comportamenti (o i reati) posti
in essere al di fuori del luogo di lavoro possono determinare il licenziamento?
Secondo la giurisprudenza per
legittimare il licenziamento è necessario che il reato (o i fatti) comprometta
la fiducia del datore di lavoro nel corretto
espletamenti del rapporto anche con riferimento al grado di affidamento
richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente.
In particolare:
“I comportamenti tenuti dal
lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all'esecuzione della
prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia
costituire giusta causa di licenzimento allorché siano di natura tale da
compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del
rapporto, in relazione alle modalità concrete del fatto e ad ogni altra
circostanza rilevante in relazione alla posizione delle parti, al grado di
affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla
portata soggettiva del fatto stesso. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla
S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un
dipendente postale che aveva patteggiato una pena per il reato di violenza
sessuale, attribuendo rilevanza al "forte disvalore sociale" dei
fatti e all'eco avutane nella stampa, nonché alla posizione del dipendente,
quale coordinatore di circa trenta unità addette al recapito, in ragione della
responsabilità e preminenza rispetto ai componenti della squadra, attribuendo
rilievo al fatto che le condotte poste in essere fossero connotate da un
"abuso delle funzioni di guida e responsabilità connesse alla veste di
capo della comunità religiosa"). (Rigetta, App. Napoli, 23/07/2008)” Cass.
civ., Sez. lavoro, 30/01/2013, n. 2168
“Ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto
astrattamente costituente reato,
non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede
penale, né la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto
addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla
idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato
motivo del recesso. Cass. civ. Sez. lavoro, 03/01/2011, n. 37
“Ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto
astrattamente costituente reato,
non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede
penale, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità
del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del
recesso”. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 03/10/2007, n. 20731
“I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei
perciò all'esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono
irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorchè siano di natura tale da far
ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo,
specialmente quando, per le caratteristiche e peculiarità di esso, la
prestazione lavorativa richieda un ampio margine di fiducia, fermo restando che
la valutazione circa il venir meno dell'elemento fiduciario va operata dal
giudice non con riguardo al fatto astrattamente considerato, bensì agli
aspetti concreti afferenti alla natura e qualità del singolo rapporto, alla
posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche
mansioni del dipendente, nonchè alla portata soggettiva del fatto stesso,
affinchè sia resa possibile la verifica da parte dello stesso giudice della
congruità della sanzione espulsiva, per l'insufficienza di qualunque altra a
tutelare l'interesse del datore di lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro,
14/07/2001, n. 9590
In quella di merito
“Qualora il comportamento posto in essere dal lavoratore integri
un'ipotesi di reato, la valutazione della gravità di tale comportamento, ai
fini della sussistenza della giusta causa che giustifica il licenziamento, ha
carattere del tutto autonomo rispetto a quella concernente la gravità del reato,
poiché la valutazione della sussistenza o meno della giusta causa va compiuta
esclusivamente sulla base dei parametri posti dall’art. 2119 cc ossia tenendo
conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il
datore di lavoro ed il lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione
produttiva, delle finalità e delle regole di disciplina previste da detta
organizzazione”. Trib. Novara, Sez. lavoro, 17/06/2010
“Ai sensi dell'art. 1 della l. 604 del 1966, il licenziamento del
prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119
cco per giustificato motivo. Ciò premesso, i comportamenti tenuti dal
lavoratore nella vita privata, di norma irrilevanti ai fini della lesione del
rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro, assumono rilevanza a tal
fine e possono integrare giusta causa di licenziamento qualora fatti e
comportamenti esterni alla sfera del contratto siano tali, per la loro gravità
e natura, da far venire meno quella fiducia che integra il presupposto
essenziale della collaborazione tra datore e prestatore di lavoro. Dunque, se
in genere tali comportamenti sono irrilevanti, possono, tuttavia, costituire
giusta causa di licenziamento allorquando siano di natura tale da far ritenere
il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo, specialmente
quando, per le caratteristiche di esso, la prestazione lavorativa richiede un
ampio margine di fiducia, fermo restando che la valutazione circa il venir meno
dell'elemento fiduciario non può prescindere dalla natura del rapporto, dalla
posizione delle parti e dal grado di affidamento richiesto dalle specifiche
mansioni del lavoratore, nonché dalla portata del fatto stesso. Tuttavia, anche
quando il lavoratore è adibito a mansioni non particolarmente complesse,
implicanti un non elevato grado di affidamento, è necessario valutare la
portata concreta dei fatti al fine di verificare la congruità della sanzione
espulsiva. Alla luce di quanto sopra, nel caso di specie, il Tribunale,
acclarata la gravità della condotta del lavoratore, arrestato in flagranza di reato
per detenzione di stupefacenti, tale da minare l'affidamento del datore di
lavoro in ordine al corretto e decoroso svolgimento della prestazione lavorativa,
conclude per la legittimità del licenziamento irrogato al dipendente, come
unica misura efficiente a tutelare i diritti e le aspettative dell'azienda e
conseguentemente rigetta il ricorso”. Trib. Cassino, 08/03/2010, Ma.Ca. C.
F.G.A. S.p.A.
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