martedì 28 febbraio 2023

 Quando la registrazione presenza attraverso la timbratura può definirsi falsa?


Cass. 24/02/2023, n. 5722

La registrazione effettuata attraverso l'utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell'intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita. La fattispecie disciplinare di fonte legale si realizza, pertanto, non solo nel caso di alterazione o manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l'intervallo temporale compreso tra le timbrature o registrazioni in entrata ed in uscita. Peraltro, le fattispecie legali di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, introdotte dall'art. 55- quater, comma 1, lett. da a) ad f), e comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, costituiscono ipotesi aggiuntive rispetto a quelle individuate dalla contrattazione collettiva – le cui clausole, ove difformi, vanno sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ. – per le quali compete soltanto al giudice, ex art. 2106 cod. civ., il giudizio di adeguatezza delle sanzioni

lunedì 27 febbraio 2023

 Quando la mancata affissione del codice disciplinare può determinare l'illegittimità della sanzione?



Tribunale Novara, Sez. lavoro, 14/02/2023, n. 32

In tema di sanzioni disciplinari, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionabile sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non è necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta

venerdì 24 febbraio 2023

 In caso di nullità dei contratti a termine senza possibilità di conversione che diritti può far valere il lavoratore?



Cass. civ., Sez. Unite, 22/02/2023, n. 5542

In caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullità perché stipulati in assenza di ragioni temporanee, ove la conversione sia impedita dalle norme settoriali vigenti ratione temporis, le disposizioni di diritto interno, che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilità, vanno interpretate in conformità al canone dell'effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno con esonero dall'onere probatorio nei limiti previsti dall'art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 (successivamente trasfuso nell'art. 28 del D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81), ferma restando la possibilità di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati

giovedì 23 febbraio 2023

 In caso di contestazione di illegittimità dell'appalto quando decorrono i termini stabiliti dall'art  6 commi 1 e 2 della legge 604 del 1966?


Cass. 21/02/2023, n. 5346

Il doppio termine di decadenza dall'impugnazione (stragiudiziale e giudiziale) previsto dal combinato disposto degli artt. 6, commi 1 e 2, legge n. 604 del 1966 e 32, comma 4, lett. d), legge n. 183 del 2010, non si applica all'azione del lavoratore – ancora formalmente inquadrato come dipendente di un appaltatore – intesa ad ottenere, in base all'asserita illiceità dell'appalto in quanto di mera manodopera, l'accertamento del proprio rapporto di lavoro subordinato in capo al committente, in assenza di una comunicazione scritta equipollente ad un atto di recesso.

mercoledì 22 febbraio 2023

 Quando può essere risolto il rapporto in caso di malattia?



Cass. 20/02/2023, n. 5244

Nella fattispecie causale di cui all'art. 2110 co. 2 c.c. il rapporto di lavoro può essere risolto in caso di malattia solo se e quando siano decorsi i periodi predeterminati, non potendosi consentire la possibilità di irrogare un licenziamento assoggettandolo alla condizione di un futuro superamento del termine di comporto.

martedì 21 febbraio 2023

 Quando l'insubordinazione è può determinare il licenziamento?


Cass. 16/02/2023, n. 4831

Se è vero che la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l'esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell'organizzazione aziendale, tuttavia ove la contrattazione collettiva ancori l'irrogazione della massima sanzione alla gravità della condotta nei confronti dei superiori, all'esistenza di minacce o di vie di fatto, al rifiuto di obbedienza ad ordini, allora non qualunque comportamento può essere causa di licenziamento ma solo quello che, per le sue caratteristiche proprie, si palesi ingiustificatamente in netto contrasto con gli ordini impartiti.

lunedì 20 febbraio 2023

 

Quale interesse ad agire deve essere presente per esperire la procedura ex art. 445 bis CPC?




Cass. 16/02/2023, n. 4833

In tema di accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis cod. proc. civ., va ravvisata la sussistenza dell'interesse ad agire per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap grave ex art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, anche a prescindere dalla specificazione del beneficio che, in forza di tale riconoscimento, si rivendica. Pertanto, l'istanza tesa al semplice riconoscimento di tale stato psicofisico non richiede altra indicazione al fine di integrare l'interesse ad attivare il procedimento di cui all'art. 445-bis cod. proc. civ., laddove il medesimo stato sia stato in concreto negato dal soggetto che istituzionalmente ha il potere di accertarlo. Inoltre, nel giudizio relativo all'ATP legittimato passivamente è sempre e solo l'INPS, competente in via esclusiva per tutti i procedimenti in materia di invalidità.

sabato 18 febbraio 2023

 Cosa risarcisce il danno differenziale in caso d'infortunio?



Cass. 07/02/2023, n. 3694

In tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'INAIL secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale. Pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato. Successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente.

giovedì 16 febbraio 2023

 Nelle cause direte a fa affermare la sussistenza del rapporto con il cedente in luogo del cessionario vi litisconsorzio necessario?



Cass. 06/02/2023, n. 3479

È esclusa la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra cedente e cessionario nel giudizio instaurato dal lavoratore per far affermare l'esistenza del rapporto lavorativo con il datore di lavoro cedente. In tal caso l'accertamento negativo dell'altro rapporto avviene senza efficacia di giudicato e l'eventuale contrasto tra giudicati è bilanciato dalle esigenze di economia e speditezza processuale, che risulterebbero ostacolate dalla presenza di un'altra parte nel giudizio

mercoledì 15 febbraio 2023

 Quali sono le conseguenze dell'accertamento della natura subordinata di un rapporto di collaborazione con la pa?



Cass. 13/02/2023, n. 4360

In tema di pubblico impiego privatizzato, in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, in seguito ad accertamento giudiziario, risulti avere la sostanza di contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non può conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la P.A., ma ha diritto ad una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., nonché alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale ed alla corresponsione del trattamento di fine rapporto per il periodo pregresso.

 Quali sono I poteri di controllo  devoluti dal giudice in caso di licenziamento collettivo per cessazione attività aziendale?

Cass.10/02/2023, n. 4132

La cessazione dell'attività è scelta dell'imprenditore, espressione dell'esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall'art. 41 Cost. e la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991, applicabili per effetto dell'art. 24 della stessa legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta con un controllo dell'iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell'operazione (compresa la sussistenza dell'imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso) con la conseguente inammissibilità, in sede giudiziaria, di censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dagli artt. 4 e 5 L. n. 223 del 1991, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l'autorità giudiziaria di un'indagine sulla presenza di effettive esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva.

martedì 14 febbraio 2023

 Il danno da perdita di chance è soggetto ad imposizione?



Cass. 08/02/2023, n. 3804

In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, T.U.I.R., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell'ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale a causa dell'assenza di programmi ed obiettivi incentivanti, ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al C.C.N.L. di un certo comparto.

sabato 11 febbraio 2023

 In caso di cessione di azienda poi dichiarata illegittima, come si configura il rapporto con il cessionario?



Cass. 25/01/2023, n. 2240

In caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, il rapporto di lavoro permane con il cedente e si instaura, in via di fatto, un nuovo e diverso rapporto con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare, dal quale derivano effetti giuridici e, in particolare, la nascita degli obblighi gravanti su qualsiasi datore di lavoro che utilizzi la prestazione lavorativa nell'ambito della propria organizzazione imprenditoriale; ne consegue che la responsabilità per violazione dell'art. 2103 c.c. deve essere imputata a quest'ultimo e non anche al cedente.

venerdì 10 febbraio 2023

 Nei contrasti tra le diverse organizzazioni sindacali presenti in azienda come si deve porre il datore di lavoro?



Cass. 27/01/2023, n. 2520

Rispetto al conflitto collettivo, intendendo per tale non solo quello, tradizionale, tra capitale e lavoro, ma anche quello fra organizzazioni rappresentative, secondo opzioni e visioni differenti, degli interessi dei lavoratori, il datore di lavoro è tenuto a conservare un atteggiamento di neutralità, non limitato al mero rispetto dell'art. 17 dello Statuto dei lavoratori, fatti salvi solo gli eventuali interventi necessari per proteggere l'incolumità delle persone o l'integrità dell'azienda. Ne consegue che sebbene possa anche, in singole occasioni, schierarsi a favore di una organizzazione sindacale e contro un'altra, resta comunque precluso al datore di lavoro il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, che sono attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell'azienda.

mercoledì 8 febbraio 2023

 In caso di fallimento del datore di lavoro il rapporto di lavoro si risolve automaticamente?



Cass. 03/02/2023, n. 3351

La dichiarazione di fallimento non integra, ai sensi dell'art. 2119, secondo comma c.c., una giusta causa di risoluzione del rapporto, sicché esso non si risolve ex lege, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale, ma entra in una fase di sospensione, così deviando dall'ordinario principio di diritto comune, che attribuisce una tale tutela alla parte non inadempiente, in virtù dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., ovvero alla parte non insolvente, in virtù della facoltà di sospensione della propria prestazione ex art 1461 c.c. Un tale sistema si giustifica perché il curatore, a tutela della soddisfazione delle ragioni dei creditori cui la procedura fallimentare è finalizzata, abbia un tempo per valutare la convenienza di una scelta, autorizzata dal comitato dei creditori, tra il subentro nel rapporto, assumendone tutti gli obblighi del datore di lavoro fallito, ovvero lo scioglimento dal rapporto medesimo, senza assumerne alcun obbligo. Qualora, il curatore fallimentare opti per lo scioglimento del rapporto, esso cessa per effetto non già della dichiarazione di fallimento ex se, bensì, in presenza di un giustificato motivo oggettivo quale, ad esempio, la cessazione dell'attività di impresa, per effetto dell'esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi.

 Sotto la vigenza dell'art. 18 della legge 300 del 1970 quali sono le conseguenze in caso do illegittimo  licenziamento per giustificato oggettivo?



Cass. 03/02/2023, n. 3437

La sentenza adottata dal giudice delle leggi in materia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (Corte Cost. n. 125 del 2022), dichiara che l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970 limitatamente alla parola "manifesta", determina l'applicazione (nell'ambito del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo) della sanzione reintegratoria anche nelle ipotesi che dapprima venivano escluse, dal diritto vivente, dall'ambito dell'insussistenza del fatto connotata di una particolare evidenza (come le ipotesi di violazione dei criteri di buona fede e correttezza nella scelta tra lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee), con conseguente parificazione – in caso di violazione dei criteri di scelta – del regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti collettivi e per i licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo. Pertanto, a seguito degli interventi della Corte Costituzionale in materia di regime sanzionatorio avverso l'illegittimità di un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo non sussiste più la diversificazione di disciplina, in punto di violazione dei criteri di scelta tra licenziamento individuale e licenziamento collettivo.

lunedì 6 febbraio 2023

 Quando è possibile adibiri il lavoratore a mansioni appartenenti al livello inferiore?


Cass 02/02/2023, n. 3131


Secondo la disposizione di cui all'art. 2013 cod. civ., nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica introdotta dall'art. 3 del D.Lgs. n. 81 del 2015, è consentita l'assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla relativa posizione. È dunque non giustificata l'assegnazione del lavoratore alle mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore quando abbia in precedenza svolto mansioni appartenenti al livello di inquadramento superiore in assenza di prova di una riorganizzazione aziendale destinata ad influire sulla posizione di lavoro dallo stesso ricoperta.

venerdì 3 febbraio 2023

 Come devono essere fruiti i pressi previsti dalla legge 104 del 1992?



Cass. 25/01/2023, n. 2235

A norma dell'art. 33 commi 3 e 7 della legge n. 104 del 1992, il lavoratore che presti assistenza ad un familiare disabile ha diritto a tre giorni di permesso mensile. Tuttavia, l'assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta con tale assistenza senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza. Il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l'abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo ed ha rilievo anche ai fini disciplinari. Si tratta di condotta che priva il datore di lavoro ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell'affidamento riposto nel dipendente

giovedì 2 febbraio 2023

 Come devono essere utilizzate dell'interprete le ipotesi di giusta causa di licenziamento contenute in un ccnl?



Cass 27/01/2023, n. 2518

Sebbene in tema di licenziamento per giusta causa non sia vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, tuttavia la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c. Inoltre rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa, con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del C.C.N.L., dovendo la scala valoriale ivi recepita costituire uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'art. 2119 c.c., attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili oggettivo e soggettivo, ben potendo le parti sottoporre il risultato della valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all'esame della Suprema Corte, sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare.

mercoledì 1 febbraio 2023

 Come è ripartito l'onere probatorio nel caso di licenziamento discriminatorio?


Cass. 27/01/2023, n. 2606

In tema di licenziamento discriminatorio, in forza dell'attenuazione del regime probatorio ordinario introdotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla C.G.U.E., incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso.