sabato 11 aprile 2015

Nel caso di esclusione del socio lavoratore con conseguente risoluzione dell’ulteriore rapporto lavorativo di chi è la competenza a conoscere la causa diretta all’annullamento della stessa?

Con ordinanza della Corte di cassazione del 21 novembre 2014, n. 24917 quando l’esclusione attenga anche ragioni connesse al rapporto di lavoro la competenza è del giudice del lavoro.

In particolare, la sentenza ha analizzato un caso in cui l’esclusione era sorretta “da due autonome ragioni, l'una costituita dall'esclusione deliberata dall'assemblea dei soci sulla base di un fatto riferibile al rapporto mutualistico, l'altra costituita da ragioni organizzative relative all'attività imprenditoriale svolta dalla cooperativa. Le due impugnative integrano un'ipotesi di cumulo di domande connesse: l'opposizione alla delibera assembleare di esclusione dalla cooperativa e l'impugnazione del licenziamento”.

Come indicato dall’Ordinanza tenuto conto del fatto che
a) la legge 3.4.2001 n. 142, stabiliva:

-          all'art. 1, comma 3, primo periodo: "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali";
-          all'art. 5, secondo comma: "Le controversie relative ai rapporti di lavoro in qualsiasi forma di cui al comma 3 dell'articolo 1 rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro; per il procedimento, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile, in caso di controversie sui rapporti di lavoro tra i soci lavoratori e le cooperative, si applicano le procedure di conciliazione e arbitrato irrituale previste dai decreti legislativi 31 marzo 1998, n, 80, e successive modificazioni, e 29 ottobre 1998, n. 387. Restano di competenza del giudice civile ordinario le controversie tra soci e cooperative inerenti al rapporto associativo".

b) La legge 14.2.2003 n. 30, all'art. 9, - come è noto - ha apportato le seguenti modifiche: "Art. 9. (Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142) 1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 3, primo periodo, le parole: "e distinto" sono soppresse; (...) d) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente: "2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario".

c) La previsione di cui all'art. 5, comma 2, L. n. 142/2001, come modificato dalla legge n. 30/2003, che sancisce la immediata estinzione del rapporto di lavoro con il recesso o l'esclusione del socio, ha evidenziato la "dipendenza" del rapporto di lavoro da quello associativo, ma limitatamente al caso in cui la cooperativa disponga, sulla base di previsioni statutarie o codicistiche, l'esclusione del socio e il provvedimento estingua ipso iure anche il rapporto di lavoro.

Sul fronte processuale, a seguito della modifica del 2003, solo le controversie tra socio e cooperativa relative alla "prestazione mutualistica" sono di competenza del tribunale ordinario.

7.4. Già con la sentenza n. 850 del 2005 questa Corte aveva seguito un'interpretazione restrittiva della regola che indica la competenza del tribunale ordinario in caso di connessione, affermando che, nell’ipotesi in cui si controverta sulla cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo, la competenza non è quella del tribunale ordinario, ma (in applicazione del principio fissato dall’art. 40, comma terzo, cod. proc. civ.) quella del tribunale in composizione monocratica come giudice del lavoro, con l'applicabilità del relativo rito. Rispetto a tale regola costituisce eccezione la previsione di cui al testo novellato dell’art. 5 della legge n. 142 del 2001, secondo cui sono di competenza del Tribunale ordinario le controversie tra socio e cooperativa relative alla "prestazione mutualistica", da intendersi in senso rigido e con impossibilità di estensione alle controversie riguardanti i diritti sostanziali e previdenziali del lavoratore.


“8. Quanto alle vicende sul rito, va segnalato che l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), aveva stabilito che "Si osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile, relative a: a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative". Come è noto, tale norma è stata oggetto della sentenza n. 71/2008 della Corte Cost., che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale limitatamente alle parole: per eccesso di delega, in quanto la norma finiva per interferire sulla connessione, alterando il criterio di cui all’art. 40 cod. proc. civ., mentre la legge di delega non autorizzava il Governo ad intervenire in tema di connessione tra procedimenti aventi oggetti diversi. Occorre pure aggiungere che l'art. 54 della legge n. 69/09 ha disposto l'abrogazione del rito speciale”.

“9. Il d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 1, come sostituito dall'art. 2 del dl 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 - vigente al momento dell'instaurazione del presente giudizio - ha istituito le "sezioni specializzate in materia di impresa" e, con riguardo al diritto delle società, ha stabilito che il tribunale è competente - tra le altre- per le società cooperative. Specificamente, al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, sono state apportate le seguenti modificazioni: all'art. 3, comma 2, lett. a) è stata prevista la competenza del tribunale delle imprese,"per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario,...."; al comma 3, è stato stabilito che "le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2". 10.1.

“Quanto al significato e sulla portata applicativa della locuzione "ragioni di connessione" con riferimento al cumulo dì cause vertenti sul rapporto mutualistico e lavorativo del socio di cooperativa, l'interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 3, 24 e 35 Cost.) della nuova disciplina porta ad escludere che la vis attrattiva della competenza del c.d. tribunale delle imprese operi quando una delle cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 cod. proc. civ., operando in tali ipotesi la regola generale dell'ordinamento, desumibile dal terzo comma dell'art. 40 cod. proc. civ.. Al riguardo va osservato quanto segue.

L'art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 30/2003, pur sopprimendo l'aggettivo "distinto", ha mantenuto l'aggettivo "ulteriore", con chiara indicazione ermeneutica, significativa della coesistenza, in capo al socio lavoratore, di una pluralità delle cause contrattuali e connessa coesistenza di una pluralità di tutele. In tal senso, si era espressa questa Corte, con la sentenza n. 14741 del 5 luglio 2011, secondo cui "il legislatore del 2003, pur evidenziando la necessità di un più stretto collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con quello associativo, ha confermato il tratto essenziale della riforma, e cioè la sicura coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, con la connessa coesistenza di una pluralità di tutele, coerenti con la pluralità di cause contrattuali che descrivono, solo nel loro insieme, la posizione giuridica del socio lavoratore".

L'art. 5, comma 2, della legge 3 aprile 2001, n. 142, laddove prevede, nella prima parte, che il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con le norme codicistiche, evidenzia un rapporto di consequenzialità fra l'esclusione del socio e l'estinzione del rapporto di lavoro, nel senso che l'automatismo ivi previsto esclude la necessità di un ulteriore, autonomo atto di licenziamento; allo stesso modo, ove venga rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall''applicabilità delle tutele previste per il licenziamento, queste ultime tuttavia non sono per ciò escluse. Infatti, ove la delibera di esclusione riguardi il concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà comunque valutare, "attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi, tanto l’interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia la funzione sociale di questa forma di mutualità" (Cass. sent. 14741 del 2011, cit.).

Sul fronte processuale, l'art. 5, comma 2, della legge 142/2001, come sostituito dall'art. 9 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha contemplato la competenza del giudice ordinario limitatamente alle "controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica". I soci della cooperativa sono, difatti, portatori di uno specifico interesse a che l’attività d’impresa sia orientata al soddisfacimento delle loro richieste di prestazioni (mutualistiche) ed alle condizioni più favorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella condotta dell'impresa sociale; tale interesse è realizzabile dal socio azionando i mezzi di tutela predisposti dal diritto societario, qualora la gestione dell'impresa sociale non sia improntata al rispetto dello scopo mutualistico o abbia leso diritti del socio. Dall'altro lato, l'art. 2533 cod. civ. regola l’ambito di applicabilità dell'esclusione del socio, includendo - tra le diverse ipotesi - le gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico. L'ambito della competenza del giudice ordinario è, pertanto, circoscritto alle controversie aventi un oggetto riconducibile nell'alveo della prestazione mutualistica.

Nell'ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, opera l'art. 40, terzo comma, cod. proc. civ., che fa salva l'applicazione del rito speciale quando una di esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ.. Tale regola è dettata in funzione di dare preminenza ad interessi di rilevanza costituzionale e ciò spiega la prevalenza del rito speciale del lavoro su quello ordinario, allorché la connessione riguardi una controversia rientrante tra quelle previste dall'art. 409 cod. proc. civ..


Trattasi di principi che valgono anche nel nuovo contesto normativo segnato dalla legge n. 27/12, poiché il principio della vis attrattiva del rito del lavoro costituisce una regola a cui deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire. In conformità a tale principio, deve provvedersi all'interpretazione della locuzione "ragioni di connessione" di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, terzo comma, nei senso che il regime della connessione, ove riferibile al cumulo di cause relative al rapporto mutualistico e al rapporto lavorativo, comporta il radicamento della competenza per le cause connesse dinanzi al giudice del lavoro.

In mancanza di una espressa deroga al principio generale della prevalenza della competenza del giudice del lavoro di cui all’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ. e comunque in una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina normativa, deve ritenersi che la nuova norma abbia introdotto ipotesi speciali di modificazione della competenza per ragioni di connessione, determinando un'attrazione a favore delle sezioni specializzate anche di cause che, se non fossero connesse a quelle di loro competenza, non sarebbero a loro attribuite, ma con il limite rappresentato dalla connessione con le cause demandate alla cognizione del giudice del lavoro, poiché in tale ipotesi torna a prevalere la speciale competenza per connessione di cui al terzo comma, seconda parte, dell’art. 40 cod. proc. civ.. 11.


 Nel caso in esame, secondo la prospettazione dei fatti di causa, risulta che il rapporto ili lavoro è stato dichiarato risolto non solo quale effetto automatico della delibera di esclusione delle socie per motivi afferenti alla prestazione mutualistica, ma "anche per un morivo a sé stante", costituito dalla decisione aziendale di "esternalizzare le lavorazioni relative alla caduta macchina (imposition) e, quindi, di procedere, anche per tale guisa, ad una riduzione dei costi e al contenimento delle perdite", con conseguente soppressione dei posti di lavoro già occupati dalle ricorrenti e affermata impossibilità di repechage. Due sono le concorrenti cause di risoluzione del rapporto delle socie-lavoratrici: una è l'automatica estinzione del rapporto di lavoro quale effetto della delibera di esclusione per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari, l'altra è costituita da ragioni economiche riguardanti l'attività di impresa e la ravvisata opportunità aziendale di esternalizzare le funzioni in cui erano impiegate le lavoratrici. L'impugnativa della delibera e del concorrente atto di licenziamento configura un'ipotesi di connessione di cause, che determina la sussistenza della competenza del Giudice del lavoro a norma dell'art. 40, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ.

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