Quali sono le linee che devono seguirsi per valutare la proporzionalità del licenziamento per giusta causa?
" E' principio consolidato di questa Corte che in tema di licenziamento per
giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in
considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di
scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del
rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere
determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di
esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e
per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura
correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare
diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai
canoni di buona fede e correttezza (cfr., fra le altre, Cass. 22 giugno 2009 n.
14586; Cass. 26 luglio 2010 n. 17514; Cass. 13 febbraio 2012 n. 2013).
La gravità dell'inadempimento deve essere valutata nel rispetto della regola
generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., sicché
l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente
in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale cioè
da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi
irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia, da valutarsi in concreto in considerazione della realtà aziendale e delle mansioni svolte (Cass. 10 dicembre
2007 n. 25743).
Inoltre va assegnato rilievo all'intensità dell'elemento intenzionale, al
grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di
attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse
sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (Cass. 13 febbraio
2012 11. 2013).
Il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito
contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile
in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non
contraddittoria (Cass. 25 maggio 2012 n. 8293; Cass. 7 aprile 2011 n. 7948;
Cass. 15 novembre 2006 n. 24349)
E' stato infine precisato da questa Corte che il controllo sulla congruità e
sufficienza della motivazione, consentito dall'art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., non deve risolversi in nuovo giudizio di merito attraverso una autonoma,
propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, risultando ciò estraneo
alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità (cfr. Cass. 26
luglio 2010 ti. 17514; CaSS. 23 febbraio 2009 n. 4369; Cass. 10 dicembre 2007
n. 25743; Cass. 7 giugno 2005 n. 11789)
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