Per i pubblici dipendenti vanno esclusi dal computo del comporto i giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti?
Corte cost., 03/03/2021, n. 28
E' fondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 68, comma 3, del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 32 della Cost., nella parte in cui, per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei consentiti diciotto mesi di assenza per malattia, i giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Va premesso che per i dipendenti pubblici, così come per i lavoratori del settore privato, la malattia come causa di sospensione del rapporto di lavoro è regolata dall'art. 2110 c.c., il quale, nell'affermare in via di principio la conservazione del posto di lavoro ed il relativo trattamento economico, rinvia per gli aspetti quantitativi e temporali alla legge o al contratto collettivo di riferimento. In linea generale i due tipi di rapporto di lavoro presentano caratteristiche strutturali che con l'andare del tempo si sono sempre più differenziate, e ciò lungi dal potersi considerare un'anomalia, suscettibile di censura ai sensi del principio di uguaglianza, risponde alle obiettive differenze di status, legate al carattere privatizzato o meno del rapporto. Il mancato riconoscimento del periodo di comporto manifesta una intrinseca irrazionalità che lo rende costituzionalmente illegittimo per violazione, sotto questo diverso profilo, dell'art. 3 Cost., con assorbimento del residuo parametro (art. 32 Cost.). Esso infatti è la manifestazione di un ritardo storico del legislatore rispetto alla contrattazione collettiva. Quest'ultima, con la sua naturale dinamicità, è stata in grado di tener conto del progressivo sviluppo dei protocolli di cura per le gravi patologie e in particolare delle cosiddette terapie salvavita con i loro pesanti effetti invalidanti; ciò al contrario non è avvenuto per la disciplina normativa, che, risalente ad anni ormai lontani, non è più adeguata al contesto attuale, caratterizzato dalla profonda evoluzione delle terapie.
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