martedì 10 settembre 2019

Il licenziamento intimato in violazione dell'art. 4art. 2112 è nullo o annullabile?


Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 04/02/2019, n. 3186 (rv. 652879-01)


l licenziamento causato dal trasferimento d'azienda non è nullo ma annullabile per difetto di giustificato motivo oggettivo, in quanto l'art. 2112 c.c. non pone un generale divieto di recesso datoriale ma si limita ad escludere che la vicenda traslativa possa di per sé giustificarlo; ne consegue che il licenziamento intimato in vista di una futura fusione societaria - non ancora attuale al momento del recesso - concretizza l'ipotesi della manifesta insussistenza del fatto ex art. 18, comma 7, st.lav., come novellato dalla l. n. 92 del 2012. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 30/01/2017)


Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 17-01-2018) 11-05-2018, n. 11410

Reputa questa Corte che la prospettata nullità, per violazione dell'art. 2112 c.c., comma 4, non costituendo il trasferimento d'azienda ex se un motivo legittimo di licenziamento (Cass. 6 marzo 1998, n. 2521; Cass. 21 maggio 2002, n. 7458), per giunta intimato da una società neppure più titolare del rapporto alla data di ricevimento della lettera di recesso, debba essere esclusa.

Ed infatti, anche in caso di trasferimento d'azienda, l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, in quanto ribadito proprio dall'art. 2112 c.c., comma 4 ("Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti"), che pure dispone che il trasferimento non possa essere di per sè ragione giustificativa di licenziamento. Sicchè, il trasferimento non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo (Cass. 11 giugno 2008, n. 15495); e neppure, qualora nell'imminenza del trasferimento dell'azienda, l'imprenditore alienante receda dal rapporto di lavoro nei casi in cui detta facoltà gli sia attribuita, si deve ritenere che nel suo esercizio in concreto egli ponga in essere un atto emulativo o in frode alla legge, nè è prospettabile la violazione dei principi di correttezza e buona fede, a norma degli artt. 1175 e 1375 c.c., che non creano obbligazioni autonome, ma rilevano soltanto per verificare il puntuale adempimento di obblighi riconducibili a determinati rapporti (Cass. 19 gennaio 2004, n. 741).

Quanto poi alla dedotta carenza di titolarità del rapporto della società intimante alla data di ricevimento dalla lavoratrice della lettera di recesso, basti ribadire che la dichiarazione di volontà, espressa con l'atto unilaterale di recesso (che pure produce effetto, ai sensi dell'art. 1334 c.c., dal momento in cui pervenga a conoscenza del destinatario, posto che la norma configura la ricezione dell'atto alla stregua di requisito di efficacia), si perfeziona con la sola emissione e che a tale momento occorre risalire per valutare la capacità e volontà del dichiarante (Cass. 11 luglio 2006, n. 15678). Sicchè, il vizio di nullità prospettato è infondato, essendo l'intimazione del licenziamento avvenuta nel caso di specie con lettera 31 ottobre 2002 quando ancora la società cedente era titolare dell'azienda trasferita.

Ed allora non sussistono ragioni per disattendere la ricorrenza di un'ipotesi di licenziamento qualificabile come (eventuarmente) annullabile, secondo il corretto assunto dalla Corte territoriale, che ha accertato la prescrizione della relativa azione (per le ragioni esposte al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza).

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