mercoledì 30 ottobre 2019

Come si raggiunge la prova della discriminazione indiretta secondo la Corte di Giustizia Europea?


Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 03/10/2019, n. 274/18

La valutazione dei fatti che consentono di presumere l'esistenza di una discriminazione indiretta è una questione di competenza dell'organo giurisdizionale nazionale, secondo il diritto o la prassi nazionale, che possono prevedere, in particolare, che la discriminazione indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l'evidenza statistica. In merito ai dati statistici, spetta al giudice del rinvio prendere in considerazione l'insieme dei lavoratori assoggettati alla normativa nazionale da cui ha origine la disparità di trattamento. Il miglior metodo di comparazione consiste nel comparare le proporzioni rispettive dei lavoratori che sono e che non sono colpiti dalla norma in questione nell'ambito della mano d'opera maschile e le medesime proporzioni nell'ambito della mano d'opera femminile. A tal riguardo, spetta al giudice nazionale valutare in qual misura i dati statistici prodotti dinanzi ad esso, che caratterizzano la situazione della mano d'opera, siano validi e se possano essere presi in considerazione, vale a dire se, in particolare, non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e se, in generale, appaiano significativi.

martedì 29 ottobre 2019

Come è disciplinato il sistema delle ritenute e delle compensazioni negli appalti dal DL 124 del 2019?




Art. 4. Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera

1. Al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, dopo l'articolo 17 è inserito il seguente:
“Art. 17-bis (Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell'illecita somministrazione di manodopera). - 1. In deroga alla disposizione di cui all'articolo 17, comma 1, i soggetti di cui all'articolo 23, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, residenti ai fini delle imposte dirette nello Stato, ai sensi degli articoli 2, comma 2, 5, comma 3, lettera d), e 73, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che affidano il compimento di un'opera o di un servizio a un'impresa sono tenuti al versamento delle ritenute di cui agli articoli 23 e 24 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, 50, comma 4, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446, e 1, comma 5, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, trattenute dall'impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici, ai lavoratori direttamente impiegati nell'esecuzione dell'opera o del servizio.
2. L'obbligo di cui al comma 1 è relativo a tutte le ritenute fiscali operate dall'impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici, nel corso di durata del contratto, sulle retribuzioni erogate al personale direttamente impiegato nell'esecuzione delle opere o dei servizi affidati.
3. L'importo corrispondente all'ammontare complessivo del versamento dovuto è versato dall'impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici al committente con almeno cinque giorni lavorativi di anticipo rispetto alla scadenza del versamento stesso di cui al successivo articolo 18, comma 1, su specifico conto corrente bancario o postale comunicato dal committente all'impresa affidataria o appaltatrice e da quest'ultima alle imprese subappaltatrici.
4. Il committente che ha ricevuto le somme necessarie all'effettuazione del versamento lo esegue, senza possibilità di utilizzare in compensazione proprie posizioni creditorie, entro il termine previsto dall'articolo 18 e con le modalità previste dall'articolo 19, in luogo del soggetto che ha effettuato le ritenute ed indicando nella delega di pagamento il codice fiscale dello stesso quale soggetto per conto del quale il versamento è eseguito.
5. Entro il termine di cui al comma 3, al fine di consentire al committente il riscontro dell'ammontare complessivo degli importi ricevuti con le trattenute effettuate dalle imprese, queste trasmettono tramite posta elettronica certificata al committente e, per le imprese subappaltatrici, anche all'impresa appaltatrice:
a) un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell'esecuzione di opere e servizi affidati dal committente, con il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell'opera o del servizio affidato, l'ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione ed il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di detto lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente;
b) tutti i dati utili alla compilazione delle deleghe di pagamento necessarie per l'effettuazione dei versamenti di cui al comma 1;
c) i dati identificativi del bonifico effettuato ai sensi del comma 3.
6. Nel caso in cui alla data di cui al comma 3 sia maturato il diritto a ricevere corrispettivi dall'impresa appaltatrice o affidataria, quest'ultima può allegare alla comunicazione di cui al comma 5 inviata al committente la richiesta di compensazione totale o parziale delle somme necessarie all'esecuzione del versamento delle ritenute effettuate dalla stessa e dalle imprese subappaltatrici con il credito residuo derivante da corrispettivi spettanti e non ancora ricevuti. Il committente procede al versamento con le modalità di cui al comma 4.
7. Le imprese appaltatrici e subappaltatrici restano responsabili per la corretta determinazione delle ritenute e per la corretta esecuzione delle stesse, nonché per il versamento, senza possibilità di compensazione, laddove entro il termine di cui al comma 3 non abbiano provveduto all'esecuzione del versamento al committente o non abbiano trasmesso la richiesta di cui al comma 6 e non abbiano trasmesso allo stesso i dati di cui al comma 5.
8. I committenti sono responsabili per il tempestivo versamento delle ritenute effettuate dalle imprese appaltatrici e subappaltatrici entro il limite della somma dell'ammontare dei bonifici ricevuti entro il termine di cui al comma 3 e dei corrispettivi maturati a favore delle imprese appaltatrici o affidatarie e non corrisposti alla stessa data, nonché integralmente nel caso in cui non abbiano tempestivamente comunicato all'impresa appaltatrice o affidataria gli estremi del conto corrente bancario o postale su cui effettuare i versamenti di cui al comma 3 o abbiano eseguito pagamenti alle imprese affidatarie, appaltatrici o subappaltatrici, inadempienti.
9. Nel caso in cui le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici non trasmettano entro il termine di cui al comma 3 e con le modalità indicate nel comma 5 i dati ivi richiesti ovvero non effettuino i bonifici entro il termine di cui al comma 3 o non inviino la richiesta di compensazione di cui al comma 6, ovvero inviino una richiesta di compensazione di cui al comma 6 con crediti inesistenti o non esigibili, il committente deve sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria vincolando le somme ad essa dovute al pagamento delle ritenute eseguite dalle imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera o del servizio, dandone comunicazione entro novanta giorni all'Ufficio dell'Agenzia delle entrate territorialmente competente nei suoi confronti. In tali casi è preclusa all'impresa appaltatrice o affidataria ogni azione esecutiva finalizzata al soddisfacimento del credito il cui pagamento è stato sospeso, fino a quando non sia stato eseguito il versamento delle ritenute.
10. Laddove entro novanta giorni dal termine di cui al comma 3, le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici effettuino il versamento di cui al comma 3 al committente o richiedano la compensazione di cui al comma 6 e trasmettano i dati richiesti ai sensi del comma 5, il committente procede al versamento delle somme, perfezionando, su richiesta del soggetto che ha effettuato le ritenute, il ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 e addebitando allo stesso gli interessi e le sanzioni versati.
11. Il committente che ha effettuato il pagamento per conto delle imprese appaltatrici o affidatarie e subappaltatrici comunica entro cinque giorni mediante posta elettronica certificata a queste ultime l'effettuazione del pagamento. Le imprese che hanno provveduto al versamento delle ritenute al committente o a richiesta di compensazione con i corrispettivi maturati nei confronti dello stesso e non hanno ricevuto evidenza dell'effettuazione del versamento delle ritenute da parte di quest'ultimo, comunicano tale situazione all'Ufficio dell'Agenzia delle entrate territorialmente competente nei loro confronti.
12. Le imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici possono eseguire direttamente il versamento delle ritenute secondo le procedure previste dagli articoli 17 e 18 comunicando al committente tale opzione entro la data di cui al comma 3 e allegando una certificazione dei requisiti di cui al presente comma, qualora nell'ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista dal comma 3:
a) risultino in attività da almeno cinque anni ovvero abbiano eseguito nel corso dei due anni precedenti complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo superiore a euro 2 milioni;
b) non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi affidati agli agenti della riscossione relativi a tributi e contributi previdenziali per importi superiori ad euro 50.000,00, per i quali siano ancora dovuti pagamenti o per i quali non siano stati accordati provvedimenti di sospensione.
13. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, la certificazione di cui al comma 12 è messa a disposizione delle singole imprese dall'Agenzia delle entrate mediante canali telematici e l'autenticità della stessa è riscontrabile dal committente mediante apposito servizio telematico messo a disposizione dall'Agenzia delle entrate.
14. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione sono disciplinate le modalità per il rilascio e il riscontro della certificazione prevista dal comma 12; con ulteriori provvedimenti del direttore dell'Agenzia delle entrate possono essere disciplinate ulteriori modalità di trasmissione telematica delle informazioni previste dai commi 5 e 6, alternative a quella di cui al comma 5, che consentano anche il tempestivo riscontro delle stesse da parte dell'Agenzia delle entrate.
15. In deroga alla disposizione di cui all'articolo 17, comma 1, per le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici di cui comma 1 del presente articolo, è esclusa la facoltà di avvalersi dell'istituto della compensazione quale modalità di estinzione delle obbligazioni relative a contributi previdenziali e assistenziali e premi assicurativi obbligatori, maturati in relazione ai dipendenti di cui al comma 1. Detta esclusione opera con riguardo a tutti i contributi previdenziali, assistenziali e ai premi assicurativi maturati nel corso di durata del contratto, sulle retribuzioni erogate al personale direttamente impiegato nell'esecuzione delle opere o dei servizi affidati.
16. Il soggetto obbligato in base alle disposizioni di cui al presente articolo che non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, il versamento delle ritenute è soggetto alla sanzione amministrativa di cui all'articolo 13, comma 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
17. Chiunque, obbligato in base alle disposizioni di cui al presente articolo, non esegua, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, il versamento delle ritenute, è punito ai sensi dell'articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, con l'applicazione delle soglie di punibilità ivi previste.”.


2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2020.


3. All'articolo 17, comma sesto, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dopo la lettera a-quater) è aggiunta la seguente: “a-quinquies) alle prestazioni di servizi, diversi da quelle di cui alle lettere da a) ad a-quater), effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma. La disposizione di cui precedente periodo non si applica alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società di cui all'articolo 17-ter e alle agenzie per il lavoro disciplinate dal Capo I del Titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;”.


4. L'efficacia della disposizione di cui al comma 3 è subordinata al rilascio, da parte del Consiglio dell'Unione europea, dell'autorizzazione di una misura di deroga ai sensi dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006.

lunedì 28 ottobre 2019

Quali ragioni giustificano il trasferimento del lavoratore?

Cass. 27345 del 2019

Occorre premettere che, con riguardo sia al lavoro privato (Cass., n. 27226 del 2018), che al pubblico impiego privatizzato (Cass., n. 2143 del 2017), questa Corte ha avuto modo di affermare che il trasferimento per incompatibilità aziendale/ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva/dell'Amministrazione, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all'art. 2103 cod. civ., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. Il trasferimento, peraltro, è subordinato ad una valutazione discrezionale dei fatti che fanno ritenere nociva, per il prestigio ed il buon andamento dell'ufficio, l'ulteriore permanenza dell'impiegato in una determinata sede (citata Cass., n. 2143 del 2017). La sussistenza di una situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti, che importi tensioni personali o anche contrasti nell'ambiente di lavoro comportanti disorganizzazione e disfunzione, concretizza un'oggettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro e va valutata in base al disposto dell'art. 2103 cod. civ., con conseguenza possibilità di trasferimento del lavoratore, sulla base di comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive. Ed infatti, la situazione di incompatibilità riguarda situazioni oggettive o situazioni soggettive valutate secondo un criterio oggettivo, indipendentemente dalla colpevolezza o dalla violazione di doveri d'ufficio del lavoratore, causa di disfunzione e disorganizzazione, non compatibile con il normale svolgimento dell'attività lavorativa (v., Cass., n. 10833 del 2017).

sabato 26 ottobre 2019

Come deve essere effettuato il giudizio per determinare la sussistenza della giusta causa?




Cass. 15/10/2019, n. 26023

Nel caso di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, ed in particolare dell'elemento fiduciario; la valutazione relativa alla sussistenza del conseguente impedimento alla prosecuzione del rapporto deve essere operata con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto, fermo restando che, nell'ipotesi di dipendenti di istituti di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario - rapporto che è più intenso nel settore bancario - deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro.

giovedì 24 ottobre 2019

In caso di cessione ex art. 2112 cc dichiarata illegittima le retribuzioni erogate dal cessionario estinguono quelle del cedente messo in mora dal lavoratore?


Cass. 21/10/2019, n. 26759


In caso di cessione di ramo d'azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all'art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa.

mercoledì 23 ottobre 2019

I servizi di sicurezza aeroportuale rientrano nell'ambito dei dei servizi pubblici essenziali?

Cass. 02/10/2019, n. 24633

I servizi di sicurezza aeroportuale rientrano nell'ambito dei servizi pubblici essenziali indicati nell'art. 1 della legge n. 146 del 1990 ed il diritto di sciopero che interessa tali servizi è esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire le finalità di cui al comma 2 del medesimo art. 1, con esclusione delle procedure di raffreddamento e conciliazione, nei termini previsti dalla regolamentazione provvisoria del trasporto aereo.

martedì 22 ottobre 2019

Come è disciplinato l'orario del personale viaggiante nel ccnl logistica dal 3 dicembre 2017?

Art. 11 – Orario di lavoro per il personale viaggiante
1. L’orario di lavoro ordinario settimanale dei conducenti è di 39 ore.
L’orario ordinario di lavoro del personale viaggiante è distribuito sino ad un massimo di 6 giorni nell’arco della settimana ed è conguagliabile nell’arco di 4 settimane.
L’azienda è tenuta a comunicare formalmente la distribuzione dell’orario ai dipendenti all’atto dell’assunzione per i nuovi assunti. Altresì l’azienda è tenuta a comunicare ai dipendenti già in servizio la diversa distribuzione setti-manale dell’orario di lavoro ed alle RSA/RSU, OO.SS. stipulanti il presente CCNL e competenti territorialmente.
La durata media della settimana lavorativa non può superare le 48 ore. La durata massima della settimana lavorativa può es-sere estesa a 60 ore solo se su un periodo di 6 mesi, al netto delle giornate non lavorate ma retribuite, la media delle ore di lavoro non supera il limite di 48 ore settimanali.
Agli effetti delle disposizioni del presente articolo si intende per orario di lavoro ogni periodo compreso fra l'inizio e la fine del lavoro durante il quale il lavoratore autista è sul posto di lavoro, a disposizione del datore di lavoro ed esercita le sue fun-zioni o attività ossia:
 il tempo dedicato a tutte le operazioni di autotrasporto; in particolare la guida, il carico e lo scarico, la pulizia e la manu-tenzione tecnica del veicolo, ogni altra operazione volta a garantire la sicurezza del veicolo e del carico o ad adempiere agli obblighi legali o regolamentari direttamente legati al trasporto specifico in corso, incluse la sorveglianza delle opera-zioni di carico e scarico, le formalità amministrative di polizia e di dogana o altro;
 i periodi di tempo durante i quali il lavoratore mobile non può disporre liberamente del proprio tempo e deve rimanere sul posto di lavoro, pronto a svolgere il suo lavoro normale, occupato in compiti connessi all'attività di servizio.
2. Sono esclusi dal computo dell'orario di lavoro i periodi di interruzione dalla guida di cui all'art. 7 del rego-lamento CE 561/06, i riposi intermedi di cui all'articolo 5 del Decreto Legislativo 234/07, i periodi di riposo di cui all'artico-lo 6 del medesimo decreto e i periodi di attesa per i divieti di circolazione. In tali casi il lavoratore mobile ha diritto alla sola indennità di trasferta con esclusione dei casi in cui tali periodi siano fruiti presso la residenza del lavoratore.
3. Per i tempi di disponibilità in cui il lavoratore mobile, pur non dovendo rimanere sul posto di lavoro, deve tenersi a disposizione per rispondere ad eventuali chiamate con le quali gli si chieda di iniziare o di riprendere la guida o di eseguire altri lavori, è dovuto unicamente il trattamento di trasferta. I seguenti periodi si calcolano, ai soli fini retributivi, in ragione del 50% della loro durata per la sola parte che eccede il limite dell’orario ordinario e non concorrono al computo del lavoro straordinario:
a) tempo trascorso in viaggio, per treno, per nave, aereo od altri mezzi di trasporto per la esecuzione dei servizi affidati al lavoratore;
b) tempo di attesa del proprio turno di guida nella cabina dell'autotreno guidato da due conducenti e ripartendo in misura uguale fra di essi il lavoro effettivo in trasferta.
Le disposizioni per l’imbarco su treno o traghetto o per la presenza del secondo conducente assolvono la comunicazione di cui all’art. 3, comma 1 lettera b) del D.LGVO 234/2007.
I periodi di cui sopra potranno essere retribuiti secondo le modalità stabilite dagli accordi di forfettizzazione di cui al succes-sivo comma 8.
4. Le norme previste dal regolamento CE 561/06 devono essere integralmente osservate, senza eccezione alcuna, dal datore di lavoro e dal lavoratore.
5. I tempi di riposo previsti dal contratto non sono cumulabili con quelli previsti dalla legge e dai regolamen-ti e si applica la disposizione più favorevole al lavoratore.
6. Rientrano nei riposi intermedi:
- i tempi per la consumazione dei pasti, che sono di un’ora per le trasferte di durata fino a 15 ore e di 2 ore (un’ora per cia-scuna interruzione) per le trasferte superiori alle 15 ore;
- il tempo minimo previsto dalle norme di legge.
7. Il lavoratore non ha diritto alla retribuzione per i tempi di riposo ed ha diritto alla sola indennità di trasfer-ta nel caso in cui il riposo sia dato fuori dalla propria sede di lavoro o fuori dalla residenza del lavoratore.
8. Ferma restando la durata del lavoro contrattuale, l’eventuale maggior durata dell’orario di lavoro è retri-buita con le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario con una delle seguenti modalità:
a) secondo l'attività effettivamente prestata, quale risulta dal Libro unico del lavoro di cui al comma 2 dell'articolo 8 del De-creto Legislativo 234/07 e dalle registrazioni del tachigrafo; le aziende su richiesta dei lavoratori sono tenute a fornire copia della registrazione entro 30 giorni dalla richiesta;
b) secondo quanto previsto da:
- Accordi aziendali
per la definizione, anche forfettaria, dei trattamenti di trasferta e del compenso per il lavoro straordinario; se convenuto nell’ambito di tali accordi, ai fini della determinazione della retribuzione spettante ed in conformità al disposto dell’art. 3, comma 1, lettera a) del D.LGVO 19.11.2007 n. 234, si considera equiparato alla anticipata conoscenza della durata probabile dei periodi di attesa per carico e scarico la situazione in cui in alternativa:
 l’impresa rimetta al lavoratore mobile l’onere di acquisire presso la sede ove lo stesso deve effettuare il carico e/o lo scarico, indicazioni sul periodo di attesa;
 le parti determinino il tempo medio di attesa per le operazioni di carico e scarico riferito alla specifica tipologia di attività svolta dai lavoratori mobili occupati nella medesima impresa. Tali tempi assolveranno l’obbligo di comu-nicazione fino a concorrenza.
- Accordi collettivi territoriali
Gli accordi collettivi territoriali stabiliscono regole per la forfettizzazione che fanno riferimento alle "linee guida" stabili-te fra le parti a livello nazionale. Tali accordi sono stipulati secondo le seguenti modalità.
1) Accordo-quadro territoriale - Definisce, senza determinarne i valori, i parametri di riferimento per gli accordi di forfet-tizzazione. I valori di forfettizzazione saranno determinati a livello aziendale. Per le aziende che occupano meno di 8 dipendenti autisti, salvo che le stesse non applichino accordi aziendali ovvero i parametri di riferimento di cui agli "accordi quadro territoriali", gli accordi territoriali stessi potranno determinare altresì i valori della forfettizza-zione.
Sono comunque fatte salve altre norme di regolazione della materia purché rientrino nella fattispecie di accordi collettivi stipulati fra le parti titolate a norma del presente contratto, conclusi precedentemente alla stipula del pre-sente CCNL.
2) Accordi per servizi omogenei e/o per bacini di traffico - Tali accordi sono stipulati fra le Associazioni datoriali e le OO.SS. stipulanti e firmatarie il presente CCNL, laddove si individuino, a livello territoriale, condizioni oggettivamente omogenee in ragione della tipologia dei servizi, della durata e della qualità delle relazioni e dei bacini di traffico. A fronte di tali condizioni, i valori delle forfettizzazioni saranno individuati all'interno dell'accordo territoriale.
Gli accordi aziendali e territoriali saranno depositati presso le Direzioni del Lavoro e quelle degli Istituti previden-ziali, territorialmente competenti, a norma dell'art. 3, D.L. 318/96, convertito nella legge 29.07.1996, n. 402, affin-ché abbiano piena efficacia anche agli effetti previdenziali come previsto dalla stessa legge.
La forfettizzazione dei trattamenti di trasferta e dei compensi per lavoro straordinario ha la natura e l’efficacia di accordo collettivo.
Sono titolate alla stipulazione degli accordi collettivi suddetti le imprese e le loro associazioni da una parte, le RSU, le RSA, le rappresentanze territoriali delle OO.SS. stipulanti e firmatarie dall’altra.
Gli accordi collettivi si applicano alla totalità del lavoratori dipendenti delle aziende che rientrano nel campo di applicazione degli accordi stessi.
Gli accordi collettivi territoriali si applicano altresì a tutte le imprese ed ai loro dipendenti che, pur non aderendo alle asso-ciazioni ed alle OO.SS. stipulanti, vi abbiano dato adesione volontaria, applicandoli di fatto.
Le imprese che sono tenute all'applicazione degli accordi territoriali, possono derogare agli stessi soltanto con accordi col-lettivi aziendali, conclusi dalle parti titolate a norma del presente articolo.
9. Per l'efficacia di tali accordi si applica agli stessi la seguente clausola di decadenza: "il lavoratore è tenuto, a pena di decadenza, a chiedere il pagamento delle differenze di indennità di trasferta e di compenso per lavoro straordinario che ritenga dovute, derivanti dal presente accordo, nel termine perentorio di sei mesi dalla data in cui riceve i compensi ai titoli suddetti".
Gli accordi di cui sopra dovranno essere firmati per adesione dai lavoratori interessati.
10. Al personale viaggiante si applicano i limiti sul lavoro straordinario previsti dagli articoli 11 e 11bis e non si applicano i limiti annuali, settimanali e giornalieri previsti dagli articoli sul lavoro straordinario relativi al personale non viaggiante.
11. In aggiunta alle 4 festività abolite spettanti ai sensi dell'art. 14 del presente CCNL, al personale viaggiante sono riconosciute, a decorrere dal 1 luglio 2000, 4,5 giornate di permesso retribuito in ragione di anno di servizio o frazione di esso.
Le suddette giornate vengono riproporzionate su base annua in rapporto alle assenze non retribuite (assenze facoltative post-partum, aspettativa ecc.).
Per gli anni 2014 e 2015 le 4,5 giornate di permesso retribuito di cui al presente comma, in luogo della fruizione, saranno obbligatoriamente monetizzate in ragione del 75% del valore corrispondente. Tale importo sarà erogato in via anticipata nel mese di febbraio di ciascun anno di vigenza contrattuale, salvo eventuali conguagli.
La disposizione in esame ha validità fino alla scadenza del presente contratto. Entro e non oltre il 31 ottobre 2015 le parti si incontreranno per verificare le condizioni di prosieguo del presente provvedimento.
12. Al personale addetto ai servizi di trasloco diverso dal conducente, per il tempo in viaggio e l'eventuale tempo di presenza a disposizione, si applicano per analogia le norme del presente articolo. Le condizioni di migliore favore di cui ai commi precedenti sono assorbite fino a concorrenza.
13. Le parti convengono che durante la vigenza del presente contratto potrà essere concordato a livello azien-dale una specifica indennità economica per gli autisti inquadrati al 3° livello Super in possesso di particolari abilitazioni.
Nota
Per i "Trasporti speciali" vedi l'art. 45 della presente Parte comune.
Art. 11 bis – Orario di lavoro e modalità di prestazione del personale viaggiante impiegato in mansioni discontinue
1. In deroga a quanto previsto dall’art. 11 comma 1, primo alinea, l’orario di lavoro ordinario settimana-le dei conducenti inquadrati nella qualifica 3 lettere A,B,C e nella qualifica 2 lettere E,F è di 47 ore settimanali, il cui tempo di lavoro effettivo non coincide con i tempi di presenza a disposizione in ragione di oggettivi vincoli di organizza-zione derivanti dalla tipologia dei trasporti, in genere di carattere extraurbano, che comportino assenze giornaliere continuate per le quali spetti l'indennità di trasferta di cui all'art. 62, che utilizza veicoli che rientrano nel campo di applicazione dei re-golamenti CE 561/06 e 165/2014, la cui attività comporti l’alternanza tra periodi di lavoro con periodi di pausa, di riposo o di inattività.
L’applicazione del regime orario di 47 ore di lavoro ordinario settimanale per il personale viaggiante di cui alla qualifica 3 lettere A,B,C e qualifica 2 lettere E,F impiegato in mansioni discontinue di cui al presente articolo, ov-vero la sua estensione da 39 a 47 ore per i lavoratori inquadrati alla qualifica 2 lettera D, è soggetta alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui sopra con una delle seguenti modalità:
 La verifica si intende esperita da parte dell’azienda inviando, una sola volta, alle OO.SS. competenti terri-torialmente stipulanti il presente CCNL, anche per il tramite dell’associazione datoriale cui l’impresa aderisce, un’apposita comunicazione attestante la sussistenza delle condizioni di cui al presente comma. Nella comunica-zione dovrà essere indicato il numero dei dipendenti autisti, distinto per qualifica/parametro retributivo. In caso di richiesta di incontro da parte delle OO.SS. lo stesso deve tenersi e concludersi positivamente, in ogni caso, en-tro e non oltre i 15 giorni successivi alla data della comunicazione.
 La verifica potrà altresì essere effettuata inviando, una sola volta, per il tramite dell’associazione datoriale cui l’impresa aderisce o conferisce mandato, un’apposita comunicazione ad Ebilog o agli enti bilaterali di settore già costituti tra le OO.SS. e le associazioni datoriali i quali ne daranno a loro volta comunicazione alle rappresen-tanze territoriali delle OO.SS. firmatarie il presente CCNL.
 Fermo restando che i soggetti sindacali titolati alla verifica sono le OO.SS. stipulanti il presente CCNL, per le imprese artigiane e/o associate alle associazioni datoriali dell’artigianato, la verifica potrà essere effettuata con le modalità previste nella sezione artigiana del presente CCNL.
La discontinuità si intenderà tacitamente verificata una volta esperita con una delle modalità di cui sopra e avrà validità di 4 anni.
Eventuali controversie saranno affrontate ai sensi dell’art. 39 comma 2.
Restano salvi gli accordi in essere.
2. Con le modalità previste dal successivo comma 3, ai lavoratori che esercitano l'attività nelle condizioni suddette e, perciò, considerati discontinui anche a norma del R.D.L. 15/3/1923 n. 692, R.D. 10/9/1923, n. 1953, R.D. 6/12/1923, n. 2657, ai sensi di quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 4 del Decreto Legislativo 234/07, la durata media della settimana non può superare le 58 ore. La durata massima della settimana lavorativa può essere estesa a 61 ore solo se su un periodo di 6 mesi la media delle ore di lavoro non supera il limite di 58 ore settimanali.
3. Con accordi collettivi aziendali conclusi con le OO.SS. stipulanti il presente CCNL sarà accertata la sussistenza delle condizioni che consentono l’applicazione dei diversi limiti di orario stabiliti dal precedente comma 2. Tali accordi, che costituiscono requisito essenziale per l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, dovranno essere sotto-scritti per adesione dai lavoratori interessati e saranno comunque applicabili a tutti i lavoratori con l’adesione della maggioranza del personale coinvolto.
Sono titolati alla stipula degli accordi collettivi suddetti le imprese e le loro associazioni da una parte e le rappresentanze territoriali delle OO.SS. stipulanti il presente CCNL e loro RSA, le RSU ove esistenti dall’altra. Il confronto dovrà avere inizio entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta avanzata anche da una sola delle parti.
Gli accordi di cui sopra avranno una durata massima di 4 anni. In assenza di accordo e/o di rinnovo e trascorsi 3 mesi dalla scadenza, la media oraria sarà quella prevista dall’articolo 11.
4. In caso di mancato accordo su iniziativa anche di una sola delle parti, l'accertamento per singola azienda di cui ai commi 2 e 3, potrà essere esperito mediante appositi incontri da tenersi tra i rappresentanti dell'Associazione datoriale mandataria e le OO.SS. territoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Il confronto tra le parti dovrà avere inizio entro 10 giorni dalla conclusione dell'esame a livello aziendale o dalla richiesta avanzata anche da una sola delle parti stesse.
5. Permanendo il disaccordo la controversia sarà sottoposta all'esame delle competenti Organizzazioni na-zionali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che si incontreranno entro i 10 giorni successivi.
6. In occasione della stipula degli accordi collettivi aziendali di cui all’art.11 comma 8, punto b) ovvero degli accordi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, sarà verificata la coerenza dell’applicazione della classificazione del personale viaggiante ed i corrispondenti parametri.
7. L'attività del conducente, in quanto non trasfertista, si esercita in partenza dal luogo fisso nel quale è situa-ta l'abituale sede di lavoro, per rientrare nello stesso luogo, fermo restando che tale attività è quella definita in modo positivo all’art. 3, comma 1, lett. a) D.LGVO.234/2007.
8. Tutte le ore prestate oltre il limite di cui al comma 1 saranno retribuite con le maggiorazioni per lavoro straordinario ovvero con le modalità previste dal comma 8 del precedente articolo 11.
Nota a verbale
Fermo restando l’obbligo di convocazione congiunta delle OO.SS stipulanti il presente CCNL, per le aziende che occupano fino a 8 dipendenti gli accordi di cui all’art. 11 e 11-bis, possono essere stipulati definiti dalle Associazioni cui aderiscono le imprese con le rappresentanze territoriali congiunte delle OO.SS. firmata-rie stipulanti il del presente CCNL. Tali accordi dovranno indicare il nominativo delle aziende cui gli accordi stessi si applicano.
In assenza di accordi territoriali le imprese, con l'assistenza dell'associazione artigiana cui aderisce o conferisce mandato, possono definire i suddetti accordi con la rappresentanza sindacale di bacino categoriale di cui alla Sezione Artigiana.
Gli accordi stipulati ai sensi dell'art. 11 bis, c. 2, dovranno essere sottoscritti per adesione dai lavoratori interessati e comunque saranno applicabili a tutti i lavoratori con la sottoscrizione della maggioranza del personale coinvolto.
Per gli accordi di cui all'art. 11 si conferma quanto previsto dalla medesima norma.

lunedì 21 ottobre 2019

Come invocare l'aliunde perceptum?

Cass. 09/10/2019, n. 25355

Il datore di lavoro che invochi l'"aliunde perceptum" da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell'assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative.

sabato 19 ottobre 2019

La responsabilità solidale del committente riguarda anche i premi Inail?





Cass. 11/10/2019, n. 25679




In merito all'impugnazione della cartella esattoriale conseguente all'omesso pagamento dei premi Inail dalla società subappaltatrice, trova applicazione il principio di diritto secondo cui, anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore del D.L. del 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, nella L. 4 aprile 2012, n. 35, la responsabilità solidale del committente prevista dall'art. 29 del D.Lgs n. 276 del 2003 ha ad oggetto anche i premi Inail dovuti in relazione ai periodo di esecuzione del contratto di appalto.

giovedì 17 ottobre 2019

Il licenziamento nullo va impugnato entro 60 giorni?



Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 16-07-2015) 05-11-2015, 



2.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Occorre premettere che la L. n. 604 del 1966, art. 10, prevede "le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'art. 2095 c.c., e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro".

La L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 2, (il cui comma 1, come modificato, ha sostituito la L. n. 604 del 1966, art. 6, stabilendo il termine di decadenza di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento e il termine di inefficacia di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale) ha stabilito "le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1, del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento".

L'art. 6, così richiamato, dispone, ai commi 1 e 2 "il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo".

I suddetti termini di decadenza e di inefficacia dell'impugnazione, dunque, devono trovare applicazione quando si deduce l'invalidità del licenziamento, come nella specie prospettandone la nullità in quanto discriminatorio, non assumendo rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore.

Art. 32 Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato

1. Il primo e il secondo comma dell’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti:
«Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.
L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo».


1-bis. In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’ articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011. 


2. Le disposizioni di cui all’ articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento.

mercoledì 16 ottobre 2019

La maternità insorta nel preavviso lavorato rende nullo il licenziamento o inefficace?


Cass. 03-04-2019, n. 9268 

12. secondo un orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 6845 del 2014; n. 18911 del 2006), il licenziamento, come negozio unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro recedente giunge a conoscenza del lavoratore, anche se l'efficacia - vale a dire la produzione dell'effetto tipico, consistente nella risoluzione del rapporto di lavoro - viene differita ad un momento successivo; 

13. da tali premesse discende che la verifica delle condizioni legittimanti l'esercizio del potere di recesso deve essere compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato e non già con riguardo, ove il licenziamento sia stato intimato con preavviso, al successivo momento della scadenza del preavviso stesso (Cass. n. 15495 del 2008 in motivazione n. 874 del 1999); 

14. tale principio ha trovato applicazione, ad esempio, per il termine di decadenza di sessanta giorni, di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, che, si è ritenuto, decorre dalla comunicazione del licenziamento e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto (Cass. n. 6845 del 2014; n. 7049 del 2007); nello stesso modo si è affermata l'irrilevanza di norme disciplinanti la materia in modo innovativo, ove esse siano entrate in vigore dopo il suddetto momento di perfezionamento del recesso e durante il periodo di preavviso (Cass. n. 874 del 1999); 

15. nella fattispecie in esame, la Corte di merito si è attenuta ai principi appena enunciati ed ha escluso la nullità del licenziamento, ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, sul rilievo che al momento in cui lo stesso è stato intimato e si è perfezionato (2.4.04) la lavoratrice non si trovasse oggettivamente in stato di gravidanza; 

16. correttamente la Corte d'appello ha fatto leva anche sulla formulazione letterale dell'art. 54 cit., comma 5, che sancisce la nullità del licenziamento per violazione del relativo divieto avendo riguardo al momento in cui lo stesso è "intimato" (dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro nonchè fino al compimento di un anno di età del bambino) e non al momento di produzione degli effetti; 

17. non costituisce oggetto di causa il diverso problema della sospensione di efficacia del licenziamento, ritualmente comunicato e perfezionato, in relazione agli eventi di cui all'art. 2110 c.c., che rilevano non ai fini della nullità o illegittimità del recesso bensì, unicamente, per stabilire la decorrenza dell'effetto di risoluzione del rapporto (Cass. n. 10852 del 2016; n. 9896 del 2003); 

18. questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 7369 del 2005; n. 10272 del 2003) che dall'applicazione del principio di sospensione del rapporto di lavoro in presenza degli eventi di cui all'art. 2110 c.c. (malattia, infortunio, gravidanza e puerperio), per il periodo previsto dalla legge, dal contratto collettivo, dagli usi o secondo equità, discende, in riferimento al licenziamento con preavviso, la sospensione - fin dal momento della sua intimazione - dell'efficacia del licenziamento nel caso di malattia (infortunio, gravidanza, puerperio) del lavoratore già in atto, e la sospensione della decorrenza del periodo di preavviso in caso in cui detti eventi siano sopravvenuti; 

19. si è ulteriormente precisato (Cass. n. 9896 del 2003) che la sospensione del termine di preavviso del licenziamento durante il decorso della malattia del lavoratore, con conseguente inefficacia del licenziamento fino alla cessazione della malattia o dell'esaurimento del periodo di comporto, costituisce un effetto che deriva direttamente dalla legge e, quindi, si produce per il solo fatto della sussistenza dello stato morboso, indipendentemente dalla comunicazione della malattia che, di regola, a seconda della disciplina collettiva, può essere effettuata entro tre giorni dall'insorgenza (nella sentenza citata, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inefficace il licenziamento, reputando irrilevante che la comunicazione della malattia fosse avvenuta poche ore dopo quella del recesso, una volta accertato che detta malattia preesisteva rispetto al recesso); 

20. da tali premesse deriva che lo stato di gravidanza, insorto durante il periodo di preavviso, se pure non è causa di nullità del licenziamento ai sensi dell'art. 54 cit. costituisce evento idoneo, ai sensi dell'art. 2110 c.c., a determinare la sospensione del periodo di preavviso; difatti il licenziamento intimato durante lo stato di gravidanza rientra nel divieto posto dal citato art. 54 che ne sancisce la nullità, mentre la gravidanza intervenuta nel corso del periodo di preavviso "lavorato", come nel caso di specie, è attratta nella disciplina dell'art. 2110 c.c. e comporta gli effetti sospensivi ivi previsti; 

21. nel caso in esame, la violazione dell'art. 2110 c.c. è stata dedotta dalla ricorrente ma in relazione all'unica domanda proposta, di nullità del licenziamento ai sensi dell'art. 54 cit., e non al fine di far valere l'inefficacia del recesso; la sentenza d'appello dà atto della proposizione della sola domanda di nullità del licenziamento per violazione dell'art. 54 cit. e nel ricorso in esame non sono in alcun modo richiamate o riportate le conclusioni e neppure brani del ricorso introduttivo di primo grado e degli atti del giudizio d'appello da cui potesse desumersi la proposizione di una domanda, sia pure subordinata, di inefficacia del recesso per la gravidanza intervenuta nel corso del periodo di preavviso; 





17. come più volte affermato da questa Corte, il termine di sessanta giorni previsto a pena di decadenza dalla L. n. 604 del 1966, art. 6 si applica all'impugnazione di ogni licenziamento per ragioni riconducibili nell'ambito della disciplina dettata dalla stessa L. n. 604 del 1966 e dalla L. n. 300 del 1970, fatta eccezione per le ipotesi di licenziamento non comunicato per iscritto o di cui non siano stati comunicati, parimenti per iscritto, i motivi, sebbene richiesti, come stabilito dall'art. 2 della citata L. del 1966; in tali ultimi casi, infatti, essendo il licenziamento inefficace ("tamquam non esset"), siccome nullo per difetto di un requisito "ad substantiam", l'unico termine che il lavoratore che intenda agire per far valere tale inefficacia è tenuto a rispettare è quello prescrizionale, (Cass., 1757 del 1999); 

18. si è precisato che l'azione per far valere l'inefficacia del licenziamento verbale non è subordinata, anche a seguito delle modifiche alla L. n. 604 del 1966, art. 6 apportate dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, all'impugnazione stragiudiziale, mancando l'atto scritto da cui la norma fa decorrere il termine di decadenza (Cass. n. 22825 del 2015); 

19. costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, a norma dell'art. 2969 cod. civ., la decadenza prevista dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 - che impone al lavoratore l'onere dell'impugnativa del licenziamento entro il termine di sessanta giorni - non può essere rilevata d'ufficio, attenendo ad un diritto disponibile, ma necessita di un'eccezione (in senso stretto), che, nel rito del lavoro, deve essere proposta, dalla parte convenuta nella memoria di costituzione (Cass. 19405 del 2011);

martedì 15 ottobre 2019

Come disciplina le prestazioni di maternità l'Inps?

Circolare 8 del 17 gennaio 2003





OGGETTO:
Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità).  Chiarimenti.


SOMMARIO: 




1. La situazione di “genitore solo” è riscontrabile anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore.

2. Il padre non ha diritto ai riposi giornalieri (c.d. per allattamento) se la madre non è lavoratrice.

3. Distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità.

4. La domanda di flessibilità è accoglibile anche se presentata oltre il 7° mese di gravidanza, purché le previste attestazioni del medico specialista siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza.

5. La malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la fine dello stesso è indennizzabile secondo le regole ordinarie. La malattia insorta durante il congedo di maternità non è indennizzabile. I periodi di malattia che si verifichino durante il congedo parentale vanno considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante.

6. Carattere ordinatorio del termine di 30 giorni previsto per la presentazione del certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva.

7. L’indennità per congedo parentale è erogabile, in caso di adozione e affidamento, entro 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore.

8. La norma secondo cui, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire del congedo parentale, per ogni nato, è applicabile anche in caso di adozioni/affidamenti plurimi.

9. Non è richiesta la verifica della convalida delle dimissioni volontarie, ai fini della corresponsione dell’ indennità di maternità/paternità.

10. Il congedo di paternità con indennità all’80 % spetta anche quando la madre, nelle ipotesi di cui all’art. 28 del T.U., non sia (o non sia stata) una lavoratrice.

11. Retribuzione di riferimento ai fini della determinazione dell’indennità per congedi parentali.

12. Il licenziamento per giusta causa intervenuto durante il congedo per maternità non esclude l’indennizzabilità del congedo stesso.

13. Requisito dei 26 contributi settimanali in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.




Con la circ. n. 109 del 6.6.2000 sono state date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in materia di maternità, con particolare riguardo alla astensione facoltativa, ai riposi orari, e alla astensione obbligatoria (flessibilità, parto prematuro, astensione del padre con indennità all’80%). Com’è noto, successivamente alla legge 53/2000, al fine di conferire omogeneità e sistematicità alle norme in materia di sostegno della maternità e della paternità, come previsto dall’art. 15 della stessa legge, è stato emanato il D. Lgs. 26.3.2001, n. 151 (“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”….), entrato in vigore il 27.4.2001.

Con la presente si forniscono ulteriori precisazioni sull’argomento (per quanto riguarda le lavoratrici autonome si rinvia alla circ. n. 136 del 26.7.2002).


1) “Genitore solo”



Ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettere a) e b) del T.U., la madre lavoratrice ed il padre lavoratore hanno diritto al godimento di un periodo individuale massimo di congedo parentale (astensione facoltativa) pari, rispettivamente, a 6 mesi e a 7 mesi. Ai sensi della lett. c) del medesimo comma “qualora vi sia un solo genitore” il periodo è elevato fino a un massimo di 10 mesi.



La situazione di “genitore solo” è riscontrabile, oltre che nei casi di morte dell’altro genitore o di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (casi già indicati nella circ. 109 citata), anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte di un genitore.



Nell’ipotesi di non riconoscimento del figlio da parte del padre, la madre richiedente il maggior periodo di congedo parentale, dovrà rilasciarne apposita dichiarazione di responsabilità; e ciò, anche qualora dalla certificazione anagrafica risulti che il cognome del bambino è quello della madre. Una analoga dichiarazione dovrà essere fornita dal padre richiedente in caso di non riconoscimento del figlio da parte della madre.



La situazione di “ragazza madre” o di “genitore single” non realizza di per sé la condizione di “genitore solo”: deve infatti risultare anche il non riconoscimento dell’altro genitore. Analogamente dicasi per la situazione di genitore separato: nella sentenza di separazione deve risultare che il figlio è affidato ad uno solo dei genitori.



Si sottolinea, peraltro, che gli ulteriori mesi riconoscibili al “genitore solo” sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro tre anni di età del figlio.



La situazione di “genitore solo” viene meno con il riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore, circostanza che, si rammenta, deve essere portata a conoscenza sia dell’INPS che del datore di lavoro. E’ ovvio che il riconoscimento interrompe la fruizione del maggior periodo di congedo parentale concesso al genitore inizialmente considerato “solo” ed è ovvio, altresì, che il maggior periodo di congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione del periodo di congedo spettante all’altro. In proposito si rammenta che il periodo di congedo fruibile tra i due genitori è, in via ordinaria, di 10 mesi e che l’elevazione a 7 mesi a favore del padre (con conseguente totale, tra i due, di un massimo di 11 mesi) è prevista solo nel caso in cui il padre abbia già fruito di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad esempio, che se la madre abbia goduto, come “genitore solo” (quale era da considerare fino al riconoscimento del figlio da parte del padre) di un periodo di 8 mesi, il padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di congedo (1).





2) Riposi giornalieri (c.d. per allattamento).



A chiarimento di quanto disposto nella circ. 109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai riposi giornalieri di cui all’art. 10 della legge 1204/71 (ora art. 39 del T.U.) durante il congedo parentale del padre.



Non è, invece, possibile che il padre utilizzi i riposi di cui all’art. 13 della legge 53/2000 (ora art. 40 del T.U.) durante il congedo di maternità e/o parentale della madre, come pure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile, annuale).



Si ricorda che in caso di parto plurimo, invece, le ore aggiuntive di cui all’art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal padre anche durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice dipendente.



Se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola) non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale, durante il quale, come sopra detto, è precluso al padre il godimento dei riposi giornalieri.



Se la madre non è lavoratrice, il padre lavoratore non ha diritto ai riposi giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come pure se la madre è una lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il citato art. 41 riconosce al padre, in caso di parto plurimo, come “aggiuntive” rispetto alle ore previste dall’art. 39 (vale a dire quelle fruibili dalla madre), per l’evidente impossibilità di “aggiungere” ore quando la madre non ha diritto ai riposi giornalieri.



Il diritto del padre ai riposi in questione, infatti, continua ad essere “derivato” da quello della madre, a differenza del diritto del padre al congedo parentale che, in virtù delle più recenti disposizioni di legge, ha acquistato una propria autonomia e indipendenza rispetto alla sussistenza o meno del diritto della madre.



Un diritto “autonomo” del padre ai riposi giornalieri è previsto solo nelle ipotesi di cui alle lettere a), c), d) dell’art. 40 del T.U..





3) Affidamento e inserimento dei minori.



La distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori, rilevabile dall’art. 2, comma 2, della legge 149 del 28.3.2001, è da tenere presente non solo ai fini delle provvidenze previste in favore dei genitori di disabili gravi (v. circ. 138 del 10.7.2001, par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità.



Pertanto, l’inserimento del minore in “comunità di tipo familiare” non è equiparabile all’ affidamento.





4) Flessibilità del congedo di maternità.



La circ. 109/2000, contenente le prime istruzioni applicative in materia di flessibilità del congedo di maternità (già art. 12 della legge 53/2000, ora art. 20 del D. Lgs. 151/2001), è stata integrata dalle disposizioni della circ. 152 del 4.9.2000, sulla quale si forniscono alcuni chiarimenti.



La domanda di flessibilità, tendente ad ottenere l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza (in tutto o in parte), ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, è accoglibile anche qualora sia presentata oltre il 7° mese di gravidanza (peraltro, sempre entro il limite della prescrizione annuale, decorrente dal giorno successivo al periodo di congedo dopo il parto che, in questi casi, risulta superiore ai normali 3 mesi), purché le previste attestazioni del ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato e del medico aziendale, siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza.



Quanto precede nel presupposto che la lavoratrice abbia continuato a lavorare nel periodo in questione.



Se le attestazioni suddette sono state acquisite dopo il 7° mese di gravidanza, la domanda è accoglibile solo per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni.



Per i giorni in cui la lavoratrice si è avvalsa della flessibilità senza esserne formalmente autorizzata (attraverso le attestazioni dei medici sopra indicati), l’indennità di maternità non è erogabile ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in quanto, per tali giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a percepire la retribuzione dal datore di lavoro; i suddetti giorni, pur non potendo essere recuperati dalla lavoratrice dopo il parto, quali giorni di congedo per maternità, devono essere comunque conteggiati ai fini della durata complessiva del congedo stesso.



Si precisa, infine, che la domanda della lavoratrice che, pur essendo stata autorizzata alla flessibilità, e, quindi, allo svolgimento di attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza, chiede di fruire in questo stesso mese del congedo parentale per un altro figlio, può essere accolta. In ogni caso, il congedo di maternità spetterà alla suddetta lavoratrice per tutta la sua prevista durata complessiva (2).





5) Malattia, congedo parentale, congedo di maternità.



a) Malattia e congedo parentale.



In merito alla sussistenza o meno del diritto all’indennità di malattia nell’ipotesi di malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la conclusione dello stesso si fa presente quanto segue.



L’assenza dal lavoro per cause (come il congedo parentale) legate non ad una “sospensione” del rapporto di lavoro ma ad una semplice inesigibilità della relativa prestazione lavorativa non configura, agli effetti erogativi della indennità di malattia, una sospensione del rapporto di lavoro.



Tanto comporta che il periodo di protezione assicurativa (60 gg. o 2 mesi), previsto per le prestazioni di malattia dall’art. 30 del C.C.N. 3.1.1939, decorre dal giorno immediatamente successivo al termine finale del periodo di assenza dal lavoro correlato ad una delle cause di cui trattasi.



Ne consegue che per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta durante la fruizione del congedo parentale, anche oltre 60 gg. dall’inizio del congedo stesso (che, come è noto, è frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a decorrere e la malattia stessa, debitamente notificata e documentata, deve essere indennizzata (in misura intera), ove ne ricorrano i presupposti, secondo i limiti e le modalità previsti dalla relativa normativa, ovviamente nella presunzione, salvo diversa indicazione del genitore interessato, che quest’ultimo intenda sospendere la fruizione del congedo parentale.



Per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta dopo la conclusione del periodo di congedo parentale, a cui faccia seguito una mancata ripresa dell’attività, configurabile quale “sospensione del rapporto di lavoro”, il periodo di protezione assicurativa decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo alla fine del congedo parentale, da considerare periodo neutro.



Per quanto riguarda il diritto al congedo parentale, si precisa che anche i periodi di malattia indennizzati o indennizzabili, che si verifichino durante il congedo parentale, devono essere considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante.



Terminata la malattia, quindi, la fruizione del congedo parentale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni del genitore interessato, può riprendere con o senza erogazione dell’indennità del 30% che, com’è noto, compete per complessivi 6 mesi entro 3 anni di età del bambino.



Ai fini del calcolo del periodo massimo di congedo parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi per il padre, 11 mesi fra i due genitori), durante il quale si siano verificati periodi di malattia, vanno tenute presenti le indicazioni fornite per i casi in cui frazioni di congedo siano intervallate da ferie (v. circ. n. 82 del 2.4.2001, punto 1, ultimo capoverso).



Pertanto, ad esempio, se la malattia è iniziata il lunedì immediatamente successivo al venerdì del congedo parentale, ed è terminata il venerdì immediatamente precedente il lunedì in cui è ripreso il congedo, le domeniche ed i sabati della settimana corta, cadenti subito prima e subito dopo la malattia, devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale.



b) Malattia e congedo di maternità



La malattia insorta durante il congedo di maternità (astensione obbligatoria) non è indennizzabile, in quanto l’indennità per congedo di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia (art. 22, comma 2, del T.U.).



Anche il congedo di maternità – analogamente a quello parentale (v. lett. a)- è da considerare periodo “neutro” ai fini del computo della c.d. “protezione assicurativa”, in caso di malattia insorta successivamente. 





6) Termini per la presentazione della documentazione.



L’art. 21 del T.U. stabilisce che la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio o dichiarazione sostitutiva (ex lege 445/2000).



Tale articolo assorbe la disposizione già contenuta nell’art. 11 della legge 53/2000 relativa alla presentazione, entro 30 giorni, del certificato attestante la data del parto in caso di parto prematuro, nel senso che il termine di trenta giorni per la presentazione della suddetta documentazione è ora previsto in tutti i casi di parto (anche non prematuro).



Ciò premesso, si fa presente che il termine in questione è da ritenere di carattere ordinatorio, non essendone stata prevista la perentorietà, né l’applicazione di sanzioni in caso di sua inosservanza.



Il mancato rispetto del termine, quindi, non fa venire meno il diritto alla prestazione; potrebbe avere riflessi soltanto nell’ambito contrattuale del rapporto di lavoro.





7) Congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.



Si ritiene opportuno riassumere i criteri applicativi delle disposizioni del T.U., che, peraltro, confermano quasi integralmente quelli già indicati nella circ. 109/2000, riguardanti il congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.



L’art.36, comma 2, del T.U. stabilisce che il limite di età del bambino (3 anni) previsto dall’art. 34, comma 1, per la corresponsione dell’indennità al 30%, indipendentemente dalle condizioni di reddito e per un periodo di congedo parentale massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, sia elevato a 6 anni di età in caso di adozione o di affidamento. Stabilisce anche che, in ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia.



Ciò significa che l’indennità è riconoscibile, indipendentemente dalle condizioni di reddito, per complessivi sei mesi fino al compimento dei 6 anni di età del bambino adottato o affidato, purché il congedo parentale sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso del bambino in famiglia.



Significa anche che, dopo il compimento dei 6 anni di età e fino al compimento degli 8 anni (limite di età uguale a quello previsto per i figli non adottati o affidati), i periodi di congedo ulteriori rispetto a quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma restando la possibilità di astensione dal lavoro, sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni reddituali.



Il comma 3 dello stesso art. 36 stabilisce che, qualora all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia una età compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma lascia intendere che, per il minore adottato o affidato ad una età fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale e la relativa indennità possano essere riconosciuti solo se richiesti entro tre anni dall’ingresso.



Non sembra prevista, in altre parole, la possibilità di beneficiare né del congedo, né della indennità, neppure subordinatamente alle condizioni di reddito, qualora il congedo sia chiesto dopo tre anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato tra i 6 e i 12 anni di età.



In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale si applica la disposizione prevista

dall’art. 36 del T.U..





8) Congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare



Come già precisato nel messaggio n. 569 del 27/06/2001, che ad ogni buon conto si allega, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire, per ogni nato, del numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32 del T.U..



La norma suddetta trova applicazione anche nell’ipotesi di adozioni ed affidamenti di minori (anche non fratelli) il cui ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data.





9) Dimissioni



L’art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dal lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, fino al compimento di un anno di vita del bambino o entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia, devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per territorio.



La previsione della convalida risponde unicamente a finalità di tutela del rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del lavoratore padre.



La legge, infatti, subordina espressamente alla convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto all’indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta.



Con l’occasione si fa presente che detta verifica non è richiesta neppure ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione che, com’è noto, spetta anche in caso di dimissioni volontarie intervenute durante il periodo previsto per il divieto di licenziamento o entro un anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottante o affidataria (v. circ. 128 del 5.7.2000 e circ. 143 del 16.7.2001), indennità di disoccupazione che frequentemente costituisce il presupposto per la erogabilità dell’indennità per congedo di maternità.



Infatti, se il congedo di maternità ha inizio trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice, all’inizio del congedo di maternità, fruisce o ha comunque un diritto teorico all’indennità di disoccupazione, alla stessa è erogabile l’indennità giornaliera di maternità, anziché quella di disoccupazione (art. 24, comma 4 del T.U.).



Si rammenta, ad ogni buon conto, che il diritto o meno all’indennità di disoccupazione è ininfluente quando il congedo di maternità inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro (per dimissioni o licenziamento), periodo entro il quale è senz’altro riconoscibile il diritto all’ indennità giornaliera di maternità (art. 24, comma 2 del T.U.).





10) Indennità di paternità



L’art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.



Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere il diritto del padre al congedo in questione nell’ipotesi in cui la madre non sia (o non sia stata) lavoratrice.



Tuttavia, la ”ratio” dell’astensione obbligatoria post- partum vuole garantire al neonato, proprio nei primi tre mesi di vita, l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore (vedi sent. Corte Costituzionale n.1 del 19.1.1987).



Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della suddetta sentenza n. 1/1987: ”in luogo di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”.



Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi previsti dall’art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto autonomo alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla sola durata, alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte della madre (ovviamente lavoratrice). In tale ipotesi, la durata del congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in parte dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria post-partum di maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto prematuro.





11) Calcolo dell’indennità per congedi parentali.



Agli effetti della determinazione della misura dell’indennità per congedo parentale si prende a riferimento la retribuzione media globale giornaliera del mese o del periodo di paga quadrisettimanale immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione dal lavoro.



Tuttavia, nell’ipotesi in cui la lavoratrice fruisca del congedo parentale immediatamente dopo il congedo di maternità (ipotesi praticabile anche senza ripresa dell’attività lavorativa prima del congedo parentale), la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità per congedo parentale è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità (senza conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive).



Laddove, invece, dopo il congedo di maternità, la lavoratrice riprenda l’attività lavorativa (anche per un solo giorno), si prende a riferimento, trattandosi di prestazioni diverse, la retribuzione relativa a tale periodo di ripresa dell’attività, ancorché questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo parentale.



In caso di fruizione frazionata del congedo parentale, invece, si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente, nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività.



Ovviamente la retribuzione va divisa per il numero dei giorni lavorati o retribuiti, eventualmente ridimensionati in caso di “settimana corta”.





12) Sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001.



Si rende noto che, con la sentenza n. 405 del 3-14 dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, 1° comma, della legge 1204/71 nella parte in cui esclude la corresponsione della indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lett. a) della medesima legge (vigente all’epoca del procedimento instaurato davanti alla Corte).



Ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto legislativo.



In attuazione della suddetta sentenza, pertanto, il diritto alla indennità di maternità potrà essere riconosciuto anche nei casi di licenziamento per giusta causa che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli artt. 16 e 17 del T.U..



La presente disposizione è applicabile alle fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta prescrizione, decadenza o sentenza passata in giudicato.





13) Requisito contributivo in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.



Il comma 5 dell’art. 24 del T.U. recita testualmente: “La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. ”.



Ciò, a differenza dell’art. 17 comma 4 della legge 1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la lavoratrice nelle medesime condizioni di cui al suddetto comma 5 dell’art. 24 ora vigente, il possesso di 26 contributi settimanali nell’assicurazione di malattia.



Com’è noto, infatti, la norma della legge 1204 era già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dal 1/1/1998, l’obbligo di versamento all’INPS (Ente subentrato agli Enti assicuratori di malattia) dei contributi di malattia per il S.S.N..



Le Sedi, pertanto, dovranno ricercare il requisito di cui trattasi (26 contributi settimanali nell’ultimo biennio, sempre che non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro), nell’ambito della sola contribuzione di maternità.



Eventuali domande per congedo di maternità avanzate da lavoratrici che siano state licenziate, ma che non abbiano diritto alla indennità di disoccupazione, in quanto non soggette all’obbligo assicurativo per la disoccupazione, potranno essere accolte, quindi, subordinatamente alla verifica del suddetto requisito.










IL DIRETTORE GENERALE f.f.

PRAUSCELLO 






















































































Note

(1) Esempio:


Congedo parentale già fruito come “genitore solo”: 



MADRE

4 mesi

5 mesi

6 mesi 

6 mesi e 10 giorni 

7 mesi

8 mesi

9 mesi

10 mesi



PADRE

4 mesi

5 mesi

6 mesi

7 mesi

7 mesi e 10 giorni

8 mesi

9 mesi

10 mesi



Congedo parentale fruibile dall’altro genitore che successivamente ha riconosciuto il figlio:

PADRE

7 mesi 

6 mesi

5 mesi

4 mesi e 20 giorni 

4 mesi

2 mesi

1 mese

zero



MADRE

6 mesi

6 mesi

5 mesi

4 mesi

3 mesi e 20 giorni

3 mesi

2 mesi

1 mese






(2) Si riportano a titolo esemplificativo alcuni casi, in cui l’inizio dell’obbligo di astenersi dal lavoro sia fissato al 1° 11. 2002. Negli esempi si ipotizza che il periodo di flessibilità richiesto sia pari al massimo (e cioè corrispondente al mese di novembre 2002) e che non si verifichino eventuali prolungamenti del periodo di astensione post partum dovuti a “parto prematuro”:




Attestazioni sanitarie rilasciate (datate) 



Riconoscibilità della prestazione




a) prima del 7° mese di gravidanza (prima cioè del 1° ottobre)





non riconoscibilità


b) nel corso del 7° mese di gravidanza (e cioè tra il 1° ottobre e 1° novembre 2002)





riconoscibilità fino al termine del quarto mese dopo il parto


c) 11 novembre (nel corso dell’8° mese di gravidanza)





riconoscibilità dall’11 novembre e fino al 20° giorno del quarto mese dopo il parto




d) successivamente al 1° dicembre (dopo l’8° mese di gravidanza) 



riconoscibilità solo per il mese precedente la data presunta del parto e per tre mesi successivi al parto