venerdì 19 luglio 2019

L'anticipazione del TFR al di fuori dei casi in cui è obbligatoria va sottoposta a contribuzione?

Cass. 22-02-2007, n. 4133

1. Con il primo motivo di impugnazione l'Inps deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. n. 297 del 1982, art. 1 dell'art. 2120 c.c., comma ultimo, e della L. n. 153 del 1969, art. 12, nonchè il vizio di motivazione.

L'Istituto ricorrente premette che l'oggetto della controversia era la sotto posizione a contribuzione previdenziale di somme anticipate a titolo di trattamento di fine rapporto dal datore di lavoro al dipendente B.R. per far fronte a spese di natura personale, e sostiene che le condizioni di miglior favore che le parti potevano introdurre (con contratti collettivi o con patti individuali) rispetto al trattamento legale previsto per le anticipazioni non riguardavano l'esercizio del diritto al trattamento di fine rapporto ma soltanto le modalità di erogazione dell'anticipazione, e che, ad esempio l'autonomia negoziale o collettiva avrebbe potuto prevedere la corresponsione reiterata o periodica di anticipazioni nel corso del rapporto di lavoro.

Non sarebbe ammissibile, invece, una libera disposizione da parte dei lavoratori di un credito retributivo in linea di principio inesigibile.

Il ragionamento del giudice d'appello sarebbe viziato là dove aveva escluso il carattere tassativo delle fattispecie di anticipazione previste dalla legge sulla base di pattuizioni derogative, non solo collettive, ma anche individuali, o addirittura non scritte.

Le anticipazioni erano ammesse soltanto nei casi espressamente indicati, perchè finalizzate al soddisfacimento di esigenze di carattere eccezionale.

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta il vizio di motivazione.

Argomenta che, anche ammettendo, in ipotesi, la non tassatività dell'elenco contenuto nell'ottavo comma dell'art. 2120 c.c. ugualmente la sentenza impugnata sarebbe stata viziata là dove affermava che la concessione del trattamento di fine rapporto per il motivo addotto in quel caso al dipendente signor B. avrebbe costituito una condizione di miglior favore.

3. Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. E' infondato, innanzi tutto, il primo motivo di impugnazione. La L. 29 maggio 1982, n. 297, all'art. 1, ha sostituito l'art. 2120 c.c., ed istituito il nuovo istituto del trattamento di fine rapporto.

L'art. 4 di questa legge dispone, infatti, ai commi 10 ed 11, che "sono abrogate tutte le altre norme di legge o aventi forza di legge che disciplinano le forme di indennità di anzianità, di fine rapporto e di buonuscita, comunque denominate", e che "sono nulle e vengono sostituite di diritto dalle norme della presente legge tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del trattamento di fune rapporto." Le clausole contrattuali difforme sono nulle, le norme precedenti di contenuto differenze restano abrogate; in questo modo è esclusa la stessa possibilità di un assetto diverso, ed il meccanismo stabilito dalla legge di calcolo del trattamento di fine rapporto non è derogabile nè a favore nè in danno dei lavoratori.

Come sottolineato da questa Corte, "la nuova disciplina del trattamento di fine rapporto, introdotta dalla L. n. 297 del 1982, non soltanto si applica a tutte le indennità di fine rapporto comunque denominate e da "qualunque fonte disciplinate" (e quindi anche agli accordi individuali), ma è dotata di efficacia assolutamente inderogabile, sia "in melius" che "in peius". Ciò vale non soltanto nell'ambito dell'autonomia collettiva - alla quale è lasciata ampia discrezionalità solo nella determinazione della retribuzione utile ai fini del calcolo del T.F.R. - ma anche in quello dell'autonomia individuale. Conseguentemente tutti i patti e condizioni che prevedono indennità delle quali non risulta un'autonoma causa che possa consentire il riconoscimento di una funzione diversa dal T.F.R. restano comunque travolti dalla nullità disposta in via generale dalla L. n. 297, art. 4". (Cass. civ., 28 maggio 2003, n. 8480).

4. Il fatto però che non possano essere ammessi patti diversi sulle modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto non significa però che il divieto si estenda alla materia diversa delle anticipazioni sul trattamento di fine rapporto che il nuovo testo dell'art. 2120 prevede, ai commi da 6 ad 11, che in taluni casi ed a certe condizioni, il dipendente possa ottenere dal datore di lavoro.

La disciplina inderogabile concerne le modalità di determinazione del trattamento di fine rapporto, la misura di esso, ed esse soltanto, ma non le anticipazioni.

In questa materia sono ammissibili, sia a livello collettivo che a livello individuale, condizioni di miglior favore in favore dei lavoratori.

L'ultimo comma dell'art. 2120 c.c. dispone, infatti, espressamente che "condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione." Come risulta anche dal riferimento ai criteri di priorità nell'accoglimento delle richieste, questa norma di ampliamento si riferisce proprio alle anticipazioni, nè si vede a che cosa altro potrebbe essere applicata.

Questa Corte ha sottolineato a questo proposito che "l'ultimo comma dell'art. 2120 c.c., per il suo contenuto e la sua collocazione, si riferisce esclusivamente al regime generale delle anticipazioni che il prestatore di lavoro può ottenere sul trattamento di fine rapporto, della cui disciplina costituisce una sorta di norma di chiusura", ma che "non può essere interpretata come assenso alla derogabilità in melius del trattamento di fine rapporto." (Cass. civ., primo agosto 1998, n. 7546).

5. Anche l'analisi degli atti parlamentari conferma che quella generale del trattamento di fine rapporto e delle sue modalità di calcolo e quella, invece, dell'anticipazione del trattamento di fine rapporto, costituiscano discipline separate che regolano questioni differenti, anche se collegate, e che non vi sono ragioni perchè il carattere inderogabile della prima si estenda anche alla seconda.

I diversi progetti di legge che hanno preceduto la L. 29 maggio 1982, n. 297, e che ne hanno anticipato nelle linee generali, ed in gran parte, quello che sarebbe divenuto il suo testo definitivo, sono suddivisi in articoli distinti per i vari istituti (o, se si vuole, per i diversi profili dei singoli istituti), e prevedevano l'istituto dell'anticipazione in un apposito separato articolo.

Il disegno di legge governativo n. 1830 presentato alla Presidenza del Senato della Repubblica il 17 marzo 1982, regolava nell'articolo 4 il nuovo istituto dell'anticipazione, di cui prefigurava la medesima disciplina che è stata trasfusa, con lievi modifiche migliorative di carattere non strutturale, in quella definitiva, nei commi da 6 ad 11 del testo dell'art. 2120 c.c., e; per quanto ora interessa era previsto fin da allora che "condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali." Nella relazione governativa che accompagnava il progetto di legge veniva sottolineato che "viene infine previsto che i contratti collettivi e i patti individuali possano prevedere limiti più ampi nella corresponsione delle anticipazioni. Tale norma tende in primo luogo a consentire un'eventuale evoluzione dell'istituto in base al consenso delle parti sociali e in secondo luogo a non porre impedimenti legali (come esistono invece nelle vigente normativa dell'indennità di anzianità) alla disponibilità volontaria con il consenso dell'imprenditore. " La medesima suddivisione in articoli del progetto originario, come pure la collocazione dell'istituto dell'anticipazione nell'art. 4 ed il testo di questo ultimo, rimanevano invariati nella successiva proposta della prima commissione permanente (affari costituzionali) del Senato della Repubblica.

A sua volta anche il disegno di L. n. 1701, di iniziativa dei senatori A. ed altri, assegnava un articolo specifico, questa volta il 6, alle anticipazioni, di cui dettava una disciplina dettagliata, prevedendo, per quel concerne la problematica ora in esame, che "i prestatori di lavoro (...) possono chiedere anticipazioni sulle indennità di anzianità. I termini, le modalità e la quantità delle anticipazioni sono disciplinate dai contratti collettivi di lavoro. "Il disegno di L. n. 1830 veniva approvato dal Senato della Repubblica, con lievi modifiche, come n. 1830-B, nella seduta del 24 aprile 1982 (1830) e modificato dalla Camera dei deputati nella seduta del 25 maggio 1982 (3365). La Camera dei deputati effettuava alcune modifiche, e, in particolare, trasfondeva gli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 7 del testo trasmesso dal Senato in un unico articolo, il primo, in cui inseriva i nuovi testi di ben tre articoli del codice civile, gli artt. 2120, 2121 e il 2776 c.p.c..

Nell'ambito del nuovo testo dell'art. 2120 c.c. venivano riportati, con modifiche, i primi quattro articoli del testo del Senato, compreso l'art. 4 sulle anticipazioni, la cui disciplina rimaneva però invariata salvo la precisazione che "i contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione." In questo modo sono state riunite in un solo articolo, il primo, tutte le modificazioni da apportare al codice civile (ed esse soltanto).

La diversa tecnica legislativa così adottata, di trasfusione di norme e di profili all'interno di un unico articolo, non ha modificato però, nè poteva modificare, l'autonomia che i singoli istituti avevano, e continuano ad avere, sia dal punto di vista logico che dal punto vista strettamente giuridico: quella delle anticipazioni sul trattamento di fine rapporto costituisce una disciplina distinta rispetto a quella più generale del trattamento di fine rapporto con la determinazione delle sue modalità di calcolo, e, di conseguenza, l'inderogabilità di questa ultima non incide sulla disciplina delle anticipazioni che, invece, è derogabile per accordo tra le parti, adottato a livello collettivo oppure a livello individuale.

6. Per quanto concerne la ampiezza e la portata della previsione delle "condizioni di miglior favore", giova ricordare la sentenza 5 aprile 1991, n. 142, della Corte Costituzionale (dichiarativa di parziale illegittimità della norma), là dove si osserva come la norma in questione "ponga soltanto le condizioni minime per l'accesso dei lavoratori al beneficio dell'anticipazione, condizioni che possono essere derogate con clausole di miglior favore poste dalla contrattazione collettiva". Di conseguenza possono essere derogati anche dai patti individuali, stante la esplicita indicazione normativa contenuta nell'ultimo comma dell'art. 2120 c.c.. In questo stesso senso - trattarsi cioè di condizioni "minime" - si è pure espressa autorevole dottrina, facendo riferimento alla discussione in aula, nel corso dei lavori parlamentari, sul punto di un accordo, sul medesimo significato dell'espressione, intervenuto tra i membri del Comitato ristretto della Commissione Lavoro, incaricato della redazione del testo unificato della nuova normativa.

Tale interpretazione, che il Collegio condivide, consente dunque di comprendere tra le "condizioni di miglior favore" anche quella oggetto del patto individuale per cui è causa. Non può, poi, trovare ingresso nel presente giudizio - siccome non prospettata da alcuna delle parti e, del resto, nemmeno accompagnata da idonei accertamenti - la questione, da accennarsi soltanto in via teorica presentando sotto tale profilo una qualche rilevanza, se le anzidette condizioni di miglior favore possano trovare un limite, per il singolo lavoratore, nell'analogo contestuale diritto alle anticipazioni che pure spetta agli altri dipendenti; e ciò in considerazione della previsione del settimo comma (dello stesso art. 2120 c.c.) che stabilisce una limitazione annuale delle anticipazioni accoglibili alle aliquote del dieci per cento degli aventi titolo e, comunque, del quattro per cento del numero totale dei dipendenti.

7. Va rilevato, infine, per completezza, che se, in ipotesi, non avesse costituito un'anticipazione sul trattamento di Fine rapporto, una specifica erogazione come quella di che trattasi - effettuata da parte della ditta Il Servizio s.r.l. al dipendente B.R. per le spese funerarie a seguito del decesso della moglie - non essendo corrisposta a fronte di una prestazione o di una specifica previsione negoziale non poteva ragionevolmente costituire una posta contributiva da assoggettare a contribuzione previdenziale, ma piuttosto un prestito di carattere personale erogato a fronte della garanzia del (futuro) trattamento di fine rapporto.

8. Il secondo motivo di impugnazione è anch'esso infondato.

L'Istituito assicuratore lamenta, in sostanza, che la sentenza non avrebbe motivato sulle ragioni per le quali la concessione dell'anticipazione sul trattamento di fine rapporto per il motivo addotto dal signor B. avrebbe costituito una condizione di miglior favore.

Il dato però è di immediata evidenza, e perciò non richiedeva una motivazione particolare.

In sostanza la motivazione è implicita nella sentenza, nel senso che la concessione dell'anticipo anche per la ragione specifica per la quale il dipendente l'aveva richiesta costituiva una oggettiva condizione di miglior favore proprio perchè ampliava a beneficio del lavoratore la previsione della legge.

9. Il ricorso perciò deve essere rigettato perchè infondato.

Le spese seguono la soccombenza in danno dell'Inps e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

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