E’ possibile richiedere la restituzione dei contributi che pur prescritti siano comunque stati versarti all’Inps?
In forza del’art. 3, comma
a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo
pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche
obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dall'art. 9 bis vomma 2 DL 1991 n. 103, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1991 n. 166, ed esclusa ogni aliquota di
contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere
dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i
casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti;
b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e
di assistenza sociale obbligatoria”.
Secondo la Cassazione è esclusa la possibilità di effettuare
versamenti a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che, rispetto ai
contributi stessi, sia intervenuta la prescrizione.
In particolare come indicato dalla
sentenza n. 3489 del 2015 “Nella materia
previdenziale, a differenza di quella civile, il regime della prescrizione è
sottratto alla disponibilità delle parti, sicché deve escludersi la esistenza
di un diritto soggettivo degli assicurati a versare contributi previdenziali
prescritti. Ne consegue che, a differenza di quanto previsto dal diritto
delle obbligazioni in generale, ove il
pagamento del debito prescritto non comporta un diritto alla restituzione, il
pagamento dei contributi prescritti, non potendo nemmeno essere accettato dall'ente
di previdenza pubblico, comporta che l'autore del pagamento ben può chiederne
la restituzione.”
In pratica, si ha una deroga all’art. 2034 cc [1] il
pagamento del debito prescritto non comporta un diritto alla restituzione. Conformi
le sentenze Cass. n. 11140/01[2] e
Cass. n. 4349/02.
Peraltro tale regola vale per
ogni forma di assicurazione obbligatoria e, in base alla l. 335 del 1995,
citato art. 3, comma 10, si applica anche per i contributi prescritti prima
dell'entrata in vigore della medesima legge (Cass. n. 330/02, Cass. n. 8888/03,
Cass. n. 23116/04).
Da notare che in tal modo si deroga anche alla disciplina
civilistica ex art. 2937 c.c. [3]
[1] c.c. art. 2034: “Obbligazioni naturali. Non è ammessa la
ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di
doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un
incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge
non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato
spontaneamente pagato, non producono altri effetti”.
[2] “Nella
materia previdenziale, a differenza che in quella civile, il regime della
prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti, ai sensi
dell'art. 3 comma 9 l .
1995 n. 335, che vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e che, in
forza del successivo comma 10 dello stesso articolo, si applica anche per i
contributi prescritti prima della entrata in vigore della suddetta legge. Da
ciò consegue che deve escludersi un diritto soggettivo dell'assicurato a
versare contributi previdenziali prescritti. Quanto poi alla differenza di
trattamento dei lavoratori autonomi rispetto a quelli subordinati, in relazione
alla mancata previsione di meccanismi di riparazione della perdita contributiva
previsti solo per i dipendenti (rendita vitalizia, risarcimento del danno),
essa non vale a ledere il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.,
non potendosi ragionevolmente parificare le diverse situazioni dei suddetti
lavoratori”.
[3] Non può rinunziare alla prescrizione chi
non può disporre validamente del diritto .
Si può rinunziare alla
prescrizione solo quando questa è compiuta .
La rinunzia può risultare da un
fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione.
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