Nel caso di esclusione
del socio lavoratore con conseguente risoluzione dell’ulteriore rapporto
lavorativo di chi è la competenza a conoscere la causa diretta all’annullamento
della stessa?
Con ordinanza della Corte di cassazione del 21 novembre
2014, n. 24917 quando l’esclusione attenga anche ragioni connesse al rapporto
di lavoro la competenza è del giudice del lavoro.
In particolare, la sentenza ha
analizzato un caso in cui l’esclusione era sorretta “da due autonome ragioni, l'una costituita dall'esclusione deliberata
dall'assemblea dei soci sulla base di un fatto riferibile al rapporto
mutualistico, l'altra costituita da ragioni organizzative relative all'attività
imprenditoriale svolta dalla cooperativa. Le due impugnative integrano
un'ipotesi di cumulo di domande connesse: l'opposizione alla delibera
assembleare di esclusione dalla cooperativa e l'impugnazione del licenziamento”.
Come indicato dall’Ordinanza
tenuto conto del fatto che
a) la legge 3.4.2001 n. 142,
stabiliva:
-
all'art. 1, comma 3, primo periodo: "Il socio
lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente
all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di
lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi
i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce
comunque al raggiungimento degli scopi sociali";
-
all'art. 5, secondo comma: "Le controversie
relative ai rapporti di lavoro in qualsiasi forma di cui al comma 3 dell'articolo
1 rientrano nella competenza funzionale del giudice del lavoro; per il
procedimento, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 409 e seguenti
del codice di procedura civile, in caso di controversie sui rapporti di lavoro
tra i soci lavoratori e le cooperative, si applicano le procedure di
conciliazione e arbitrato irrituale previste dai decreti legislativi 31 marzo
1998, n, 80, e successive modificazioni, e 29 ottobre 1998, n. 387. Restano di
competenza del giudice civile ordinario le controversie tra soci e cooperative
inerenti al rapporto associativo".
b) La legge 14.2.2003 n. 30,
all'art. 9, - come è noto - ha apportato le seguenti modifiche: "Art. 9.
(Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142) 1. Alla legge 3 aprile 2001, n.
142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 3,
primo periodo, le parole: "e distinto" sono soppresse; (...) d)
all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente: "2. Il rapporto di
lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel
rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e
2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa
relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale
ordinario".
c) La previsione di cui all'art.
5, comma 2, L .
n. 142/2001, come modificato dalla legge n. 30/2003, che sancisce la
immediata estinzione del rapporto di lavoro con il recesso o l'esclusione del
socio, ha evidenziato la "dipendenza" del rapporto di lavoro da
quello associativo, ma limitatamente al caso in cui la cooperativa disponga,
sulla base di previsioni statutarie o codicistiche, l'esclusione del socio e il
provvedimento estingua ipso iure anche il rapporto di lavoro.
Sul fronte processuale, a seguito
della modifica del 2003, solo le controversie tra socio e cooperativa relative alla "prestazione mutualistica" sono
di competenza del tribunale ordinario.
7.4. Già con la sentenza n. 850
del 2005 questa Corte aveva seguito un'interpretazione restrittiva della regola
che indica la competenza del tribunale ordinario in caso di connessione,
affermando che, nell’ipotesi in cui si controverta sulla cessazione del
rapporto associativo e del rapporto lavorativo, la competenza non è quella del
tribunale ordinario, ma (in applicazione del principio fissato dall’art. 40,
comma terzo, cod. proc. civ.) quella del tribunale in composizione monocratica
come giudice del lavoro, con l'applicabilità del relativo rito. Rispetto a
tale regola costituisce eccezione la previsione di cui al testo novellato
dell’art. 5 della legge n. 142 del 2001, secondo cui sono di competenza del Tribunale ordinario le controversie tra socio e
cooperativa relative alla "prestazione mutualistica", da intendersi
in senso rigido e con impossibilità di estensione alle controversie riguardanti
i diritti sostanziali e previdenziali del lavoratore.
“8. Quanto alle vicende sul rito,
va segnalato che l'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di
diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria
e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n.
366), aveva stabilito che "Si
osservano le disposizioni del presente decreto legislativo in tutte le
controversie, incluse quelle connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35
e 36 del codice di procedura civile, relative a: a) rapporti societari, ivi
compresi quelli concernenti le società di fatto, l'accertamento, la
costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario, le
azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi
e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue
assicuratrici e delle società cooperative". Come è noto, tale norma è
stata oggetto della sentenza n. 71/2008 della Corte Cost., che ne ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale limitatamente alle parole: per eccesso di
delega, in quanto la norma finiva per interferire sulla connessione, alterando
il criterio di cui all’art. 40 cod. proc. civ., mentre la legge di delega non
autorizzava il Governo ad intervenire in tema di connessione tra procedimenti
aventi oggetti diversi. Occorre pure aggiungere che l'art. 54 della legge n.
69/09 ha disposto l'abrogazione del rito speciale”.
“9. Il d.lgs. 27 giugno 2003, n.
168, art. 1, come sostituito dall'art. 2 del dl 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27 - vigente al
momento dell'instaurazione del presente giudizio - ha istituito le "sezioni specializzate in materia di
impresa" e, con riguardo al diritto delle società, ha stabilito che il
tribunale è competente - tra le altre- per le società cooperative.
Specificamente, al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, sono state
apportate le seguenti modificazioni: all'art. 3, comma 2, lett. a) è stata
prevista la competenza del tribunale delle imprese,"per le cause e i
procedimenti: a) relativi a rapporti
societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la
modificazione o l'estinzione di un rapporto societario,...."; al comma
3, è stato stabilito che "le sezioni
specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che
presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2".
10.1.
“Quanto al significato e sulla
portata applicativa della locuzione "ragioni di connessione" con
riferimento al cumulo dì cause vertenti sul rapporto mutualistico e lavorativo
del socio di cooperativa, l'interpretazione costituzionalmente orientata (artt.
3, 24 e 35 Cost.) della nuova disciplina porta
ad escludere che la vis attrattiva della competenza del c.d. tribunale delle
imprese operi quando una delle cause rientri tra quelle indicate negli artt.
409 e 442 cod. proc. civ., operando in tali ipotesi la regola generale
dell'ordinamento, desumibile dal terzo comma dell'art. 40 cod. proc. civ.. Al
riguardo va osservato quanto segue.
L'art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001, a seguito delle
modifiche apportate dalla legge n. 30/2003, pur sopprimendo l'aggettivo
"distinto", ha mantenuto l'aggettivo "ulteriore", con
chiara indicazione ermeneutica, significativa della coesistenza, in capo al
socio lavoratore, di una pluralità delle cause contrattuali e connessa
coesistenza di una pluralità di tutele. In tal senso, si era espressa
questa Corte, con la sentenza n. 14741 del 5 luglio 2011, secondo cui "il
legislatore del 2003, pur evidenziando la necessità di un più stretto
collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con
quello associativo, ha confermato il tratto essenziale della riforma, e cioè la
sicura coesistenza, nella cooperazione di lavoro, di una pluralità di rapporti contrattuali e la conseguente irriducibilità
del lavoro cooperativo ad una dimensione puramente societaria, con la connessa
coesistenza di una pluralità di tutele, coerenti con la pluralità di cause
contrattuali che descrivono, solo nel loro insieme, la posizione giuridica del
socio lavoratore".
L'art. 5, comma 2, della legge
3 aprile 2001, n. 142, laddove prevede, nella prima parte, che il rapporto di
lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio nel rispetto delle
previsioni statutarie e in conformità con le norme codicistiche, evidenzia un
rapporto di consequenzialità fra l'esclusione del socio e l'estinzione del
rapporto di lavoro, nel senso che l'automatismo ivi previsto esclude la
necessità di un ulteriore, autonomo atto di licenziamento; allo stesso modo, ove venga rimosso il
provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del
rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente
dall''applicabilità delle tutele previste per il licenziamento, queste ultime
tuttavia non sono per ciò escluse. Infatti, ove la delibera di
esclusione riguardi il concorrente rapporto di lavoro, il giudice, nello
scrutinare la sussistenza dei relativi presupposti di legittimità, dovrà
comunque valutare, "attraverso un adeguato bilanciamento degli interessi,
tanto l’interesse sociale ad un corretto svolgimento del rapporto associativo
quanto la tutela e la promozione del lavoro in cui essenzialmente si rispecchia
la funzione sociale di questa forma di mutualità" (Cass. sent. 14741
del 2011, cit.).
Sul fronte processuale, l'art. 5,
comma 2, della legge 142/2001, come sostituito dall'art. 9 della legge 14
febbraio 2003, n. 30, ha
contemplato la competenza del giudice ordinario limitatamente alle
"controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione
mutualistica". I soci della cooperativa sono, difatti, portatori di
uno specifico interesse a che l’attività d’impresa sia orientata al
soddisfacimento delle loro richieste di prestazioni (mutualistiche) ed alle
condizioni più favorevoli consentite dalle esigenze di economicità nella
condotta dell'impresa sociale; tale interesse è realizzabile dal socio
azionando i mezzi di tutela predisposti dal diritto societario, qualora la
gestione dell'impresa sociale non sia improntata al rispetto dello scopo
mutualistico o abbia leso diritti del socio. Dall'altro lato, l'art. 2533
cod. civ. regola l’ambito di applicabilità dell'esclusione del socio,
includendo - tra le diverse ipotesi - le gravi inadempienze delle
obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o
dal rapporto mutualistico. L'ambito
della competenza del giudice ordinario è, pertanto, circoscritto alle
controversie aventi un oggetto riconducibile nell'alveo della prestazione
mutualistica.
Nell'ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto
mutualistico e quello lavorativo, opera l'art. 40, terzo comma, cod. proc.
civ., che fa salva l'applicazione del rito speciale quando una di esse rientri
tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 cod. proc. civ.. Tale regola è dettata
in funzione di dare preminenza ad interessi di rilevanza costituzionale e ciò
spiega la prevalenza del rito speciale del lavoro su quello ordinario, allorché
la connessione riguardi una controversia rientrante tra quelle previste
dall'art. 409 cod. proc. civ..
Trattasi di principi che valgono
anche nel nuovo contesto normativo segnato dalla legge n. 27/12, poiché il
principio della vis attrattiva del rito del lavoro costituisce una regola a cui
deve riconoscersi carattere generale e preminente per gli interessi di
rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire. In
conformità a tale principio, deve provvedersi all'interpretazione della
locuzione "ragioni di connessione" di cui al decreto legislativo 27
giugno 2003, n. 168, art. 3, terzo comma, nei senso che il regime della
connessione, ove riferibile al cumulo di cause relative al rapporto
mutualistico e al rapporto lavorativo, comporta il radicamento della competenza
per le cause connesse dinanzi al giudice del lavoro.
In mancanza di una espressa
deroga al principio generale della prevalenza della competenza del giudice del
lavoro di cui all’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ. e comunque in una
lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina normativa, deve ritenersi
che la nuova norma abbia introdotto ipotesi speciali di modificazione della
competenza per ragioni di connessione, determinando un'attrazione a favore
delle sezioni specializzate anche di cause che, se non fossero connesse a
quelle di loro competenza, non sarebbero a loro attribuite, ma con il limite
rappresentato dalla connessione con le cause demandate alla cognizione del
giudice del lavoro, poiché in tale ipotesi torna a prevalere la speciale
competenza per connessione di cui al terzo comma, seconda parte, dell’art. 40
cod. proc. civ.. 11.
Nel caso in esame, secondo la
prospettazione dei fatti di causa, risulta che il rapporto ili lavoro è stato
dichiarato risolto non solo quale effetto automatico della delibera di
esclusione delle socie per motivi afferenti alla prestazione mutualistica, ma
"anche per un morivo a sé stante", costituito dalla decisione
aziendale di "esternalizzare le lavorazioni relative alla caduta macchina
(imposition) e, quindi, di procedere, anche per tale guisa, ad una riduzione
dei costi e al contenimento delle perdite", con conseguente
soppressione dei posti di lavoro già occupati dalle ricorrenti e affermata
impossibilità di repechage. Due sono le
concorrenti cause di risoluzione del rapporto delle socie-lavoratrici: una è
l'automatica estinzione del rapporto di lavoro quale effetto della delibera di
esclusione per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari,
l'altra è costituita da ragioni economiche riguardanti l'attività di impresa e
la ravvisata opportunità aziendale di esternalizzare le funzioni in cui erano
impiegate le lavoratrici. L'impugnativa della delibera e del concorrente
atto di licenziamento configura un'ipotesi di connessione di cause, che
determina la sussistenza della competenza del Giudice del lavoro a norma
dell'art. 40, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ.
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