mercoledì 31 maggio 2017

Come si determina il  nucleo familiare ai fini degli assegni per il nucleo familiare?

Il D.L. n. 69/1988 (art. 2, c. 6-bis) statuisce “Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L'accertamento degli Stati nei quali vige il principio di reciprocità è effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri”. 


Tale principio è ribadito nella circolare 61 del 2004 secondo cui: "Com’è noto, la residenza in Italia è requisito fondamentale per la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare ai lavoratori extracomunitari solo per i familiari di cittadino di Stato estero che non riservi un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero con il quale non sia stata stipulata una Convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia".

Tuttavia Secondo Corte Appello Brescia Sentenza n. 90/2016 pubbl. il 20/04/2016

In questo senso si è espressa la Suprema Corte, la quale ha appunto affermato, anche di recente, che “l’assegno per il nucleo familiare, disciplinato dall’art.2 del d.l. 13 marzo 1988, n.69, convertito in legge 13 maggio 1988, n.153 – finalizzato ad assicurare una tutela in favore delle famiglie in stato di effettivo bisogno economico ed attribuito in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, tenendo conto dell’eventuale esistenza di soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e quindi nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro) ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età – ha natura assistenziale, …” (cfr.Cass.6351/2015).,,,,La Corte ha rilevato che il nuovo istituto dell'assegno per il nucleo familiare, introdotto dalla l.153/1988, si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema dei trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, prima parte). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei familiari che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti. Si realizza, così, con l'istituto in esame, una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti. Questa finalità della L. n. 153 del 1988 (di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente assistenziale della nuova normativa (cfr.la sent. citata in motivazione). Poiché non vi è ragione di discostarsi da questi principi, deve ritenersi che la prestazione in esame abbia natura assistenziale e in quanto tale, per quel che qui interessa, rientri nell’ambito di operatività della lett.d, del primo paragrafo dell’art.11 della direttiva 2003/109,,,,,Stando così le cose, come statuito dal giudice di primo grado, la previsione interna di cui al comma 6 bis dell’art.2, della L.153/88, laddove con riferimento alla prestazione dell’ANF introduce per gli stranieri un regime diverso rispetto a quello che vige per i cittadini italiani, si pone in contrasto con la direttiva (non essendo, alla luce delle disposizioni di questa direttiva e con riferimento a detta prestazione, assistenziale ed essenziale, derogabile il principio della parità di trattamento), e realizza un’oggettiva discriminazione dello straniero rispetto a questi ultimi..... Il precetto è sufficientemente preciso (“il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda … d) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale; …”). E’ incondizionato in quanto lo Stato non deve svolgere alcuna attività per applicarlo (è bene precisare che il rinvio al diritto nazionale effettuato dal 13° considerando della direttiva è limitato alle modalità di concessione delle prestazioni di cui trattasi, ma non al diritto alle stesse) e si verte qui in tema di rapporti di efficacia verticale. In materia, dunque, contrariamente a quanto sostenuto dall’ente previdenziale, la direttiva ha efficacia diretta ed è quindi “autoesecutiva”, nel senso che trova ingresso nell’ordinamento interno senza necessità di alcuna norma di recepimento. La stessa nella gerarchia delle fonti normative si pone al di sopra della legislazione nazionale, la quale, se contrastante, va pertanto direttamente disapplicata. Inoltre, essendo chiaro il significato della norma comunitaria, neppure vi è motivo per un rinvio alla Corte di Giustizia. Va poi osservato che se l’applicazione di quest’ultima norma pone lo straniero in una situazione di svantaggio rispetto al cittadino italiano (come pacificamente nel caso di specie), si realizza una discriminazione oggettiva (per la cui configurabilità non è necessaria alcuna volontà diretta a porla in essere), con ogni conseguenza in tema di ammissibilità della relativa azione speciale.

martedì 30 maggio 2017

In caso di cessazione del rapporto il lavoratore può richiedere al datore di lavoro gli assegni per il nucleo familiare?

Con messaggio n.  12790 del 2006 l'Inps ha statuito

OGGETTO: 

Pagamento assegno per il nucleo familiare per periodi pregressi. 

Pervengono da più parti richieste di chiarimenti circa la competenza al pagamento dell’assegno per il nucleo familiare per periodi pregressi durante i quali un lavoratore era occupato presso un datore di lavoro diverso da quello presso cui lavora al momento in cui intende inoltrare la domanda di prestazione ovvero al momento stesso non occupato. 

Premesso che l’art. 37 del D.P.R. 797/1955 , così come modificato dall’art. 8 della legge 1038/1961, pone l’obbligo al datore di lavoro di anticipare per conto dell’INPS la prestazione familiare, si chiarisce che l’obbligazione sussiste anche in caso di richiesta successiva alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, ma relativa a periodi pregressi, per quel datore di lavoro, alle cui dipendenze il lavoratore medesimo prestava attività nel periodo oggetto della richiesta, semprechè l’impresa conservi un rapporto previdenziale con l’INPS ovvero non sia cessata o fallita. 

In base alla vigente normativa il diritto del lavoratore alla percezione dell’assegno si prescrive nel termine di cinque anni, pertanto un datore di lavoro non può sottrarsi al pagamento della suddetta prestazione presentata da un ex dipendente nel termine della prescrizione quinquennale. 

Sempre nel termine di cinque anni si prescrive il diritto del datore di lavoro a richiedere il rimborso dell’assegno per il nucleo familiare erogato ai propri dipendenti; termine che, nel caso di assegno per periodi pregressi, decorre dalla data in cui è stato corrisposto. 

Si sottolinea che, come indicato nella circolare n. 2783 G.S./10 Ris. del 25 settembre 1951, qualora un datore di lavoro si rifiuti di corrispondere l’assegno ad un ex dipendente, l’INPS, cui perviene la denuncia di tale inadempienza, solo dopo aver esperito infruttuosamente ogni formalità idonea ad interessare il datore di lavoro stesso, segnalerà l’azienda alla Direzione Provinciale del Lavoro- Servizio Ispezioni del Lavoro per i provvedimenti di competenza. 

In tale ipotesi, solo allorquando sia stata accertata l’impossibilità per il lavoratore di ricevere quanto dovuto a titolo di prestazione familiare da parte del datore di lavoro, la struttura periferica dell’INPS, competente in relazione agli adempimenti previdenziali effettuati dallo stesso datore di lavoro, potrà provvedere al pagamento diretto della prestazione medesima. 


lunedì 29 maggio 2017

Il consenso scritto dei lavoratori evita il reato ex art. 4 legge 300 del 1970?



La risposta per l'ultima sentenza della corte di Cassazione è negativa. Secondo Cass. pen. Sez. III, Sent.,  08-05-2017, n. 22148

"Rispetto a quest'ultima doglianza, circa il preteso rilievo scriminante attribuito al consenso prestato dai lavoratori all'installazione degli impianti di videoripresa, va preliminarmente ribadito il principio già affermato da questa Sezione secondo il quale, in tema di divieto di uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, sussiste continuità di tipo di illecito tra la previgente fattispecie, prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4, e art. 38, comma 1, (cd. Statuto dei lavoratori) e D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 114 e 171, e quella attuale rimodulata dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, art. 23, (attuativo di una delle deleghe contenute nel cd. Jobs Act), avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell'art. 4, cit. è penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 38, cit. (Sez. 3, n. 51897 del 08/09/2016, Bommino, Rv. 268399).

In buona sostanza, per quanto qui interessa, anche la nuova disposizione (D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, art. 23) ribadisce la necessità che l'installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) sia preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l'accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l'installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell'autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicchè, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l'installazione dell'apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata.

4. La ricorrente obietta che la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio in forza del quale non integra il reato previsto dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300) l'installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l'attività dei lavoratori, la cui attivazione, anche in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali, sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti (Sez. 3, n. 22611 del 17/04/2012, Banti, Rv. 253060) ed aggiunge che, sulla base dell'eadem ratio, lo stesso principio debba valere anche nell'ipotesi, nella specie sussistente, in cui sia stata acquisita la prova certa che il consenso sia stato prestato da tutti i lavoratori, quantunque oralmente.

5. Il Collegio non condivide tale impostazione e ritiene che il consenso in qualsiasi forma (scritta od orale) prestato dai lavoratori non valga a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice.

5.1. La sentenza Banti, al fine di sostenere la portata esimente del consenso scritto prestato da tutti i lavoratori, ha ritenuto illogico negare validità ad un consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori e non soltanto da una loro rappresentanza, tanto sul fondamentale rilievo che la disposizione di cui all'art. 4 intende tutelare i lavoratori contro forme subdole di controllo della loro attività da parte del datore di lavoro e che tale rischio viene escluso, a meno di non voler dare una interpretazione eccessivamente formale e meccanicistica della disposizione, in presenza di un consenso di organismi di categoria rappresentativi cosicchè, a fortiori, tale consenso deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti, posto che l'esistenza di un consenso validamente prestato da parte di chi sia titolare del bene protetto, esclude la integrazione dell'illecito.

5.2. Sennonchè è proprio quest'ultima affermazione che, ad avviso del Collegio, non appare condivisibile.

La norma penale in discorso, al pari di quelle che richiedono l'intervento delle rappresentanze sindacali dei lavoratori per la disciplina degli assetti nei luoghi di lavoro, tutela interessi di carattere collettivo e superindividuale, anche se non è esclusa una possibile interferenza tra la lesione delle posizioni giuridiche facenti capo, sia pure in prima battuta, alle rappresentanze sindacali e quelle facenti capo ai singoli lavoratori.

La condotta datoriale, che pretermette l'interlocuzione con le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali procedendo all'installazione degli impianti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, produce l'oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici, in quanto deputate a riscontrare, essendo titolari ex lege del relativo diritto, se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende avvalersi, abbiano o meno, da un lato, l'idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza, e di verificare, dall'altro, l'effettiva rispondenza di detti impianti alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza in modo da disciplinarne, attraverso l'accordo collettivo, le modalità e le condizioni d'uso e così liberare l'imprenditore dall'impedimento alla loro installazione.

Peraltro, come è stato correttamente sottolineato, sia l'accordo che il provvedimento autorizzativo devono rispettare i principi e le regole stabiliti dall'interpretazione prevalente della normativa lavoristica in tema di controllo nonchè dalla disciplina sul trattamento dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196).

A questo proposito, non è ultroneo segnalare l'orientamento, tuttora valido, espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l'installazione in azienda, da parte del datore di lavoro, di impianti audiovisivi - che è assoggettata ai limiti previsti dall'art. 4, dello Statuto dei lavoratori anche se da essi derivi solo una mera potenzialità di controllo a distanza sull'attività lavorativa dei dipendenti, senza che peraltro rilevi il fatto che i dipendenti siano a conoscenza dell'esistenza di tali impianti - deve essere preceduta dall'accordo con le rappresentanze sindacali; con l'ulteriore conseguenza che è identificabile in tale fattispecie un comportamento antisindacale del datore di lavoro, reprimibile con la speciale tutela approntata dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Sez. L, n. 9211 del 16/09/1997, Rv. 508047 - 01).

Con questa pronuncia è stato dunque chiarito che l'assenso delle rappresentanze sindacali è previsto per legge come uno dei momenti essenziali della procedura sottesa all'installazione degli impianti, derivando da ciò l'inderogabilità e la tassatività sia dei soggetti legittimati e sia della procedura autorizzativa di cui all'art. 4 Statuto dei lavoratori.

A questo proposito, va rilevato che, sotto la vigenza dell'originario L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 4, ma con orientamento pienamente valido anche a seguito della novella di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, art. 23, la giurisprudenza di legittimità aveva significativamente affermato come l'art. 4 cit., vietasse il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, anche inteso nel senso di mera possibilità di controllo ad insaputa del prestatore di opera, tanto nell'ipotesi dell'installazione di impianti finalizzati al controllo a distanza quanto delle apparecchiature predisposte per fini produttivi, ma comunque tali da presentare la possibilità di fornire anche il controllo a distanza del dipendente, rilevando come, mentre le apparecchiature finalizzate al mero controllo a distanza della prestazione lavorativa fossero assolutamente vietate, data la loro odiosità, il loro contrasto con i principi della Costituzione ed il danno che possono arrecare alla stessa produttività del lavoratore, quelle di cui al secondo comma fossero consentite, se ed in quanto il datore di lavoro avesse osservato quanto tassativamente previsto dall'art. 4, senza che peraltro il lavoratore potesse reagire al di fuori dei mezzi di tutela apprestati da tale ultima disposizione (Sez. L, n. 1236 del 18/02/1983, Rv. 426020 - 01).

E' peraltro significativo osservare, sul punto, che lo stesso Garante per la protezione dei dati personali ha più volte ritenuto illecito il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza, in assenza del rispetto delle garanzie di cui all'art. 4, comma 2, Stat. lav. e nonostante la sussistenza del consenso dei lavoratori (cfr. relazione Garante per la protezione dei dati personali, per l'anno 2013, pubblicata nel 2014).

A ben vedere, la ragione - per la quale l'assetto della regolamentazione di tali interessi è affidato alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico, con esclusione della possibilità che i lavoratori, uti singuli, possano autonomamente provvedere al riguardo - risiede, ancora una volta, nella considerazione della configurabilità dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro, questione che viene in rilievo essenzialmente con riferimento all'affermazione costituzionale del diritto al lavoro e con riferimento alla disciplina dei rapporti esistenti tra il datore di lavoro ed il lavoratore, sia nella fase genetica che funzionale del rapporto di lavoro.

La diseguaglianza di fatto e quindi l'indiscutibile e maggiore forza economico - sociale dell'imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, dà conto della ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile, potendo alternativamente essere sostituita dall'autorizzazione della direzione territoriale del lavoro, nel solo caso di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, ma non invece dal consenso dei singoli lavoratori, poichè, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all'atto dell'assunzione, una dichiarazione con cui accettano l'introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato dal timore della mancata assunzione.

Del resto, anche la previsione della sanzione penale, e in generale l'esigenza di una tutela in forma punitiva dei diritti riconosciuti al lavoratore, trova compiuta spiegazione in questa sproporzione, allo stesso modo con il quale il progressivo annullamento dell'autonomia privata ha sopperito alla sperequazione sociale nelle posizioni del datore di lavoro e del prestatore d'opera.

6. Da tutto ciò deriva come non abbia alcuna rilevanza il consenso scritto o orale concesso dai singoli lavoratori, in quanto la tutela penale è apprestata per la salvaguardia di interessi collettivi di cui, nel caso di specie, le rappresentanze sindacali, per espressa disposizione di legge, sono portatrici, in luogo dei lavoratori che, a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro, potrebbero rendere un consenso viziato.

La protezione di siffatti interessi collettivi, riconducibili nel caso di specie alla tutela della dignità dei lavoratori sul luogo di lavoro in costanza di adempimento della prestazione lavorativa, non viene meno in caso di mancato accordo tra rappresentanze sindacali e datore di lavoro, dovendo quest'ultimo comunque rimuovere l'impedimento alla installazione degli impianti attraverso il rilascio di un'autorizzazione che rientra nelle competenze di un organo pubblico, cui spetta di controllare l'interesse datoriale alla collocazione degli impianti nei luoghi di lavoro per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, cosicchè il consenso o l'acquiescenza del lavoratore non svolge alcuna funzione esimente, atteso che, in tal caso, l'interesse collettivo tutelato, quale bene di cui il lavoratore non può validamente disporne, rimane fuori della teoria del consenso dell'offeso, non essendo riconducibile al paradigma generale dell'esercizio di un diritto.

sabato 27 maggio 2017

Come è disciplinato l'assegno per i nuclei familiari con almeno tre figli?


In base all'art. 65 l. 1998 n. 448:

1. Con effetto dal 1° gennaio 1999, in favore dei nuclei familiari composti da cittadini italiani e dell'Unione europea residenti, da cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, nonché dai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, che risultino in possesso di risorse economiche non superiori al valore dell'indicatore della situazione economica (ISE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, tabella 1, pari a lire 36 milioni annue con riferimento a nuclei familiari con cinque componenti, è concesso un assegno sulla base di quanto indicato al comma 3. Per nuclei familiari con diversa composizione detto requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza prevista dal predetto decreto legislativo n. 109 del 1998, tenendo anche conto delle maggiorazioni ivi previste.  

2. L'assegno di cui al comma 1 è concesso dai comuni, che ne rendono nota la disponibilità attraverso pubbliche affissioni nei territori comunali, ed è corrisposto a domanda. L'assegno medesimo è erogato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) sulla base dei dati forniti dai comuni, secondo modalità da definire nell'ambito dei decreti di cui al comma 6. A tal fine sono trasferite dal bilancio dello Stato all'INPS le somme indicate al comma 5, con conguaglio, alla fine di ogni esercizio, sulla base di specifica rendicontazione. 

3. L'assegno di cui al comma 1 è corrisposto integralmente, per un ammontare di 200.000 lire mensili e per tredici mensilità, per i valori dell'ISE del beneficiario inferiori o uguali alla differenza tra il valore dell'ISE di cui al comma 1 e il predetto importo dell'assegno su base annua. Per valori dell'ISE del beneficiario compresi tra la predetta differenza e il valore dell'ISE di cui al comma 1 l'assegno è corrisposto in misura pari alla differenza tra l'ISE di cui al comma 1 e quello del beneficiario, e per importi annui non inferiori a 20.000 lire. 

4. Gli importi dell'assegno e dei requisiti economici di cui al presente articolo sono rivalutati annualmente sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. 

5. Per le finalità del presente articolo è istituito un Fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la cui dotazione è stabilita in lire 390 miliardi per l'anno 1999, in lire 400 miliardi per l'anno 2000 e in lire 405 miliardi a decorrere dall'anno 2001.

6. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più decreti del Ministro per la solidarietà sociale, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono emanate le necessarie norme regolamentari per l'applicazione del presente articolo, inclusa la determinazione dell'integrazione dell'ISE, con l'indicatore della situazione patrimoniale".

Per il 2017 il valore dell'assegno, se spettante nella misura intera, è di 141,30 euro mensili per un importo totale annuale di 1836,90 euro.




Regolamento: DM 21/12/2000 n. 452


art. 9. Disciplina dell'ISE.

1. A decorrere dall'anno 2001, per l'assegno per i nuclei familiari con tre figli minori, di cui all'articolo 65 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni ed integrazioni, da erogarsi per il medesimo anno 2001, si applica la disciplina dell'indicatore della situazione economica (ISE) di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, e ai relativi decreti attuativi.


2. La disciplina dell'ISE di cui al comma 1 si applica altresì per l'assegno di maternità di cui all'articolo 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modificazioni ed integrazioni, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenuti in data non anteriore al 1° luglio 2001

art. 14. Disposizioni generali.

1. Il diritto all'assegno per il nucleo familiare decorre dal 1° gennaio dell'anno in cui si verificano le condizioni prescritte dall'articolo 65 della legge, salvo che il requisito relativo alla composizione del nucleo familiare, concernente la presenza di almeno tre figli minori nella famiglia anagrafica del richiedente, si sia verificato successivamente; in tale ultimo caso decorre dal primo giorno del mese in cui il requisito si è verificato. Il diritto cessa dal primo giorno del mese successivo a quello in cui viene a mancare il requisito relativo alla composizione del nucleo familiare, ovvero dal 1° gennaio dell'anno nel quale viene a mancare, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, e dei relativi decreti attuativi, il requisito del valore dell'indicatore della situazione economica.

2. Ai fini della concessione dell'assegno per il nucleo familiare, ai figli adottivi sono equiparati i minori adottati ai sensi dell'articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, e ai genitori sono equiparati gli adottanti. Ai medesimi fini, il requisito della composizione del nucleo familiare non si considera soddisfatto se alcuno dei tre figli minori, quantunque risultante nella famiglia anagrafica del richiedente, sia in affidamento presso terzi ai sensi dell'articolo 2 della citata legge n. 184 del 1983.

3. Il richiedente dichiara, a norma del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, anche contestualmente alla domanda, il giorno dal quale si è verificato il requisito relativo alla composizione del nucleo familiare. Egli è tenuto, altresì, a comunicare tempestivamente al comune ogni evento che determini la variazione del nucleo familiare .

4. Il comune provvede alla concessione dell'assegno per il nucleo familiare previo accertamento che, in relazione ai componenti del nucleo, il beneficio non sia già stato concesso




art. 15. Concessione dell'assegno per il nucleo familiare ad altri soggetti.

1. Quando, nel corso del procedimento di concessione o di erogazione del beneficio, è stata accertata, ai sensi deldecreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e successive modificazioni, l'irreperibilità del richiedente, ovvero quando risulta agli atti del procedimento che il richiedente è stato escluso dall'esercizio della potestà genitoria su alcuno dei tre figli minori o nei suoi confronti sono stati adottati i provvedimenti di cui all'articolo 333 del codice civile, il comune, al fine di assicurare l'utilizzo dell'assegno in favore del nucleo familiare e in particolare dei minori, può provvedere in via alternativa alla concessione dell'assegno, che al richiedente medesimo sarebbe spettato, in favore di altro componente la famiglia anagrafica nella quale si trovano i tre minori, dichiarando il richiedente medesimo decaduto dal beneficio eventualmente già concesso.

2. Quando il genitore avente diritto è deceduto prima dell'erogazione del beneficio, l'assegno che a lui sarebbe spettato fino al mese in cui è avvenuto il decesso può essere concesso, in luogo del genitore deceduto, su domanda dell'interessato, all'altro genitore dei tre minori componente la medesima famiglia anagrafica del genitore deceduto, ovvero, in caso di assenza dell'altro genitore nella famiglia anagrafica del genitore deceduto, ad altro componente la famiglia anagrafica nella quale si trovano i tre minori

art. 16. Domanda per l'assegno per il nucleo familiare.

1. La domanda per l'assegno per il nucleo familiare è presentata, per ogni anno solare o periodo inferiore in cui sussiste il diritto, entro il termine perentorio del 31 gennaio dell'anno successivo a quello per il quale è richiesto il beneficio.

2. La domanda è presentata al comune di residenza da uno dei genitori, cittadino italiano o comunitario residente nel territorio dello Stato, nella cui famiglia anagrafica si trovano almeno tre suoi figli minori sui quali egli esercita la potestà genitoria. Ai figli minori del richiedente sono equiparati i figli del coniuge, conviventi con il richiedente medesimo, nonché i minori ricevuti in affidamento preadottivo dal richiedente e con lui conviventi; in tale ultimo caso, si applica la disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 10 .

3. L'esercizio della potestà genitoria non è richiesto quando il genitore non la eserciti a causa delle incapacità disciplinate dagli articoli 414 e seguenti del codice civile; in tal caso la domanda è presentata dal tutore del genitore incapace in nome e per conto di questi.

4. La domanda può essere presentata a condizione che i requisiti previsti dal presente Titolo siano posseduti dal richiedente al momento della presentazione della domanda medesima; i soggetti che, ai sensi del comma 1, presentano la domanda nel mese di gennaio dell'anno successivo a quello per il quale è richiesto l'assegno, devono fare riferimento ai requisiti posseduti alla data del 31 dicembre immediatamente precedente.

5. Le condizioni per la presentazione della domanda sono rese note agli interessati nelle pubbliche affissioni di cui all'articolo 65, comma 2, della legge n. 448 del 1998.

5-bis. Nel caso in cui la domanda è proposta dal genitore che risulta nello stesso nucleo familiare dei tre minori ai sensi dell'articolo 17, comma 2, e che, tuttavia, non possiede i requisiti soggettivi e familiari di cui al presente articolo, il comune competente può provvedere a concedere l'assegno in favore dell'altro genitore componente il medesimo nucleo familiare che risulti averne diritto, se questi manifesta la sua disponibilità a ricevere l'assegno entro e non oltre il termine ordinario di presentazione della domanda, ovvero, se più favorevole, entro e non oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione al primo genitore richiedente del rigetto della sua domanda.

art. 17. Dichiarazione sostitutiva e calcolo dei benefìci.

1. 1. Il richiedente, unitamente alla domanda di assegno, presenta la dichiarazione sostitutiva di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130. Il richiedente non è tenuto a presentare la dichiarazione sostitutiva se al momento della domanda di assegno è già in possesso dell'attestazione della dichiarazione sostitutiva in corso di validità e contenente i redditi percepiti dal nucleo nell'anno precedente a quello di presentazione della domanda medesima.

2. Il nucleo familiare, rilevante per il calcolo dell'indicatore della situazione economica del richiedente gli assegni per il nucleo familiare e di maternità, è composto dal richiedente, dal coniuge e dagli altri soggetti componenti la famiglia anagrafica, nonché dai soggetti a carico ai fini IRPEF, secondo le disposizioni dell'articolo 2, comma 2, deldecreto legislativo n. 109 del 1998, come modificato dal decreto legislativo n. 130 del 2000, e dei relativi decreti attuativi; del nucleo fanno altresì parte i coniugi non legalmente separati e gli altri soggetti previsti dall'articolo 2, comma 3, del medesimo decreto legislativo, nei casi particolari ivi stabiliti. I comuni forniscono assistenza al richiedente al fine dell'esatta indicazione del nucleo familiare nei suddetti casi particolari.

3. La riparametrazione del valore dell'indicatore della situazione economica, prevista dagli articoli 65 e 66 della legge n. 448 del 1998 per i nuclei familiari con diversa composizione o per i quali debbano applicarsi le maggiorazioni previste dalla Tabella 2 del decreto legislativo n. 109 del 1998, è effettuata secondo i criteri di calcolo di cui all'allegato A.

4. Nell'allegato A è altresì specificato il criterio di calcolo uniforme da applicare per la concessione dei benefìci, comprensivo della valutazione del patrimonio mobiliare e immobiliare del nucleo familiare; l'assegno per il nucleo familiare è concesso se, a seguito del calcolo di cui all'allegato A, al richiedente spetterebbe una somma annua non inferiore a L. 20.000 .

art. 18. Funzioni dei comuni.

1. Gli assegni per il nucleo familiare e di maternità di cui al presente Titolo sono concessi con provvedimento del comune.

2. Salvo il caso di cui all'articolo 11, comma 2, se il richiedente muta la residenza prima del provvedimento di concessione, gli atti relativi al procedimento di concessione sono trasmessi al comune di nuova residenza, per i provvedimenti conseguenti. Il comune che ha concesso il beneficio è comunque competente per i controlli e per i provvedimenti di revoca, anche se l'interessato ha mutato residenza.

3. Ai fini del presente regolamento, il comune nella cui circoscrizione risiede il richiedente è considerato «ente erogatore» agli effetti della disciplina prevista dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 109 del 1998 e dai relativi decreti attuativi.

4. I comuni assicurano, anche attraverso i propri uffici per le relazioni con il pubblico, l'assistenza necessaria al richiedente per la corretta compilazione della dichiarazione sostitutiva di cui all'articolo 17, comma 1. Ai medesimi fini, stabiliscono le collaborazioni necessarie, anche mediante apposite convenzioni, con i centri di assistenza fiscale.

5. Ai sensi dell'articolo 66, comma 1, della legge n. 448 del 1998, i comuni provvedono, per l'assegno di maternità, ad informare gli interessati invitandoli a certificare o dichiarare il possesso dei requisiti all'atto dell'iscrizione all'anagrafe comunale dei nuovi nati.

6. I comuni controllano, singolarmente o mediante un apposito servizio comune, la veridicità della situazione familiare dichiarata, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, comma 7, del decreto legislativo n. 109 del 1998. I controlli possono essere effettuati anche a campione.

7. I comuni provvedono, nel caso di prestazioni indebitamente erogate, alla revoca del beneficio a far data dal momento dell'indebita corresponsione. Il provvedimento di revoca è trasmesso all'INPS per le conseguenti azioni di recupero delle somme erogate.

7-bis. Ai sensi dell'articolo 80, comma 7, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, la potestà concessiva è esercitata dall'INPS dalla data di stipula degli accordi ivi previsti; in tal caso, le disposizioni del presente articolo si applicano all'INPS in quanto compatibili .

art. 19. Cumulo dei benefìci.

1. Gli assegni di cui agli articoli 65 e 66 della legge n. 448 del 1998 non costituiscono reddito a fini fiscali e previdenziali e possono essere cumulati con analoghe provvidenze erogate dagli enti locali e dall'INPS, salvo quanto stabilito dall'articolo 66, comma 3, della legge medesima.

2. L'assegno di cui all'articolo 66 della legge n. 448 del 1998 non spetta se è stato concesso, per lo stesso evento, l'assegno di cui all'articolo 49, comma 8, della legge n. 488 del 1999; qualora l'assegno di cui al citato articolo 66 sia stato concesso, l'INPS sospende il procedimento di erogazione dandone segnalazione al comune per l'adozione del conseguente provvedimento di revoca

art. 20. Pagamento degli assegni.

1. Al pagamento degli assegni concessi dai comuni provvede l'INPS, attraverso le proprie strutture.

2. I comuni trasmettono all'INPS, secondo specifiche fornite dallo stesso istituto, per via telematica o, in subordine, su supporto magnetico ovvero su modulario idoneo alla lettura ottica:

a) l'elenco dei beneficiari e i dati necessari al pagamento dell'assegno: cognome, nome, sesso, luogo e data di nascita, codice fiscale e indirizzo del beneficiario;


b) la denominazione, il codice, il numero telefonico e di archiviazione della pratica del comune concedente il beneficio;


c) la data della presentazione della domanda;


d) l'importo da pagare, semestrale per l'assegno per il nucleo familiare e totale per l'assegno di maternità;

e) il periodo di riferimento per il quale deve essere corrisposto l'assegno;



f) le coordinate bancarie in caso di richiesta di accredito su conto corrente.

3. I comuni comunicano tempestivamente l'eventuale perdita del diritto ovvero la modifica dell'importo della prestazione a seguito di variazioni successivamente intervenute.

4. L'INPS provvede al pagamento dell'assegno per il nucleo familiare con cadenza semestrale posticipata, sulla base dei dati trasmessi dai comuni almeno 45 giorni prima della scadenza del semestre.

5. L'INPS provvede al pagamento in unica soluzione dell'assegno di maternità, entro 45 giorni dalla data di ricezione dei dati trasmessi dal comune. Il relativo importo è determinato tenendo conto della misura mensile vigente alla data del parto.

6. In sede di prima attuazione, il pagamento degli assegni di cui ai commi 1 e 2 è effettuato entro sessanta giorni dalla data di ricezione dei dati da parte del comune.

7. Le informazioni relative ai pagamenti effettuati sono rese disponibili ai comuni dall'INPS per via telematica; in mancanza delle idonee strutture di comunicazione telematica, le informazioni sono richieste all'Istituto con modalità tradizionali

art. 21. Trattamento dei dati.

1. I dati contenuti nelle domande e nelle dichiarazioni sostitutive di cui al presente Titolo possono essere scambiati tra i comuni e l'INPS, che possono trattarli in relazione alle finalità di interesse pubblico perseguite per la concessione degli assegni; i dati sono trattati in forma anonima quando il trattamento avviene a fini statistici, di studio, di informazione, di ricerca e di diffusione. I comuni e l'INPS possono comunicare i dati contenuti nelle domande e nelle dichiarazioni ad altri soggetti al fine di effettuare le verifiche e i controlli di rispettiva competenza, previsti dalle leggi e dai regolamenti, nonché al fine di effettuare i pagamenti. L'INPS effettua il trattamento a fini statistici secondo le indicazioni del Ministro per la solidarietà sociale, e trasmette a questi i risultati della rilevazione. I risultati della rilevazione possono essere resi pubblici ed ulteriormente trattati a fini statistici.

2. Al fine di semplificare le procedure per l'erogazione dei benefìci, l'INPS predispone e rende disponibile ai comuni il necessario supporto informatico per l'acquisizione dei dati delle dichiarazioni e delle domande, per il calcolo dei benefìci e per la trasmissione dei dati di cui al comma 1 del presente articolo e all'articolo 11. La procedura di calcolo del beneficio è resa disponibile previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per gli affari sociali.

3. I comuni e l'INPS possono effettuare il trattamento dei dati sensibili, di cui all'articolo 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modificazioni ed integrazioni, che ad essi eventualmente pervengono ai sensi del presente regolamento, in particolare in relazione alle domande, alle dichiarazioni e alle certificazioni relative ai soggetti in possesso di carta di soggiorno, ovvero concernenti le situazioni di abbandono, l'esercizio della potestà genitoria, le adozioni e gli affidamenti. Dei dati sensibili possono essere effettuate, in conformità all'articolo 4 deldecreto legislativo 11 maggio 1999, n. 135, le operazioni di raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, modificazione, estrazione, raffronto, utilizzo, interconnessione, blocco, cancellazione e distruzione. Le operazioni di selezione, elaborazione e comunicazione dei dati sensibili sono consentite solo con l'indicazione scritta dei motivi; i comuni e l'INPS sono tenuti a rendere pubblica con proprio atto la lista dei soggetti ai quali i dati sensibili possono essere comunicati in base alle leggi e ai regolamenti; la diffusione dei dati sensibili può essere effettuata solo in forma anonima per finalità statistiche, di studio, di informazione e di ricerca

art. 22. Trasferimento delle risorse all'INPS.

1. A valere sui Fondi previsti dagli articoli 65 e 66 della legge n. 448 del 1998, il Ministro per la solidarietà sociale provvede annualmente al trasferimento delle risorse all'INPS. Ai fini dell'effettuazione del conguaglio, l'INPS presenta, nell'esercizio successivo a quello del pagamento degli assegni, le distinte rendicontazioni degli oneri sostenuti per la corresponsione degli assegni medesimi, sulla base delle risultanze del proprio conto consuntivo

giovedì 25 maggio 2017



Il lavoratore che assiste un disabile può essere trasferito?


In base all'art. 33 della legge 104 del 1992 comma 5 stabilisce: "Il lavoratore di cui al comma 3 (1) ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede"

Secondo la Cassazione:

La L. n. 104 del 1992, art. 36, comma 5, stabilisce che "Il lavoratore che assiste la persona con handicap "ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

Questa Corte, con la sentenza n. 25379 del 2012 ha affermato che la disposizione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicchè il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-05-2017, n. 12729


(1)

3. A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti










mercoledì 24 maggio 2017

Quale pena è prevista per il datore di lavoro che ha alle proprie dipendenze lavoratori privi di permesso di soggiorno?

In forza dell'art. 22 del Dlgs 286 del 1998 comma 12: "Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato".

martedì 23 maggio 2017

Il lavoratore in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno può continuare a lavorare a favore del datore di lavoro?

In forza dell'art. 5 comma 9 bis del DPR 1998 n. 286:


9-bis. In attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, anche ove non venga rispettato il termine di sessanta giorni di cui al precedente comma, il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l'attività lavorativa fino ad eventuale comunicazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l'indicazione dell'esistenza dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno. L'attività di lavoro di cui sopra può svolgersi alle seguenti condizioni: 

a) che la richiesta del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro sia stata effettuata dal lavoratore straniero all'atto della stipula del contratto di soggiorno, secondo le modalità previste nel regolamento d'attuazione, ovvero, nel caso di rinnovo, la richiesta sia stata presentata prima della scadenza del permesso, ai sensi del precedente comma 4, e dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n. 394 (1), o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso;
b) che sia stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta attestante l'avvenuta presentazione della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso


(1)


Art. 13 (Rinnovo del permesso di soggiorno) DPR 1999 n. 394




1. Il permesso di soggiorno rilasciato dai Paesi aderenti all'Accordo di Schengen, in conformità di un visto uniforme previsto dalla Convenzione di applicazione del predetto Accordo, ovvero rilasciato in esenzione di visto, per i soli motivi di turismo, non può essere rinnovato o prorogato oltre la durata di novanta giorni, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali.


2. Ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, fermo restando quanto previsto dall'articolo 22, comma 11, del testo unico, la documentazione attestante la disponibilità di un reddito, da lavoro o da altra fonte lecita, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a carico può essere accertata d'ufficio sulla base di una dichiarazione temporaneamente sostitutiva resa dalI'interessato con la richiesta di rinnovo. 

[2-bis. Il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinato alla sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro, nonché alla consegna di autocertificazione del datore di lavoro attestante la sussistenza di un alloggio del lavoratore, fornito dei parametri richiamati dall'articolo 5-bis, comma 1, lettera a), del testo unico. abrogato dall'art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 40.]

3. La richiesta di rinnovo è presentata in duplice esemplare. L'addetto alla ricezione, esaminati i documenti esibiti, ed accertata l'identità del richiedente, rilascia un esemplare della richiesta, munito del timbro datario dell'ufficio e della propria firma, quale ricevuta, ove sia riportata per iscritto, con le modalità di cui all'articolo 2, comma 6, del testo unico, l'avvertenza che l'esibizione della ricevuta stessa alla competente Azienda sanitaria locale è condizione per la continuità dell'iscrizione al Servizio sanitario nazionale. 


4. Il permesso di soggiorno non può essere rinnovato o prorogato quando risulta che lo straniero ha interrotto il soggiorno in Italia per un periodo continuativo di oltre sei mesi, o, per i permessi di soggiorno di durata almeno biennale, per un periodo continuativo superiore alla metà del periodo di validità del permesso di soggiorno, salvo che detta interruzione sia dipesa dalla necessità di adempiere agli obblighi militari o da altri gravi e comprovati motivi. 


lunedì 22 maggio 2017

Gli assegni per il  nucleo familiare  spettano al coniuge non affidatario?

In base a Cass. 11569 del 2017: "alla luce dell'orientamento di questa Corte che il Collegio condivide pienamente e secondo cui la L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 211, prevede che "il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge". La lettera della norma, contrariamente a quanto sostenuto dall'INPS, porta a ritenere che il coniuge affidatario dei figli, quando non possa percepire l'assegno in questione in virtù di un proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite di quello non affidatario.  Si tratta di un principio affermato nella sentenza delle Sez. Unite di questa Corte n. 5135/1989; poi ribadito con sentenze n.24204/2004 e 5060/2003; e di recente richiamato anche nella sentenza 6351/2015". 


In particolare: Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-03-2015, n. 6351

La Corte ha osservato più specificamente che "nel periodo in cui era in vigore l'istituto degli assegni familiari sono state emanate due norme per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati e favorire in ogni caso il coniuge cui erano affidati i figli, indipendentemente dalla titolarità del diritto alla corresponsione degli assegni. La L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 211, prevede che "il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge"; la L. 9 dicembre 1977, n. 903, art.9, sulla parità di trattamento tra uomini e donne, dopo avere previsto che tutte le prestazioni in favore della famiglia "possono essere corrisposte, in alternativa, alla donna lavoratrice... con gli stessi limiti previsti per il lavoratore", al secondo comma stabilisce che "nel caso di richiesta di entrambi i genitori (le prestazioni) debbono essere corrisposte al genitore con il quale il figlio convive".

Abolito l'istituto degli assegni familiari queste norme sono rimaste in vigore (perchè non abrogate esplicitamente o implicitamente da norme successive), la prima, ai fini della scissione fra titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia e diritto alla percezione dello stesso e la seconda per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati che abbiano entrambi diritto alla corresponsione. Per tutto il resto, però, il regime è radicalmente mutato con la introduzione dell'assegno per il nucleo familiare col D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito in L. n. 153 del 1988. 

La Corte ha già avuto modo di precisare, con la sentenza n. 7668 del 20/8/96, che, come è stato messo in luce dalla dottrina, il nuovo istituto dell'assegno per il nucleo familiare si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema dei trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, prima parte). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei familiari, che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, seconda parte). Si realizza, cosi, con l'istituto in esame, una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti. 

In proposito, rileva il Collegio che la suddetta finalità della L. n. 153 del 1988, (di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente assistenziale della nuova normativa, che all'art. 2, comma 6, definisce il nucleo familiare, precisando che lo stesso "è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato e dai figli ed equiparati", comprendendo in esso, tutte le persone in favore delle quali è erogata la prestazione assistenziale, anche maggiorenni, purchè si trovino "nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro"; nucleo che può essere composto anche da una sola persona che si trovi nelle condizioni previste dal successivo comma  Ed è in relazione a tale nucleo familiare che viene determinato, ai sensi del comma 2, l'importo da erogare "in misura differenziata" a seconda delle necessità e, "in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo" medesimo.

La finalità assistenziale del nuovo istituto e la chiara dizione legislativa inducono a ritenere che il reddito da tenere presente ai fini dell'ammontare dell'assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche, se titolare del diritto alla corresponsione; il reddito di quest'ultimo viene tuttavia in considerazione per stabilire il diritto alla erogazione della provvidenza assistenziale; una volta stabilita la spettanza dell'assegno, l'ammontare viene determinato sulla base del reddito del nucleo familiare dell'altro coniuge affidatario.

giovedì 18 maggio 2017



Quali sono i termini di decadenza per costituire nelle somministrazioni di lavoro illegittime il rapporto di lavoro con l'utilizzatore?


In forza dell'art. 39 del Dlgs 81 del 2015 

"1. Nel caso in cui il lavoratore chieda la costituzione del rapporto di lavoro con l'utilizzatore, ai sensi dell'articolo 38, comma 2, trovano applicazione le disposizioni dell'articolo 6 della legge n. 604 del 1966, e il termine di cui al primo comma del predetto articolo decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore.

2. Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al comma 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro".


mercoledì 17 maggio 2017



L'audizione del lavoratore in un procedimento disciplinare è sempre prescritta in caso sia accompagnata da giustificazioni esaustive? 


Per cassazione n. 11895 del 2017  "il datore di lavoro, che intenda adottare una sanzione disciplinare, non può omettere l'audizione dl lavoratore incolpato ove quest'ultimo ne abbia fatto richiesta espressa contestualmente alla comunicazione, nel termine di cui all'art. 7, comma 5, della legge n. 300 del 1970, di giustificazioni scritte, anche se queste siano ampie e potenzialmente esaustive".

martedì 16 maggio 2017

Come è disciplinato il lavoro a tempo parziale nel ccnl farmacie private?

Art. 16 
Per lavoro a tempo parziale si intende il rapporto di lavoro prestato con orario ridotto rispetto a quello stabilito dal presente contratto. Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere stipulato, sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato, nelle forme orizzontale, verticale o misto previste dalla legge. 

Art. 17 
1. Il ricorso al lavoro supplementare potrà avvenire, con il consenso del lavoratore interessato, nella misura massima stabilita dalla legge all’art. 1, secondo comma lett. e), D. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 così come modificato dalla normativa successiva per il rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, misto o verticale. 
2. Le causali in relazione alle quali è consentito di richiedere al lavoratore a tempo parziale lo svolgimento del lavoro supplementare sono identificate nelle esigenze di incremento dell’attività di lavoro determinata da ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo. 
3. Nel caso di superamento della misura massima di cui al punto 1) che precede dovrà essere riconosciuto al lavoratore un riposo compensativo pari alle ore di lavoro svolte oltre il tetto massimo e, sempre per tali ore, una maggiorazione pari al 30% della quota oraria della retribuzione di cui al successivo art. 58.
4. Fatta eccezione per quanto previsto al comma 3 che precede, in ogni altro caso, la percentuale di maggiorazione forfetaria ed omnicomprensiva sulla singola ora di lavoro supplementare è pari al 25% della quota oraria della normale retribuzione di cui al successivo art. 57. 
5. Le ore di lavoro supplementare svolte nelle giornate festive (compresa anche la domenica) o durante il servizio notturno verranno compensate con le sole maggiorazioni, rispettivamente, del 30% e del 40%. Tali maggiorazioni sono forfetarie ed omnicomprensive e devono essere calcolate sulla quota oraria della retribuzione di cui al successivo art. 58. 
6. La variazione, in tutto o in parte, della collocazione temporale della prestazione del lavoratore a tempo parziale, a fronte della previsione di clausole flessibili che dovranno essere inserite nel contratto individuale di lavoro, può avvenire per esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo. 
7. La variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto può avvenire, a fronte della previsione di clausole elastiche inserite nel contratto individuale di lavoro, per esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo nella misura massima di 35 ore settimanali. 
8. L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonché di modificare la collocazione temporale della stessa, ai sensi e per gli effetti dei punti 6) e 7) che precedono comporta a favore del prestatore di lavoro un preavviso minimo di due giorni lavorativi che dovrà essere comunicato per iscritto, nonché il diritto a percepire una maggiorazione, limitatamente alle ore che sono state oggetto di variazione o di incremento, forfetaria ed omnicomprensiva pari al 10% della quota oraria della retribuzione di cui al successivo art. 58 per i primi quatto mesi successivi ad ogni intervenuto incremento o variazione. Il lavoratore a tempo parziale può recedere e, così, estinguere le clausole flessibili od elastiche già convenute, a fronte della necessità derivante: a) dalla esecuzione della prestazione prevista da un diverso rapporto di lavoro a tempo parziale; b) dalla paternità o dalla maternità, nei primi 15 mesi di vita del figlio naturale o adottivo; c) dalla inabilità totale del coniuge o del convivente di fatto. 
9. Il rifiuto da parte del lavoratore di aderire alle clausole flessibili ed elastiche non costituisce infrazione disciplinare e non può essere motivo di licenziamento. 
10. Il periodo di comporto di malattia è quello previsto per il lavoratore a tempo pieno, con riproporzionamento del trattamento economico per il lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale. Per il lavoro a tempo parziale verticale o misto il periodo di comporto viene determinato riproporzionandolo in relazione alle giornate di effettivo lavoro. 
11. Il lavoratore a tempo parziale, che ne faccia espressa richiesta in forma scritta, deve essere preferito nelle nuove assunzioni a tempo pieno che il datore di lavoro intenda effettuare per le stesse ed identiche mansioni. 
12. Per tutto quanto non espressamente previsto valgono le norme di legge

lunedì 15 maggio 2017



Le amministrazioni pubbliche possono superare i limiti dei 36 mesi nei contratti a termine?




La legge 228 del 2012 art. 1 comma 400 ha previsto: "Nelle more dell'attuazione dell' art. 1 comma 8 legge 2012 n. 92, fermi restando i vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente, nonché le previsioni di cui all'art. 36 dlgs   165 del 2001, le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 comma 2 del dlgs 165 del 2001 possono prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere al 30 novembre 2012, che superano il limite dei trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, previsto dall'art. 5 comma 4 bis del dlgs 2001 n.  368, o il diverso limite previsto dai Contratti collettivi nazionali del relativo comparto, fino e non oltre il 31 dicembre 2013, previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali rappresentative del settore interessato secondo quanto previsto dal citato art. 5 comma 4  bis del dlgs  368 del 2001 (1). Sono fatti salvi gli eventuali accordi decentrati eventualmente già sottoscritti nel rispetto dei limiti ordinamentali, finanziari e temporali di cui al presente comma".


Successivamente in base all'art. 4 comma 9 DL 101 del 2013 come convertito dalla 125 del 2013: "Le amministrazioni pubbliche che nella programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'art. 39 comma 1 legge 1997 n. 449, riferita agli anni dal 2013 al 2016, prevedono di effettuare procedure concorsuali ai sensi dell'art. 35 comma 3 bis lettera a) del dlgs 165 del 2001, o ai sensi del comma 6 del presente articolo, possono prorogare, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia e, in particolare, dei limiti massimi della spesa annua per la stipula dei contratti a tempo determinato previsti dall'articolo 9 comma 28 del dl 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 122 del 2010, i contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che hanno maturato, alla data di pubblicazione della legge di conversione del presente decreto, almeno tre anni di servizio alle proprie dipendenze. La proroga può essere disposta, in relazione al proprio effettivo fabbisogno, alle risorse finanziarie disponibili e ai posti in dotazione organica vacanti, indicati nella programmazione triennale di cui al precedente periodo, fino al completamento delle procedure concorsuali e comunque non oltre il 31 dicembre 2016. Fermo restando il divieto previsto dall'art. 16 comma 9 dl 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l, 2012 n. 135, le province possono prorogare fino al 31 dicembre 2017 i contratti di lavoro a tempo determinato nonché i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari di cui al presente comma, del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale. Per le proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato del personale degli enti di ricerca possono essere, altresì, utilizzate, in deroga al presente comma, le risorse di cui all'art. 1 comma 188 legge 2005 n. 266, e successive modificazioni, esclusivamente per il personale direttamente impiegato in specifici progetti di ricerca finanziati con le predette risorse e limitatamente alla durata dei progetti medesimi


(1) art. 5 comma 4 bis dlgs 368 del 2001: " Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2; ai fini del suddetto computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. In deroga a quanto disposto dal primo periodo del presente comma, un ulteriore successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti può essere stipulato per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale stabiliscono con avvisi comuni la durata del predetto ulteriore contratto. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché nel caso di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

sabato 13 maggio 2017

Come è disciplinato il part time nel ccnl metalmeccanici privati?

C) Part-time.

Norme generali

Le parti stipulanti convengono sul principio che il lavoro a tempo parziale puo` costituire uno strumento funzionale alla flessibilita` ed alla articolazione della prestazione di lavoro, in quanto applicato in rapporto alle esigenze dell’impresa ed all’interesse del lavoratore. Il lavoratore a tempo parziale beneficia dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile e di un trattamento riproporzionato in ragione della ridotta entita` della prestazione lavorativa. 

Il rapporto di lavoro ad orario ridotto potra` essere di tipo orizzontale, verticale o misto. 
Il rapporto di lavoro a tempo parziale e` di tipo orizzontale quando la riduzione di orario rispetto al tempo pieno e` prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro; 
e` di tipo verticale quando l’attivita` lavorativa sia svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese, o dell’anno; 
e` di tipo misto quando, attraverso una combinazione delle precedenti modalita`, sono previste giornate ad orario ridotto limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno. 

Contratti di lavoro a tempo parziale con superamento dell’orario normale giornaliero ma inferiore a quello contrattuale settimanale, potranno essere stipulati anche al fine di consentire una maggiore utilizzazione degli impianti; in tale ultimo caso e nel caso in cui il part time verticale comprenda i giorni del fine settimana, l’attivazione sara` oggetto di esame preventivo con la Rappresentanza sindacale unitaria
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato per iscritto. 

In esso devono essere indicati, oltre quanto previsto dall’art. 1, del presente titolo, la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno cosı` come previsto dalle norme vigenti, nonche´ le altre eventuali condizioni concordate. In caso di assunzione di personale a tempo pieno e` riconosciuto il diritto di precedenza nei confronti dei lavoratori con contratto a tempo parziale, a parita` di mansioni, fatte salve le esigenze tecnico-organizzative. 

Clausole flessibili ed elastiche 

Possono essere concordate clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione di lavoro e, nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione, nel rispetto di quanto di seguito previsto. In tali casi il consenso del lavoratore deve essere formalizzato attraverso uno specifico atto scritto; il lavoratore puo` farsi assistere da un componente la Rappresentanza sindacale unitaria o, in assenza, a livello territoriale, da un rappresentante delle organizzazioni sindacali stipulanti il C.c.n.l.. La facolta` di procedere alla variazione della prestazione lavorativa ai sensi del comma precedente deve essere esercitata dal datore di lavoro con un preavviso di almeno 7 giorni lavorativi. 
Nel caso di variazione della collocazione temporale della prestazione al lavoratore sara` corrisposta per le ore oggetto di modifica una maggiorazione della retribuzione nella misura onnicomprensiva pari al 10% da computare su gli elementi utili al calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo. 
La variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa e` consentita per una quantita` annua non superiore al 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale e per le ore di lavoro prestate in aumento dovra` essere corrisposta una maggiorazione della retribuzione nella misura onnicomprensiva pari al 15% da computare su gli elementi utili al calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo. 
Il lavoratore che abbia aderito alle clausole flessibili o elastiche, previa comunicazione scritta da presentare con un preavviso di almeno 7 giorni lavorativi corredata da adeguata documentazione, e` esonerato dal relativo adempimento nei casi di cui al paragrafo «Richiesta del lavoratore di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale» e nei seguenti casi sopravvenuti e per il periodo di tempo in cui essi sussistano: – altra attivita` lavorativa subordinata o che comunque impegni il lavoratore in orari definiti incompatibili con le variazioni d’orario; – necessita` di sottoporsi in orari non compatibili con le variazioni pattuite a terapie o cicli di cura; – altre fattispecie di impossibilita` all’adempimento, di analoga valenza sociale rispetto a quelle sopra riportate, e come tali congiuntamente riconosciute in sede aziendale tra Direzione e R.s.u ovvero tra azienda e lavoratore interessato. 

Lavoro supplementare e straordinario 

Tutte le volte che l’orario concordato sia inferiore all’orario normale settimanale, e` consentita la prestazione di lavoro supplementare in riferimento a specifiche esigenze tecniche o organizzative o produttive o amministrative, previa comunicazione alle Rappresentanze sindacali unitarie e salvo comprovati impedimenti individuali. Il lavoro supplementare e` consentito fino al raggiungimento delle 40 ore settimanali e per una quantita` annua non superiore al 50 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale ed e` compensato con una maggiorazione onnicomprensiva del 10% da computare su gli elementi utili al calcolo delle maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo. Per le prestazioni eccedenti tale limite annuo la maggiorazione onnicomprensiva sara` pari al 20%. Per lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie si applica la disciplina contrattuale di cui all’art. 7, Sezione quarta, Titolo III. 

Richiesta del lavoratore di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale 

I lavoratori affetti da patologie gravi che richiedono terapie salvavita che comportano una discontinuita` nella prestazione lavorativa certificata dall’unita` sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale e` trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno previa richiesta del lavoratore. Nelle aziende con piu` di 100 dipendenti, l’azienda, nell’ambito della percentuale massima complessiva del 4 per cento del personale in forza a tempo pieno: 
a) accogliera` le richieste motivate, e debitamente documentate, da: – necessita` di assistere genitori, coniuge o convivente, figli, e altri familiari conviventi senza alcuna possibilita` alternativa di assistenza, gravemente ammalati o portatori di handicap; – necessita` di accudire i figli fino al compimento dei 13 anni; 
b) valutera` positivamente, in funzione della fungibilita` del lavoratore interessato, le richieste motivate, e debitamente documentate, da: – necessita` di assistere familiari conviventi senza alcuna possibilita` alternativa di assistenza che accedano a programmi terapeutici e di riabilitazione per tossicodipendenti; – necessita` di studio connesse al conseguimento della scuola dell’obbligo, del titolo di studio di secondo grado o del diploma universitario o di laurea; 
c) valutera` l’accoglimento delle richieste motivate da ragioni diverse da quelle precedentemente indicate tenuto conto delle esigenze tecnico-organizzative. Nelle aziende fino a 100 dipendenti, l’azienda, nell’ambito della percentuale massima complessiva del 3 per cento dei lavoratori in forza a tempo pieno: – valutera` positivamente, in funzione della fungibilita` del lavoratore interessato, le richieste motivate, e debitamente documentate, dalle ragioni indicate al comma precedente alle lettere a) e b); i casi di cui alla lettera a) hanno la priorita` alla trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a part-time. – valutera` l’accoglimento delle richieste motivate da ragioni diverse da quelle precedentemente indicate tenuto conto delle esigenze tecnico-organizzative. 

Nel caso di valutazione negativa da parte dell’azienda in relazione alla infungibilita` o allo scostamento dalla percentuale massima complessiva, sara` svolto un confronto con la Rappresentanza sindacale unitaria per individuare una idonea soluzione. Nel caso di valutazione negativa da parte dell’azienda in relazione alle esigenze tecnico-organizzative, l’azienda, su richiesta della Rappresentanza sindacale unitaria, informera` la medesima sui motivi del diniego della richiesta avanzata dal lavoratore. In caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale su richiesta del lavoratore per le suddette motivazioni, le medesime motivazioni costituiscono comprovato impedimento individuale alle clausole flessibili o elastiche. In caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, lo stesso potra` anche avere durata predeterminata che, di norma non sara` inferiore a 6 mesi e superiore a 24 mesi. La relativa comunicazione all’interessato sara` fornita entro 30 giorni dalla richiesta. In caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale con durata predeterminata e` consentita l’assunzione di personale con contratto a tempo determinato per completare il normale orario di lavoro del lavoratore sostituito fino a quando l’interessato osservera` il tempo di lavoro parziale trattandosi di una ragione di carattere sostitutivo di cui all’art. 1 comma 1, del D. Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 come modificato dagli interventi legislativi successivi. Informazioni La direzione comunichera` annualmente alla Rappresentanza sindacale unitaria i dati a consuntivo sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale e sulle richieste di trasformazione a part-time da parte di lavoratori assunti a tempo pieno. L’applicazione delle clausole elastiche o flessibili per gruppi omogenei di lavoratori sara` oggetto di informazione preventiva alla Rappresentanza sindacale unitaria. 

Dichiarazione comune 

Le parti ritengono che il part-time possa costituire un efficace strumento per consentire la transizione intergenerazionale finalizzata ad incentivare l’assunzione di giovani a fronte della disponibilita` dei lavoratori piu` anziani a ridurre il proprio orario di lavoro in prossimita` del pensionamento. A tal fine le parti sollecitano coerenti provvedimenti di legge necessari a consentirne la realizzazione.

giovedì 11 maggio 2017

Quali sono i limiti orari del lavoro a tempo parziale nel ccnl del terziario?


Art. 72 – Rapporto a tempo parziale 

L’instaurazione del rapporto a tempo parziale dovrà risultare da atto scritto, nel quale siano indicati i seguenti elementi: 

1) il periodo di prova per i nuovi assunti; 
2) la durata della prestazione lavorativa ridotta e le relative modalità da ricondurre ai regimi di orario esistenti in azienda; 
la prestazione individuale sarà fissata fra datore di lavoro e lavoratore in misura non inferiore ai seguenti limiti: 

aziende che occupino complessivamente fino a 30 dipendenti 
a) 16 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario settimanale; 
b) 64 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario mensile; 
c) 532 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario annuale. 

aziende che occupino complessivamente più di 30 dipendenti
d) 18 ore nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario settimanale;
e) 72 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario mensile; 
f) 600 ore, nel caso di orario ridotto rispetto al normale orario annuale. 

3) il trattamento economico e normativo secondo criteri di proporzionalità all'entità della prestazione lavorativa; 

4) puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, così come previsto dall'art. 2, 2° comma, del D. Lgs. n. 61/2000 e successive modifiche. 

Potranno essere realizzati contratti di lavoro a tempo parziale della durata di 8 ore settimanali per la giornata di sabato cui potranno accedere studenti e/o lavoratori occupati a tempo parziale e indeterminato presso altro datore di lavoro. 

Diverse modalità relative alla collocazione della giornata di lavoro potranno essere definite previo accordo aziendale ovvero previo parere vincolante di conformità dell’Ente Bilaterale Territoriale. 

In relazione alle specifiche realtà territoriali ed aziendali ed alle particolari condizioni dei lavoratori, al secondo livello di contrattazione possono essere raggiunte intese diverse in merito a quanto previsto in materia di durata della prestazione. 

La prestazione lavorativa giornaliera fino a 4 ore non potrà essere frazionata nell’arco della giornata. 

Norma transitoria 

L’applicazione della norma di cui alla lettera d) per le aziende in cui la presenza dei part-time a 16 ore risulti superiore al 15% dell’organico in forza, avrà efficacia entro 12 mesi dalla firma del CCNL. 

Ove permangano ragioni organizzative che risultino incompatibili con una applicazione generalizzata del punto 2 lett. d), le parti potranno realizzare intese diverse a livello aziendale. In caso di nuove assunzioni a tempo parziale con orario settimanale pari al limite minimo di cui al punto 2 lett. d), nelle aziende che complessivamente occupino più di 30 dipendenti, i lavoratori già in forza occupati nello stesso profilo professionale con orario inferiore a 18 ore avranno la priorità d’accesso nella posizione. La priorità indicata al comma precedente si applica altresì ai lavoratori assunti per la durata di 8 ore ai sensi del presente articolo, dal momento in cui cessa la condizione di studente. Le modifiche di cui al presente articolo si applicano a decorrere dalla data di stipula del presente accordo