Gli assegni per il nucleo familiare spettano al coniuge non affidatario?
In base a Cass. 11569 del 2017: "alla luce dell'orientamento di questa
Corte che il Collegio condivide pienamente e secondo cui la L. 19
maggio 1975, n. 151, art. 211, prevede che "il coniuge cui i figli
sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari
per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di
lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge". La lettera della norma, contrariamente a quanto sostenuto
dall'INPS, porta a ritenere che il coniuge affidatario dei figli,
quando non possa percepire l'assegno in questione in virtù di un
proprio rapporto di lavoro, ha diritto di percepirlo per il tramite di
quello non affidatario. Si tratta di un principio affermato nella sentenza delle Sez.
Unite di questa Corte n. 5135/1989; poi ribadito con sentenze
n.24204/2004 e 5060/2003; e di recente richiamato anche nella
sentenza 6351/2015".
In particolare: Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-03-2015, n. 6351
La Corte ha osservato più specificamente che "nel periodo in cui era in vigore l'istituto degli assegni familiari sono state emanate due norme per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati e favorire in ogni caso il coniuge cui erano affidati i figli, indipendentemente dalla titolarità del diritto alla corresponsione degli assegni. La L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 211, prevede che "il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l'altro coniuge"; la L. 9 dicembre 1977, n. 903, art.9, sulla parità di trattamento tra uomini e donne, dopo avere previsto che tutte le prestazioni in favore della famiglia "possono essere corrisposte, in alternativa, alla donna lavoratrice... con gli stessi limiti previsti per il lavoratore", al secondo comma stabilisce che "nel caso di richiesta di entrambi i genitori (le prestazioni) debbono essere corrisposte al genitore con il quale il figlio convive".
Abolito l'istituto degli assegni familiari queste norme sono rimaste in vigore (perchè non abrogate esplicitamente o implicitamente da norme successive), la prima, ai fini della scissione fra titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia e diritto alla percezione dello stesso e la seconda per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati che abbiano entrambi diritto alla corresponsione. Per tutto il resto, però, il regime è radicalmente mutato con la introduzione dell'assegno per il nucleo familiare col D.L. 13 marzo 1988, n. 69, convertito in L. n. 153 del 1988.
La Corte ha già avuto modo di precisare, con la sentenza n. 7668 del 20/8/96, che, come è stato messo in luce dalla dottrina, il nuovo istituto dell'assegno per il nucleo familiare si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema dei trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l'assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, prima parte). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell'assegno, viene elevato per quei nuclei familiari, che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, seconda parte). Si realizza, cosi, con l'istituto in esame, una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti.
In proposito, rileva il Collegio che la suddetta finalità della L. n. 153 del 1988, (di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente assistenziale della nuova normativa, che all'art. 2, comma 6, definisce il nucleo familiare, precisando che lo stesso "è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato e dai figli ed equiparati", comprendendo in esso, tutte le persone in favore delle quali è erogata la prestazione assistenziale, anche maggiorenni, purchè si trovino "nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro"; nucleo che può essere composto anche da una sola persona che si trovi nelle condizioni previste dal successivo comma Ed è in relazione a tale nucleo familiare che viene determinato, ai sensi del comma 2, l'importo da erogare "in misura differenziata" a seconda delle necessità e, "in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo" medesimo.
La finalità assistenziale del nuovo istituto e la chiara dizione legislativa inducono a ritenere che il reddito da tenere presente ai fini dell'ammontare dell'assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche, se titolare del diritto alla corresponsione; il reddito di quest'ultimo viene tuttavia in considerazione per stabilire il diritto alla erogazione della provvidenza assistenziale; una volta stabilita la spettanza dell'assegno, l'ammontare viene determinato sulla base del reddito del nucleo familiare dell'altro coniuge affidatario.
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