mercoledì 13 maggio 2015

 comportamenti (o i reati) posti in essere al di fuori del luogo di lavoro possono determinare il licenziamento?

Secondo la giurisprudenza per legittimare il licenziamento è necessario che il reato (o i fatti) comprometta la fiducia  del datore di lavoro nel corretto espletamenti del rapporto anche con riferimento al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente.

In particolare:

“I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all'esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenzimento allorché siano di natura tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del rapporto, in relazione alle modalità concrete del fatto e ad ogni altra circostanza rilevante in relazione alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente postale che aveva patteggiato una pena per il reato di violenza sessuale, attribuendo rilevanza al "forte disvalore sociale" dei fatti e all'eco avutane nella stampa, nonché alla posizione del dipendente, quale coordinatore di circa trenta unità addette al recapito, in ragione della responsabilità e preminenza rispetto ai componenti della squadra, attribuendo rilievo al fatto che le condotte poste in essere fossero connotate da un "abuso delle funzioni di guida e responsabilità connesse alla veste di capo della comunità religiosa"). (Rigetta, App. Napoli, 23/07/2008)” Cass. civ., Sez. lavoro, 30/01/2013, n. 2168

“Ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, né la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso. Cass. civ. Sez. lavoro, 03/01/2011, n. 37

“Ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso”. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 03/10/2007, n. 20731

“I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all'esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorchè siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo, specialmente quando, per le caratteristiche e peculiarità di esso, la prestazione lavorativa richieda un ampio margine di fiducia, fermo restando che la valutazione circa il venir meno dell'elemento fiduciario va operata dal giudice non con riguardo al fatto astrattamente considerato, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonchè alla portata soggettiva del fatto stesso, affinchè sia resa possibile la verifica da parte dello stesso giudice della congruità della sanzione espulsiva, per l'insufficienza di qualunque altra a tutelare l'interesse del datore di lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 14/07/2001, n. 9590

In quella di merito


“Qualora il comportamento posto in essere dal lavoratore integri un'ipotesi di reato, la valutazione della gravità di tale comportamento, ai fini della sussistenza della giusta causa che giustifica il licenziamento, ha carattere del tutto autonomo rispetto a quella concernente la gravità del reato, poiché la valutazione della sussistenza o meno della giusta causa va compiuta esclusivamente sulla base dei parametri posti dall’art. 2119 cc ossia tenendo conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro ed il lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva, delle finalità e delle regole di disciplina previste da detta organizzazione”. Trib. Novara, Sez. lavoro, 17/06/2010


“Ai sensi dell'art. 1 della l. 604 del 1966, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cco per giustificato motivo. Ciò premesso, i comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata, di norma irrilevanti ai fini della lesione del rapporto fiduciario tra dipendente e datore di lavoro, assumono rilevanza a tal fine e possono integrare giusta causa di licenziamento qualora fatti e comportamenti esterni alla sfera del contratto siano tali, per la loro gravità e natura, da far venire meno quella fiducia che integra il presupposto essenziale della collaborazione tra datore e prestatore di lavoro. Dunque, se in genere tali comportamenti sono irrilevanti, possono, tuttavia, costituire giusta causa di licenziamento allorquando siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo, specialmente quando, per le caratteristiche di esso, la prestazione lavorativa richiede un ampio margine di fiducia, fermo restando che la valutazione circa il venir meno dell'elemento fiduciario non può prescindere dalla natura del rapporto, dalla posizione delle parti e dal grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del lavoratore, nonché dalla portata del fatto stesso. Tuttavia, anche quando il lavoratore è adibito a mansioni non particolarmente complesse, implicanti un non elevato grado di affidamento, è necessario valutare la portata concreta dei fatti al fine di verificare la congruità della sanzione espulsiva. Alla luce di quanto sopra, nel caso di specie, il Tribunale, acclarata la gravità della condotta del lavoratore, arrestato in flagranza di reato per detenzione di stupefacenti, tale da minare l'affidamento del datore di lavoro in ordine al corretto e decoroso svolgimento della prestazione lavorativa, conclude per la legittimità del licenziamento irrogato al dipendente, come unica misura efficiente a tutelare i diritti e le aspettative dell'azienda e conseguentemente rigetta il ricorso”. Trib. Cassino, 08/03/2010, Ma.Ca. C. F.G.A. S.p.A.


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