mercoledì 22 maggio 2019

La clausola di gradimento del committente può determinare la necessità di spostare un lavoratore da parte dell'appaltatrice?

Cass. Num. 10071 Anno 2016

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. da 1362 a 1372 c.c. nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., imputa alla Corte territoriale il mancato rispetto dei criteri legali di interpretazione dei contratti, in quanto applicabili anche agli atti unilaterali, laddove ha letto le comunicazioni inviate dalla Società cooperativa datrice di lavoro al ricorrente, discostandosi dal tenore letterale delle stesse, non quale mera proposta di rendersi disponibile al proprio impiego presso un servizio in appalto gestito dalla Cooperativa medesima diverso da quello cui era addetto per essere risultato sgradito al committente, bensì come atti di disposizione del trasferimento, casi da imputare al ricorrente il rifiuto dell'ordine di servizio.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., il ricorrente deduce l'erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla configurabilità del mancato gradimento del lavoratore da parte dell'appaltante quale idonea ragione giustificativa del trasferimento:
Il terzo motivo si sostanzia nella deduzione della nullità dell'impugnata sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo la Corte territoriale omesso qualsiasi motivazione in ordine all'eccepita irrilevanza del mancato gradimento del lavoratore espresso dall'appaltante, in difetto di una clausola contrattuale che che ne sancisse la valenza impegnativa a carico della Cooperativa datrice.
Nel quarto motivo la medesima censura è riproposta sotto il profilo del vizio di motivazione.
Con il quinto motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione del rifiuto di adempiere al preteso ordine di trasferimento in termini di eccezione di inadempimento, così sottraendosi alla valutazione della valenza giustificativa di quel comportamento in rapporto alla gravità dell'inadempimento imputato all'altro contraente di cui il primo primo di prospetta come reazione.
Con il sesto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, 1. n. 604/1966 nonché dell'art. 2697 c.c., il ricorrente contesta la conclusione cui perviene la Corte territoriale in ordine alla raggiunta prova della ricorrenza nella specie di un giustificato motivo oggettivo di recesso quale la stessa Corte lo aveva configurato.
In sostanza, l'impugnazione proposta, pur articolata sui sci motivi sopra riassunti, è complessivamente volta a censurare nella sua totalità le pronunzia della Corte territoriale dichiarativa della legittimità del recesso, qualificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così da ritenerlo intimato per essersi il ricorrente, con il proprio rifiuto di rendersi disponibile a sovvenire all'esigenza organizzativa insorta in relazione al mancato gradimento manifestato nei suoi confronti da un committente della Cooperativa datrice, posto quale ostacolo al regolare funzionamento dell'azienda e ciò in relazione alla configurabilità stessa del rifiuto del trasferimento a fronte dell'assenza del provvedimento relativo, alla legittimità di tale preteso rifiuto, alla sua idoneità a porsi quale causa giustificativa del recesso sotto il profilo oggettivo della compromissione dell'organizzazione e dell'operatività dell'azienda.
Posta così la questione, l'impugnazione proposta risulta nel complesso fondata, configurandosi la sentenza impugnata incongrua rispetto alla stessa qualificazione giuridica che la Corte territoriale ha inteso dare alla fattispecie; ciò in quanto la sentenza de qua non dà adeguatamente conto del carattere ostativo rispetto al regolare funzionamento dell'azienda della disfunzione organizzativa ricollegata alla persona del ricorrente e dell'impossibilità di sovvenire ad essa attraverso la ricollocazione, anche valendosi di un provvedimento imperativo, del medesimo in seno all'organizzazione aziendale (repechage), cui, del resto, era tenuta ex art. 3, 1. n. 604/1966.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo anche per l'attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità

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