art. 4, quantomeno in linea di principio, tende a definire una compiuta ed autosufficiente disciplina normativa in punto di liceità del controllo tramite impianti tecnologici ed utilizzabilità delle informazioni ottenute per mezzo di quest'ultimi, l'art. 3, rimasto immutato nella sua originaria formulazione, non presenta alcuna analogia strutturale rispetto all'art. 4 novellato; 

- tanto chiarito, si tratta di verificare se nel caso di specie le condotte addebitate al ricorrente costituiscano un mero inadempimento contrattuale, ovvero se esse integrino un'autonoma fattispecie di illecito civile ovvero penale; 

- è pacifico in causa che A.H. S.p.a. è una società a compartecipazione pubblica che gestisce, tra l'altro, il controllo delle aree di sosta della città di Padova, giusta incarico di affidamento dall'Amministrazione Comunale (doc. 1-visura camerale A.H. S.p.a.); 

- è altresì pacifico che la società resistente, nella propria qualità di incaricato in house di pubblico servizio, in adempimento del contratto di gestione della sosta intercorrente con il Comune di Padova ai sensi dell'art. 1.8 lett. c) si impegna "a fornire al Comune tutte le informazioni e i dati sul servizio svolto, statistici, amministrativi e contabili, necessari alla conoscenza del servizio e agli adempimenti relativi ai controlli sulla gestione di cui al punto 1.3". L'art. 1.16 istituisce poi l' "Ufficio di controllo del servizio e sorveglianza del Comune", il cui compito è quello di effettuare la verifica di tutte le attività relative ai rapporti del Comune con A. e di operare i necessari controlli sul servizio di gestione della sosta, nonché la vigilanza sulla regolarità dell'esercizio del servizio svolto dal concessionario (doc. 5-contratto di servizio per la gestione della sosta pubblica a Padova); 

- ciò è ulteriormente suffragato dalla circostanza che l'ausiliario del traffico riveste la qualità di pubblico ufficiale, quanto meno all'atto dell'accertamento della violazione di omesso pagamento della sosta e dell'irrogazione della relativa sanzione amministrativa; 

- pertanto, le condotte contestate al ricorrente risultano costituire un atto illecito rilevante non solo sotto il profilo della responsabilità civile del ricorrente nei confronti della società datrice di lavoro, ma anche sotto il possibile profilo della responsabilità civile e amministrativa che ricade sui concessionari di pubblico servizio nei confronti del Comune di Padova; 

- pertanto, il controllo operato nel caso di specie è da ricondursi alla categoria dei controlli difensivi, così come delineata dal diritto vivente, in quanto non indirizzato a verificare puramente e semplice il corretto adempimento dell'obbligazione lavorativa da parte del lavoratore; 

- deve altresì rilevarsi che l'attività di controllo sul lavoratore da parte del datore di lavoro deve essere in ogni caso compatibile con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di tutela della privacy. Come noto, l'art. 8 Cedu, così come gli altri diritti convenzionali c.d. "non assoluti" - quali, ad esempio, l'art. 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), l'art. 10 (libertà di espressione) l'art. 11 (libertà di riunione e di associazione), ovvero l'art. 2 del Protocollo n. (...) (libertà di circolazione) - presenta una struttura bipartita. Esso è costituito da un primo paragrafo enunciante il contenuto del diritto tutelato e da un secondo paragrafo che enuclea i tre presupposti in presenza dei quali ogni Stato membro è legittimato a sottoporre a restrizioni (interferences), eventualmente anche ad opera di privati nei rapporti orizzontali, l'esercizio del diritto definito dal primo paragrafo: a) che la restrizione trovi fondamento nella legge; b) che la restrizione sia giustificata dalla necessità di perseguire almeno una delle finalità legittime tassativamente elencate dalla norma; c) che la restrizione sia necessaria in una società democratica; 

- nel caso di specie, sicuramente deve considerarsi legittimo il fine cui il controllo è stato concretamente indirizzato, essendo quest'ultimo effettivamente individuabile nella necessità di assicurare "protezione dei diritti ... altrui" (art. 8 par. 2 CEDU), da identificarsi non solo nella salvaguardia degli interessi patrimoniali aziendali, ma anche nei concorrenti interessi, di rilevanza pubblicistica, della salvaguardia del patrimonio comunale e della corretta erogazione del servizio pubblico; 

- nemmeno è ragionevolmente contestabile che la restrizione al diritto alla privacy concretamente subita dal lavoratore trovi fondamento in una legge sufficientemente accessibile e prevedibile, attesa la consolidata interpretazione giurisprudenziale offerta dal diritto vivente in tema di controlli difensivi. Nella prospettiva convenzionale, una certa restrizione del diritto alla privacy può e deve essere considerata adeguatamente fondata sulla legge non solo in presenza di un fondamento legale certo ed esaustivo, bensì anche in presenza di orientamenti interpretativi giurisprudenziali consolidati i quali, così come avvenuto in K., permettano di colmare l'eventuale deficit di accessibilità e/o prevedibilità del dato legislativo formale; 

- per altro verso, le modalità procedurali di controllo implementate dalla società datrice di lavoro risultano essere necessarie in una società democratica in quanto proporzionate rispetto all'esigenza di bilanciare da un lato la tutela dell'interesse del concessionario di pubblico servizio-datore di lavoro, dall'altro lato l'interesse del lavoratore alla tutela della propria privacy; 

- in primo luogo, risulta che il controllo operato da A. per mezzo dell'agenzia investigativa non si è risolto in una misura di monitoraggio diretta a colpire indistintamente l'intero staff degli agenti addetti al controllo delle soste, bensì è consistita in un'attività di controllo specificamente indirizzata nei confronti di un particolare lavoratore indiziato della commissione di condotte illecite precisamente delineate (v. sul punto i principi generali elaborati in materia di tutela della privacy sul luogo di lavoro ex art. 8 CEDU da Corte EDU, 5 settembre 2017, K. c. Germania, n. 420/07; v. arg. a contrario ex Corte EDU, 9 gennaio 2018, L.R. c. Spagna, n. 1874/2013); 

- in secondo luogo, l'avvio dell'attività di controllo per mezzo dell'agenzia investigativa non è frutto di un'iniziativa arbitraria ed estemporanea del datore di lavoro, bensì è conseguenza delle anomalie riscontrate negli accessi alla banca dati dei pagamenti delle soste, risultanti dai tabulati statistici aziendali. Tale circostanza offre una base giustificativa oggettiva a fondamento delle successive iniziative di verifica intraprese dalla società datrice di lavoro; 

- in terzo luogo, A. ha fatto ricorso ad uno strumento di indagine che risulta essere il meno invasivo tra quelli concretamente disponibili e comunque utili allo scopo (v. Corte EDU, GC, 5 settembre 2017, B. c. Romania, n. 61496/08); 

- ciò premesso, deve ritenersi legittima l'attività di controllo posta in essere da A.H. S.p.a. a carico del ricorrente anche sotto il profilo della proporzione. Non vi sono pertanto ostacoli all'utilizzazione in giudizio delle risultanze investigative emerse dalla relazione investigativa di cui al doc. 7; 



Cass. 11/06/2018, n. 15094 

In tema di libertà e dignità del lavoratore, il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa del lavoratore da parte di investigatori privati incaricati dal datore di lavoro vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi. Simmetricamente, ove il controllo demandato all'agenzia investigativa non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell'orario di lavoro , esso è legittimo, come nel caso di verifica sull'attività extra lavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104. 

Motivazione:

che in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un'agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica; 

che tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un'agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, nè l'adempimento, nè l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003); 

che tale fermo principio è stato sempre ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l'intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; più di recente Cass. n. 15867 del 2017, con la giurisprudenza conforme ivi citata); nè a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 16196 del 2009; per la legittimità del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell'addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008); 

che il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000); 

che, simmetricamente, ove il controllo demandato all'agenzia investigativa non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell'orario di lavoro, esso è legittimo, come nel caso di verifica sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (Cass. n. 12810 del 2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi L. n. 104 del 1992, ex art. 33 (v. Cass. n. 4984 del 2014); 

che dunque risulta errata in diritto l'affermazione della Corte territoriale secondo cui "nessun divieto può configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro", senza alcun riferimento ad attività concorrenziali del F. o altrimenti fraudolente, avendo poi accertato la legittimità del licenziamento secondo quanto dalla medesima Corte romana statuito - proprio per comportamenti che "determinano la violazione del dovere di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa"; 




Cass. 18-07-2017, n. 17723


La Corte territoriale riteneva legittimo il controllo investigativo disposto dal datore di lavoro tenuto conto delle mansioni del G. che in gran parte della sua attività lavorativa era in viaggio per l'Italia per cui una ventina di giorni di pedinamento si rivelavano necessari; inoltre si trattava di un controllo diretto ad accertare eventuali illeciti e la raccolta di informazioni sulla vita privata del lavoratore derivava dal mancato inserimento di tre giorni di ferie nel sistema Gerit e della vicenda del mancato rientro nella sede di provenienza dalla trasferta di (OMISSIS). Eventuali altri aspetti di violazione della privacy potevano al più legittimare pretese di risarcimento del danno nei confronti dell'Agenzia investigativa. Il periodo intercorso di un mese tra la raccolta delle informazioni e la contestazione disciplinare era del tutto congruo rispetto ad una ponderata valutazione dei fatti. La Corte riteneva irrilevante sul piano disciplinare la vicenda relativa alla trasferta in (OMISSIS), di scarsa rilevanza le assenze nei giorni 13, 16, 17 Dicembre perchè le assenze erano state autorizzate ed il G. aveva solo omesso la registrazione delle stesse secondo il sistema Gerit; ma erano state dimostrate la mancata presenza al lavoro per il 2 gennaio e l'essersi allontanato il lavoratore anticipatamente in cinque differenti giorni (anche se non aveva attività da svolgere il G. non avrebbe comunque potuto allontanarsi anticipatamente). Tali episodi risultavano dimostrati ma non erano così gravi da giustificare il recesso con conseguente riconoscimento per il lavoratore dell'indennità prevista dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, che veniva liquidata nella misura minima di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. 

La prima doglianza concerne l'applicabilità della normativa statutaria alla fattispecie in esame in virtù di una interpretazione estensiva ed analogica delle norme di cui alla L. n. 300 del 1970, artt. 3, 4 ed 8, per la quale non sussistono, però, i presupposti in quanto nel caso in esame si tratta di un'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del "controllo difensivo" da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro (cfr. Cass. 26 Novembre 2014, n. 25162 e molte ancora). Le invocate norme in piena evidenza non possono applicarsi a casi come quello in esame come del resto mai affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che conseguentemente non è richiamata nel ricorso. Parte ricorrente deduce ancora che in realtà non si trattasse di un vero "controllo difensivo" posto che sussistevano solo "voci di corridoio" a carico del G.; anche questa censura appare non accoglibile posto che si tratta di allegazioni di merito che non trovano riscontri nella ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello. Inoltre non vi è dubbio che anche per le giornate di assenza si siano verificate numerose irregolarità quantomeno nelle modalità di trasmissione dei dati. Condivisibili appaiono invece le considerazioni in ordine al doveroso rispetto da parte anche di un'Agenzia investigativa, in relazione ad un controllo cosidetto "difensivo" disposto dal datore di lavoro ed eseguito al di fuori della sfera lavorativa propriamente intesa, delle norme di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003. La tesi, affermata nella sentenza impugnata, per cui eventuali aspetti di violazione della privacy potrebbero solo legittimare pretese di risarcimento del danno nei confronti di soggetti terzi diversi dal datore di lavoro è certamente errata perchè la violazione dei principi fissati dal cosiddetto "codice della privacy" del 2003 condurrebbe alla inutilizzabilità processuale ed ancor prima disciplinare dei dati. Una soluzione opposta porrebbe il sistema interno in tensione con una disciplina di derivazione sovranazionale; peraltro nel complesso dibattito dottrinario che ha seguito la revisione della L. n. 300 del 1970, art. 4, che ha reso la norma più permissiva ma ha richiamato circa l'utilizzabilità delle informazioni raccolte la regolamentazione sulla privacy la prevalenza degli Autori hanno sottolineato che questo richiamo è ad abundantiam, solo a fini di rafforzamento della certezza del diritto, perchè l'obbligo di rispettare tale normativa sussisteva anche prima. Tuttavia le corrette e condivisibili osservazioni introdotte nel motivo non possono portare al suo accoglimento. Infatti l'invasività dei controlli dal punto di vista meramente quantitativo (i giorni del pedinamento) è già stata esaminata nel merito dalla Corte di appello che ha rilevato che la durata (circa 20 giorni) non eccedeva i principi di adeguatezza e proporzionalità. Mentre sul punto dell'invasività sostanziale e cioè l'avere l'indagine indebitamente invaso i profili privati e personali estranei all'oggetto di questa le deduzioni sono del tutto generiche: non si specifica che tipo di domanda ed a chi indirizzata sia stata indebitamente rivolta, su che temi e che tipo di ingerenza abbia rappresentato. Non sono stati offerti, quindi, elementi in concreto per poter ritenere che sia stato violato il principio di proporzionalità e di aderenza all'oggetto dell'indagine ed al suo scopo così come ricostruiti nella giurisprudenza di legittimità e nei provvedimenti del Garante, anche alla luce degli orientamenti delle due Corti europee che sul tema hanno offerto una copiosa giurisprudenza. Pertanto il motivo, pur svolgendo in linea generale apprezzabili e condivisibili censure in punto di diritto, va rigettato. 




Cass. 22/05/2017, n. 12810


Il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un'agenzia investigativa, sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, non è precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 st. lav., poiché non riguarda l'adempimento della prestazione lavorativa, ma un comportamento illegittimo, posto in essere al di fuori dell'orario di lavoro, disciplinarmente rilevante e fonte di danni per il datore di lavoro. (Rigetta, TRIBUNALE GROSSETO, 18/12/2013) 


Tribunale Milano Sez. lavoro, 12/08/2016 

È legittimo il controllo effettuato dal datore di lavoro in ordine all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi di cui all'art. 33, L. n. 104 del 1992, anche qualora demandato ad un'agenzia investigativa. Ciò in quanto detto controllo non riguarda l'adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell'orario di lavoro e in fase di sospensione dell'obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, di talché lo stesso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970). 


Cass. 12-10-2015, n. 20440 


E' legittimo il licenziamento disciplinare irrogato al coordinatore di altri dipendenti addetti alla nettezza urbana in vari comuni per aver sostato al bar oltre il limite delle pause dal lavoro, in base agli elementi acquisiti in esito alle indagini di investigatori privati, nonché ai rilevamenti di un sistema satellitare GPS installato sull'autovettura affidatagli per l'esecuzione della prestazione lavorativa. 

Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 4, sostenendo l'illegittimità dal licenziamento, preceduto dall'utilizzazione di investigatori privati e del sistema satellitare GPS, di rilevamento dei movimenti dell'autovettura affidata per l'esecuzione della prestazione lavorativa. 

Il motivo non è fondato. 

Gli artt. 2, 3 e 4, L. cit. impongono modi d'impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell'obbligazione lavorativa ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonchè illeciti. Controlli eseguibili anche mediante agenzie investigative private (Cass. 4 marzo 2014 n. 4984, 23 febbraio 2012 n. 2722, 14 febbraio 2011 n. 3590, 7 giugno 2003 n. 9167, 3 aprile 2002 n. 4746, 17 ottobre 1998 n. 10313, 25 gennaio 1992 n. 829). 


Cass. civ. Sez. lavoro, 04/12/2014, n. 25674


E' legittimo il licenziamento disciplinare irrogato all'addetta alla cassa di un supermercato, in base all'accertamento, ottenuto tramite agenzia investigativa, dell'omessa registrazione, da parte della dipendente, di alcune vendite e della conseguente appropriazione dei relativi importi. 


Corte Appello Milano 2003

La libertà di cui gode il venditore nella gestione del tempo e delle modalità di lavoro non lo esonera dal dare conto dell'attività prestata nella giornata, essendo essenziale, al di là del risultato di vendita, anche la sua assidua e attiva presenza nella zona assegnatagli, in questo genere di rapporti l'elemento fiduciario, proprio per l'impossibilita di effettuare i controlli sistematici tipici del rapporto di lavoro subordinato, assume un connotato particolare. È legittimo l'uso di investigatori privati quando il datore di lavoro abbia dei sospetti sulle modalità di svolgimento della prestazione da parte di dipendenti che operano al di fuori dalla sede aziendale.


Cass. 03/11/2000, n. 14383 

La prestazione d'opera del lavoratore subordinato a favore di terzi concorrenti costituisce violazione dell'obbligo di fedeltà, che è irrilevante sotto il profilo penale se compiuta fuori del normale orario di lavoro, mentre integra gli estremi del delitto di truffa se è esercitata, da parte di un soggetto che lucra la retribuzione fingendo di svolgere il lavoro che gli è stato affidato, durante l'orario in cui dovrebbe svolgersi la prestazione concordata. Ne consegue che, ove sorga il dubbio che un dipendente incaricato di mansioni da espletare al di fuori dei locali dell'azienda in realtà si renda responsabile di un comportamento illecito di tal genere, è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verifiche al riguardo, dato che queste non sono rivolte ad accertare la diligenza del dipendente nello svolgimento dell'attività lavorative potendo, in dette circostanze, il datore di lavoro avvalersi dell'opera di dipendenti di un'agenzia investigativa.













lunedì 6 maggio 2019

In caso di reintegra dove deve essere collocato il lavoratore?


Cass. 23/04/2019, n. 11180

L'ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell'apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell'attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive.

venerdì 3 maggio 2019

Come è disciplinato il reato di "Omissione o falsità di registrazione o denuncia obbligatoria"?



L'art. 37 della legge 1981 n. 689 prevede:

Omissione o falsità di registrazione o denuncia obbligatoria

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra euro 2582,28 mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti. 


2. Fermo restando l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, qualora l'evasione accertata formi oggetto di ricorso amministrativo o giudiziario il procedimento penale è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale, fino al momento della decisione dell'organo amministrativo o giudiziario di primo grado.


3. La regolarizzazione dell'inadempienza accertata, anche attraverso dilazione, estingue il reato.


4. Entro novanta giorni l'ente impositore è tenuto a dare comunicazione all'autorità giudiziaria dell'avvenuta regolarizzazione o dell'esito del ricorso amministrativo o giudiziario.

giovedì 2 maggio 2019

Come è disciplinata la cessione degli stipendi dei lavoratori con contratto di diritto privato?

In base all'art. 52 del DPR 180 del 1950 (Impiegati e salariati a tempo indeterminato o con contratti collettivi di lavoro)

Gli impiegati e salariati delle amministrazioni indicate nel precedente articolo, assunti in servizio a tempo indeterminato a norma della legge sui contratti d'impiego privato od in base a contratti collettivi di lavoro, possono fare cessione di quote di stipendio o di salario non superiore al quinto per un periodo non superiore ai dieci anni, quando siano addetti a servizi di carattere permanente, siano provvisti di stipendio o salario fisso e continuativo.

Nei confronti dei medesimi impiegati e salariati assunti in servizio a tempo determinato, la cessione del quinto dello stipendio o del salario non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell'operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere dai soggetti di cui al precedente e al presente comma non si applica il limite del quinto .

I titolari dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile con gli enti e le amministrazioni di cui all'articolo 1, primo comma, del presente testo unico, di durata non inferiore a dodici mesi, possono cedere un quinto del loro compenso, valutato al netto delle ritenute fiscali, purchè questo abbia carattere certo e continuativo. La cessione non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell'operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. I compensi corrisposti a tali soggetti sono sequestrabili e pignorabili nei limiti di cui all'articolo 545 del codice di procedura civile

mercoledì 1 maggio 2019

Come disciplina il passaggio dei piloti tra il personale navigante il ccnl piloti elicotteri?



art. 38 – Assunzione del Pilota tra il personale non navigante 
1. Il Pilota non più idoneo al servizio di volo, anche per causa di malattia, ha diritto ad essere interpellato e, qualora in possesso dei requisiti richiesti, preferito nelle assunzioni di posti per il personale non navigante, per la durata di 3 anni dalla data di risoluzione del suo rapporto di lavoro.
 2. In caso di assunzione tra il personale non navigante, il Pilota ha diritto al normale trattamento di fine rapporto, con applicazione di una nuova normativa diversa dalla presente
La pensione di invalidità è assimilato a reddito da lavoro dipendente?

Cass. 18/04/2019, n. 10887

Sono redditi da lavoro dipendente le pensioni di qualsiasi genere, pertanto anche le somme percepite a titolo di pensione d'invalidità. A norma dell'art. 17, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), si applica il regime della tassazione separata agli "emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti". Pertanto, le somme percepite a titolo di arretrati di pensione d'invalidità trova applicazione il principio di cassa, con la conseguenza che tali somme devono essere assoggettate a tassazione secondo i criteri vigenti nel periodo d'imposta in cui si e verificato il relativo pagamento.