Quando il licenziamento collettivo può limitarsi ai soli lavoratori di un'unità produttiva o reparto?
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2018,
n. 6147
In linea con quanto osservato da
questa Corte in materia (Cass. n. 7011/11, n. 9711/11, n. 2429/11, n. 6959/13,
n. 6112/14 e Cass. n. 203/15 e Cass. n. 18190/2016)….. questa Corte ha
osservato che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale,
qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo
esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la
platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato
reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione
al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può
limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti
addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso
svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare
le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la
conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo
perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il
possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà
organizzative, spettando - in ogni caso - ai lavoratori l'onere della deduzione
e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent.,
16-09-2016, n. 18190
Questa Corte ha in realtà più
volte affermato che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di
personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in
modo esclusivo a un'unità produttiva o a un settore dell'azienda, la
comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla
mobilità, può essere limitata agli addetti dell'unità o del settore da
ristrutturare, in quanto ciò non sia l'effetto dell'unilaterale determinazione
del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato (come nella specie)
dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione di personale; i motivi di
restrizione della platea dei lavoratori da comparare devono essere
adeguatamente esposti nella comunicazione della L.
n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, come avvenuto nella specie, onde
consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni
che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda
intende concretamente espellere (Cass. n. 2429/12, Cass. n. 13705/12, Cass. n.
22655/12, Cass. n. 4678/15). Nella specie la sentenza impugnata ha accertato,
come visto, che il personale in esubero era esclusivamente quello addetto al
reparto produzione moquette per auto, sicchè anche la presente censura finisce
per contestare inammissibilmente accertamenti di fatto congruamente compiuti
dal giudice di merito.
Per completezza espositiva può
aggiungersi che seppure è vero che secondo un recente e condiviso orientamento
di questa Corte il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori
da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se essi siano
idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti
dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri
reparti (Cass. n. 203/15, Cass. n. 13698/15), è parimenti vero che nella specie
tale fungibilità non è emersa, che la prova di tale circostanza grava sui
lavoratori, che, secondo la corte di merito, "nulla hanno dedotto in ordine
alla fungibilità delle mansioni proprie, rispetto a quelle svolte dagli altri
operai ella società" (pag. 5 sentenza impugnata).
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-01-2015,
n. 203
E' oramai acquisito alla
giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale in tema di
licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di
ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità
produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori
interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o
settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al
progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia poichè ai fini della corretta
applicazione del criterio delle esigenze tecnico- produttive dell'azienda,
previsto dalla L.
n. 223 del 1991, art. 5,
per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle
diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del
principio di buona fede e correttezza di cui agli artt.
1175 e 1375 c.c., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei
lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se
detti lavoratori sono idonei - per pregresso svolgimento della propria attività
in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi
addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta
legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo
soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a
quella di addetti ad altre realtà organizzative (V. sostanzialmente in tal
senso per tutte Cass. 13783/2006, 22824/2009, 22825/2009, 9711/2011).
Nella specie la Corte del merito
non si è attenuta a siffatto principio poichè, pur rilevando che i lavoratori
di cui trattasi avevano svolto anche se solo saltuariamente mansioni di
autisti, ha considerato il loro licenziamento legittimo solo sulla base
dell'esclusivo rilievo della loro adibizione al reparto manutenzione
(soppresso) senza valutare l'attività svolta presso il reparto trasporti al
fine della necessità della comparazione della loro posizione con quella dei di
colleghi addetti ad altri reparti.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent.,
03-05-2011, n. 9711
3. Con il terzo mezzo si denunzia
violazione della L.
n. 223 del 1991, art. 5 sulla
ritenuta illegittimità del licenziamento, che invece sarebbe legittimo in
quanto aveva investito tutti gli addetti al ramo d'azienda Ansaldo che si era
deliberato di chiudere definitivamente. La scelta dei lavoratori da mettere in
mobilità era dunque avvenuta attribuendo preminente rilievo alle esigenze
tecnico organizzative e produttive e quindi sarebbe legittima la limitazione
del campo di applicazione della messa in mobilità al solo reparto o
stabilimento interessato. La censura è infondata.
Questa Corte si è già
approfonditamente espressa in materia con la sentenza n. 9991 del 2009, con cui
si è affermato "La giurisprudenza della Corte ha precisato più volte che,
in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto
di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità
produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei
lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve
necessariamente interessare l'intera azienda, ma può avvenire, secondo una
legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze
tecnico - produttive, nell'ambito della singola unità produttiva, ovvero del
settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una
determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente
giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione
di personale.
Infatti, la prima parte dell'art.
5, dispone che la "l'individuazione dei lavoratori da collocare in
mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed
organizzative del complesso aziendale".
Dunque, in via preliminare, la
delimitazione del personale "a rischio" si opera in relazione a
quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate
dal datore con la comunicazione di cui all'art. 4, comma 3; è ovvio che,
essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla
dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell'impresa per
addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere
quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.
Ma va attribuito il debito
rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime
esigenze tecnico produttive devono essere riferite al "complesso
aziendale"; ciò in forza dell'esigenza di ampliare al massimo l'area in
cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di
discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si
può incorrere quanto più si restringe l'ambito della selezione. D'altra parte,
sarebbe incongruo che questo ambito venisse già predeterminato dalla legge,
perchè ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta e generalizzata
incomunicabilità tra parti o settori dell'impresa.
Se tale è il contesto, si
arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione dell'ambito di
applicazione dei criteri di scelta che sia frutto dell'iniziativa datoriale
pura e semplice, perchè, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con
l'alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che la L.
n. 223 del 1991, art. 5,
intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga
effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali,
ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali.
E dunque arbitraria e quindi
illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l'ambito di selezione
ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato
dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale. La
delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre
in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed
organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione
di cui all'art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le
ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a
limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta.
Per converso, non si può, invece,
riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato
relativo alla "collocazione del personale" indicato dal datore nella
comunicazione di cui all'art. 4, e la precostituzione dell'area di scelta. Il
datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto,
settore produttivo ecc), ma ciò non comporta automaticamente che l'applicazione
dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori
interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni
delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla
ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la
giustificano. A mero titolo esemplificativo, si può rilevare che ove il datore,
nella comunicazione di cui all'art. 4, indicasse che tutto il personale in
esubero è collocato all'interno dì un unico reparto, essendo solo questo
oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato
limitare l'ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi
lavoratori nel caso fossero addetti a mansioni assolutamente identiche a quelle
ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di
ulteriori ragioni tecnico produttive ed organizzative comportanti la
limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse
necessitata dall'esistenza di una crisi che induca alla riduzione,
genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun
motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell'impresa, e quindi la
selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale".
Con il che si può spiegare,
nell'art. 5 citato, la duplicità - altrimenti scarsamente comprensibile - del
richiamo alle "esigenze tecnico-produttive ed organizzative", perchè,
nella prima parte, esse si r riferiscono all'ambito di selezione, mentre, nella
seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con
gli altri criteri dell'età e del carico di famiglia, all'individuazione del
singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i
sindacati). Pertanto, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di
personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore
solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di
ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che
determina l'oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più
ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006,
n. 14612). Cosicchè, non può essere ritenuta legittima la scelta dì lavoratori
solo perchè impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando
il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà
organizzative (Cass. n. 26376/2008, cit; 12 maggio 2006, n. 11034; 15 giugno
2006, n. 13783).
3.1. Dall'applicazione dei
principi sopra richiamati discende la conformità al diritto della decisione
impugnata, la quale ha considerato che la comparazione dei lavoratori da
avviare alla mobilità può ben essere effettuata avendo riguardo solo al singolo
ramo interessato, ma ha aggiunto che ciò è consentito, però, solo dimostrando
che tra detti lavoratori non risultino professionalità idonee ai settori
mantenuti. Ha poi concluso che la S., svolgendo mansioni di segretaria addetta
al coordinamento dei fornitori e all'organizzazione dell'archivio, ben poteva
trovare utile collocazione nei settori mantenuti. La censura va quindi
rigettata.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-10-2009,
n. 22825
Secondo tale giurisprudenza, il
doppio richiamo operato dalla L.
n. 223 del 1991, art. 5,
comma 1 alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative
("L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire,
in relazione alle esigenze tecnico- produttive ed organizzative del complesso
aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati
con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2 ovvero, in mancanza di questi
contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi
di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed
organizzative"), assume il seguente significato: al primo di essi è
attribuibile la funzione di individuare l'ambito aziendale antro il quale
dovranno operare i criteri di scelta veri e propri, tra i quali, ove siano
applicabili quelli legali, va considerato anche il criterio delle esigenze
tecnico produttive e organizzative.
Sotto il primo profilo, "la
riduzione di personale deve, in linea generale, investire l'intero complesso
aziendale, potendo essere limitato a specifici rami aziendali soltanto se
caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate,
infungibili rispetto alle altre" (cfr. al riguardo, Cass. 14 giugno 2007
n. 13876 e, in precedenza, Cass. sentt. nn. 7752/06, 9888/06, 11034/06 e
11886/06; ma, in senso parzialmente diverso, cfr. Cass. n. 26376/08 e
13381/08).
Il primo richiamo della norma di
legge in esame è infatti significativamente riferito al "complesso
aziendale" nella sua interezza; a ciò va aggiunto il riferimento al
"personale abitualmente impiegato" aggiunto all'originario testo
della L.
n. 223, art. 4, comma 3, dal D.Lgs.
n. 151 del 1997, art. 1 per
cui i "profili professionali da prendere in considerazione sono anche
quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo)
alla mobilità, tra i quali potrà, all'esito della procedura, operarsi la scelta
dei lavoratori da collocare in mobilità" (sono parole di questa Corte
nella citata sentenza n. 13876/07).
Da ciò deriva il principio
enunciato, il cui limite è rappresentato dalla presenza di specifiche
professionalità o comunque situazioni oggettive che rendano impraticabile
qualunque comparazione (Cass. sentt. nn. 7169/03 e 2188/01), la dimostrazione
della cui ricorrenza costituisce onere probatorio del datore di lavoro (Cass.
n. 1485/06).
Per quanto riguarda gli oneri di
comunicazione, sia in sede di apertura che al momento della chiusura della
procedura di mobilità di cui alla L.
n. 223 del 1991, va ribadito che sulla sufficiente specificità di essi,
secondo le coordinate indicate dall'art. 4, commi 3 e 9 della Legge, fonda la
possibilità di controllo sindacale e individuale dell'operazione, altrimenti
insindacabile in sede giudiziaria (cfr. per tutte, Cass. 23 maggio 2008 n.
13381 e Cass. 2 marzo 2009 n. 5034).
L'importanza di tali adempimenti
nel sistema delineato dalla legge
n. 223 del 1991 è poi confermata dalla previsione della sanzione della
inefficacia dei licenziamenti, stabilita dall'art. 4 cit., comma 12 e dal
successivo art. 5, comma 3 anche nel caso di comunicazione iniziale ex comma 3
o finale ex comma 9 incompleta o infedele (Cass. S.U. 13 giugno 2000 n. 419,
cui si è adeguata la giurisprudenza successiva di questa Corte: cfr., ad es.,
Cass. n. 5034/09 cit.).
In particolare, per quanto
riguarda i criteri di scelta del personale da licenziare, la comunicazione, ai
sensi dell'art. 4, comma 9 della Legge, delle modalità con le quali sono stati applicati
i criteri di scelta legali o contrattuali che siano (Cass. n. 29831/08) deve
essere specifica e dare pienamente conto dei criteri concretamente ed
effettivamente seguiti.
Nel presente giudizio, la società
ricorrente non nega che l'ambito della scelta sia stato ristretto al cantiere
edile derivante dalla commessa Arin, spiegando che altri cantieri a (OMISSIS) e
in (OMISSIS) erano stati già chiusi al momento dell'avvio della procedura di
mobilità, ma da altresì atto che non tutte le unità produttive erano cessate,
rimanendo in funzione quantomeno (ma alle pagg. 16 e 17 del ricorso sembra di
capire che esistevano o comunque erano facilmente attivabili anche cantieri di
"edilizia privata") quelle in cui operavano dipendenti inquadrati
secondo il C.C.N.L. metalmeccanico, alle quali non era stata effettuata, da
parte dell'organo governativo, la comunicazione relativa al diniego di nulla
osta prefettizio.
Ma, come rilevato dalla sentenza
impugnata, la ricorrente non ha spiegato nella comunicazione di chiusura della
procedura nè spiega in giudizio, se non per assiomi, le ragioni oggettive per
le quali tale chiusura dei cantieri abbia comportato la limitazione dell'ambito
della scelta ai dipendenti degli stessi (tanto più necessario in quanto le
mansioni generiche del personale licenziato potevano essere ritenute facilmente
fungibili anche con quelle di settori diversi da quello edile).
Una tale limitazione potrebbe
infatti derivare in concreto, sulla base dei principi desumibili alla
giurisprudenza di questa Corte prima richiamata, anche dalla collocazione
geografica di tali unità produttive rispetto ad altre (come ad es. ritenuto da
Cass. n. 8474/05), che renda improponibile la mobilità tra esse e quelle
rimaste integre e soprattutto potrebbe derivare dal tipo di specializzazioni,
tra di loro non omogenee, applicato nelle une e non nelle altre o ancora da
analoghe circostanze ostative di tipo oggettivo, ma mai dal fatto puro e
semplice che la esigenza di riduzione sia originata dalla situazione
verificatasi in una determinata unità e non in un'altra, ancorchè nelle diverse
unità produttive vengano applicati diversi contratti collettivi (nel senso che
ciò che rileva nella delimitazione della scelta non è la categoria di
inquadramento - e l'assunto è riferibile anche al tipo di contratto collettivo
applicato, ma unicamente il profilo professionale coinvolto nella mobilità,
cfr. Cass. n. 10590/05 e 9888/06), come nel caso in esame viceversa motivato in
giudizio dalla società, con ciò concretando una prima violazione dell'art. 5,
comma 1 della Legge.
Inoltre, la ricorrente ha
sostanzialmente affermato in giudizio di avere privilegiato, nella scelta, il
personale dotato di una qualche specializzazione, in quanto meglio utilizzabile
in futuro in altri cantieri dell'edilizia privata, limitando il licenziamento
alla manovalanza generica.
In tal modo la società finisce
per affermare, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, di avere
applicato un criterio attinente alle esigenze tecnico-produttive e
organizzative mai comunicato nella sede propria rappresentata dall'adempimento
di cui alla L.
n. 223, art. 4, comma 9 nè ritenuto giustificabile alla luce dalla
comunicazione iniziale di cui al comma 3 della Legge.
Una tale conclusione da parte
della Corte (e che, con l'altra prima evidenziata, è alla base della
dichiarazione di illegittimità del licenziamento) non viene specificatamente
contestata, quantomeno in maniera intelligibile dalla ricorrente, che si limita
ad affermare di avere effettuato in sede di apertura della procedura la
comunicazione di cui all'art. 4, commi 2 e 3 della Legge, completa di tutti i
dati ivi richiesti e a motivare nel senso che una tale limitazione della scelta
era da ritenersi normale nelle condizioni date e sarebbe comunque normale in
ogni caso di licenziamento collettivo (in quanto finalizzata alla salvezza
delle risorse umane ritenute utili per la prosecuzione dell'attività).
Cass. civ. Sez. lavoro, (ud.
08-02-2006) 15-06-2006, n. 13783
Questa Corte ha più volte
statuito che in materia di licenziamenti collettivi, ai fini della corretta
applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda,
previsto dalla L.
n. 223 del 1991, art. 5,
per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle
diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del
principio di buona fede e correttezza di cui agli artt.
1175 e 1375 c.c., inteso come regola di equilibrata conciliazione dei
conflittuali interessi delle parti (cfr. tra le altre che di recente: Cass. 1
settembre 2004 n. 17556), nella specie, sulla base della suddetta regola, ha
confermato la decisione del giudice d'appello che aveva dato rilievo alla
disponibilità di alcuni dipendenti a prestare servizio anche in settori diversi
da quelli di abituale adibizione e non in prossimità del luogo di residenza,
tale da escludere per l'azienda i costi derivanti dalla corresponsione
dell'indennità di trasferta e chilometrica). Ed ancora i giudici di legittimità
hanno avuto occasione di precisare che, seppure nel licenziamento collettivo
per riduzione del personale l'applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori
da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più licitato rispetto
al "complesso aziendale", cui fa riferimento la L.
n. 223 del 1991, art. 5,
ciò tuttavia non può avvenire in base ad una determinazione unilaterale del
datore di lavoro ma richiede che la predeterminazione del limitato campo di
selezione(reparto, stabilimento ecc., e/o singole lavorazioni o settori
produttivi) sia giustificato dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative
che hanno dato luogo alle riduzione del personale (cfr. in tali sensi: Cass. 24
gennaio 2002 n. 809).
Corollario delle considerazioni
sinora esposte è il principio che, nei casi in cui il datore di lavoro, che
procede alla riduzione del personale ai sensi della L.
n. 223 del 1991, art. 24,
intenda sopprimere in applicazione del criterio tecnico-produttivo - cui fa
riferimento l'art. 5 della citata legge - un reparto della sua impresa, non può
limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti
addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per acquisite
esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in
altri reparti dell'azienda con politivi risultati - ad occupare le posizioni
lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. Ed invero, in tali casi - per
il criterio della correttezza e buona fede di cui agli artt.
1175 e 1375 c.c., deputato a presiedere la soluzione in forma equilibrata
di conflittuali interessi delle parti - la scelta dei lavoratori da porre in
mobilità non può essere limitata ad un solo reparto, ma deve riguardare un ben
più esteso numero di dipendenti.
E proprio tale principio ha
osservato la decisione impugnata che, come già evidenziato, ha ritenuto non
legittima la scelta dei lavoratori solo perchè addetti al reparto lavorativo
soppresso, trascurando così di tenere conto che gli stessi avevano con
frequenza ed in tempi non remoti ("per prassi aziendali"), sostituito
colleghi addetti ad altri reparti con una indubbia e non contestata
professionalità, come era attestato sia dal fatto che sovente si verificava tra
i lavoratori dell'azienda un mutamento di mansioni ed un trasferimento nelle
diverse strutture aziendali, sia dalla circostanza che dopo il suddetto
licenziamento erano (stati assunti nuovi lavoratori chiamati a svolgere proprio
le mansioni che i licenziati in precedenza avevano svolto.
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