Come si determina il nucleo familiare ai fini degli assegni per il nucleo familiare?
Il D.L. n. 69/1988
(art. 2, c. 6-bis) statuisce “Non fanno parte del nucleo familiare di cui al
comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non
abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di
cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei
confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione
internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L'accertamento degli
Stati nei quali vige il principio di reciprocità è effettuato dal Ministro del
lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri”.
Tale principio è ribadito nella circolare 61 del 2004 secondo cui: "Com’è noto, la residenza in Italia è requisito fondamentale per la corresponsione
dell’assegno per il nucleo familiare ai lavoratori extracomunitari solo per i familiari di cittadino di Stato
estero che non riservi un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero con il quale
non sia stata stipulata una Convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia".
Tuttavia Secondo Corte Appello Brescia Sentenza n. 90/2016 pubbl. il 20/04/2016
In questo senso si è espressa la Suprema Corte, la quale
ha appunto affermato, anche di recente, che “l’assegno per il
nucleo familiare, disciplinato dall’art.2 del d.l. 13 marzo 1988,
n.69, convertito in legge 13 maggio 1988, n.153 – finalizzato ad
assicurare una tutela in favore delle famiglie in stato di effettivo
bisogno economico ed attribuito in modo differenziato in
rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo
familiare, tenendo conto dell’eventuale esistenza di soggetti
colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e quindi nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un
proficuo lavoro) ovvero minorenni che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro
età – ha natura assistenziale, …” (cfr.Cass.6351/2015).,,,,La Corte ha rilevato che il nuovo istituto dell'assegno per
il nucleo familiare, introdotto dalla l.153/1988, si caratterizza per
accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso
un sistema dei trattamenti diretto ad assicurare una tutela in
favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente
bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in
modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al
reddito del nucleo familiare (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2,
prima parte). Detto reddito, preso a parametro per la
corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei
familiari che risultino meritevoli di una specifica e più intensa
tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti,
nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un
proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà
persistenti. Si realizza, così, con l'istituto in esame, una
compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra
quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati
a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a
quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata
sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno
del propri componenti. Questa finalità della L. n. 153 del 1988
(di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le
famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle
loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente
assistenziale della nuova normativa (cfr.la sent. citata in
motivazione). Poiché non vi è ragione di discostarsi da questi principi,
deve ritenersi che la prestazione in esame abbia natura
assistenziale e in quanto tale, per quel che qui interessa, rientri
nell’ambito di operatività della lett.d, del primo paragrafo
dell’art.11 della direttiva 2003/109,,,,,Stando così le cose, come statuito dal giudice di primo
grado, la previsione interna di cui al comma 6 bis dell’art.2, della
L.153/88, laddove con riferimento alla prestazione dell’ANF
introduce per gli stranieri un regime diverso rispetto a quello che
vige per i cittadini italiani, si pone in contrasto con la direttiva
(non essendo, alla luce delle disposizioni di questa direttiva e
con riferimento a detta prestazione, assistenziale ed essenziale,
derogabile il principio della parità di trattamento), e realizza
un’oggettiva discriminazione dello straniero rispetto a questi
ultimi..... Il precetto è sufficientemente preciso (“il soggiornante di
lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini
nazionali per quanto riguarda … d) le prestazioni sociali,
l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della
legislazione nazionale; …”).
E’ incondizionato in quanto lo Stato non deve svolgere
alcuna attività per applicarlo (è bene precisare che il rinvio al
diritto nazionale effettuato dal 13° considerando della direttiva è
limitato alle modalità di concessione delle prestazioni di cui
trattasi, ma non al diritto alle stesse) e si verte qui in tema di
rapporti di efficacia verticale.
In materia, dunque, contrariamente a quanto sostenuto
dall’ente previdenziale, la direttiva ha efficacia diretta ed è
quindi “autoesecutiva”, nel senso che trova ingresso
nell’ordinamento interno senza necessità di alcuna norma di
recepimento.
La stessa nella gerarchia delle fonti normative si pone al
di sopra della legislazione nazionale, la quale, se contrastante, va
pertanto direttamente disapplicata.
Inoltre, essendo chiaro il significato della norma
comunitaria, neppure vi è motivo per un rinvio alla Corte di
Giustizia.
Va poi osservato che se l’applicazione di quest’ultima
norma pone lo straniero in una situazione di svantaggio rispetto
al cittadino italiano (come pacificamente nel caso di specie), si realizza una discriminazione oggettiva (per la cui configurabilità
non è necessaria alcuna volontà diretta a porla in essere), con
ogni conseguenza in tema di ammissibilità della relativa azione
speciale.
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