lunedì 28 dicembre 2020

 Come va qualificato il rapporto con il rider?




Tribunale Bologna Sez. lavoro, Decr., 14-04-2020

osservato infatti che l'art. 2 del D.Lgs. n. 81 del 2015, come novellato dal D.L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella L. 2 novembre 2019, n. 128, dispone che "A far data dal 1 gennaio 2016. si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni dì cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali";

osservato altresì che la Suprema Corte, nel recente arresto n. 1663/2020, ha chiarito che, con la norma sopra citata - nel testo previgente, applicabile ratione temporis alla fattispecie portate all'attenzione della Corte - il legislatore ha inteso, in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale", selezionare "taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori" e "in ogni caso ha, poi. stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una proiezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato";

che la Cassazione ha inoltre precisato che si tratta "di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea" aggiungendo che l'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla novella del 2019, "la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza - per l'applicabilità della norma - di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero- organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", cosi mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione";

che pertanto, alla luce della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalle parti nel contratto di lavoro, l'intera disciplina della subordinazione e, in particolare, per quanto qui interessa, la disciplina in tema di tutela delle condizioni di igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro fra cui rientrano tutte le norme che prevedono l'obbligo a carico del datore di lavoro di continua fornitura e manutenzione dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.);

osservato da ultimo, con specifico riferimento alla normativa emergenziale dettata in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, che il D.P.C.M. 11 marzo 2020, che ha disposto sull'intero territorio nazionale la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub. ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ha consentito la prosecuzione della sola ristorazione con consegna a domicilio "nel rispetto delle norme igienico -sanitarie sia per l'attività di confezionamento che di trasporto", con ciò implicitamente onerando l'imprenditore di provvedere a garantire il richiesto rispetto delle prescrizione igienico-sanitarie previste per l'attività di trasporto e consegna a domicilio del cibo, e ciò a tutela della salute non solo degli operatori, ma anche dell'utenza del servizio e, con essa, della collettività intera;

che nel novero delle prescrizioni igienico sanitarie appare ragionevolmente ricompreso l'uso dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti, mascherine e prodotti igienizzanti, di cui peraltro il citato DPCM raccomanda l'adozione nell'ambito di tutte le attività produttive e che appaiono vieppiù necessarie nello svolgimento di quelle attività che comportano il contatto con il pubblico: osservato che tale conclusione trova conforto anche nella condotta ante cansam della società resistente la quale, a fronte delle reiterate richieste del ricorrente di essere rifornito dei dispositivi di protezione individuale (doc. 6 rie.), non solo non ha opposto alcun rifiuto ma, al contrario, ha espressamente ribadito la propria disponibilità a fornire detti dispositivi, giustificando il ritardo nell'evadere la richiesta con motivazioni di carattere pratico e organizzativo (l'alto numero delle richiesta ricevute e le difficoltà a reperire sul mercato i dispositivi di protezione) che, seppure astrattamente plausibili, non appaiono costituire insormontabile ostacolo all'adempimento dell'obbligo imposto dalla legge al datore di lavoro; che pertanto si ravvisa il fumus boni iuris del diritto del ricorrente alla consegna dei D.P.I. meglio descritti in ricorso;

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