martedì 20 marzo 2018

Quando il licenziamento collettivo può limitarsi ai soli lavoratori di un'unità produttiva o reparto?

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2018, n. 6147
In linea con quanto osservato da questa Corte in materia (Cass. n. 7011/11, n. 9711/11, n. 2429/11, n. 6959/13, n. 6112/14 e Cass. n. 203/15 e Cass. n. 18190/2016)….. questa Corte ha osservato che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative, spettando - in ogni caso - ai lavoratori l'onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-09-2016, n. 18190
Questa Corte ha in realtà più volte affermato che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo a un'unità produttiva o a un settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti dell'unità o del settore da ristrutturare, in quanto ciò non sia l'effetto dell'unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato (come nella specie) dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione di personale; i motivi di restrizione della platea dei lavoratori da comparare devono essere adeguatamente esposti nella comunicazione della L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, come avvenuto nella specie, onde consentire alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda intende concretamente espellere (Cass. n. 2429/12, Cass. n. 13705/12, Cass. n. 22655/12, Cass. n. 4678/15). Nella specie la sentenza impugnata ha accertato, come visto, che il personale in esubero era esclusivamente quello addetto al reparto produzione moquette per auto, sicchè anche la presente censura finisce per contestare inammissibilmente accertamenti di fatto congruamente compiuti dal giudice di merito.
Per completezza espositiva può aggiungersi che seppure è vero che secondo un recente e condiviso orientamento di questa Corte il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti (Cass. n. 203/15, Cass. n. 13698/15), è parimenti vero che nella specie tale fungibilità non è emersa, che la prova di tale circostanza grava sui lavoratori, che, secondo la corte di merito, "nulla hanno dedotto in ordine alla fungibilità delle mansioni proprie, rispetto a quelle svolte dagli altri operai ella società" (pag. 5 sentenza impugnata).

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-01-2015, n. 203
E' oramai acquisito alla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia poichè ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico- produttive dell'azienda, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perchè impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (V. sostanzialmente in tal senso per tutte Cass. 13783/2006, 22824/2009, 22825/2009, 9711/2011).
Nella specie la Corte del merito non si è attenuta a siffatto principio poichè, pur rilevando che i lavoratori di cui trattasi avevano svolto anche se solo saltuariamente mansioni di autisti, ha considerato il loro licenziamento legittimo solo sulla base dell'esclusivo rilievo della loro adibizione al reparto manutenzione (soppresso) senza valutare l'attività svolta presso il reparto trasporti al fine della necessità della comparazione della loro posizione con quella dei di colleghi addetti ad altri reparti.
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2011, n. 9711
3. Con il terzo mezzo si denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 sulla ritenuta illegittimità del licenziamento, che invece sarebbe legittimo in quanto aveva investito tutti gli addetti al ramo d'azienda Ansaldo che si era deliberato di chiudere definitivamente. La scelta dei lavoratori da mettere in mobilità era dunque avvenuta attribuendo preminente rilievo alle esigenze tecnico organizzative e produttive e quindi sarebbe legittima la limitazione del campo di applicazione della messa in mobilità al solo reparto o stabilimento interessato. La censura è infondata.
Questa Corte si è già approfonditamente espressa in materia con la sentenza n. 9991 del 2009, con cui si è affermato "La giurisprudenza della Corte ha precisato più volte che, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l'intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell'imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico - produttive, nell'ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale.
Infatti, la prima parte dell'art. 5, dispone che la "l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale".
Dunque, in via preliminare, la delimitazione del personale "a rischio" si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all'art. 4, comma 3; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell'impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.
Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al "complesso aziendale"; ciò in forza dell'esigenza di ampliare al massimo l'area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l'ambito della selezione. D'altra parte, sarebbe incongruo che questo ambito venisse già predeterminato dalla legge, perchè ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta e generalizzata incomunicabilità tra parti o settori dell'impresa.
Se tale è il contesto, si arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto dell'iniziativa datoriale pura e semplice, perchè, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con l'alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che la L. n. 223 del 1991, art. 5, intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali.
E dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l'ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale. La delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta.
Per converso, non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla "collocazione del personale" indicato dal datore nella comunicazione di cui all'art. 4, e la precostituzione dell'area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo ecc), ma ciò non comporta automaticamente che l'applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano. A mero titolo esemplificativo, si può rilevare che ove il datore, nella comunicazione di cui all'art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all'interno dì un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l'ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso fossero addetti a mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione. Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall'esistenza di una crisi che induca alla riduzione, genericamente, dei costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell'impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale".
Con il che si può spiegare, nell'art. 5 citato, la duplicità - altrimenti scarsamente comprensibile - del richiamo alle "esigenze tecnico-produttive ed organizzative", perchè, nella prima parte, esse si r riferiscono all'ambito di selezione, mentre, nella seconda parte, le medesime esigenze concorrono poi nel momento successivo, con gli altri criteri dell'età e del carico di famiglia, all'individuazione del singolo lavoratore (salvo che non operino altri criteri concordati con i sindacati). Pertanto, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l'oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 23 giugno 2006, n. 14612). Cosicchè, non può essere ritenuta legittima la scelta dì lavoratori solo perchè impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 26376/2008, cit; 12 maggio 2006, n. 11034; 15 giugno 2006, n. 13783).
3.1. Dall'applicazione dei principi sopra richiamati discende la conformità al diritto della decisione impugnata, la quale ha considerato che la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità può ben essere effettuata avendo riguardo solo al singolo ramo interessato, ma ha aggiunto che ciò è consentito, però, solo dimostrando che tra detti lavoratori non risultino professionalità idonee ai settori mantenuti. Ha poi concluso che la S., svolgendo mansioni di segretaria addetta al coordinamento dei fornitori e all'organizzazione dell'archivio, ben poteva trovare utile collocazione nei settori mantenuti. La censura va quindi rigettata.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-10-2009, n. 22825
Secondo tale giurisprudenza, il doppio richiamo operato dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative ("L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico- produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2 ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative"), assume il seguente significato: al primo di essi è attribuibile la funzione di individuare l'ambito aziendale antro il quale dovranno operare i criteri di scelta veri e propri, tra i quali, ove siano applicabili quelli legali, va considerato anche il criterio delle esigenze tecnico produttive e organizzative.
Sotto il primo profilo, "la riduzione di personale deve, in linea generale, investire l'intero complesso aziendale, potendo essere limitato a specifici rami aziendali soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili rispetto alle altre" (cfr. al riguardo, Cass. 14 giugno 2007 n. 13876 e, in precedenza, Cass. sentt. nn. 7752/06, 9888/06, 11034/06 e 11886/06; ma, in senso parzialmente diverso, cfr. Cass. n. 26376/08 e 13381/08).
Il primo richiamo della norma di legge in esame è infatti significativamente riferito al "complesso aziendale" nella sua interezza; a ciò va aggiunto il riferimento al "personale abitualmente impiegato" aggiunto all'originario testo della L. n. 223, art. 4, comma 3, dal D.Lgs. n. 151 del 1997, art. 1 per cui i "profili professionali da prendere in considerazione sono anche quelli propri di tutti i dipendenti potenzialmente interessati (in negativo) alla mobilità, tra i quali potrà, all'esito della procedura, operarsi la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità" (sono parole di questa Corte nella citata sentenza n. 13876/07).
Da ciò deriva il principio enunciato, il cui limite è rappresentato dalla presenza di specifiche professionalità o comunque situazioni oggettive che rendano impraticabile qualunque comparazione (Cass. sentt. nn. 7169/03 e 2188/01), la dimostrazione della cui ricorrenza costituisce onere probatorio del datore di lavoro (Cass. n. 1485/06).
Per quanto riguarda gli oneri di comunicazione, sia in sede di apertura che al momento della chiusura della procedura di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, va ribadito che sulla sufficiente specificità di essi, secondo le coordinate indicate dall'art. 4, commi 3 e 9 della Legge, fonda la possibilità di controllo sindacale e individuale dell'operazione, altrimenti insindacabile in sede giudiziaria (cfr. per tutte, Cass. 23 maggio 2008 n. 13381 e Cass. 2 marzo 2009 n. 5034).
L'importanza di tali adempimenti nel sistema delineato dalla legge n. 223 del 1991 è poi confermata dalla previsione della sanzione della inefficacia dei licenziamenti, stabilita dall'art. 4 cit., comma 12 e dal successivo art. 5, comma 3 anche nel caso di comunicazione iniziale ex comma 3 o finale ex comma 9 incompleta o infedele (Cass. S.U. 13 giugno 2000 n. 419, cui si è adeguata la giurisprudenza successiva di questa Corte: cfr., ad es., Cass. n. 5034/09 cit.).
In particolare, per quanto riguarda i criteri di scelta del personale da licenziare, la comunicazione, ai sensi dell'art. 4, comma 9 della Legge, delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta legali o contrattuali che siano (Cass. n. 29831/08) deve essere specifica e dare pienamente conto dei criteri concretamente ed effettivamente seguiti.
Nel presente giudizio, la società ricorrente non nega che l'ambito della scelta sia stato ristretto al cantiere edile derivante dalla commessa Arin, spiegando che altri cantieri a (OMISSIS) e in (OMISSIS) erano stati già chiusi al momento dell'avvio della procedura di mobilità, ma da altresì atto che non tutte le unità produttive erano cessate, rimanendo in funzione quantomeno (ma alle pagg. 16 e 17 del ricorso sembra di capire che esistevano o comunque erano facilmente attivabili anche cantieri di "edilizia privata") quelle in cui operavano dipendenti inquadrati secondo il C.C.N.L. metalmeccanico, alle quali non era stata effettuata, da parte dell'organo governativo, la comunicazione relativa al diniego di nulla osta prefettizio.
Ma, come rilevato dalla sentenza impugnata, la ricorrente non ha spiegato nella comunicazione di chiusura della procedura nè spiega in giudizio, se non per assiomi, le ragioni oggettive per le quali tale chiusura dei cantieri abbia comportato la limitazione dell'ambito della scelta ai dipendenti degli stessi (tanto più necessario in quanto le mansioni generiche del personale licenziato potevano essere ritenute facilmente fungibili anche con quelle di settori diversi da quello edile).
Una tale limitazione potrebbe infatti derivare in concreto, sulla base dei principi desumibili alla giurisprudenza di questa Corte prima richiamata, anche dalla collocazione geografica di tali unità produttive rispetto ad altre (come ad es. ritenuto da Cass. n. 8474/05), che renda improponibile la mobilità tra esse e quelle rimaste integre e soprattutto potrebbe derivare dal tipo di specializzazioni, tra di loro non omogenee, applicato nelle une e non nelle altre o ancora da analoghe circostanze ostative di tipo oggettivo, ma mai dal fatto puro e semplice che la esigenza di riduzione sia originata dalla situazione verificatasi in una determinata unità e non in un'altra, ancorchè nelle diverse unità produttive vengano applicati diversi contratti collettivi (nel senso che ciò che rileva nella delimitazione della scelta non è la categoria di inquadramento - e l'assunto è riferibile anche al tipo di contratto collettivo applicato, ma unicamente il profilo professionale coinvolto nella mobilità, cfr. Cass. n. 10590/05 e 9888/06), come nel caso in esame viceversa motivato in giudizio dalla società, con ciò concretando una prima violazione dell'art. 5, comma 1 della Legge.
Inoltre, la ricorrente ha sostanzialmente affermato in giudizio di avere privilegiato, nella scelta, il personale dotato di una qualche specializzazione, in quanto meglio utilizzabile in futuro in altri cantieri dell'edilizia privata, limitando il licenziamento alla manovalanza generica.
In tal modo la società finisce per affermare, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, di avere applicato un criterio attinente alle esigenze tecnico-produttive e organizzative mai comunicato nella sede propria rappresentata dall'adempimento di cui alla L. n. 223, art. 4, comma 9 nè ritenuto giustificabile alla luce dalla comunicazione iniziale di cui al comma 3 della Legge.
Una tale conclusione da parte della Corte (e che, con l'altra prima evidenziata, è alla base della dichiarazione di illegittimità del licenziamento) non viene specificatamente contestata, quantomeno in maniera intelligibile dalla ricorrente, che si limita ad affermare di avere effettuato in sede di apertura della procedura la comunicazione di cui all'art. 4, commi 2 e 3 della Legge, completa di tutti i dati ivi richiesti e a motivare nel senso che una tale limitazione della scelta era da ritenersi normale nelle condizioni date e sarebbe comunque normale in ogni caso di licenziamento collettivo (in quanto finalizzata alla salvezza delle risorse umane ritenute utili per la prosecuzione dell'attività).

Cass. civ. Sez. lavoro, (ud. 08-02-2006) 15-06-2006, n. 13783
Questa Corte ha più volte statuito che in materia di licenziamenti collettivi, ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., inteso come regola di equilibrata conciliazione dei conflittuali interessi delle parti (cfr. tra le altre che di recente: Cass. 1 settembre 2004 n. 17556), nella specie, sulla base della suddetta regola, ha confermato la decisione del giudice d'appello che aveva dato rilievo alla disponibilità di alcuni dipendenti a prestare servizio anche in settori diversi da quelli di abituale adibizione e non in prossimità del luogo di residenza, tale da escludere per l'azienda i costi derivanti dalla corresponsione dell'indennità di trasferta e chilometrica). Ed ancora i giudici di legittimità hanno avuto occasione di precisare che, seppure nel licenziamento collettivo per riduzione del personale l'applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più licitato rispetto al "complesso aziendale", cui fa riferimento la L. n. 223 del 1991, art. 5, ciò tuttavia non può avvenire in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro ma richiede che la predeterminazione del limitato campo di selezione(reparto, stabilimento ecc., e/o singole lavorazioni o settori produttivi) sia giustificato dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alle riduzione del personale (cfr. in tali sensi: Cass. 24 gennaio 2002 n. 809).
Corollario delle considerazioni sinora esposte è il principio che, nei casi in cui il datore di lavoro, che procede alla riduzione del personale ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 24, intenda sopprimere in applicazione del criterio tecnico-produttivo - cui fa riferimento l'art. 5 della citata legge - un reparto della sua impresa, non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per acquisite esperienze e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda con politivi risultati - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. Ed invero, in tali casi - per il criterio della correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., deputato a presiedere la soluzione in forma equilibrata di conflittuali interessi delle parti - la scelta dei lavoratori da porre in mobilità non può essere limitata ad un solo reparto, ma deve riguardare un ben più esteso numero di dipendenti.
E proprio tale principio ha osservato la decisione impugnata che, come già evidenziato, ha ritenuto non legittima la scelta dei lavoratori solo perchè addetti al reparto lavorativo soppresso, trascurando così di tenere conto che gli stessi avevano con frequenza ed in tempi non remoti ("per prassi aziendali"), sostituito colleghi addetti ad altri reparti con una indubbia e non contestata professionalità, come era attestato sia dal fatto che sovente si verificava tra i lavoratori dell'azienda un mutamento di mansioni ed un trasferimento nelle diverse strutture aziendali, sia dalla circostanza che dopo il suddetto licenziamento erano (stati assunti nuovi lavoratori chiamati a svolgere proprio le mansioni che i licenziati in precedenza avevano svolto.
 

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