lunedì 5 settembre 2016

Cosa si intende per immutabilità dei motivi  ed immediatezza nel licenziamento per giusta causa in rapporto con l'art. 7 della legge 300 del 1970?



La sentenza della Cass. civ. Sez. lavoro, 09/08/2012, n. 14326 permette di richiamare i più importanti principi in materia:







La Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 1982, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo 1, secondo e terzo (sanzioni disciplinari) della l. 300 del 1970, art. 7 che la giurisprudenza di legittimità (in particolare: Cass. SU 28 marzo 1981, n. 1781) aveva in precedenza prevalentemente interpretato nel senso della inapplicabilità ai licenziamenti disciplinari, se non espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.


Dopo la suddetta sentenza costituzionale, infatti, si è affermato l'indirizzo secondo cui alla stregua dei principi in essa stabiliti, il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari previste dallo specifico regime del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare, e quindi deve ritenersi assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dall'art. 7 St. lav., commi 2 e 3 circa la contestazione dell'addebito ed il diritto di difesa, nonchè, per il caso in cui le parti si siano avvalse legittimamente della facoltà di prestabilire quali fatti e comportamenti integrino l'indicata condotta giustificativa del recesso, anche a quella posta dal primo comma del medesimo art. 7, circa l'onere della preventiva pubblicità di siffatte previsioni (vedi, per tutte: Cass. SU 1 giugno 1987, n. 4823; Cass. SU 16 dicembre 1987, n. 9302).


In altri termini, da quel momento in poi, è diventato jus receptum che qualunque tipo di licenziamento - i cui presupposti si caratterizzino non esclusivamente in ragione della loro riferibilità o meno ad un comportamento del lavoratore, quanto per l'incidenza (immediata o differita) che essi hanno di per sè sulla possibilità di prosecuzione del rapporto (sia quindi esso irrogato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo o situazioni simili) - è da considerare di tipo disciplinare e, come tale, assoggettato alle garanzie di cui all'art. 7 St. lav..


Si è, pertanto, pervenuti ad affermare la natura "ontologica" del licenziamento disciplinare, come riferito ai comportamenti imputabili a titolo di colpa (intesa in senso generico) al lavoratore e destinato a coprire sia l'area del licenziamento per giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento), sia la maggior parte di quella del licenziamento per giusta causa e non irrogabile senza le garanzie previste per le misure (disciplinari) non espulsive, consistenti in particolare nella contestazione preventiva dell'addebito e sull'audizione e difesa del lavoratore incolpato, divenute garanzie di generale applicazione per qualsiasi licenziamento (ontologicamente) disciplinare, anche alla luce delle successive sentenze della Corte costituzionale n. 427 del 1989 e 364 del 1991, che hanno ribadito il principio affermato nella menzionata sentenza n. 204 del 1982, estendendone ulteriormente la portata applicativa.


Nel frattempo si è anche affermato l'indirizzo secondo cui, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1982 cit., la tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro) assicurata al lavoratore dallal. 300 del 1970 art. 18 comma 1si estende anche al caso di licenziamento disciplinare intimato - in violazione dell'art. 7 della cit. legge - senza il rispetto delle garanzie del contraddittorio e di difesa o prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa (vedi, per tutte: Cass. 7 maggio 1983, n. 3130; Cass. 12 luglio 1983, n. 4719; Cass. 19 giugno 1998, n. 6135; Cass. 21 giugno 2007, n. 14487).


6.2.- In questo quadro, a proposito delle caratteristiche della contestazione in oggetto, si e stabilito che essa debba soprattutto rispettare i principi della immutabilità e dell'immediatezza.


In ordine all'immutabilità, si è precisato che il criterio attraverso il quale è dato stabilire se le nuove deduzioni del datore di lavoro a sostegno delle sue determinazioni nell'esercizio del potere disciplinare siano precluse dall'operatività del principio di immutabilità della contestazione si snoda in un duplice profilo applicativo, l'uno di tipo ontologico, l'altro di tipo funzionale. Sotto il primo aspetto si deve considerare ravvisabile una modificazione sostanziale dell'originaria contestazione quando le circostanze nuove si configurano come elementi integrativi di una fattispecie astratta di illecito disciplinare prevista in una norma diversa rispetto alla quale sarebbero, invece, insufficienti i fatti originariamente contestati, sicchè ne deriva una sorta di "progressione" nell'illecito stesso, con necessario assorbimento della diversa e meno grave fattispecie cui tali fatti risultino autonomamente riconducibili. Il secondo - e correlato - aspetto implica che una deduzione tardiva è compatibile con le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disciplinare mira ad assicurare al lavoratore incolpato (il cui fondamentale rilievo è stato più volte riconosciuto dalla Corte costituzionale vedi sentenze nn. 204 del 1982, 427 del 1989 e 364 del 1991), soltanto quando riguarda circostanze prive di valore identificativo della fattispecie; essa, invece, deve considerarsi preclusa quando si risolve in una immutazione del titolo dell'illecito (vedi per tutte: Cass. 16 luglio 1998, n. 6988; Cass. 10 luglio 2007, n. 17604).


In riferimento all'immediatezza, si è precisato che:


a) il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 20 giugno 2006, n. 14115; Cass. 20 giugno 2006, n. 14113; Cass. 15 maggio 2006, n. 11100; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19424; Cass. 19 agosto 2003, n. 12141; Cass. 4 marzo 2004, n. 4435; Cass. 23 aprile 2004, n. 7724; Cass. 8 giugno 2009, n. 13167);


b) in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell'immediatezza della contestazione, che trova fondamento nella l. 300 del 1970 art. 7 commi 3 e 4, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia tardiva, si realizza una preclusione all'esercizio del relativo potere e l'invalidità della sanzione irrogata. Nè può ritenersi che l'applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obiettiva ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata ex lege, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell'organizzazione aziendale (Cass. 8 giugno 2009, n. 13167);


c) in particolare, in tema di licenziamento per giusta causa, l'immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore;


peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichi o meno il ritardo (Cass. 1 luglio 2010, n. 15649; Cass. 22 ottobre 2007, n. 22066; Cass. 22 marzo 2010, n. 6845);


d) nel caso di irrogazione di licenziamento per giusta causa conseguente all'espletamento di procedimento disciplinare, ai fini della valutazione della tempestività della sanzione espulsiva, deve distinguersi tra la contestazione disciplinare, che deve avvenire a ridosso dell'infrazione o del momento in cui il datore ne abbia notizia, e l'irrogazione della sanzione disciplinare, che può avvenire anche a distanza di tempo, ma pur sempre nel rispetto del principio della buona fede, che è matrice fondativa dei doveri sanciti dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori e dall'art. 2106 ccin materia di esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro (Cass. 9 maggio 2007, n. 10547).


6.3.- Per quel che riguarda la ed. recidiva ovvero il caso di licenziamento irrogato dopo l'applicazione di sanzioni disciplinari, in base consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:


a) in tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell'addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità del licenziamento stesso, anche la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata (Cass. 25 novembre 2010, n. 23924; Cass. 23 dicembre 2002, n. 18294);


b) il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere, ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonchè dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati - ove siano stati unificati con quelli ritualmente contestati - ai fini della globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati (Cass. 27 marzo 2009, n. 7523);


c) il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello Statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro (Cass. 19 gennaio 2011, n. 1145);





d) in materia disciplinare, soltanto la rilevanza autonoma, attribuita dalle fonti di regolazione del rapporto di lavoro alla recidiva, presuppone l'irrogazione di una sanzione disciplinare ed incontra il limite del biennio, mentre la valutazione della gravità dell'inadempimento (per giusta causa o, comunque, "notevole", ai sensi della l. 604 del 1966 artt. 1 e 3 si estende a tutti i fatti contestati al dipendente con l'avvio della procedura di licenziamento disciplinare, anche concernenti comportamenti tenuti in precedenza e per i quali il datore di lavoro non abbia ritenuto, nella sua autonomia, di irrogare sanzioni disciplinari, salva l'operatività del limite costituito dal principio di tempestività e senza che tale determinazione datoriale possa ritenersi idonea ad arrecare pregiudizio al diritto del lavoratore alla difesa, atteso che l'incidenza disciplinare dei fatti contestati nel procedimento abbandonato deve essere autonomamente apprezzata nel giudizio sulla giustificatezza del licenziamento (Cass. 19 dicembre 2006, n. 27104)

Nessun commento:

Posta un commento