martedì 7 maggio 2019


Quando è legittimo il ricorso agli investigatori privati?



Tribunale di Padova Tribunale Padova Sez. lavoro, Sent., 08-11-2018 


I controlli del datore di lavoro , a mezzo di investigatori privati, sui dipendenti che operano all'esterno dei locali aziendali, sono legittimi qualora riguardino comportamenti illeciti e non semplici inadempimenti contrattuali. 

Svolgimento:

- costituitosi in udienza, il ricorrente eccepisce in primo luogo l'inutilizzabilità in giudizio dei dati risultanti dalla relazione investigativa, e la conseguente inammissibilità della testimonianza sui medesimi fatti da parte degli investigatori autori del pedinamento, prospettando che tale attività di indagine è stata compiuta in violazione degli artt. 3 e 4 dello statuto dei lavoratori;


- tanto premesso, deve essere chiarito che nel caso di specie non si verte in ipotesi di utilizzazione di "impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori", disciplinata dall'art. 4 dello statuto dei lavoratori, bensì nella diversa ipotesi di impiego di personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa, in relazione al quale l'art. 3 dello statuto dei lavoratori stabilisce che "i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati"; 

- nel caso di specie è pacifico che gli agenti investigativi cui è stata commissionata l'indagine non sono soggetti compresi nell'organico aziendale di A.H. s.p.a., né i rispettivi nomi sono stati preventivamente comunicati ai lavoratori interessati; 

- tuttavia, il diritto vivente consolidatosi in seno alla giurisprudenza sia di merito (v. Corte d'Appello di Roma, sent. 13.2.2013, est. G. Poscia; Trivunale di Veleltri, sent. 26.3.2006, F. A.; Tribunale di Venezia, ord. 8.10.2018, B. B.), sia di legittimità, ha tradizionalmente elaborato un'interpretazione marcatamente estensiva della norma in esame, in particolare stabilendo che il rigoroso divieto di controllo occulto sancito dall'art. 3 sull'attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali non opera nel caso in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite, quali ad esempio la violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (vedi Cass. n. 12810/2017), ovvero l'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, di permessi di cui all'art. 33 del L. n. 104 del 1992 (vedi Cass. n. 4984/2014), e a maggior ragione nel caso in cui si tratti di comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (vedi Cass. n. 5269 e 14383/2000). Si tratta, nella sostanza, dell'estensione all'ambito applicativo dell'art. 3 della dottrina dei cosiddetti "controlli difensivi", tradizionalmente elaborata con riferimento all'interpretazione dell'art.4 dello statuto dei lavoratori nella formulazione precedente alla novella introdotta dall'art. 23, comma 1 del D.Lgs. n. 151 del 2015; 

- resta invece fermo l'assoggettamento al rigoroso regime interdittivo stabilito dall'art. 3 di ogni controllo diretto a verificare il corretto adempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali su di lui imposti dal contratto di lavoro, in particolare con riferimento al diligente adempimento delle mansioni pattuite (vedi Cass. n. 21621/2018); 

- qualunque conclusione voglia trarsi in merito alla perdurante compatibilità della dottrina dei controlli difensivi rispetto alla nuova formulazione dell'art. 4 introdotta dal Jobs Act (v. Tribunale di Roma, ord. 13.6.2018, D. C., e di avviso contrario Tribunale della Spezia, ord. 25.11.2016, G. R.), essa non è di per sé estendibile all'art. 3, atteso che mentre la regolamentazione introdotta dal novellato art. 4, quantomeno in linea di principio, tende a definire una compiuta ed autosufficiente disciplina normativa in punto di liceità del controllo tramite impianti tecnologici ed utilizzabilità delle informazioni ottenute per mezzo di quest'ultimi, l'art. 3, rimasto immutato nella sua originaria formulazione, non presenta alcuna analogia strutturale rispetto all'art. 4 novellato; 

- tanto chiarito, si tratta di verificare se nel caso di specie le condotte addebitate al ricorrente costituiscano un mero inadempimento contrattuale, ovvero se esse integrino un'autonoma fattispecie di illecito civile ovvero penale; 

- è pacifico in causa che A.H. S.p.a. è una società a compartecipazione pubblica che gestisce, tra l'altro, il controllo delle aree di sosta della città di Padova, giusta incarico di affidamento dall'Amministrazione Comunale (doc. 1-visura camerale A.H. S.p.a.); 

- è altresì pacifico che la società resistente, nella propria qualità di incaricato in house di pubblico servizio, in adempimento del contratto di gestione della sosta intercorrente con il Comune di Padova ai sensi dell'art. 1.8 lett. c) si impegna "a fornire al Comune tutte le informazioni e i dati sul servizio svolto, statistici, amministrativi e contabili, necessari alla conoscenza del servizio e agli adempimenti relativi ai controlli sulla gestione di cui al punto 1.3". L'art. 1.16 istituisce poi l' "Ufficio di controllo del servizio e sorveglianza del Comune", il cui compito è quello di effettuare la verifica di tutte le attività relative ai rapporti del Comune con A. e di operare i necessari controlli sul servizio di gestione della sosta, nonché la vigilanza sulla regolarità dell'esercizio del servizio svolto dal concessionario (doc. 5-contratto di servizio per la gestione della sosta pubblica a Padova); 

- ciò è ulteriormente suffragato dalla circostanza che l'ausiliario del traffico riveste la qualità di pubblico ufficiale, quanto meno all'atto dell'accertamento della violazione di omesso pagamento della sosta e dell'irrogazione della relativa sanzione amministrativa; 

- pertanto, le condotte contestate al ricorrente risultano costituire un atto illecito rilevante non solo sotto il profilo della responsabilità civile del ricorrente nei confronti della società datrice di lavoro, ma anche sotto il possibile profilo della responsabilità civile e amministrativa che ricade sui concessionari di pubblico servizio nei confronti del Comune di Padova; 

- pertanto, il controllo operato nel caso di specie è da ricondursi alla categoria dei controlli difensivi, così come delineata dal diritto vivente, in quanto non indirizzato a verificare puramente e semplice il corretto adempimento dell'obbligazione lavorativa da parte del lavoratore; 

- deve altresì rilevarsi che l'attività di controllo sul lavoratore da parte del datore di lavoro deve essere in ogni caso compatibile con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di tutela della privacy. Come noto, l'art. 8 Cedu, così come gli altri diritti convenzionali c.d. "non assoluti" - quali, ad esempio, l'art. 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), l'art. 10 (libertà di espressione) l'art. 11 (libertà di riunione e di associazione), ovvero l'art. 2 del Protocollo n. (...) (libertà di circolazione) - presenta una struttura bipartita. Esso è costituito da un primo paragrafo enunciante il contenuto del diritto tutelato e da un secondo paragrafo che enuclea i tre presupposti in presenza dei quali ogni Stato membro è legittimato a sottoporre a restrizioni (interferences), eventualmente anche ad opera di privati nei rapporti orizzontali, l'esercizio del diritto definito dal primo paragrafo: a) che la restrizione trovi fondamento nella legge; b) che la restrizione sia giustificata dalla necessità di perseguire almeno una delle finalità legittime tassativamente elencate dalla norma; c) che la restrizione sia necessaria in una società democratica; 

- nel caso di specie, sicuramente deve considerarsi legittimo il fine cui il controllo è stato concretamente indirizzato, essendo quest'ultimo effettivamente individuabile nella necessità di assicurare "protezione dei diritti ... altrui" (art. 8 par. 2 CEDU), da identificarsi non solo nella salvaguardia degli interessi patrimoniali aziendali, ma anche nei concorrenti interessi, di rilevanza pubblicistica, della salvaguardia del patrimonio comunale e della corretta erogazione del servizio pubblico; 

- nemmeno è ragionevolmente contestabile che la restrizione al diritto alla privacy concretamente subita dal lavoratore trovi fondamento in una legge sufficientemente accessibile e prevedibile, attesa la consolidata interpretazione giurisprudenziale offerta dal diritto vivente in tema di controlli difensivi. Nella prospettiva convenzionale, una certa restrizione del diritto alla privacy può e deve essere considerata adeguatamente fondata sulla legge non solo in presenza di un fondamento legale certo ed esaustivo, bensì anche in presenza di orientamenti interpretativi giurisprudenziali consolidati i quali, così come avvenuto in K., permettano di colmare l'eventuale deficit di accessibilità e/o prevedibilità del dato legislativo formale; 

- per altro verso, le modalità procedurali di controllo implementate dalla società datrice di lavoro risultano essere necessarie in una società democratica in quanto proporzionate rispetto all'esigenza di bilanciare da un lato la tutela dell'interesse del concessionario di pubblico servizio-datore di lavoro, dall'altro lato l'interesse del lavoratore alla tutela della propria privacy; 

- in primo luogo, risulta che il controllo operato da A. per mezzo dell'agenzia investigativa non si è risolto in una misura di monitoraggio diretta a colpire indistintamente l'intero staff degli agenti addetti al controllo delle soste, bensì è consistita in un'attività di controllo specificamente indirizzata nei confronti di un particolare lavoratore indiziato della commissione di condotte illecite precisamente delineate (v. sul punto i principi generali elaborati in materia di tutela della privacy sul luogo di lavoro ex art. 8 CEDU da Corte EDU, 5 settembre 2017, K. c. Germania, n. 420/07; v. arg. a contrario ex Corte EDU, 9 gennaio 2018, L.R. c. Spagna, n. 1874/2013); 

- in secondo luogo, l'avvio dell'attività di controllo per mezzo dell'agenzia investigativa non è frutto di un'iniziativa arbitraria ed estemporanea del datore di lavoro, bensì è conseguenza delle anomalie riscontrate negli accessi alla banca dati dei pagamenti delle soste, risultanti dai tabulati statistici aziendali. Tale circostanza offre una base giustificativa oggettiva a fondamento delle successive iniziative di verifica intraprese dalla società datrice di lavoro; 

- in terzo luogo, A. ha fatto ricorso ad uno strumento di indagine che risulta essere il meno invasivo tra quelli concretamente disponibili e comunque utili allo scopo (v. Corte EDU, GC, 5 settembre 2017, B. c. Romania, n. 61496/08); 

- ciò premesso, deve ritenersi legittima l'attività di controllo posta in essere da A.H. S.p.a. a carico del ricorrente anche sotto il profilo della proporzione. Non vi sono pertanto ostacoli all'utilizzazione in giudizio delle risultanze investigative emerse dalla relazione investigativa di cui al doc. 7; 



Cass. 11/06/2018, n. 15094 

In tema di libertà e dignità del lavoratore, il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa del lavoratore da parte di investigatori privati incaricati dal datore di lavoro vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti, come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi. Simmetricamente, ove il controllo demandato all'agenzia investigativa non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell'orario di lavoro , esso è legittimo, come nel caso di verifica sull'attività extra lavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104. 

Motivazione:

che in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un'agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica; 

che tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un'agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, nè l'adempimento, nè l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003); 

che tale fermo principio è stato sempre ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l'intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; più di recente Cass. n. 15867 del 2017, con la giurisprudenza conforme ivi citata); nè a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 16196 del 2009; per la legittimità del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell'addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008); 

che il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000); 

che, simmetricamente, ove il controllo demandato all'agenzia investigativa non abbia ad oggetto l'adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell'orario di lavoro, esso è legittimo, come nel caso di verifica sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (Cass. n. 12810 del 2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi L. n. 104 del 1992, ex art. 33 (v. Cass. n. 4984 del 2014); 

che dunque risulta errata in diritto l'affermazione della Corte territoriale secondo cui "nessun divieto può configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro", senza alcun riferimento ad attività concorrenziali del F. o altrimenti fraudolente, avendo poi accertato la legittimità del licenziamento secondo quanto dalla medesima Corte romana statuito - proprio per comportamenti che "determinano la violazione del dovere di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa"; 




Cass. 18-07-2017, n. 17723


La Corte territoriale riteneva legittimo il controllo investigativo disposto dal datore di lavoro tenuto conto delle mansioni del G. che in gran parte della sua attività lavorativa era in viaggio per l'Italia per cui una ventina di giorni di pedinamento si rivelavano necessari; inoltre si trattava di un controllo diretto ad accertare eventuali illeciti e la raccolta di informazioni sulla vita privata del lavoratore derivava dal mancato inserimento di tre giorni di ferie nel sistema Gerit e della vicenda del mancato rientro nella sede di provenienza dalla trasferta di (OMISSIS). Eventuali altri aspetti di violazione della privacy potevano al più legittimare pretese di risarcimento del danno nei confronti dell'Agenzia investigativa. Il periodo intercorso di un mese tra la raccolta delle informazioni e la contestazione disciplinare era del tutto congruo rispetto ad una ponderata valutazione dei fatti. La Corte riteneva irrilevante sul piano disciplinare la vicenda relativa alla trasferta in (OMISSIS), di scarsa rilevanza le assenze nei giorni 13, 16, 17 Dicembre perchè le assenze erano state autorizzate ed il G. aveva solo omesso la registrazione delle stesse secondo il sistema Gerit; ma erano state dimostrate la mancata presenza al lavoro per il 2 gennaio e l'essersi allontanato il lavoratore anticipatamente in cinque differenti giorni (anche se non aveva attività da svolgere il G. non avrebbe comunque potuto allontanarsi anticipatamente). Tali episodi risultavano dimostrati ma non erano così gravi da giustificare il recesso con conseguente riconoscimento per il lavoratore dell'indennità prevista dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, che veniva liquidata nella misura minima di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. 

La prima doglianza concerne l'applicabilità della normativa statutaria alla fattispecie in esame in virtù di una interpretazione estensiva ed analogica delle norme di cui alla L. n. 300 del 1970, artt. 3, 4 ed 8, per la quale non sussistono, però, i presupposti in quanto nel caso in esame si tratta di un'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del "controllo difensivo" da parte del datore di lavoro in una sfera eccedente i luoghi di lavoro (cfr. Cass. 26 Novembre 2014, n. 25162 e molte ancora). Le invocate norme in piena evidenza non possono applicarsi a casi come quello in esame come del resto mai affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che conseguentemente non è richiamata nel ricorso. Parte ricorrente deduce ancora che in realtà non si trattasse di un vero "controllo difensivo" posto che sussistevano solo "voci di corridoio" a carico del G.; anche questa censura appare non accoglibile posto che si tratta di allegazioni di merito che non trovano riscontri nella ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello. Inoltre non vi è dubbio che anche per le giornate di assenza si siano verificate numerose irregolarità quantomeno nelle modalità di trasmissione dei dati. Condivisibili appaiono invece le considerazioni in ordine al doveroso rispetto da parte anche di un'Agenzia investigativa, in relazione ad un controllo cosidetto "difensivo" disposto dal datore di lavoro ed eseguito al di fuori della sfera lavorativa propriamente intesa, delle norme di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003. La tesi, affermata nella sentenza impugnata, per cui eventuali aspetti di violazione della privacy potrebbero solo legittimare pretese di risarcimento del danno nei confronti di soggetti terzi diversi dal datore di lavoro è certamente errata perchè la violazione dei principi fissati dal cosiddetto "codice della privacy" del 2003 condurrebbe alla inutilizzabilità processuale ed ancor prima disciplinare dei dati. Una soluzione opposta porrebbe il sistema interno in tensione con una disciplina di derivazione sovranazionale; peraltro nel complesso dibattito dottrinario che ha seguito la revisione della L. n. 300 del 1970, art. 4, che ha reso la norma più permissiva ma ha richiamato circa l'utilizzabilità delle informazioni raccolte la regolamentazione sulla privacy la prevalenza degli Autori hanno sottolineato che questo richiamo è ad abundantiam, solo a fini di rafforzamento della certezza del diritto, perchè l'obbligo di rispettare tale normativa sussisteva anche prima. Tuttavia le corrette e condivisibili osservazioni introdotte nel motivo non possono portare al suo accoglimento. Infatti l'invasività dei controlli dal punto di vista meramente quantitativo (i giorni del pedinamento) è già stata esaminata nel merito dalla Corte di appello che ha rilevato che la durata (circa 20 giorni) non eccedeva i principi di adeguatezza e proporzionalità. Mentre sul punto dell'invasività sostanziale e cioè l'avere l'indagine indebitamente invaso i profili privati e personali estranei all'oggetto di questa le deduzioni sono del tutto generiche: non si specifica che tipo di domanda ed a chi indirizzata sia stata indebitamente rivolta, su che temi e che tipo di ingerenza abbia rappresentato. Non sono stati offerti, quindi, elementi in concreto per poter ritenere che sia stato violato il principio di proporzionalità e di aderenza all'oggetto dell'indagine ed al suo scopo così come ricostruiti nella giurisprudenza di legittimità e nei provvedimenti del Garante, anche alla luce degli orientamenti delle due Corti europee che sul tema hanno offerto una copiosa giurisprudenza. Pertanto il motivo, pur svolgendo in linea generale apprezzabili e condivisibili censure in punto di diritto, va rigettato. 




Cass. 22/05/2017, n. 12810


Il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un'agenzia investigativa, sull'attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, non è precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 st. lav., poiché non riguarda l'adempimento della prestazione lavorativa, ma un comportamento illegittimo, posto in essere al di fuori dell'orario di lavoro, disciplinarmente rilevante e fonte di danni per il datore di lavoro. (Rigetta, TRIBUNALE GROSSETO, 18/12/2013) 


Tribunale Milano Sez. lavoro, 12/08/2016 

È legittimo il controllo effettuato dal datore di lavoro in ordine all'accertamento dell'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi di cui all'art. 33, L. n. 104 del 1992, anche qualora demandato ad un'agenzia investigativa. Ciò in quanto detto controllo non riguarda l'adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell'orario di lavoro e in fase di sospensione dell'obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa, di talché lo stesso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300 del 1970). 


Cass. 12-10-2015, n. 20440 


E' legittimo il licenziamento disciplinare irrogato al coordinatore di altri dipendenti addetti alla nettezza urbana in vari comuni per aver sostato al bar oltre il limite delle pause dal lavoro, in base agli elementi acquisiti in esito alle indagini di investigatori privati, nonché ai rilevamenti di un sistema satellitare GPS installato sull'autovettura affidatagli per l'esecuzione della prestazione lavorativa. 

Col secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 4, sostenendo l'illegittimità dal licenziamento, preceduto dall'utilizzazione di investigatori privati e del sistema satellitare GPS, di rilevamento dei movimenti dell'autovettura affidata per l'esecuzione della prestazione lavorativa. 

Il motivo non è fondato. 

Gli artt. 2, 3 e 4, L. cit. impongono modi d'impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell'obbligazione lavorativa ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonchè illeciti. Controlli eseguibili anche mediante agenzie investigative private (Cass. 4 marzo 2014 n. 4984, 23 febbraio 2012 n. 2722, 14 febbraio 2011 n. 3590, 7 giugno 2003 n. 9167, 3 aprile 2002 n. 4746, 17 ottobre 1998 n. 10313, 25 gennaio 1992 n. 829). 


Cass. civ. Sez. lavoro, 04/12/2014, n. 25674


E' legittimo il licenziamento disciplinare irrogato all'addetta alla cassa di un supermercato, in base all'accertamento, ottenuto tramite agenzia investigativa, dell'omessa registrazione, da parte della dipendente, di alcune vendite e della conseguente appropriazione dei relativi importi. 


Corte Appello Milano 2003

La libertà di cui gode il venditore nella gestione del tempo e delle modalità di lavoro non lo esonera dal dare conto dell'attività prestata nella giornata, essendo essenziale, al di là del risultato di vendita, anche la sua assidua e attiva presenza nella zona assegnatagli, in questo genere di rapporti l'elemento fiduciario, proprio per l'impossibilita di effettuare i controlli sistematici tipici del rapporto di lavoro subordinato, assume un connotato particolare. È legittimo l'uso di investigatori privati quando il datore di lavoro abbia dei sospetti sulle modalità di svolgimento della prestazione da parte di dipendenti che operano al di fuori dalla sede aziendale.


Cass. 03/11/2000, n. 14383 

La prestazione d'opera del lavoratore subordinato a favore di terzi concorrenti costituisce violazione dell'obbligo di fedeltà, che è irrilevante sotto il profilo penale se compiuta fuori del normale orario di lavoro, mentre integra gli estremi del delitto di truffa se è esercitata, da parte di un soggetto che lucra la retribuzione fingendo di svolgere il lavoro che gli è stato affidato, durante l'orario in cui dovrebbe svolgersi la prestazione concordata. Ne consegue che, ove sorga il dubbio che un dipendente incaricato di mansioni da espletare al di fuori dei locali dell'azienda in realtà si renda responsabile di un comportamento illecito di tal genere, è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verifiche al riguardo, dato che queste non sono rivolte ad accertare la diligenza del dipendente nello svolgimento dell'attività lavorative potendo, in dette circostanze, il datore di lavoro avvalersi dell'opera di dipendenti di un'agenzia investigativa.













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