mercoledì 29 aprile 2015

La prosecuzione del rapporto oltre il termine indicato sul contratto a tempo determinato quando determina la conversione in tempo indeterminato?

In base all’art. 5 comma 2 del D.lgs 368 del 2011 “ Se il rapporto di lavoro  continua  oltre  il  trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a  sei  mesi  nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis” (36 mesi), “ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto  si  considera  a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.

In seguito all'emanazione del Dlgs 81 del 2015 la norma è confluita nell'art. 22 comma 2 secondo cui:   2. Qualora il rapporto  di  lavoro  continui  oltre  il  trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a  sei  mesi,  ovvero oltre il cinquantesimo giorno  negli  altri  casi,  il  contratto  si trasforma in contratto  a  tempo  indeterminato  dalla  scadenza  dei predetti termini”



martedì 28 aprile 2015

Quando può essere anticipato il TFR ?

In base all’art. 2120 cc “il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.
Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.
La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:
a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile[1].

L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto.

Occorre ricordare che “condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione.”

Infine, in forza dell’art. 7 della legge 53 del 2000 “il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all'articolo 7 comma 1 della legge 1971 n. 1204 (congedo parentale), come sostituito dall'articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge. L'anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati”.




[1] La Corte costituzionale, con sentenza 18 marzo-5 aprile 1991, n. 142 (Gazz. Uff. 10 aprile 1991, n. 15 - Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'ottavo comma, lett. b) dell’art. 2120 cc, come novellato dall'art. 1 l. 1982 n. 297, nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell'anticipazione in ipotesi di acquisto "in itinere" comprovato con mezzi idonei a dimostrarne l'effettività.

lunedì 27 aprile 2015

In base all’art. 2 legge 92 del 2012 quanto deve versare il datore di lavoro quale contributo ASPI?


In base all’art. 2 comma 31 della legge 92 del 2012 “Nei casi di interruzione di  un  rapporto  di  lavoro  a  tempo indeterminato per le causali  che,  indipendentemente  dal  requisito contributivo, darebbero diritto all'ASpI, intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, e' dovuta, a carico del datore di lavoro, una  somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI  per  ogni  dodici mesi di anzianità aziendale  negli  ultimi  tre  anni.  Nel  computo dell'anzianità aziendale sono  compresi  i  periodi  di  lavoro  con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto  e' proseguito senza soluzione di continuità o se comunque  si  e'  dato luogo alla restituzione di cui al comma 30”

sabato 25 aprile 2015

In caso di licenziamenti collettivi errati in seguito all’emanazione del Dlgs 23 del 2015 che conseguenze vi sono?

In base all’art. 10 del Dlgs 23 del 2015  “In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4  e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (licenziamento collettivo),  intimato  senza  l'osservanza della forma scritta,  si  applica  il  regime  sanzionatorio  di  cui all'articolo 2 (reintegrazione e indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di  fine  rapporto,  corrispondente  al  periodo   dal   giorno   del licenziamento sino a quello  dell'effettiva  reintegrazione,  dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative).

In  caso  di  violazione  delle procedure richiamate all'articolo 4,  comma  12[1],  o  dei  criteri  di scelta di cui all'articolo 5[2], comma 1, della legge n. 223  del  1991, si applica il regime di cui all'articolo 3, comma 1 (indennità  non  assoggettata  a  contribuzione  previdenziale  di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine  rapporto  per  ogni  anno  di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non  superiore
a ventiquattro mensilità).







[1] Art. 4 comma 12 l. 223 del 1991  Le comunicazioni di cui al comma 9 sono prive di efficacia  ove siano state effettuate senza l'osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo. Gli eventuali vizi  della comunicazione di cui al comma 2 del presente articolo possono  essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.
Comma 9. Raggiunto l'accordo sindacale ovvero esaurita  la  procedura  di cui ai commi 6, 7 e 8, l'impresa ha facoltà  di  licenziare  gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per  iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso. Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l'elenco  dei lavoratori licenziati con l'indicazione per ciascun soggetto  del nominati del luogo di residenza,  della  qualifica,  del  livello  di inquadramento dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con  le  quali  sono  stati  applicati  i criteri di scelta  di  cui  all'articolo  5,  comma  1,  deve  essere comunicato per iscritto all'Ufficio  regionale  del  lavoro  e  della massima  occupazione  competente,  alla  Commissione  regionale   per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2.


[2] Art. 5. l. 223 del 1991 (Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri a carico delle imprese): 1. L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle  esigenze  tecnico-produttive,  ed  organizzative  del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti  da  contratti
collettivi stipulati con i sindacati di cui all'articolo 4, comma  2, ovvero in mancanza di questi  contratti  nel  rispetto  dei  seguenti  criteri in concorso tra loro;
   a) carichi di famiglia;
   b) anzianità;
   c) esigenze tecnico produttive ed organizzative.

giovedì 23 aprile 2015

Se un’azienda ha più di 15 dipendenti ed occorre procedere a trasferimento d'azienda cosa bisogna fare?

In tali casi si applica l’art. 47 della legge 1990 n. 428. In particolare

“Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della l. 300 del 1970, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi".
e dopo?

Comma 2 “Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo."

Cosa succede se non rispetto la procedura?



“Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge n. 300 del 1970 (condotta antisindacale con condanna delle parti del contratto":“In tema di trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., l'art. 47 L. 428/90 prevede una serie di limitazioni all'autonomia privata dell'alienante e dell'acquirente già nella fase precedente il trasferimento, disponendo che, ove detto trasferimento riguardi un'azienda che occupa più di quindici dipendenti, almeno venticinque giorni prima di esso deve darsi comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria; il mancato adempimento dell'obbligo di informazione del sindacato, tuttavia, costituisce comportamento che viola l'interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato, ed è pertanto, sussistendone i presupposti, configurabile come condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 L. 330/70, ma non incide sulla validità del negozio traslativo, non potendosi configurare l'osservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di legittimità (e quindi di un requisito di validità) del negozio di trasferimento” (Cass. 4/1/00 n. 23, pres. Lanni, in Dir. lav. 2000, pag.405, e in Riv.giur. lav. 2000, pag. 520 )

mercoledì 22 aprile 2015

In caso di cessione di azienda esiste un diritto di precedenza nelle aziende con più di 15 dipendenti per i lavoratori che non passano con il cessionario?


In base all'art. 47 della l. 428 del 1990 comma 6  I lavoratori che non passano alle dipendenze dell'acquirente, dell'affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall'acquirente, dall'affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d'azienda, non trova applicazione l'articolo 2112 del codice civile

martedì 21 aprile 2015

Nella nozione di trasferimento di azienda ex art. 2112 cc rientra l'affitto d'azienda?


In forza dell’art. 2112 cc si ha trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

La norma è estremamente vasta e vi rientrano per la giurisprudenza anche gli affitti d’azienda.

In particolare: L'art. 2112 cod. civ., nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d'azienda; ne deriva che l'obbligazione dell'azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno "sine die" di mantenimento dell'occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso semplicemente con la formale restituzione dell'azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che invece l'attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell'azienda affittuaria era continuata. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 04/03/2009)” Cass. civ., Sez. lavoro, 26/07/2011, n. 16255

lunedì 20 aprile 2015

L’indennità di mobilità può essere anticipata in un’unica soluzione?


Per i lavoratori che percepiscono e percepiranno (sino al 2017) l’indennità di mobilità l’art. 7 comma 5 della l. 223 del 1991 prevede[1]






“I lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un'attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell'indennità nelle misure indicate nei commi 1[2] e 2[3], detraendone il numero di mensilità già godute. Fino al 31 dicembre 1992, per i lavoratori in mobilità delle aree di cui al comma 2 che abbiano compiuto i cinquanta anni di età, questa somma è aumentata di un importo pari a quindici mensilità dell'indennità iniziale di mobilità e comunque non superiore al numero dei mesi mancanti al compimento dei sessanta anni di età. Per questi ultimi lavoratori il requisito di anzianità aziendale di cui all'articolo 16 comma 1, è elevato in misura pari al periodo trascorso tra la data di entrata in vigore della presente legge e quella del loro collocamento in mobilità. Le somme corrisposte a titolo di anticipazione dell'indennità in mobilità sono cumulabili con il beneficio di cui all'articolo 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono determinate le modalità per la restituzione nel caso in cui il lavoratore, nei ventiquattro mesi successivi a quello della corrispondente, assuma una occupazione alle altrui dipendenze nel settore privato o in quello pubblico, nonché le modalità per la riscossione delle somme di cui all'articolo 5, commi 4 e 6”.

Attenzione



Il lavoratore che si rioccupa come dipendente - pubblico o privato - nei 24 mesi successivi alla data di erogazione dell'anticipo, è tenuto a restituire la somma percepita. Il lavoratore è tenuto a dare comunicazione scritta all' INPS entro 10 giorni dall'avvenuta assunzione






L’indennità pertanto spetta ai lavoratori posti in mobilità che, successivamente, decidano di:




- iniziare un’attività autonoma per la quale sia necessaria l’iscrizione alla CCIAA ovvero negli appositi albi professionali o elenchi di categoria (circolare 70 del 30/3/1996)




- iniziare un’attività autonoma assoggettata a ritenuta di acconto per la quale non è prevista l’iscrizione negli appositi albi professionali e/o elenchi di categoria (circolare 70 del 30/3/1996) compresa l’attività imprenditoriale in cui non si concorre in maniera prevalente col proprio lavoro (sentenza della Corte di Cassazione n. 9007 del 2002 - circolare 174 del 28/11/2002)




- sviluppare a tempo pieno un'attività autonoma iniziata durante il periodo di lavoro dipendente (Corte di Cassazione sentenza n. 6679 del 2001 – circolare 174 del 28/11/2002)




- associarsi in cooperativa.






Secondo le indicazioni reperite sul sito Inps: la domanda va presentata all’Inps, per il tramite del Centro per l’Impiego competente per territorio, utilizzando il modello Domanda di anticipazione dell’indennità di mobilità – Modello DS21/ANT Codice SR24. La domanda deve essere corredata della documentazione che attesti il tipo di attività autonoma o imprenditoriale che l’interessato intende avviare ovvero l’attività di associato alla cooperativa. Esempi: artigiano: iscrizione all’albo. Commerciante: iscrizione appositi registri. Agente e rappresentante di commercio o mediatore: iscrizioni negli appositi ruoli e, se previsto, autorizzazione del comune o della Polizia di Stato per l’esercizio dell’attività. Libero professionista: iscrizione nei relativi albi. Qualora non esistano albi o non sia obbligatoria l’iscrizione, devono essere forniti tutti gli elementi necessari a dimostrare che si intende effettivamente svolgere l’attività dichiarata: partita IVA, contratto di affitto, utenze, ecc.. Socio di cooperativa: certificato di iscrizione nel registro prefettizio o nello schedario generale della cooperazione; stralcio dell’elenco dei soci corredato da una dichiarazione del presidente della cooperativa attestante l’avvenuta iscrizione dell’interessato e l’attività allo stesso assegnata,










La domanda va presentata entro 60 giorni dalla data di inizio dell'attività autonoma o dell’associazione in cooperativa. Qualora l’attività autonoma o l’associazione in cooperativa sia iniziata in periodo antecedente il collocamento in mobilità, i 60 giorni decorreranno dalla data di licenziamento.



[1] Da ricordare che in base all’art. 2 della legge 92 del 2012 comma 46 ha previsto:

“Per i lavoratori collocati in  mobilità  a  decorrere  dal  1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre  2016  ai  sensi  dell'articolo  7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e  successive  modificazioni,  il
periodo  massimo  di  diritto  della  relativa  indennità   di   cui all'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n.  223,  e' ridefinito nei seguenti termini:
    a) lavoratori collocati in mobilità nel periodo dal  1°  gennaio 2013 al 31 dicembre 2014:
      1) lavoratori di cui all'articolo  7,  comma  1:  dodici  mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno  compiuto  i  cinquanta anni;
      2) lavoratori di cui  all'articolo  7,  comma  2:  ventiquattro mesi, elevato a trentasei per  i  lavoratori  che  hanno  compiuto  i quaranta anni e a quarantotto per i lavoratori che hanno  compiuto  i cinquanta anni;
    b) LETTERA ABROGATA DAL D.L. 22 GIUGNO 2012,  N.  83,  CONVERTITO
CON MODIFICAZIONI DALLA L. 7 AGOSTO 2012, N. 134;
    c) lavoratori collocati in mobilita' nel periodo dal  1°  gennaio 2015 al 31 dicembre 2015:
      1) lavoratori di cui all'articolo  7,  comma  1:  dodici  mesi, elevato a diciotto per i lavoratori che  hanno  compiuto  i  quaranta anni e a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta
anni;
      2) lavoratori di cui all'articolo  7,  comma  2:  dodici  mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno  compiuto  i  cinquanta anni;
    d) lavoratori collocati in mobilita' nel periodo dal  1°  gennaio 2016 al 31 dicembre 2016:
      1) lavoratori di cui all'articolo  7,  comma  1:  dodici  mesi, elevato a diciotto per i lavoratori che hanno  compiuto  i  cinquanta anni;
      2) lavoratori di cui all'articolo  7,  comma  2:  dodici  mesi, elevato a diciotto per i lavoratori che  hanno  compiuto  i  quaranta anni e a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta
anni.



[2] 1. I lavoratori collocati in mobilità ai  sensi  dell'articolo  4, che siano in possesso dei requisiti di cui all'articolo 16, comma  1, hanno diritto ad una indennità per  un  periodo  massimo  di  dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che  hanno  compiuto  i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori  che  hanno  compiuto  i cinquanta anni. L'indennità  spetta  nella  misura  percentuale,  di
seguito  indicata,  del  trattamento  straordinario  di  integrazione salariale che hanno percepito ovvero che sarebbe  loro  spettato  nel periodo immediatamente precedente  la  risoluzione  del  rapporto  di lavoro;
a) per i primi dodici mesi; cento per cento;
b) da tredicesimo al trentaseiesimo  mese:  ottanta  per  cento

[3] 2. Nelle aree di cui al  testo  unico  approvato  con  decreto  del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218,  la  indennità  di mobilità e' corrisposta per un periodo di  massimo  di  ventiquattro mesi elevato a trentasei  per  i  lavoratori  che  hanno  compiuto  i quaranta anni, e a quarantotto per i lavoratori che hanno compiuto  i cinquanta anni. Essa spetta nella seguente misura:
a) per i primi dodici mesi: cento per cento;
b) dal tredicesimo al quarantottesimo mese: ottanta per cento

sabato 18 aprile 2015

Quando è legittimo un patto di prova?

-          Quando è stipulato in forma scritta
-          Quando è stipulato prima o contestualmente l’inizio del rapporto
-          Quando indica la mansione da espletare


Come indicato dalla giurisprudenza di legittimità:

“La forma scritta necessaria, a norma  dell’art. 2096 cc, per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam", e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall'inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità del patto di prova sottoscritto dal dipendente a distanza di alcuni giorni dall'assunzione). (Rigetta, App. Ancona, 17/07/2006) Cass. civ., Sez. lavoro, 22/10/2010, n. 21758

In quella di merito:

“Il patto di prova ha natura di condizione sospensiva degli effetti del contratto, atteso che la sua funzione è quella di tutelare l'interesse delle parti a sperimentare la reciproca convenienza alla definitiva instaurazione del rapporto. In siffatto periodo, la risoluzione del rapporto rappresenta espressione di un diritto di recesso ad nutum spettante al datore di lavoro. Altresì, ai fini dell'esistenza di un valido patto di prova, occorre che il patto risulti da atto scritto e che si sia formato in epoca anteriore o contestuale rispetto all'inizio del rapporto di lavoro”. Trib. Milano, Sez. lavoro, 21/10/2011

“Il patto di prova, stipulato con il lavoratore, deve rivestire, ai fini della validità, la forma scritta richiesta richiesta ad substantiam; la mancanza di tale requisito comporta la nullità assoluta del patto in prova dovendo sussistere sin dall'inizio del rapporto senza alcuna possibilità di sanatorie potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima dell'esecuzione del contratto”. Trib. Aosta, Sez. lavoro, 09/09/2011


“Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto ma contenere - se del caso ponendo riferimento, eventualmente, alle previsioni del contratto collettivo ove sia in esso riportata in modo sufficientemente chiaro e preciso - anche la specifica indicazione della mansione da espletarsi, la cui mancanza costituisce motivo, di nullità del patto - (con automatica conversione dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio) a prescindere dal livello contrattuale e dalla natura della mansione assegnata, atteso che, da una parte, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma ben definito in ordine al quale poter dimostrare le proprie attitudini, e, dall'altra, la facoltà del datore di lavoro di esprimere la - propria valutazione sull'esito della prova, presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti esattamente identificati sin dall'inizio”. Trib. Milano, 20/10/2008


giovedì 16 aprile 2015

Da quando decorre il licenziamento Disciplinare?

In forza dell'art. 1 comma 41 della legge 92 del 2012 il licenziamento disciplinare cioe' intimato in forza della procedura ex art. 7 l. 300 del 1970 produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo e' avviato.

mercoledì 15 aprile 2015

Quale è il termine di prescrizione dei contributi Inps?

La legge 335/95 di riforma del sistema pensionistico ha stabilito il seguente  regime della prescrizione dei debiti contributivi:
- 10 anni se riferiti a contributi al Fondo pensioni lavoratori dipendenti o altra forma pensionistica obbligatoria sino al 21.12.1995
- 5 anni se riferiti a contributi al Fondo pensioni lavoratori dipendenti o altra forma pensionistica obbligatoria a partire dal 1.1.1996

- 5 anni per tutte le altre contribuzioni obbligatorie a partire dal 17.08.1995

martedì 14 aprile 2015

Che compiti hanno i consiglieri di parità?

In base all’art. 15 del d.lgs 198 del 2006 i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa,  nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del  rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di  pari  opportunità  per  lavoratori  e  lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
    a)  rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di  svolgere  le  funzioni  promozionali  e  di  garanzia  contro  le discriminazioni nell'accesso  al  lavoro, nella promozione e nella formazione  professionale, ivi compresa la progressione professionale e  di  carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché   in   relazione   alle  forme  pensionistiche  complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;
    b)  promozione  di  progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione   delle  risorse  comunitarie,  nazionali  e  locali finalizzate allo scopo;
    c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di   sviluppo   territoriale   rispetto agli indirizzi comunitari,nazionali e regionali in materia di pari opportunità;
    d)  sostegno  delle  politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunità;
    e)   promozione   dell'attuazione   delle   politiche   di   pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
      f)  collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni  alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia  contro  le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
    g)  diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività  di  informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni;
    h)  verifica  dei  risultati  della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;
    i)  collegamento  e  collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parità degli enti locali.
 I consiglieri, inoltre,  svolgono inchieste indipendenti in materia di discriminazioni sul  lavoro  e  pubblica  relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul lavoro.
 
 Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni   regionali   e  provinciali  del  lavoro  territorialmente competenti  acquisiscono  nei  luoghi  di  lavoro  informazioni sulla situazione  occupazionale  maschile  e  femminile,  in relazione allo stato  delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle  retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto  di  lavoro,  ed  ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.
 Entro  il  31  dicembre  di  ogni  anno  le  consigliere  ed  i consiglieri di parità regionali e provinciali presentano un rapporto sull'attività   svolta   agli   organi  che  hanno  provveduto  alla designazione  e  alla  nomina. La consigliera o il consigliere di parità che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia   provveduto  con  un  ritardo  superiore  a  tre  mesi  decade dall'ufficio  con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che  ha provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche   sociali,   di  concerto  con  il  Ministro  per  le  pari opportunità.


lunedì 13 aprile 2015

Quale è il tetto alle pensioni stabilito dalla l. 2014 n. 190?

La materia è disciplinata dall’art. 1 della l. 2014 n. 190 commi 707 – 709.

In particolare il comma 707 ha modificato l’art. 24 comma 2 del Dl, 6  dicembre  2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre  2011, n. 214, introducendo il seguente disposto:

“In  ogni  caso, l'importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l'applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della data di entrata in  vigore  del  presente decreto computando, ai fini della  determinazione  della  misura  del trattamento,   l'anzianità   contributiva    necessaria    per    il conseguimento del  diritto  alla  prestazione,  integrata  da  quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e  la data di decorrenza del primo  periodo  utile  per  la  corresponsione della prestazione stessa”
 
Come chiarito dalla circolare 74 del 2015 dell’Inps destinatari della norma sono “i soggetti iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della stessa che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni e con riferimento ai quali la quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012 è calcolata secondo il sistema contributivo”.

Nei confronti di tali lavoratori ai fini della determinazione dell’importo del trattamento pensionistico la norma in commento richiede che venga effettuato un doppio calcolo. L’importo più basso sarà quello messo in pagamento.
   
I due sistemi di calcolo della pensione da mettere a confronto sono i seguenti:

  1. pensione calcolata applicando i criteri vigenti a partire dal 1° gennaio 2012: calcolo retributivo secondo le regole vigenti al 31 dicembre 2011 per le anzianità contributive maturate a tale data e calcolo contributivo per le anzianità maturate a partire dal 1° gennaio 2012;
  2. pensione calcolata applicando il secondo periodo del novellato articolo 24, comma 2, della legge n. 214 del 2011. Tale disposizione prevede che l’importo della pensione venga determinato applicando il calcolo interamente retributivo per tutte le anzianità contributive maturate dall’assicurato. Al riguardo, l’anzianità contributiva che può essere valorizzata ai fini della determinazione della misura della pensione è pari “all’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa”. Il legislatore, quindi, per il nuovo calcolo interamente retributivo supera il concetto di massima anzianità contributiva valorizzabile, stabilendo che l’anzianità contributiva valorizzabile sia pari a quella necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione (nel 2015; 20 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di vecchiaia, 35 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di anzianità con le quote, 40 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di anzianità indipendente dal requisito anagrafico, 41 anni e 6 mesi per le donne e 42 anni e 6 mesi per gli uomini di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione anticipata) che deve essere incrementata con l’anzianità contributiva che dovesse maturare il lavoratore fino al primo periodo utile per la corresponsione della prestazione……Le differenze con il calcolo interamente retributivo in vigore fino al 31 dicembre 2011 si limitano al limite massimo di anzianità contributiva valorizzabile rimanendo inalterati i criteri per la determinazione della retribuzione pensionabile e delle aliquote di rendimento per la generalità dei lavoratori decrescenti al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile.

Come indicato dall’Inps “sarà messo in pagamento l’importo minore determinato dal raffronto fra il calcolo secondo le regole sub a) e il calcolo secondo le regole sub b)”

Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 708, il doppio calcolo si applica anche ai trattamenti pensionistici già liquidati alla data del 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore della legge in esame, con effetto a decorrere dalla medesima data. In particolare: “Il limite di cui  al  comma  707  si  applica  ai  trattamenti pensionistici, ivi  compresi  quelli  già  liquidati  alla  data  di entrata in vigore della presente legge, con effetto a decorrere dalla medesima data[1]”.

Come indicato dalla circolare Inps, “le Sedi provvederanno d’ufficio al doppio calcolo dei trattamenti pensionistici già liquidati alla data del 1° gennaio 2015, ponendo a raffronto l’importo pensionistico in pagamento con quello derivante dal calcolo secondo le regole di cui al punto 2, sub b), al fine di porre in pagamento, a decorrere dalla medesima data, l’importo pensionistico di minore entità, procedendo al recupero delle somme indebitamente corrisposte a decorrere dalla stessa data”.


Ecco il testo della circolare:

Premessa.

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014, Supplemento ordinario n. 99, è stata pubblicata la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)”.

Con l’art 1, commi da 707 a 709 della citata legge sono state dettate nuove norme relativamente all’importo complessivo dei trattamenti pensionistici spettanti ai soggetti iscritti all’A.G.O. ed alle forme sostitutive ed esclusive della stessa che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni e con riferimento ai quali la quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012 è calcolata secondo il sistema contributivo (vedi punto 4 delle circolari n. 35 e 37 del 14 marzo 2012 e messaggio n. 211 del 12 gennaio 2015).

L’art 1, comma 113, della stessa legge ha introdotto nuove disposizioni in tema di penalizzazioni per i soggetti che accedono alla pensione anticipata ad un’età inferiore ai 62 anni.

Con la presente circolare, condivisa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota n. 1416 del 19 marzo 2015, si forniscono le istruzioni per l’applicazione della normativa in argomento. Con successivo messaggio verranno diramate le relative istruzioni procedurali.



Parte I

Importo complessivo del trattamento pensionistico e doppio calcolo.

L’articolo 1, comma 707, della citata legge ha modificato, integrandolo, l’art. 24, comma 2, del decreto-legge 6  dicembre  2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre  2011, n. 214. Il testo coordinato dell’articolo 24, comma 2, del decreto-legge 6  dicembre  2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre  2011, n. 214, alla luce delle modifiche normative risulta così riformulato: “A decorrere dal 1° gennaio 2012, con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere da tale data, la quota di  pensione corrispondente a tali anzianità  è  calcolata  secondo  il  sistema contributivo.  «In  ogni  caso, l'importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l'applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della data di entrata in  vigore  del  presente decreto computando, ai fini della  determinazione  della  misura del trattamento, l’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del  diritto  alla  prestazione, integrata  da  quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e  la data di decorrenza del primo  periodo  utile  per  la  corresponsione della prestazione stessa»”.

1.   Destinatari.

Al riguardo si chiarisce che la norma interessa i soggetti iscritti all’A.G.O. ed alle forme sostitutive ed esclusive della stessa che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni e con riferimento ai quali la quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012 è calcolata secondo il sistema contributivo (vedi punto 4 delle circolari n. 35 e 37 del 14 marzo 2012 e messaggio n. 211 del 12 gennaio 2015).

La norma non si applica alle pensioni ordinarie di inabilità di cui alla legge 12 giugno 1984 n. 222, stante il limite di computo dell’anzianità contributiva espressamente previsto dall’articolo 2, comma 3, lettera a), della citata legge.

2.   Criteri applicativi.

Nei confronti dei lavoratori di cui al precedente punto 1, ai fini della determinazione dell’importo del trattamento pensionistico la norma in commento richiede che venga effettuato un doppio calcolo con le regole che verranno di seguito descritte. L’importo più basso sarà quello messo in pagamento.
   
I due sistemi di calcolo della pensione da mettere a confronto sono i seguenti:

pensione calcolata applicando i criteri vigenti a partire dal 1° gennaio 2012: calcolo retributivo secondo le regole vigenti al 31 dicembre 2011 per le anzianità contributive maturate a tale data e calcolo contributivo per le anzianità maturate a partire dal 1° gennaio 2012;
pensione calcolata applicando il secondo periodo del novellato articolo 24, comma 2, della legge n. 214 del 2011. Tale disposizione prevede che l’importo della pensione venga determinato applicando il calcolo interamente retributivo per tutte le anzianità contributive maturate dall’assicurato. Al riguardo, l’anzianità contributiva che può essere valorizzata ai fini della determinazione della misura della pensione è pari “all’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa”. Il legislatore, quindi, per il nuovo calcolo interamente retributivo supera il concetto di massima anzianità contributiva valorizzabile, stabilendo che l’anzianità contributiva valorizzabile sia pari a quella necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione (nel 2015; 20 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di vecchiaia, 35 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di anzianità con le quote, 40 anni di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione di anzianità indipendente dal requisito anagrafico, 41 anni e 6 mesi per le donne e 42 anni e 6 mesi per gli uomini di anzianità contributiva ed assicurativa per la pensione anticipata) che deve essere incrementata con l’anzianità contributiva che dovesse maturare il lavoratore fino al primo periodo utile per la corresponsione della prestazione. Il legislatore, quindi, ha previsto che i lavoratori conseguano la valorizzazione di tutti i periodi lavorativi accreditati compresi quelli eventualmente maturati dalla data di conseguimento del diritto a quella di effettiva corresponsione della pensione.
Le differenze con il calcolo interamente retributivo in vigore fino al 31 dicembre 2011 si limitano al limite massimo di anzianità contributiva valorizzabile rimanendo inalterati i criteri per la determinazione della retribuzione pensionabile e delle aliquote di rendimento per la generalità dei lavoratori decrescenti al crescere dell’importo della stessa retribuzione pensionabile.

Come precedentemente accennato sarà messo in pagamento l’importo minore determinato dal raffronto fra il calcolo secondo le regole sub a) e il calcolo secondo le regole sub b).

3.   Ambito di applicazione

Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 708, della richiamata legge n. 190 del 2014, il doppio calcolo di cui al precedente punto 2 si applica anche ai trattamenti pensionistici già liquidati alla data del 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore della legge in esame, con effetto a decorrere dalla medesima data.

Pertanto, le Sedi provvederanno d’ufficio al doppio calcolo dei trattamenti pensionistici già liquidati alla data del 1° gennaio 2015, ponendo a raffronto l’importo pensionistico in pagamento con quello derivante dal calcolo secondo le regole di cui al punto 2, sub b), al fine di porre in pagamento, a decorrere dalla medesima data, l’importo pensionistico di minore entità, procedendo al recupero delle somme indebitamente corrisposte a decorrere dalla stessa data.

4.   Supplementi di pensione

La determinazione della misura dei supplementi di pensione relativi ai contributi successivi al 31 dicembre 2011, come chiarito al punto 2 del messaggio n. 219 del 4 gennaio 2013, deve essere effettuata secondo il sistema contributivo.


5.   Risparmi

Ai sensi di quanto disposto dall’ articolo 1, comma 709, della richiamata legge n. 190 del 2014, le  economie,  che saranno verificate  a  consuntivo  sulla  base  del procedimento di cui all'articolo 14 della legge  7  agosto  1990,  n. 241, e  successive  modificazioni,  derivanti  dall'applicazione  del meccanismo del doppio calcolo, così come rappresentato al precedente punto 3, affluiranno  in  un  apposito  fondo, istituito presso l'INPS, finalizzato a garantire l'adeguatezza  delle prestazioni pensionistiche in  favore  di  particolari  categorie  di soggetti, individuate con decreto del Presidente  del  Consiglio  dei ministri, su proposta del  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e  delle  finanze. Con il medesimo decreto si provvede altresì a definire i  criteri  e le modalità di utilizzo delle risorse  del  fondo  in  favore  delle predette categorie di soggetti.

Parte II

Riduzione percentuale della pensione anticipata prevista per i soggetti con età inferiore a 62 anni.

L’articolo 1, comma 113, della citata legge così dispone: “Con effetto sui trattamenti pensionistici  decorrenti  dal  1º gennaio 2015, il secondo periodo del comma 2-quater  dell'articolo  6 del  decreto-legge  29  dicembre  2011,  n.  216,   convertito,   con modificazioni, dalla legge 24 febbraio  2012,  n.  14,  e  successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «Le  disposizioni  di  cui all'articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del  decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,  dalla  legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia  di  riduzione  percentuale  dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione limitatamente  ai soggetti  che  maturano   il   previsto   requisito   di   anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017»”.

1.   Normativa di riferimento

Com’è noto, l’articolo 24, comma 10, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, nei confronti dei soggetti che accedono alla pensione anticipata nel regime misto ad un’età inferiore a 62 anni si applica, sulla quota di trattamento pensionistico calcolata secondo il sistema retributivo, una riduzione pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni. Nel caso in cui l’età al pensionamento non sia intera la riduzione percentuale è proporzionale al numero di mesi (vedi circolari n. 35, punto 2 e n. 37, punto 8, del 2012 e messaggio n. 219, punto 5, del 4 gennaio 2013).

L’articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, così come modificato dalla legge del 30 ottobre 2013, n. 125, di conversione del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 e dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147, ha stabilito che le  disposizioni di cui sopra è cenno, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva per il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, qualora la predetta anzianità contributiva ivi prevista derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria, nonché per la donazione di sangue e di emocomponenti, come previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, n. 219, e per i congedi parentali di maternità e paternità previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché i congedi e i permessi concessi ai sensi dell’articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (vedi messaggio n. 5280 dell’11 giugno 2014).

L’art. 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014, nel sostituire il secondo periodo del comma 2-quater  dell'articolo  6 del  decreto-legge  29  dicembre  2011,  n.  216,   convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio  2012,  n.  14  e  successive modificazioni e integrazioni, ha stabilito che con effetto sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015, le  disposizioni di cui all’articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non si applicano limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017.
   
2.   Pensioni anticipate nel regime misto aventi decorrenza dal 1° gennaio 2015. 

L’articolo 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014 si applica, come espressamente previsto dalla legge, alle pensioni anticipate nel regime misto aventi decorrenza dal 1° gennaio 2015 e limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente a tale ultima data.

Pertanto, alle predette pensioni non si applica la riduzione percentuale prevista dall’articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214

3.   Pensioni anticipate nel regime misto aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2015. 

Con riferimento alle pensioni anticipate nel regime misto aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2015 continua a trovare applicazione l’articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, così come modificato dalla legge del 30 ottobre 2013, n. 125, di conversione del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 e dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014 e secondo le indicazioni fornite con le circolari n. 35, punto 2 e n. 37, punto 8, del 2012 ed i messaggi n. 219, punto 5, del 4 gennaio 2013 e n. 5280 del 2014.

Al riguardo si precisa che, ai fini previdenziali, per “anzianità contributiva derivante esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro”, deve intendersi la contribuzione obbligatoria dovuta per i periodi di “prestazione effettiva di lavoro”, espressa in mesi, settimane o giorni a seconda della gestione previdenziale di iscrizione del lavoratore.

Pertanto, ai fini della non riduzione percentuale della pensione anticipata nel regime misto, occorre tener conto sia della contribuzione obbligatoria sia della contribuzione diversa da quella obbligatoria tassativamente elencata dall’articolo 6, comma 2-quater.

4.   Cristallizzazione del diritto alla pensione anticipata

In applicazione del principio della cristallizzazione del diritto a pensione, volto a tutelare il legittimo affidamento e la certezza del diritto, come già chiarito al punto 8 del messaggio n. 219 del 2013, i soggetti che perfezionano il diritto alla pensione anticipata in base al requisito contributivo richiesto dalla legge ad una certa data, possono accedere alla pensione, previa cessazione del rapporto di lavoro subordinato, successivamente alla predetta data senza che sia loro richiesto il perfezionamento dell’eventuale più elevato requisito contributivo vigente, anche per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita, alla data di presentazione della domanda di pensione.

Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui il lavoratore, pur avendo perfezionato il requisito contributivo prescritto dalla legge ad una certa data, avendo meno di 62 anni di età, abbia continuato a svolgere attività lavorativa al fine di evitare, ai sensi del più volte citato art. 6, comma 2- quater, la riduzione percentuale della pensione anticipata in regime misto, prevista dal sopra richiamato art. 24, comma 10.

In applicazione di detto principio, con riferimento ai soggetti destinatari della disposizione di cui all’art. 1, comma 113, della legge n. 190 del 2014, di cui al punto 2 parte II, che entro il 31 dicembre 2017 maturino il diritto alla pensione anticipata, ancorché abbiano alla stessa data meno di 62 anni di età, non si applica l’articolo 24, comma 10, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, anche se la decorrenza della pensione si collochi successivamente alla predetta data ed a quest’ultima l’interessato abbia un’età inferiore a 62 anni.






[1]Resta in ogni caso fermo il  termine  di  ventiquattro mesi di cui  al  primo  periodo  del  comma  2  dell'articolo  3  del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive  modificazioni,  per la  liquidazione  dei  trattamenti   di   fine   servizio,   comunque denominati, per i lavoratori che accedono  al  pensionamento  a  età inferiore a quella corrispondente ai limiti di età,  con  esclusione delle cause di cessazione di cui al comma 5 del medesimo articolo 3.

sabato 11 aprile 2015

Nel caso di esclusione del socio lavoratore con conseguente risoluzione dell’ulteriore rapporto lavorativo di chi è la competenza a conoscere la causa diretta all’annullamento della stessa?

Con ordinanza della Corte di cassazione del 21 novembre 2014, n. 24917 quando l’esclusione attenga anche ragioni connesse al rapporto di lavoro la competenza è del giudice del lavoro.

In particolare, la sentenza ha analizzato un caso in cui l’esclusione era sorretta “da due autonome ragioni, l'una costituita dall'esclusione deliberata dall'assemblea dei soci sulla base di un fatto riferibile al rapporto mutualistico, l'altra costituita da ragioni organizzative relative all'attività imprenditoriale svolta dalla cooperativa. Le due impugnative integrano un'ipotesi di cumulo di domande connesse: l'opposizione alla delibera assembleare di esclusione dalla cooperativa e l'impugnazione del licenziamento”.

Come indicato dall’Ordinanza tenuto conto del fatto che
a) la legge 3.4.2001 n. 142, stabiliva:

-          all'art. 1, comma 3, primo periodo: "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali";
-          all'art. 5, secondo comma: "Le controversie relative ai rapporti di lavoro in qualsiasi forma di cui al comma 3 dell'articolo 1 rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro; per il procedimento, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile, in caso di controversie sui rapporti di lavoro tra i soci lavoratori e le cooperative, si applicano le procedure di conciliazione e arbitrato irrituale previste dai decreti legislativi 31 marzo 1998, n, 80, e successive modificazioni, e 29 ottobre 1998, n. 387. Restano di competenza del giudice civile ordinario le controversie tra soci e cooperative inerenti al rapporto associativo".

b) La legge 14.2.2003 n. 30, all'art. 9, - come è noto - ha apportato le seguenti modifiche: "Art. 9. (Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142) 1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 3, primo periodo, le parole: "e distinto" sono soppresse; (...) d) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente: "2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario".

c) La previsione di cui all'art. 5, comma 2, L. n. 142/2001, come modificato dalla legge n. 30/2003, che sancisce la immediata estinzione del rapporto di lavoro con il recesso o l'esclusione del socio, ha evidenziato la "dipendenza" del rapporto di lavoro da quello associativo, ma limitatamente al caso in cui la cooperativa disponga, sulla base di previsioni statutarie o codicistiche, l'esclusione del socio e il provvedimento estingua ipso iure anche il rapporto di lavoro.

Sul fronte processuale, a seguito della modifica del 2003, solo le controversie tra socio e cooperativa relative alla "prestazione mutualistica" sono di competenza del tribunale ordinario.

7.4. Già con la sentenza n. 850 del 2005 questa Corte aveva seguito un'interpretazione restrittiva della regola che indica la competenza del tribunale ordinario in caso di connessione, affermando che, nell’ipotesi in cui si controverta sulla cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo, la competenza non è quella del tribunale ordinario, ma (in applicazione del principio fissato dall’art. 40, comma terzo, cod. proc. civ.) quella del tribunale in composizione monocratica come giudice del lavoro, con l'applicabilità del relativo rito. Rispetto a tale regola costituisce eccezione la previsione di cui al testo novellato dell’art. 5 della legge n. 142 del 2001, secondo cui sono di competenza del Tribunale ordinario le controversie tra socio e cooperativa relative alla "prestazione mutualistica", da intendersi in senso rigido e con impossibilità di estensione alle controversie riguardanti i diritti sostanziali e previdenziali del lavoratore.


“8. Quanto alle vicende sul rito, va segnalato che l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), aveva stabilito che "Si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a: a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative". Come è noto, tale norma è stata oggetto della sentenza n. 71/2008 della Corte Cost., che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale limitatamente alle parole: per eccesso di delega, in quanto la norma finiva per interferire sulla connessione, alterando il criterio di cui all’art. 40 cod. proc. civ., mentre la legge di delega non autorizzava il Governo ad intervenire in tema di connessione tra procedimenti aventi oggetti diversi. Occorre pure aggiungere che l'art. 54 della legge n. 69/09 ha disposto l'abrogazione del rito speciale”.

“9. Il d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 1, come sostituito dall'art. 2 del dl 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 - vigente al momento dell'instaurazione del presente giudizio - ha istituito le "sezioni specializzate in materia di impresa" e, con riguardo al diritto delle società, ha stabilito che il tribunale è competente - tra le altre- per le società cooperative. Specificamente, al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, sono state apportate le seguenti modificazioni: all'art. 3, comma 2, lett. a) è stata prevista la competenza del tribunale delle imprese,"per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario,...."; al comma 3, è stato stabilito che "le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2". 10.1.

“Quanto al significato e sulla portata applicativa della locuzione "ragioni di connessione" con riferimento al cumulo dì cause vertenti sul rapporto mutualistico e lavorativo del socio di cooperativa, l'interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 3, 24 e 35 Cost.) della nuova disciplina porta ad escludere che la vis attrattiva della competenza del c.d. tribunale delle imprese operi quando una delle cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 cod. proc. civ., operando in tali ipotesi la regola generale dell'ordinamento, desumibile dal terzo comma dell'art. 40 cod. proc. civ.. Al riguardo va osservato quanto segue.

L'art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 30/2003, pur sopprimendo l'aggettivo "distinto", ha mantenuto l'aggettivo "ulteriore", con chiara indicazione ermeneutica, significativa della coesistenza, in capo al socio lavoratore, di una pluralità delle cause contrattuali e connessa coesistenza di una pluralità di tutele. In tal senso, si era espressa questa Corte, con la sentenza n. 14741 del 5 luglio 2011, secondo cui "il legislatore del 2003, pur evidenziando la necessità di un più stretto collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con quello associativo, ha confermato il tratto essenziale della riforma, e cioè la sicura coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, con la connessa coesistenza di una pluralità di tutele, coerenti con la pluralità di cause contrattuali che descrivono, solo nel loro insieme, la posizione giuridica del socio lavoratore".

L'art. 5, comma 2, della legge 3 aprile 2001, n. 142, laddove prevede, nella prima parte, che il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con le norme codicistiche, evidenzia un rapporto di consequenzialità fra l'esclusione del socio e l'estinzione del rapporto di lavoro, nel senso che l'automatismo ivi previsto esclude la necessità di un ulteriore, autonomo atto di licenziamento; allo stesso modo, ove venga rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall''applicabilità delle tutele previste per il licenziamento, queste ultime tuttavia non sono per ciò escluse. Infatti, ove la delibera di esclusione riguardi il concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà comunque valutare, "attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi, tanto l’interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia la funzione sociale di questa forma di mutualità" (Cass. sent. 14741 del 2011, cit.).

Sul fronte processuale, l'art. 5, comma 2, della legge 142/2001, come sostituito dall'art. 9 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha contemplato la competenza del giudice ordinario limitatamente alle "controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica". I soci della cooperativa sono, difatti, portatori di uno specifico interesse a che l’attività d’impresa sia orientata al soddisfacimento delle loro richieste di prestazioni (mutualistiche) ed alle condizioni più favorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella condotta dell'impresa sociale; tale interesse è realizzabile dal socio azionando i mezzi di tutela predisposti dal diritto societario, qualora la gestione dell'impresa sociale non sia improntata al rispetto dello scopo mutualistico o abbia leso diritti del socio. Dall'altro lato, l'art. 2533 cod. civ. regola l’ambito di applicabilità dell'esclusione del socio, includendo - tra le diverse ipotesi - le gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico. L'ambito della competenza del giudice ordinario è, pertanto, circoscritto alle controversie aventi un oggetto riconducibile nell'alveo della prestazione mutualistica.

Nell'ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, opera l'art. 40, terzo comma, cod. proc. civ., che fa salva l'applicazione del rito speciale quando una di esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ.. Tale regola è dettata in funzione di dare preminenza ad interessi di rilevanza costituzionale e ciò spiega la prevalenza del rito speciale del lavoro su quello ordinario, allorché la connessione riguardi una controversia rientrante tra quelle previste dall'art. 409 cod. proc. civ..


Trattasi di principi che valgono anche nel nuovo contesto normativo segnato dalla legge n. 27/12, poiché il principio della vis attrattiva del rito del lavoro costituisce una regola a cui deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire. In conformità a tale principio, deve provvedersi all'interpretazione della locuzione "ragioni di connessione" di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, terzo comma, nei senso che il regime della connessione, ove riferibile al cumulo di cause relative al rapporto mutualistico e al rapporto lavorativo, comporta il radicamento della competenza per le cause connesse dinanzi al giudice del lavoro.

In mancanza di una espressa deroga al principio generale della prevalenza della competenza del giudice del lavoro di cui all’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ. e comunque in una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina normativa, deve ritenersi che la nuova norma abbia introdotto ipotesi speciali di modificazione della competenza per ragioni di connessione, determinando un'attrazione a favore delle sezioni specializzate anche di cause che, se non fossero connesse a quelle di loro competenza, non sarebbero a loro attribuite, ma con il limite rappresentato dalla connessione con le cause demandate alla cognizione del giudice del lavoro, poiché in tale ipotesi torna a prevalere la speciale competenza per connessione di cui al terzo comma, seconda parte, dell’art. 40 cod. proc. civ.. 11.


 Nel caso in esame, secondo la prospettazione dei fatti di causa, risulta che il rapporto ili lavoro è stato dichiarato risolto non solo quale effetto automatico della delibera di esclusione delle socie per motivi afferenti alla prestazione mutualistica, ma "anche per un morivo a sé stante", costituito dalla decisione aziendale di "esternalizzare le lavorazioni relative alla caduta macchina (imposition) e, quindi, di procedere, anche per tale guisa, ad una riduzione dei costi e al contenimento delle perdite", con conseguente soppressione dei posti di lavoro già occupati dalle ricorrenti e affermata impossibilità di repechage. Due sono le concorrenti cause di risoluzione del rapporto delle socie-lavoratrici: una è l'automatica estinzione del rapporto di lavoro quale effetto della delibera di esclusione per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari, l'altra è costituita da ragioni economiche riguardanti l'attività di impresa e la ravvisata opportunità aziendale di esternalizzare le funzioni in cui erano impiegate le lavoratrici. L'impugnativa della delibera e del concorrente atto di licenziamento configura un'ipotesi di connessione di cause, che determina la sussistenza della competenza del Giudice del lavoro a norma dell'art. 40, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ.