Quanto può durare il lavoro intermittente?
In base all’art. 13 comma terzo
del dlgs 81 del 2015: “fermi restando i presupposti di
instaurazione del rapporto e con l’eccezione dei settori del turismo, dei
pubblici esercizi e dello spettacolo il contratto di lavoro intermittente è
ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un
periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo
lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto
periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo
pieno e indeterminato”
Come indicato da CIRCOLARE N.
35/2013 Ministero del lavoro “Sul punto
va anzitutto evidenziato che l’instaurazione del rapporto di lavoro
intermittente rimane soggetto ai limiti di carattere oggettivo o soggettivo già
individuati dagli artt. 34 e 40 del D.Lgs. n. 276/2003. Verificata la legittima
instaurazione del rapporto, il ricorso a prestazioni di lavoro intermittente è
ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un
massimo di quattrocento giornate di effettivo lavoro “nell’arco di tre anni
solari”. Ne consegue che il conteggio delle prestazioni dovrà essere
effettuato, a partire dal giorno in cui si chiede la prestazione, a ritroso di
tre anni; tale conteggio tuttavia, secondo quanto previsto dal D.L. n. 76/2013,
dovrà tenere conto solo delle giornate di effettivo lavoro “prestate
successivamente all’entrata in vigore della presente disposizione” e quindi
prestate successivamente al 28 giugno 2013. Si evidenzia che il vincolo
delle quattrocento giornate di effettivo lavoro, per espressa previsione
normativa, non trova applicazione nei settori “del turismo, dei pubblici
esercizi e dello spettacolo”. In tutti gli altri settori, un eventuale
superamento del limite delle quattrocento giornate determinerà la
“trasformazione” del rapporto in un “normale” rapporto di lavoro a tempo pieno
e indeterminato dalla data del superamento Il Legislatore ha poi spostato al 1°
gennaio 2014 il termine ultimo di vigenza dei contratti di lavoro intermittente
che, stipulati precedentemente all’entrata in vigore della L. n. 92/2012 (18
luglio 2012), non siano più compatibili con la nuova disciplina. Sul punto va
chiarito che: - l’eventuale incompatibilità dei “vecchi” contratti va
verificata in relazione alle causali oggettive o soggettive che consentono
l’instaurazione del rapporto, come riformulate dalla L. n. 92/2012; - in caso
di esito negativo di tale verifica e quindi di cessazione ex lege del rapporto,
i datori di lavoro saranno comunque tenuti ad effettuare la consueta
comunicazione al Centro per l’impiego ai sensi dell’art. 21 della L. n.
264/1949. In quest’ultimo caso si coglie altresì l’occasione per chiarire che
non è dovuto il contributo di cui all’art. 2, comma 31, della L. n. 92/2012 in
quanto trattasi di “interruzioni” del rapporto di lavoro determinate da una
disposizione di carattere eccezionale e che, prescindendo dalla volontà del
datore di lavoro, si configurano come un vero e proprio obbligo di legge. Una
diversa interpretazione, infatti, non sarebbe in linea con la ratio sottesa
all’introduzione del contributo, che vuol costituire anche un disincentivo per
i datori di lavoro che intendono recedere da un rapporto di lavoro. Sotto il
profilo ispettivo va da ultimo osservato che l’eventuale prestazione di lavoro
intermittente in forza di un contratto non più compatibile con la disciplina
dettata dalla L. n. 92/2012 – e quindi in forza di un contratto che ha cessato
“di produrre effetti” – comporterà il riconoscimento di un “normale” rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Inoltre, in assenza di una
“tracciabilità” della prestazione, troverà applicazione il regime sanzionatorio
in materia di lavoro “nero”.
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