Il licenziamento intimato durante il comporto di malattia è nullo?
Cass. 07-12-2018, n. 31763
13. La non utilità della prestazione per il tempo della malattia è evento previsto e disciplinato dal legislatore con conseguenze che possono portare alla risoluzione del rapporto di lavoro solo dopo il superamento del periodo di comporto disciplinato dall'art. 2110 c.c. e dalla contrattazione collettiva.
14. In tal senso, mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da inadempimento, pur se inconsapevole, del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia e la tutela della salute è valore preminente che ne giustifica la specialità (cfr. Cass. n. 15523/2018).
15. Solo il superamento del periodo di comporto, in un'ottica di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione), è condizione sufficiente a legittimare il recesso e, pertanto, non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo, nè della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, nè quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr. Cass. 31.1.2012 n. 1404; Cass. 28.1.2010 n. 1861).
16. La contraria opinione (che sembra condivisa in un passaggio della motivazione della pronuncia di questa Corte n. 18678/2014), secondo cui sarebbe legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all'elevato numero di assenze ma non tali da esaurire il periodo di comporto, si pone in contrasto con la consolidata e costante giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità, che a partire da Cass. Sez. Un. n. 2072/1980, ha sempre statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità (tra le altre Cass. n. 16582/2015; Cass. 31.1.2012 n. 1404).
17. Tale orientamento ha ricevuto un altro autorevole avallo dalla recente sentenza di Cass. Sez. Un. 22.5.2018 n. 12568 che ha statuito che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110 c.c., comma 2, individuando anche la tutela applicabile.
18. L'argomentazione dei giudici di seconde cure per i quali "l'obiettivo disservizio che le ripetute e continue assenze del dipendente creano sull'organizzazione aziendale e sulla corretta erogazione da parte di ATAC spa del servizio pubblico di trasporto urbano (il quale richiede la previa predisposizione di turnazioni del personale addetto alla conduzione di mezzi) ben può costituire giustificato motivo di licenziamento", si pone, pertanto, in contrasto sia con la corretta applicazione dell'art. 2110 c.c. che della L. n. 604 del 1966, art. 3 rispetto ai quali non assumono rilievo le contestazioni fondate su una presunta eccessiva onerosità delle condizioni del rapporto contrattuale in relazione alla esistenza di un numero elevato di assenze discontinue per malattia.
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