sabato 29 giugno 2019



Chi può richiedere l'emersione del lavoro irregolare prevista dal DLT 16/07/2012, n. 109?



T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 17/06/2019, n. 7794
L'avvio del procedimento di emersione del lavoro irregolare, di cui al D.lgs. n. 286 del 1998, spetta unicamente al datore di lavoro, il quale è dunque l'unico soggetto con il quale lo Sportello Unico intrattiene rapporti sia per la richiesta di integrazioni documentali, sia per ogni altro tipo di comunicazione, tra cui anche la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda. 


In punto di diritto è sufficiente il richiamo al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "il procedimento di emersione ex art. 1-ter della L. n. 102 del 2009 è rimesso all'iniziativa del datore di lavoro, sicché, ove il predetto datore dimostri il suo disinteresse per il buon esito di tale procedimento, la P.A. si viene a trovare nell'impossibilità di concluderlo con un provvedimento finale favorevole all'emersione del lavoratore straniero" (Tar Puglia, Bari, sez. II, 18 novembre 2011, n. 1771; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 28 marzo 2011, n. 817; Tar Toscana, II, n. 918/2011; Tar Lombardia, Brescia, n. 493/2011, Tar Emilia Romagna Bologna, sez. II, 23 giugno 2011, n. 536).

Depone in tal senso il comma 2 dell'art. 1-ter L. n. 102 del 2009 citato, che condiziona l'avvio del procedimento di emersione all'impulso del solo datore di lavoro, con l'esclusione di ogni potere di iniziativa in capo al lavoratore irregolare.

giovedì 27 giugno 2019

Quali sono i dispositivi di sicurezza? 


Cass. 21/06/2019, n. 16749

In tema di sicurezza sul lavoro, l'art. 40, comma l del D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, per il suo ampio tenore letterale e la precipua finalità di tutela di beni fondamentali del lavoratore, deve essere letto nel senso di includere nella categoria dei dispositivi di protezione individuale qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, ai fini dell'adempimento datoriale all'obbligo posto dall'art. 4, comma 5 del medesimo decreto.

mercoledì 26 giugno 2019

Il patto di non concorrenza è assoggettato a contribuzione?

Cass. 15/07/2009, n. 16489


Il corrispettivo del patto di non concorrenza di cui all'art. 2125 cod. civ., che non ha natura risarcitoria ma costituisce il corrispettivo di un'obbligazione di "non facere", ancorché erogato in vista della cessazione del rapporto, non è finalizzato ad incentivare l'esodo del lavoratore, né costituisce una erogazione che "trae origine dalla predetta cessazione", avendo piena autonomia causale rispetto alla fine del rapporto, che è mera occasione del patto; ne consegue che, non essendo applicabile alcuna delle ipotesi di esclusione dalle basi imponibili previste dal d.P.R. n. 917 del 1986, il corrispettivo del patto di non concorrenza è ricompreso nella nozione di reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi di cui all'art. 12 della legge n. 153 del 1969, come sostituito dall'art. 6 del d.lgs. n. 314 del 1997. (Rigetta, App. Bologna, 22/12/2005)

martedì 25 giugno 2019

Come si determina il danno non patrimoniale da demansionamento?






Cass. 20-06-2019, n. 16596

l'assegnazione a mansioni inferiori pacificamente rappresenta fatto potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale, non legate esclusivamente alla lesione dell'integrità psico-fisica: innanzi tutto l'inadempimento datoriale può comportare un danno da perdita della professionalità di contenuto patrimoniale che può consistere sia nell'impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali (tra le altre v. Cass. n. 11045 del 2004; Cass. n. 14199 del 2009); inoltre la modifica in peius delle mansioni è potenzialmente idonea a determinare un pregiudizio a beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, atteso che, nella disciplina del rapporto di lavoro, numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata del lavoratore, con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, con la configurabilità di una danno non patrimoniale risarcibile ogni qual volta vengano violati, superando il confine dei sacrifici tollerabili, diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela al più alto livello delle fonti;

infatti questa Corte, a Sezioni unite (sent. nn. 26972, 26973, 26974, 26975 dell'11 novembre 2008), dichiarando risarcibile il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, ha dedicato adeguato rilievo alla dignità personale del lavoratore che, in riferimento agli artt. 2, 4 e 32 Cost., costruisce come diritto inviolabile; descrive quale lesione di tale diritto proprio "i pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa"; dunque dal riconoscimento costituzionale della personalità morale e della dignità del lavoratore deriva il diritto fondamentale di questi al pieno ed effettivo dispiegamento del suo professionalizzarsi espletando le mansioni che gli competono; la lesione di tale posizione giuridica soggettiva ha attitudine generatrice di danni a contenuto non patrimoniale, in quanto idonea ad alterare la normalità delle relazioni del lavoratore con il contesto aziendale in cui opera, del cittadino con la società in cui vive, dell'uomo con se stesso (in termini: Cass. n. 12253 del 2015);

quanto alla liquidazione di tali danni, la non patrimonialità - per non avere il bene persona un prezzo - del diritto leso, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa, anche attraverso il ricorso alla prova presuntiva, che potrà costituire pure l'unica fonte di convincimento del giudice (ancora Cass. SS.UU. n. 26972/2008 cit.); precisato che dall'inadempimento datoriale non deriva automaticamente l'esistenza di un danno, il quale non è immancabilmente ravvisabile solo in ragione della potenzialità lesiva dell'atto illegittimo (Cass. SS.UU. n. 6572 del 2006) e fermi gli oneri di allegazione e di prova gravanti su chi denuncia di aver subito il pregiudizio, compete tuttavia al giudice di merito non solo ogni accertamento e valutazione di fatto circa la concreta sussistenza e la individuazione della specie del danno, ma anche la sua liquidazione - in ipotesi anche equitativa - sindacabile, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione (in tal senso, v. Cass. n. 14199 del 2001; altresì: Cass. n. 9138 del 2011, Cass. n. 2352 del 2010, Cass. n. 10864 del 2009, Cass. n. 5333 del 2003; Cass. n. 10268 del 2002; Cass. n. 18599 del 2001, Cass. n. 104 del 1999);

i criteri di valutazione equitativa, la cui scelta ed adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, debbono consentire una valutazione che sia adeguata e proporzionata (v. Cass. n. 12408 del 2011), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato e permettere la personalizzazione del risarcimento (v. Cass. SS.UU. n. 26972/2008 cit.; Cass. n. 7740 del 2007; Cass. n. 13546 del 2006); essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si esclude che l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito possa di per sè essere soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr. Cass. n. 12918 del 2010; Cass. n. 1529 del 2010; Cass. n. 18778 del 2014); in particolare, in tema di dequalificazione, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr,, ex plurimis, Cass. n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass. SS.UU.. n. 6572/2006 cit.);

nella specie la sentenza impugnata indica gli elementi di fatto in base ai quali ha ritenuto accertato un danno alla professionalità, avuto riguardo alla "entità qualitativa e quantitativa" del demansionamento ed al suo perdurare nel tempo, oltre che ai riflessi sulle valutazioni professionali e sulla lesione all'immagine ed alla reputazione, stimando equo commisurare il danno in Euro 1.500,00 mensili per l'intero periodo del grave demansionamento (questa Corte ha considerato anche la retribuzione mensile parametro del danno da impoverimento professionale: v. Cass. n. 9228 del 2001; cfr. pure Cass. n. 7967 del 2002 e Cass. n. 835 del 2001; più di recente: Cass. n. 12253/2015 cit.) con un percorso motivazionale che, senza discostarsi da dati di comune esperienza e non palesando radicale contraddittorietà delle argomentazioni, sorregge a sufficienza l'esercizio del potere discrezionale di valutazione equitativa, idoneo a precludere la cassazione della sentenza impugnata sulla base delle censure che parte ricorrente muove;

lunedì 24 giugno 2019

Entro quanto opera la prescrizione della rettifica della misura della pensione della cassa degli avvocati?

Cass. 19/06/2019, n. 16415

In materia di previdenza forense, in assenza di specifica norma che consenta alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense - ente con personalità di diritto privato - di rettificare senza limiti di tempo la misura della pensione da essa liquidata (a differenza di quanto è previsto dall'art. 52 della legge n. 88 del 1989 in riferimento alle gestioni previdenziali affidate all'INPS), siffatto potere può essere esercitato nei limiti della prescrizione decennale, secondo quanto è dato desumere dall'art. 20 della legge n. 576 del 1980, che prevede la facoltà dell'ente previdenziale di controllare, all'atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni, così da far prevalere l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto all'esigenza di far valere, senza limiti temporali, l'esatta corrispondenza della posizione contributiva previdenziale delle regole disciplinanti la sua configurazione.

venerdì 21 giugno 2019

In caso di dimissioni della lavoratrice madre quando spetta l'indennità di preavviso?


Cass. 17/06/2019, n. 16176

In caso di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice madre ha diritto, a norma dell'art. 55 del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, alle indennità previste dalla legge o dal contratto per il caso di licenziamento, ivi compresa l'indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell'ipotesi in cui esse risultino preordinate all'assunzione della lavoratrice alle dipendenze di altro datore di lavoro.

giovedì 20 giugno 2019

I cittadini comunitari che perdono il lavoro hanno delle limitazioni  nel soggiorno in Italia?





In base all'art. 7 della legge 30 del 2007 1. Il cittadino dell'Unione ha diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi quando:
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
b) dispone per se stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo comunque denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
c) è iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi come attività principale un corso di studi o di formazione professionale e dispone, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione o con altra idonea documentazione, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale;
d) è familiare, come definito dall'articolo 2, che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi delle lettere a), b) o c).



2. Il diritto di soggiorno di cui al comma 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell'Unione, purché questi risponda alle condizioni di cui al comma 1, lettere a), b) o c).


3. Il cittadino dell'Unione, già lavoratore subordinato o autonomo sul territorio nazionale, conserva il diritto al soggiorno di cui al comma 1, lettera a) quando:

a) è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di una malattia o di un infortunio;
b) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata dopo aver esercitato un'attività lavorativa per oltre un anno nel territorio nazionale ed è iscritto presso il Centro per l'impiego, ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa;
c) è in stato di disoccupazione involontaria debitamente comprovata al termine di un contratto di lavoro di durata determinata inferiore ad un anno, ovvero si è trovato in tale stato durante i primi dodici mesi di soggiorno nel territorio nazionale, è iscritto presso il Centro per l'impiego ovvero ha reso la dichiarazione, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come sostituito dall'articolo 3 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, che attesti l'immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa. In tale caso, l'interessato conserva la qualità di lavoratore subordinato per un periodo di un anno;
d) segue un corso di formazione professionale. Salvo il caso di disoccupazione involontaria, la conservazione della qualità di lavoratore subordinato presuppone che esista un collegamento tra l'attività professionale precedentemente svolta e il corso di formazione seguito.



mercoledì 19 giugno 2019

In caso  di infortuni che valore hanno le tabelle Inail in merito alla prova dell'eziologia professionale?

Cass. Ord., 14/06/2019, n. 16048

In materia di malattia professionale, la inclusione nelle apposite tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, sia della lavorazione che della malattia comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con il conseguente onere di prova contraria a carico dell'I.N.A.I.L.. Detta regola deve essere temperata in caso di malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, nel senso che in tal caso la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità dell'esposizione al rischio a causare l'evento morboso. In presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, una origine professionale, tuttavia, la presunzione legale torna ad operare, sicché l'I.N.A.I.L. può solo dimostrare che la patologia anzidetta, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile alla esposizione a rischio, in quanto quest'ultima cessata da lungo tempo. (Nel caso concreto, il giudice del merito pur in presenza di esposizione del medico a radiazioni ionizzanti per oltre trent'anni, ha rigettato la domanda senza fornire adeguata motivazione sulla completa inefficacia causale di tale esposizione in relazione alla patologia tumorale sofferta dal medico.)

martedì 18 giugno 2019

In caso di lavoratori dello spettacolo quando è necessario il certificato di agibilità?


In forza dell'art. 6 DLTCPS 16/07/1947, n. 708



1. Le imprese dell'esercizio teatrale, cinematografico e circense, i teatri tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli impianti sportivi non possono far agire nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento i lavoratori autonomi dello spettacolo, ivi compresi quelli con rapporti di collaborazione, appartenenti alle categorie indicate ai numeri da 1) a 14) del primo comma dell'articolo 3, che non siano in possesso del certificato di agibilità. Per le prestazioni svolte dai lavoratori di cui al numero 23-bis) del primo comma dell'articolo 3 il certificato di agibilità è richiesto dai lavoratori medesimi, salvo l'obbligo di custodia dello stesso che è posto a carico del committente.


2. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 le imprese sono soggette alla sanzione amministrativa di euro 129 per ogni giornata di lavoro prestata da ciascun lavoratore autonomo.




lunedì 17 giugno 2019

Come deve essere determinato il nesso di casualità negli infortuni sul lavoro?


Cass. 12/06/2019, n. 15762

In materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo il temperamento previsto nello stesso art. 41 c.p., in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.

venerdì 14 giugno 2019

Quando il lavoro giornalistico può essere subordinato?

Cass. 11/06/2019, n. 15610

In tema di rapporti di lavoro, nell'ambito del lavoro giornalistico, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale dell'attività stessa di talché, ai fini dell'individuazione del vincolo della subordinazione, rileva specificamente l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione d'impresa, l'avere assicurato, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un'esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con il permanere, nell'intervallo tra una prestazione e l'altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro.

giovedì 13 giugno 2019

Quando la committenza compie atti di intermediazione?

Cass. 10/06/2019, n. 15557

In tema di appalto, qualora venga prospettata una intermediazione vietata di manodopera nei rapporti tra società dotate entrambe di propria genuina organizzazione d'impresa, il giudice del merito deve accertare se la società appaltante svolga un intervento direttamente dispositivo e di controllo sulle persone dipendenti dall'appaltatore del servizio, non essendo sufficiente a configurare la intermediazione vietata il mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto. Sono, quindi, leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletabili con mere prestazioni di manodopera, costituiscano un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza diretti interventi dispositivi e di controllo dell'appaltante sulle persone dipendenti dall'altro soggetto.

mercoledì 12 giugno 2019

Come è disciplinata l'indennità maneggio denaro nel ccnl logistica?


art. 115 – Indennità di cassa e maneggio denaro

1. All'impiegato con qualifica di cassiere verrà corrisposta una indennità di cassa nella misura del 5% della retribuzione mensile composta da minimo tabellare, eventuali aumenti periodici di anzianità e eventuali altri aumenti comunque denominati.
2. Agli altri lavoratori, che hanno normalmente maneggio di denaro, verrà corrisposta un'indennità di cassa nella misura del 4% della retribuzione mensile di cui al precedente comma.
3. Questa indennità non sarà corrisposta al personale di cui trattasi nel solo caso in cui l'azienda lo abbia preventivamente esonerato per iscritto da ogni responsabilità per le eventuali mancanze nella resa dei conti.
Gli interessi derivanti da eventuali cauzioni andranno a beneficio del lavoratore.
4. Le somme anticipate dalle aziende ai lavoratori in trasferta a titolo di fondo spese non sono da considerarsi ai fini della corresponsione dell'indennità di cassa per maneg-gio denaro.
Dichiarazione a verbale
Agli impiegati non qualificati cassieri, cui per le loro mansioni sia o sia stata riconosciuta la maggiorazione del 5%, tale indennizzo verrà mantenuto e corrisposto fintantoché gli stessi esplichino le mansioni suddette.
Norma transitoria per CCNL Assologistica
I lavoratori a cui era applicato il CCNL Assologistica alla data del 29 gennaio 2005, mantengono le precedenti condizioni.


martedì 11 giugno 2019

Quale differenza intercorre tra mobbing e straining?

Cass. Ord., 04/06/2019, n. 15159

È configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima. È, invece, configurabile lo straining, quale forma attenuata di mobbing, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma comunque con effetti dannosi rispetto all'interessato.

lunedì 10 giugno 2019

Quali erano i lavoratori che dovevano obbligatoriamente essere iscritti all'Enpals?



DLTCPS 16/07/1947, n. 708

Art. 3

Sono obbligatoriamente iscritti all'Ente tutti gli appartenenti alle seguenti categorie di qualsiasi nazionalità:

1) artisti lirici;

2) attori di prosa, operetta, rivista, varietà ed attrazioni, cantanti di musica leggera, presentatori, disc-jockey ed animatori in strutture ricettive connesse all'attività turistica;

3) attori e generici cinematografici, attori di doppiaggio cinematografico;

4) registi e sceneggiatori teatrali e cinematografici, aiuto registi, dialoghisti ed adattatori cinetelevisivi;

5) organizzatori generali, direttori, ispettori, segretari di produzione cinematografica, cassieri, segretari di edizione;

6) direttori di scena e doppiaggio;

7) direttori d'orchestra e sostituti;

8) concertisti e professori d'orchestra, orchestrali e bandisti;

9) tersicorei, coristi, ballerini, figuranti, indossatori e tecnici addetti alle manifestazioni di moda;

10) amministratori di formazioni artistiche;

11) tecnici del montaggio, del suono, dello sviluppo e stampa;

12) operatori di ripresa cinematografica e televisiva, aiuto operatori e maestranze cinematografiche, teatrali e radio televisive;

13) arredatori, architetti, scenografi, figurinisti teatrali e cinematografici;

14) truccatori e parrucchieri;

15) macchinisti pontaroli, elettricisti, attrezzisti, falegnami e tappezzieri;

16) sarti;

17) pittori, stuccatori e formatori;

18) artieri ippici;

19) operatori di cabine, di sale cinematografiche;

20) impiegati amministrativi e tecnici dipendenti dagli enti e imprese esercenti pubblici spettacoli, dalle imprese radiofoniche e televisive, dalle imprese della produzione cinematografica, del doppiaggio e dello sviluppo e stampa; maschere, custodi e personale di pulizia dipendente dagli enti ed imprese soprannominati;

21) impiegati ed operai dipendenti dalle case da gioco, dagli ippodromi e dalle scuderie dei cavalli da corsa e dai cinodromi; prestatori d'opera addetti ai totalizzatori, o alla ricezione delle scommesse, presso gli ippodromi e cinodromi, nonché presso le sale da corsa e le agenzie ippiche; addetti agli impianti sportivi; dipendenti dalle imprese di spettacoli viaggianti;

22) calciatori ed allenatori di calcio;

23) lavoratori dipendenti dalle imprese esercenti il noleggio e la distribuzione dei films;

23-bis) lavoratori autonomi esercenti attività musicali.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale, su eventuale proposta dell'ENPALS, che provvede periodicamente al monitoraggio delle figure professionali operanti nel campo dello spettacolo e dello sport, sono adeguate le categorie dei soggetti assicurati di cui al primo comma. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può essere, altresì, integrata o ridefinita, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 181, la distinzione in tre gruppi dei lavoratori dello spettacolo iscritti all'ENPALS. Dalle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il Consiglio di amministrazione può dichiarare esclusi dall'obbligo dell'iscrizione all'Ente limitatamente all'assicurazione di malattia, gli appartenenti alle categorie suindicate che dimostrino di essere obbligati, per la loro prevalente attività, alla iscrizione presso altro Ente.

venerdì 7 giugno 2019

Per le contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro è prevista la possibilità di estinguere il reato?

In base all'art. 301 del dlgs 2008 n. 81

1. Alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758

In particolare gli artt. 20 e seguenti del dlgs 19 dicembre 1994 n.758:

Art. 20 (Prescrizione) 

1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso esso può superare i sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. 


2. Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore.


3. Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.


4. Resta fermo l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale.

Art. 21 (Verifica dell'adempimento)

1. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.


2. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma. 


3. Quando risulta l'inadempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ne dà comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione. 

Art. 23 (Sospensione del procedimento penale)

1. Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3.


2. Nel caso previsto dall'art. 22, comma 1, il procedimento riprende il suo corso quando l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione, e comunque alla scadenza del termine di cui all'art. 22, comma 2, se l'organo di vigilanza omette di informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione. Qualora nel predetto termine l'organo di vigilanza informi il pubblico ministero d'aver impartito una prescrizione, il procedimento rimane sospeso fino al termine indicato dal comma 1. 


3. La sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l'assunzione delle prove con incidente probatorio, nè gli atti urgenti di indagine preliminare, nè il sequestro preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale.

Art. 24 (Estinzione del reato)

1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2. 


2. Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.


3. L'adempimento in un tempo superiore a quello indicato nella prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell'art. 20, comma 1, ovvero l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza, sono valutate ai fini dell'applicazione dell'art. 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare è ridotta al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

*****


c.p. art. 162-bis. Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative.

Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.

Con la domanda di oblazione il contravventore deve depositare la somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda.

L'oblazione non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell'articolo 99, dall'articolo 104 o dall'articolo 105, né quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.

In ogni altro caso il giudice può respingere con ordinanza la domanda di oblazione, avuto riguardo alla gravità del fatto.

La domanda può essere riproposta sino all'inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado.

Il pagamento delle somme indicate nella prima parte del presente articolo estingue il reato .

giovedì 6 giugno 2019

Cosa succede in caso di durc irregolare nei contratti pubblici?

In forza dell'art. 31 comma 3 DL 2013 n. 69

3. Nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nelle ipotesi previste dai commi 4 e 5 del presente articolo, in caso di ottenimento da parte dei soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, del documento unico di regolarità contributiva (DURC) che segnali un'inadempienza contributiva relativa a uno o più soggetti impiegati nell'esecuzione del contratto, i medesimi soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 trattengono dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate mediante il DURC è disposto dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 direttamente agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile.

mercoledì 5 giugno 2019

In caso d'infortunio in itinere è possibile cumulare per gli eredi con quelle percepite dall'assicurazione del danneggiante?


Cass. 27/05/2019, n. 14362 


In tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro, la successione nel credito risarcitorio dell'assicurato/danneggiato attribuisce all'ente gestore dell'assicurazione sociale che abbia indennizzato la vittima, ovvero i suoi eredi, la titolarità della pretesa nei confronti dei distinti soggetti obbligati, al fine di ottenere il rimborso tanto dei ratei già versati, quanto del valore capitalizzato delle prestazioni future. Tale fenomeno successorio, esaminato dal punto di vista del danneggiato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l'intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subìto. Ne consegue che, nell'ipotesi di incidente “in itinere” con morte del lavoratore, i familiari del lavoratore medesimo hanno diritto a percepire le somme liquidate dall'Inail senza che queste possano esser cumulate con quelle della RCA per evitare una duplicazione del risarcimento.

martedì 4 giugno 2019

In caso di illegittimità del contratto part time il lavoratore ha diritto alla retribuzione prevista per il full time?


Sul tema specifico della necessità della cd. mora accipiendi, è sufficiente richiamare l'ampia elaborazione della giurisprudenza di legittimità che, in base alla regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel contratto di lavoro, ha precisato come la retribuzione spetti al lavoratore soltanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di "mora accipiendi" (cfr. Cass. n. 20316 del 2008; n. 11741 del 2007; n. 24886 del 2006; cfr. anche Cass., S.U. n. 2990 del 2018).

lunedì 3 giugno 2019

Quando opera la compensazione atecnica?

Tribunale Monza Sez. lavoro, Sent., 01-03-2019 

In presenza di ragioni di reciproci crediti e debiti nell'ambito del rapporto di lavoro è ammissibile la compensazione impropria o a tecnica del credito, anche nel caso in cui la pretesa creditoria datoriale abbia natura risarcitoria (Cass. 1032/2018, 1695/2015), effettuando un semplice accertamento contabile di dare o avere sino alla reciproca concorrenza, mentre non sono applicabili le limitazioni, come quella della non compensabilità del credito impignorabile, vigenti per la compensazione in senso tecnico (Cass. 11030/16, 16800/15, 28855/12 ed altre).

sabato 1 giugno 2019

Quando è possibile la tutela reintegratoria nei licenziamenti disciplinari?



Cass. civ. Sez. lavoro, 28/05/2019, n. 14500



In tema di licenziamento, solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo, ma anche meritevole della tutela reintegratoria prevista dall'art. 18, comma 4 della L. 20 maggio 1970 n. 300 novellato. Non è, invece, consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi o dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita al caso non previsto, sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare.