martedì 19 gennaio 2021

 Quando il licenziamento del lavoratore può costituire condotta antisindacale?



Tribunale Civitavecchia Sez. lavoro, 23/09/2020

In tema di condotta antisindacale, affinché la condotta datoriale possa dirsi anche solo potenzialmente lesiva degli interessi del sindacato, il licenziamento del lavoratore non deve essere semplicemente ingiustificato, ma deve potersi dire causalmente connesso con la sua posizione di rappresentante sindacale, e perciò idoneo a depotenziare gli strumenti di confronto tra le parti sociali in correlazione con l'attività sindacale dallo stesso posta in essere. L'antisindacalità della condotta non può dunque solamente derivare dalla carica di R.S.A. ricoperta dal lavoratore licenziato: devono emergere elementi da cui evincersi, anche per via deduttiva, che il lavoratore è stato licenziato in ragione della sua carica, e che ciò sia potenzialmente idoneo ad alterare il genuino confronto tra azienda e sindacati. Ove così non fosse si giungerebbe ad affermare che ogni licenziamento di R.S.A. – o di qualsiasi altro esponente sindacale, e financo di lavoratore che abbia svolto attività sindacale di qualunque genere – rappresenti condotta antisindacale tutte le volte in cui sia ingiustificato. È pertanto onere dell'organizzazione che denunci il licenziamento dell'RSA come antisindacale dimostrare che esso sia stato intimato in ragione della carica ricoperta dal lavoratore. (Nel caso di specie, il giudice adito ha respinto il ricorso non essendo emersi elementi sufficienti – neppure a livello indiziario – volti a dimostrare che la lavoratrice licenziata per giustificato motivo oggettivo (esperita la procedura ex art. 7 della legge n. 604/1966) in considerazione della pacifica chiusura del punto vendita al quale era addetta, fosse stata estromessa dal datore di lavoro in ragione della carica sindacale di R.S.A. dalla stessa ricoperta.)

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